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01/06/09

L'Inquinamento Morale avvelena il Mondo - L'Omelia di Pentecoste di Benedetto XVI.



A beneficio dei lettori del Blog, pubblico qui di seguito l'intensissima (e per certi versi drammatica) Omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI nella Basilica Vaticana per la Messa della Pentecoste.

Cari fratelli e sorelle! Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, viviamo nella fede il mistero che si compie sull’altare, partecipiamo cioè al supremo atto di amore che Cristo ha realizzato con la sua morte e risurrezione. L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, “forme” specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia. Tra tutte le solennità, la Pentecoste si distingue per importanza, perché in essa si attua quello che Gesù stesso aveva annunciato essere lo scopo di tutta la sua missione sulla terra. Mentre infatti saliva a Gerusalemme, aveva dichiarato ai discepoli: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49).

Queste parole trovano la loro più evidente realizzazione cinquanta giorni dopo la risurrezione, nella Pentecoste, antica festa ebraica che nella Chiesa è diventata la festa per eccellenza dello Spirito Santo: “Apparvero loro lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2,3-4). Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del “dono di Dio” ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce. Dio vuole continuare a donare questo “fuoco” ad ogni generazione umana, e naturalmente è libero di farlo come e quando vuole. Egli è spirito, e lo spirito “soffia dove vuole” (cfr Gv 3,8). C’è però una “via normale” che Dio stesso ha scelto per “gettare il fuoco sulla terra”: questa via è Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto.

A sua volta, Gesù Cristo ha costituito la Chiesa quale suo Corpo mistico, perché ne prolunghi la missione nella storia. “Ricevete lo Spirito Santo” – disse il Signore agli Apostoli la sera della risurrezione, accompagnando quelle parole con un gesto espressivo: “soffiò” su di loro (cfr Gv 20,22). Manifestò così che trasmetteva ad essi il suo Spirito, lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, cari fratelli e sorelle, nell’odierna solennità la Scrittura ci dice ancora una volta come dev’essere la comunità, come dobbiamo essere noi per ricevere il dono dello Spirito Santo. Nel racconto, che descrive l’evento di Pentecoste, l’Autore sacro ricorda che i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Questo “luogo” è il Cenacolo, la “stanza al piano superiore” dove Gesù aveva fatto con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto; quella stanza che era diventata per così dire la “sede” della Chiesa nascente (cfr At 1,13). Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera” (At 1,14).

Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera. Questo, cari fratelli e sorelle, vale anche per la Chiesa di oggi, vale per noi, che siamo qui riuniti. Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola.

Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno “affannata” per le attività e più dedita alla preghiera. Ce lo insegna la Madre della Chiesa, Maria Santissima, Sposa dello Spirito Santo. Quest’anno la Pentecoste ricorre proprio nell’ultimo giorno di maggio, in cui si celebra solitamente la festa della Visitazione. Anche quella fu una sorta di piccola “pentecoste”, che fece sgorgare la gioia e la lode dai cuori di Elisabetta e di Maria, una sterile e l’altra vergine, divenute entrambe madri per straordinario intervento divino (cfr Lc 1,41-45). La musica e il canto, che accompagnano questa nostra liturgia, ci aiutano anch’essi ad essere concordi nella preghiera, e per questo esprimo viva riconoscenza al Coro del Duomo e alla Kammerorchester di Colonia. Per questa liturgia, nel bicentenario della morte di Joseph Haydn, è stata infatti scelta molto opportunamente la sua Harmoniemesse, l’ultima delle “Messe” composte dal grande musicista, una sublime sinfonia per la gloria di Dio. A voi tutti convenuti per questa circostanza rivolgo il mio più cordiale saluto. Per indicare lo Spirito Santo, nel racconto della Pentecoste gli Atti degli Apostoli utilizzano due grandi immagini: l’immagine della tempesta e quella del fuoco. Chiaramente san Luca ha in mente la teofania del Sinai, raccontata nei libri dell’Esodo (19,16-19) e del Deuteronomio (4,10-12.36).

Nel mondo antico la tempesta era vista come segno della potenza divina, al cui cospetto l’uomo si sentiva soggiogato e atterrito. Ma vorrei sottolineare anche un altro aspetto: la tempesta è descritta come “vento impetuoso”, e questo fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere su di esso.

Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale. Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria – e per questo l’impegno ecologico rappresenta oggi una priorità –, altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo spirito.

Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, l’aria salubre dello spirito che è l’amore! L’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli è il fuoco.

Accennavo all’inizio al confronto tra Gesù e la figura mitologica di Prometeo, che richiama un aspetto caratteristico dell’uomo moderno. Impossessatosi delle energie del cosmo – il “fuoco” – l’essere umano sembra oggi affermare se stesso come dio e voler trasformare il mondo escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo.

L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre. Nelle mani di un uomo così, il “fuoco” e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia.

A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite. Si potrebbero in verità trovare molti esempi, meno gravi eppure altrettanto sintomatici, nella realtà di ogni giorno. La Sacra Scrittura ci rivela che l’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello “spirito di Dio che aleggiava sulle acque” (Gn 1,2) all’inizio della creazione.

E Gesù Cristo ha “portato sulla terra” non la forza vitale, che già vi abitava, ma lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che “rinnova la faccia della terra” purificandola dal male e liberandola dal dominio della morte (cfr Sal 103/104,29-30). Questo “fuoco” puro, essenziale e personale, il fuoco dell’amore, è disceso sugli Apostoli, riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo, per fare della Chiesa il prolungamento dell’opera rinnovatrice di Cristo. Infine, un ultimo pensiero si ricava ancora dal racconto degli Atti degli Apostoli: lo Spirito Santo vince la paura. Sappiamo come i discepoli si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte.

Dopo la risurrezione di Gesù questa loro paura non scomparve all’improvviso. Ma ecco che a Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto. Non avevano alcun timore, perché si sentivano nelle mani del più forte.

Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini.

Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!”.

05/02/09

Dov'è la Chiesa che scalda i cuori ?

Cari amici, oggi Beppe Severgnini sul Corriere della Sera scrive un articolo, nelle pagine interne, intitolato "Dov'è la Chiesa che scalda i cuori ? ". E' la meditazione semplice - non sovrastrutturata - che arriva da uno che si definisce "un cattolico incompetente", eppure mi sembra che rispecchi davvero uno sentire comune, che sento molto diffuso in questo periodo da parte di molti cattolici praticanti. La riporto qui di sotto integralmente come motivo di nostra riflessione, e discussione.


Il Papa non era al corrente delle dichiarazioni negazioniste del vescovo Williamson, al momento della remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani? E non aveva pensato che la decisione coincidesse col 50° anniversario dell'annuncio del Concilio Vaticano II?

Ci crediamo. Ma possiamo dire - da osservatori distanti, da cattolici incompetenti - che ciò appare stupefacente? Una svista così possiamo aspettarcela da un governo, per sua natura provvisorio; non dal Vaticano, per definizione definitivo, cauto e informato.

Possiamo aggiungere - con rispetto - una preoccupazione? Questa lezione di teologia continua non rischia di spegnere quello che il sorriso di Giovanni XXIII aveva acceso? I princìpi sono importanti; ma gli uomini, in tempi come questi, hanno bisogno di comprensione e rassicurazione. Qualcuno direbbe: hanno bisogno di amore.

Circondato dall'affetto sospetto degli atei devoti e dall'adulazione interessata degli incoerenti, il Vaticano da tempo istruisce, ammonisce, invita alla perfezione. Ma spesso sembra di vederlo dal lato sbagliato di un cannocchiale: una presenza distante, irraggiungibile. Gli imperfetti guardano, chiamano piano: ma nessuno risponde.

Papa Giovanni XXIII - i cui ritratti ingenui adornano ancora le case degli italiani - aveva capito che bisogna andare incontro agli uomini, non aspettarli. Alberto Melloni, sul "Corriere" del 3 febbraio, ha usato una frase illuminante: "Quella speranza che oggi tutti consegnano a Obama, allora guardò alla Chiesa di Roma (...). Il concilio non fu un'idea, un testo da manovrare ermeneuticamente, ma un evento nel quale la Chiesa ha cercato a mani nude, nelle macerie del Novecento, chiamate di obbedienza più esigenti di quella che era la comoda routine intransigente".

Credo che molte vocazioni, devozioni ed educazioni familiari abbiano le radici in quel periodo. Una voce nuova per un mondo nuovo. Nessuno chiede che la Chiesa sia progressista. Vogliamo molto di più: speriamo sia lungimirante.

I pontefici che hanno scaldato i cuori hanno svegliato i giovani. Papa Roncalli, magnifico bergamasco, non è rimasto solo. Lo ha seguito, nel suo brevissimo pontificato, Giovanni Paolo I, provocando stupore riconoscente. Lo ha rilanciato, lungamente e potentemente, Giovanni Paolo II, che pure non era morbido in materia di dottrina.

Potrebbe farlo - è tempo, è in tempo - Benedetto XVI.

Non è discutendo con i lefebvriani che si riconquistano i ragazzi italiani (e non solo). La Chiesa s'è guadagnata rispetto e attenzione discutendo con noi di sesso nelle ore di religione (grazie don Carlo), e giocandosela a pallone sulla terra degli oratori. Antonio Piloni, si chiamava il curato del Duomo, a Crema, negli anni Sessanta. Se alla domenica la cattedrale è piena, e don Emilio è contento, è anche per merito suo.

Non amo scrivere di questi argomenti: dichiararsi cattolico sui giornali è ormai una furbizia o una dichiarazione di guerra. Ma sento, dentro e fuori di me, un disagio crescente. E lo scrivo, consapevole che non servirà a niente.


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24/01/09

Ultim'ora: il Papa revoca la scomunica ai Lefebvriani


Benedetto XVI ha approvato il decreto contenente la revoca della scomunica per i vescovi scismatici lefebvriani Bernard Fellay, Alfonso de Gallareta, Tissier de Mallerais e Richard Williamson incorsi nella piu' grave sanzione che puo' comminare la Chiesa per aver ricevuto l'ordinazione episcopale il 30 giugno del 1988 senza il permesso di Giovanni Paolo II.

La scomunica riguardo' anche i due vescovi consacranti, mons. Marcel Lefebvre e il brasiliano Antonio de Castro Mayer, entrambi deceduti. I seguaci di quest'ultimo sono gia' rientrati nella Chiesa Cattolica, cosi' come un gran numero di lefebvriani. A seguito dell'autorizzazione a celebrare liberamente la messa in latino firmata dal Papa nel 2007 e' venuto comunque meno il motivo fondamentale della controversia che aveva opposto l'anziano vescovo francese alla Santa Sede. Cosi' alcuni mesi fa gli stessi vescovi avevano scritto al card. Dario Castrillo Hoyos, presidente della Ecclesia Dei, chiedendogli la possibilita' di essere reintegrati in seno alla Chiesa Cattolica.

Il decreto porta la firma del prefetto della Congregazione per i vescovi, card. Giovanni Battista Re. A quanto sembra deve ancora essere trovata la forma giuridica per inserire nuovamente la Fraternita' San Pio X nella Chiesa. Ma con il decretto di revoca delle scomuniche Papa Ratzinger spiana la strada alla piena comunione e ricuce una ferita dolorosissima per tutta la Chiesa."Con questo atto - spiega il decreto - si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilita' ai rapporti della Fraternita' San Pio X con questa Sede Apostolica". Nelle intenzioni del Pontefice, "questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l'unita' nella carita' della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione".

Il decretro "auspica che questo passo sia seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternita' San Pio X, testimoniando cosi' vera fedelta' e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorita' del Papa con la prova dell'unita' visibile". "In base alle facolta' espressamente concessemi dal Santo Padre Benedetto XVI - e' la formuila usata dal card. Re nel decreto - in virtu' del presente Decreto, rimetto ai vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta la censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il primo luglio 1988, mentre dichiaro privo di effetti giuridici, a partire dall'odierna data, il Decreto a quel tempo emanato".

fonte: AGI

23/01/09

Benedetto XVI - Internet, un vero dono per l'Umanità.


Le tecnologie digitali sono "un vero dono per l'umanità", ma sarebbe "un grave danno" se non fossero accessibili a tutti, e specialmente ai più poveri e agli emarginati: lo ha detto Benedetto XVI nel suo messaggio per la 43esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.

"E' gratificante - afferma il Papa - vedere l'emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti. Ci si deve tuttavia preoccupare - avverte - di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti.

Sarebbe un grave danno per il futuro dell'umanità - ha insistito - se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell'informazione e della socializzazione umana".

Nel discorso del Papa c'é anche un appello alla responsabilità e al rispetto della "dignità e del valore della persona umana" su internet, con chiaro riferimento alla pornografia e alle incitazioni all'odio e alla violenza. "Coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media - ha detto nel suo messaggio - non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l'essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l'odio e l'intolleranza, svilisce la bellezza e l'intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi".

Un richiamo anche al rispetto tra culture e religioni diverse, ormai tutte parte "della nuova arena digitale", tra le quali internet può favorire l'incontro, che deve essere però basato su "forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso". Occorre poi - aggiunge il pontefice - "non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l'esperienza soggettiva soppianta la verità".

Benedetto XVI invita a cogliere le grandi opportunita' positive offerte da Internet ma invita anche ad "essere attenti a non banalizzare il concetto e l'esperienza dell'amicizia". Il rischio non e' solo quello di favorire "passeggere, superficiali relazioni" che porterebbero a svilire il valore dell'amicizia che il Pontefice considera "un grande bene umano che sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso: gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l'un l'altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunita' umana".

Soprattutto occorre evitare, spiega, il rischio dell'alienazione: "quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza e' che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale". "Cio' - rileva il Pontefice - finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano".

"Sarebbe triste - scrive nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali - se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a
spese della disponibilita' per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realta' di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero".



fonte: ANSA e AGI


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15/11/08

Benedetto XVI - Più spazio alle Donne nella Chiesa.


Benedetto XVI ha voluto ribadire oggi "quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo. "L'uomo e la donna - ha ricordato nel discorso al Pontificio Consiglio per i laici - uguali in dignita', sono chiamati ad arricchirsi vicendevolmente in comunione e collaborazione, non solo nel matrimonio e nella famiglia, ma anche nella societa' in tutte le sue dimensioni".

In particolare, ha aggiunto, "alle donne cristiane si richiedono consapevolezza e coraggio per affrontare compiti esigenti, per i quali tuttavia non manca loro il sostegno di una spiccata propensione alla santita', di una speciale acutezza nel discernimento delle correnti culturali del nostro tempo, e della particolare passione nella cura dell'umano che le caratterizza".

Il ruolo delle donne nella Chiesa e nella societa' era stato esaltato venti anni fa da Giovanni Paolo II con la lettera apostoolica "Mulieris dignitatem" che Papa Ratzinger ha citato oggi esortando i cardinali, vescovi e sacerdoti ma anche i responsabili delle associazioni e movimenti laicali presenti all'incontro in Vaticano a trarne spunto per la loro azione.

Tra le "questioni di speciale rilevanza" per le quali il Papa apprezza l'impegno del Pontificio consiglio per i laici c'e anche "quella della dignita' e partecipazione delle donne nella vita della Chiesa e della societa"'. E "mai si dira' abbastanza di quanto la Chiesa riconosca, apprezzi e valorizzi la partecipazione delle donne alla sua missione di servizio alla diffusione del Vangelo".

Benedetto XVI lo ha detto nell'udienza concessa ai partecipanti alla assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, guidati dal presidente, cardinale Stanislaw Rylko.

18/10/08

Dziwisz alla presentazione del film "Una Vita con Karol": Wojtyla fece miracoli anche in Vita.


Il card. Dziwisz asserisce di essere stato testimone oculare di vari miracoli che sarebbero stati compiuti da papa Wojtyla quando questi era ancora in vita, tra i quali la guarigione di una giovane indemoniata. Lo racconta lo stesso Dziwisz, segretario personale di Giovanni Paolo II per tutto il suo pontificato, nel film-intervista "Testimonianza" tratto dal libro "Una vita con Karol", presentato questa sera in anteprima alla presenza di Benedetto XVI nell'aula Paolo VI, in Vaticano.

Dziwisz racconta, fra l'altro, della convalescenza di Giovanni Paolo II in clinica, dopo l'attentato del 1981. "Vicino al reparto in cui era ricoverato - ricorda il segretario - c'erano dei bambini malati di tumore" che lui amava visitare non appena si senti' meglio e che cercavano la sua presenza nella speranza di una guarigione. "La' io fui testimone di tanti miracoli".

Dziwisz racconta nel film anche di una giovane donna indemoniata condotta dal marito in Vaticano per un esorcismo, che pero' non riusci'. "Prima di andarsene, papa Wojtyla le disse: "domani diro' una messa per te. E lei guari"'.

Al di la' di questi fatti straordinari, emergono dal film numerosi aneddoti ed episodi in gran parte gia' noti, ma restituiti con la forza delle immagini e delle ricostruzioni cinematografiche, sottolineata in sala, gremita di cardinali, vescovi e molti polacchi, tra i quali Lech Walesa, un ex presidente della repubblica, un sottosegretario e altre autorita', da applausi e qualche risata.

L'arcivescovo di Cracovia racconta, ad esempio, di quando, da cardinale, A Ludzmierz in Polonia, cadde uno scettro da una statua della Madonna e il cardinale Wyszynski, che era con lui, gli disse ridendo: "Pare che la Vergine voglia dividere il suo potere con te", e di quando, dopo il conclave che lo elesse Papa, confesso' al suo futuro segretario: "Che cosa ho combinato!".

Un gruppo di attori rappresenta, nel film, le molto vociferate fughe in incognito di Wojtyla dal Vaticano per andare ad immergersi nella natura che tanto amava. Poi, riprende il racconto del cardinale Stanislaw: parla della visita in Polonia, di Solidarnosc, e della lettera scritta a Breznev quando la Russia pensava all'intervento militare, che non ricevette mai risposta e non fu mai divulgata, ma in cui era scritto che "la nazione ha diritto alla liberta"'.

Ed ecco il momento dell'attentato per mano di Ali' Agca: "Ricordo i piccioni che scappavano in alto dopo gli spari, come in un film - dice Dziwisz - che mi e' rimasto per sempre negli occhi". Il primo pensiero di Wojtyla fu per l'attentatore che subito perdono', prima confidandolo al segretario, poi scrivendo una lettera mai spedita in cui scriveva: "Come possiamo presentarci al Signore se non ci perdoniamo?". Successivamente espresse personalmente il proprio perdono al killer turco.

Ma Wojtyla, racconta ancora il segretario, affermando di poter ora rivelare "quello che finora abbiamo tenuto segreto" subi' un altro attentato, in realta' documentato dalle cronache.

Quando si reco' a Fatima nell'82 per portare alla Madonna il proiettile che l'aveva colpito e ringraziarla di avere avuto salva la vita, un sacerdote invasato gli si getto' addosso con un coltello. Il Papa continuo' la cerimonia e sembro' che il colpo non fosse andato a segno, ma quando torno' in camera, Dziwidz vide di persona che era stato ferito.

"Tremavamo tutti dopo l'attentato dell'81 - prosegue l'intervista - ma lui ripeteva che non potevamo vivere nella paura", e prosegui' il suo apostolato, che lo porto' presto, da Papa nella sua Polonia, dove volle incontrare ad ogni costo Lech Walesa e si rifiuto' di 'ammorbidire' i suoi discorsi, come gli era stato richiesto dal regime comunista. Sei anni dopo, cadeva il muro di Berlino. Poi vennero molti altri viaggi. In partenza per Cuba, un giornalista gli domandava se sarebbe successo li' quello che era successo in Polonia, e lui rispose, "perche', era andato male?'. E poi, "non sono un profeta".

Infine, le immagini si chiudono sul periodo della malattia e della morte, gia' rese ampiamente pubbliche. Dziwisz testimonia, in chiusura, della sua ultima uscita, quando non riusci' a parlare. Allontanatosi dal balcone, gli sussurro': "se non posso piu' stare con la gente e parlare con loro, e' meglio che me ne vada". Scrisse su un biglietto Totus tuus, e comincio' la sua coraggiosa agonia.

21/09/08

Enzo Bianchi chiamato da Benedetto XVI per il prossimo Sinodo dei Vescovi


In vista della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 5 al 26 Ottobre, a norma di quanto previsto dall’ Ordo Synodi Episcoporum, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’approvazione del Sommo Pontefice, ha nominato tra gli Adiutores Secretarii specialis (o Esperti), fr. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.

Per noi de Il Mantello di Bartimeo, questa è una gran bella notizia, e per festeggiarla, vi propongo qui sotto l'Omelia scritta per la domenica di oggi, 21 Settembre 2008, da Enzo Bianchi, a commento della Parabola Evangelica dei lavoratori della Vigna.


«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna»: così si apre la parabola di Gesù che oggi ascoltiamo. È una parabola che, mentre rivela la distanza tra il pensiero di Dio e quello di noi uomini (cf. Is 55,8-9), ci invita a colmarla assumendo i sentimenti di Dio narrati da Gesù.Il padrone della vigna si accorda con gli operai chiamati all’alba per il salario di un denaro al giorno; poi esce ancora a più riprese sulla piazza del paese e assolda altre persone che scorge disoccupate, rispettivamente alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. Con tutti quelli ingaggiati più tardi egli non pattuisce una paga precisa, ma si limita a dire loro: «Andate anche voi nella mia vigna, quello che è giusto ve lo darò». Parole strane in bocca a un proprietario terriero, parole che contrastano con la logica di mercato e attirano la nostra attenzione: quale sarà questo salario giusto?Venuta la sera il padrone della vigna incarica il suo fattore di pagare gli operai «incominciando dagli ultimi fino ai primi». Quelli delle cinque del pomeriggio ricevono un denaro ciascuno, mentre a proposito degli altri lavoratori presi a partire dalle nove non si specifica nulla. «Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più»: è un calcolo umanissimo, che probabilmente molti di noi sottoscriverebbero, ma è un atto di presunzione che dimentica quanto il padrone aveva pattuito con loro. La realtà invece è un’altra: «Anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno», come da accordo…

Ma nel ritirare il loro salario gli operai della prima ora non riescono a celare il loro disappunto. Essi però non hanno il coraggio di esprimere il loro dissenso mediante una parola franca e leale, ma mormorano contro il padrone. Già questa forma di «comunicazione» è sintomo di una doppiezza interiore, di un cuore diviso che porta ad avere labbra doppie (cf. Sal 12,3; 119,10.13), perché – come rivelato da Gesù – «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34). Quanto al contenuto della loro lamentela, è ispirato alla logica perversa del paragone, del confronto con gli altri: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ciò che non riescono a sopportare non è tanto la mancata corrispondenza tra lavoro compiuto e ricompensa, quanto l’uguaglianza del trattamento ricevuto, il pensiero che altri venuti dopo siano stati oggetto della benevolenza del padrone: «tu li hai fatti uguali a noi», essi dicono letteralmente…

Tocca allora al signore della vigna, figura di Dio, ricondurre questi contestatori alla realtà. Rivolgendosi a uno di loro egli innanzitutto lo chiama «amico», poi gli spiega: «Io non commetto verso di te un’ingiustizia. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene». Egli, dunque, si è comportato semplicemente in modo giusto. Ma non basta, il padrone si riserva anche la libertà di fare delle proprie ricchezze ciò che vuole: «Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te …

Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?». In questa domanda è racchiusa la matrice profonda dell’invidia, sentimento che amareggia le nostre relazioni quotidiane: l’invidia consiste nell’avere un occhio cattivo verso l’altro fino a non volerlo più vedere e a desiderarne la scomparsa. Di nuovo, essa ha le sue radici nel cuore, perché «dal cuore dell’uomo nasce l’occhio cattivo» (Mc 7,22).

Ma perché siamo tristi per la felicità altrui, quasi fosse un attentato alla nostra? Gesù ci insegna che vi è una corrispondenza tra il concepire il proprio rapporto con Dio in termini di prestazione legalistica, misurando i propri presunti meriti, e il rattristarsi per la gioia altrui; al contrario, chi serve Dio nella libertà e per amore suo si rallegra della misericordia da lui riversata su tutti gli uomini e sa vivere il grande bene della gioia condivisa. Sì, il Signore Dio nell’imperscrutabile profondità della sua sapienza (cf. Rm 11,33) si rivela giusto nel donare la sua misericordia a tutti, abbiano risposto alla sua chiamata alla prima o all’ultima ora. Il suo unico arbitrio è la libertà di amare senza limite: e chi siamo noi per ostacolarlo?

Enzo Bianchi

il sito della Comunità di Bose:

http://www.monasterodibose.it/index.php/


15/09/08

Lourdes - L'ultima preghiera di Bernadette.



In occasione dell'ultimo giorno della visita del Papa a Lourdes mi sembra bello riportare queste parole, questa preghiera scritta da Bernadette Soubirous poco prima di morire:

Prima di morire, Bernadette scrisse una preghiera. È il proprio personale Getsemani, l'ora del dubbio, del combattimento interiore.
Bernadette Soubirous è diventata suor Marie-Bernard, conversa delle suore di Nevers, ha 35 anni ed è morente.

Colei che ha visto e parlato con la Madonna a Lourdes guarda al passato con occhio stupito, diremmo incredulo di fronte alle cose operate dal Signore in Lei: la vita dura e miserevole condotta nella sua casa, la fame sofferta, le terribili ingiustizie subite, i dileggi, le incomprensioni anche da chi era più vicino. Guarda al passato e scrive quanto il cuore le annota; e ciò diventa preghiera vera e rara, drammaticamente vibrante...



Per l'indigenza di mamma e papà,
per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza,
per le pecore rognose: grazie, mio Dio!
Bocca di troppo da sfamare che ero;
per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie!
Grazie, o mio Dio, per il Procuratore,
per il Commissario, per i Gendarmi,
per le dure parole di Peyramale.
Per i giorni in cui siete venuta. Vergine Maria,
per quelli in cui non siete venuta,
non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso.
Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe,
per gli oltraggi,
per coloro che mi hanno presa per pazza,
per coloro che mi hanno presa per bugiarda,
per coloro che mi hanno presa per interessata.
Grazie, Madonna!
Per l'ortografia che non ho mai saputa,
per la memoria che non ho mai avuta,
per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie!
Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra
una bambina più stupida di me, avreste scelto quella!
Per la mia madre morta lontano,
per la pena che ebbi quando mio padre,
invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette,
mi chiamò suor Marie-Bernard: grazie, Gesù!
Grazie per aver abbeverato di amarezza
Questo cuore troppo tenero che mi avete dato.
Per Madre Joséphine che mi ha proclamata:
«Buona a nulla».
Grazie!
Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura,
le sue ingiustizie, le sue ironie,
e per il pane della umiliazione, grazie!
Grazie per essere stata quella cui la Madre Thérèse
Poteva dire: «Non me ne combinate mai abbastanza».
Grazie per essere stata quella privilegiata
dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano:
«Che fortuna non essere come Bernadette!».
Grazie di essere stata Bernadette,
minacciata di prigione perché vi avevo vista,
Vergine Santa!
Guardata dalla gente come bestia rara;
quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva:
«Non è che questa?!».
Per questo corpo miserando che mi avete dato,
per questa malattia di fuoco e di fumo,
per le mie carni in putrefazione,
per le mie ossa cariate, per i miei sudori,
per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti,
Grazie, Mio Dio!
Per quest'anima che mi avete data, per il deserto
dell'aridità interiore,
per la vostra notte e per i vostri baleni.
per i vostri silenzi e i vostri fulmini;
per tutto,
per Voi assente e presente, grazie! Grazie, o Gesù!

14/09/08

L'OMELIA PRONUNCIATA DAL PAPA A LOURDES NELLA GRANDE MESSA PER IL 150MO ANNIVERSARIO DELLE APPARIZIONI DI LOURDES - IL TESTO INTEGRALE


Ecco il testo integrale che il Papa ha appena pronunciato sulla Spianata della Prairie di Lourdes, davanti a 200.000 fedeli. Un testo molto profondo, che merita di essere letto integralmente e che pubblico a beneficio dei lettori di questo blog.

Andate a dire ai sacerdoti che si venga qui in processione e che si costruisca una cappella". È il messaggio che Bernadette ricevette dalla "bella Signora" nell’apparizione del 2 marzo 1858. Da 150 anni i pellegrini non hanno mai cessato di venire alla grotta di Massabielle per ascoltare il messaggio di conversione e di speranza che è loro rivolto. Ed anche noi, eccoci qui stamane ai piedi di Maria, la Vergine Immacolata, per metterci alla sua scuola con la piccola Bernadette.
Ringrazio in modo particolare Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes e Lourdes, per la calorosa accoglienza che mi ha riservato e per le parole gentili che mi ha rivolto. Saluto i Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose, così come tutti voi, cari pellegrini di Lourdes, in special modo i malati. Siete venuti in grande numero a compiere questo pellegrinaggio giubilare con me e ad affidare le vostre famiglie, i vostri parenti ed amici, e tutte le vostre intenzioni a Nostra Signora. La mia riconoscenza va anche alle Autorità civili e militari, che hanno voluto essere presenti a questa Celebrazione eucaristica.



"Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce /cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, segno di riconciliazione e di pace. "Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!" diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna.

E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, "Venite, adoriamolo!". In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia.

E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati.

La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza.

La Chiesa ha ricevuto la missione di mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce.

Per accogliere nelle nostre vite questa Croce gloriosa, la celebrazione del Giubileo delle apparizioni di Nostra Signora di Lourdes ci fa entrare in un cammino di fede e di conversione. Oggi Maria viene incontro a noi per indicarci le vie d’un rinnovamento della vita delle nostre comunità e di ciascuno di noi. Accogliendo il Figlio suo, che Ella ci presenta, siamo immersi in una sorgente viva in cui la fede può ritrovare un vigore nuovo, in cui la Chiesa può fortificarsi per proclamare con sempre maggior audacia il mistero di Cristo. Gesù, nato da Maria, è Figlio di Dio, unico salvatore di tutti gli uomini, che vive ed agisce nella sua Chiesa e nel mondo. La Chiesa è inviata dappertutto nel mondo per proclamare quest’unico messaggio ed invitare gli uomini ad accoglierlo mediante un’autentica conversione del cuore. Questa missione, che è stata affidata da Gesù ai suoi discepoli, riceve qui, in occasione di questo Giubileo, un soffio nuovo. Che al seguito dei grandi evangelizzatori del vostro Paese, lo spirito missionario, che ha animato tanti uomini e donne di Francia nel corso dei secoli, sia ancora la vostra fierezza e il vostro impegno!

Seguendo il percorso giubilare sulle orme di Bernadette, l’essenziale del messaggio di Lourdes ci è ricordato. Bernadette è la maggiore di una famiglia molto povera, che non possiede né sapere né potere, è debole di salute. Maria la sceglie per trasmettere il suo messaggio di conversione, di preghiera e di penitenza, in piena sintonia con la parola di Gesù: "Hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Nel loro cammino spirituale i cristiani sono chiamati essi pure a far fruttificare la grazia del loro Battesimo, a nutrirsi di Eucaristia, ad attingere nella preghiera la forza per testimoniare ed essere solidali con tutti i loro fratelli in umanità (cfr Omaggio alla Vergine Maria, Piazza di Spagna, 8 dicembre 2007). E’ dunque una vera catechesi che ci è proposta sotto lo sguardo di Maria. Lasciamo che la Vergine istruisca pure noi e ci guidi sul cammino che conduce al Regno del Figlio suo!

Proseguendo nella sua catechesi la "bella Signora"rivela il suo nome a Bernadette: "Io sono l’Immacolata Concezione". Maria le rivela così la grazia straordinaria che ha ricevuto da Dio, quella di essere stata concepita senza peccato, perché "ha guardato l’umiltà della sua serva" (Lc 1,48). Maria è questa donna della nostra terra che s’è rimessa interamente a Dio e ha ricevuto da Lui il privilegio di dare la vita umana al suo eterno Figlio. "Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Essa è la bellezza trasfigurata, l’immagine dell’umanità nuova. Presentandosi così in una dipendenza totale da Dio, Maria esprime in realtà un atteggiamento di piena libertà, fondata sul pieno riconoscimento della sua vera dignità. Questo privilegio riguarda anche noi, perché ci svela la nostra dignità di uomini e di donne, segnati certo dal peccato, ma salvati nella speranza, una speranza che ci consente di affrontare la nostra vita quotidiana. E’ la strada che Maria apre anche all’uomo. Rimettersi completamente a Dio è trovare il cammino della libertà vera. Perché volgendosi a Dio, l’uomo diventa se stesso. Ritrova la sua vocazione originaria di persona creata a sua immagine e somiglianza.

Cari fratelli e sorelle, la vocazione primaria del santuario di Lourdes è di essere un luogo di incontro con Dio nella preghiera, e un luogo di servizio ai fratelli, soprattutto per l’accoglienza dei malati, dei poveri e di tutte le persone che soffrono. In questo luogo Maria viene a noi come la madre, sempre disponibile ai bisogni dei suoi figli. Attraverso la luce che emana dal suo volto, è la misericordia di Dio che traspare. Lasciamoci toccare dal suo sguardo: esso ci dice che siamo tutti amati da Dio, mai da Lui abbandonati! Maria viene a ricordarci che la preghiera, intensa e umile, confidente e perseverante, deve avere un posto centrale nella nostra vita cristiana. La preghiera è indispensabile per accogliere la forza di Cristo. "Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione" (Enc. Deus caritas est, n. 36). Lasciarsi assorbire dalle attività rischia di far perdere alla preghiera la sua specificità cristiana e la sua vera efficacia. La preghiera del Rosario, così cara a Bernadette e ai pellegrini di Lourdes, concentra in sé la profondità del messaggio evangelico. Ci introduce alla contemplazione del volto di Cristo. In questa preghiera degli umili noi possiamo attingere grazie abbondanti.

La presenza dei giovani a Lourdes è anche una realtà importante. Cari amici, qui presenti stamattina intorno alla Croce della Giornata Mondiale della Gioventù, quando Maria ricevette la visita dell’Angelo, era una giovane ragazza di Nazaret che conduceva la vita semplice e coraggiosa delle donne del suo villaggio. E se lo sguardo di Dio si posò in modo particolare su di lei, fidandosi di lei, Maria vuole dirvi ancora che nessuno di voi è indifferente per Dio. Egli posa il suo sguardo amoroso su ciascuno di voi e vi chiama ad una vita felice e piena di senso. Non lasciatevi scoraggiare davanti alle difficoltà! Maria fu turbata all’annuncio dell’angelo venuto a dirle che sarebbe diventata la Madre del Salvatore. Essa sentiva quanto era debole di fronte alla onnipotenza di Dio. Tuttavia disse "sì" senza esitare. Grazie al suo "sì" la salvezza è entrata nel mondo, cambiando così la storia dell’umanità. A vostra volta, cari giovani, non abbiate paura di dire "sì" alle chiamate del Signore, quando Egli vi invita a seguirlo. Rispondete generosamente al Signore! Egli solo può appagare le aspirazioni più profonde del vostro cuore. Siete in molti a venire a Lourdes per un servizio attento e generoso accanto ai malati o ad altri pellegrini, mettendovi così sulle orme di Cristo servo. Il servizio reso ai fratelli e alle sorelle apre il cuore e rende disponibili. Nel silenzio della preghiera, sia Maria la vostra confidente, lei che ha saputo parlare a Bernadette rispettandola e fidandosi di lei. Maria aiuti coloro che sono chiamati al matrimonio a scoprire la bellezza di un amore vero e profondo, vissuto come dono reciproco e fedele! A coloro tra voi che Egli chiama a seguirlo nella vocazione sacerdotale o religiosa, vorrei ridire tutta la felicità che vi è nel donare totalmente la propria vita a servizio di Dio e degli uomini. Siano le famiglie e le comunità cristiane luoghi nei quali possano nascere e maturare solide vocazioni a servizio della Chiesa e del mondo!

Il messaggio di Maria è un messaggio di speranza per tutti gli uomini e per tutte le donne del nostro tempo, di qualunque Paese siano. Amo invocare Maria come Stella della speranza (Enc. Spe salvi, n.50). Sulle strade delle nostre vite, così spesso buie, lei è una luce di speranza che ci rischiara e ci orienta nel nostro cammino. Mediante il suo "sì", mediante il dono generoso di se stessa, ha aperto a Dio le porte del nostro mondo e della nostra storia. E ci invita a vivere come lei in una speranza invincibile, rifiutando di ascoltare coloro che pretendono che noi siamo prigionieri del fato. Essa ci accompagna con la sua presenza materna in mezzo agli avvenimenti della vita delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Felici gli uomini e le donne che ripongono la loro fiducia in Colui che, nel momento di offrire la sua vita per la nostra salvezza, ci ha donato sua Madre perché fosse nostra Madre!

Cari fratelli e sorelle, in questa terra di Francia, la Madre del Signore è venerata in innumerevoli santuari, che manifestano così la fede trasmessa di generazione in generazione. Celebrata nella sua Assunzione, essa è la Patrona amata del vostro Paese. Sia sempre onorata con fervore in ciascuna della vostra famiglie, nelle vostre comunità religiose e nelle parrocchie! Vegli Maria su tutti gli abitanti del vostro bel Paese e sui pellegrini venuti numerosi da altri Paesi per celebrare questo Giubileo! Sia per tutti la Madre che circonda d’attenzione i suoi figli nelle gioie come nelle prove! Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, a sperare e ad amare con te. Indicaci la via verso il regno del tuo Figlio Gesù! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino! (cfr Enc. Spe salvi, n.50). Amen.

13/09/08

Benedetto XVI a Lourdes.


Il Papa tra poche ore arriva a Lourdes.

Che cos'e' Lourdes ?
Come è possibile spiegare questo fenomeno di Lourdes ? Chi almeno una volta è andato li' davanti a quella Grotta non ha potuto fare a meno di chiedersi:

come è possibile tutto questo ?

Come è possibile che le visioni di una contadina analfabeta che sapeva parlare solo il dialetto occitano abbia generato un culto come questo
?

Il Santuario di Lourdes è stato visitato finora da circa 700 milioni di persone.

Ma tutto questo - incredibile ! - è cominciato in una grotta, alla ricerca di legna secca.

Ancora una volta il Mistero ha scelto l'umiltà più periferica, più marginale, più "insignificante" per manifestarsi.

Li', in quella Grotta Maria sembra manifestarsi nuovamente come SECONDA OCCASIONE PER L'UMANITA'.

Lei, sembra far risuonare sulla nostra Terra Desolata (T.S.Eliot) un nuovo immenso grido di speranza.

"Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la Grazia" (Romani 5,20)

" Volete farmi il piacere di venire qui per quindici giorni ?" chiede la Signora alla ragazzina contadina, il 18 febbraio 1858, giorno della terza apparizione.

Bernadette va.

Risponde a quella semplice chiamata. Che è la stessa di Gesù: " Venite e Vedrete" (Giovanni 1,39).