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13/06/17

La Chiesa di Sant'Eustachio e il Patrizio Romano che diede il suo nome ad un intero rione di Roma.

La chiesa di Sant’Eustachio e il patrizio romano che diede il nome ad un intero rione.


L’ottavo rione di Roma, uno dei più piccoli e dei più centrali, porta il nome di Sant’Eustachio e sul suo stemma sono rappresentati (in oro su sfondo rosso) una testa di cervo e il busto di Gesù.

Una chiara allusione alla vicenda del santo, Eustachio, al quale è dedicata la Chiesa nella piazza omonima (frequentatissima dai romani anche per la presenza di due celebri caffè) e che ha finito per dare il nome all’intero quartiere. 

Lo stesso simbolo – la testa poderosa di un cervo, con il suo nobile palco di corna – si scorge proprio sulla sommità della chiesa di Sant'Eustachio. La cui vicenda non ha ispirato soltanto il genio di Athanasius Kircher, ma anche schiere di artisti. 


Raccogliendo più informazioni sulla vicenda di Eustachio (che fondamentalmente trova le sue fonti nel racconto di Iacopo da Varagine), si scopre che era un patrizio romano, di animo generoso, il suo nome era Placido. 

Nacque (a Roma ?) intorno all'anno 80. Sotto l'imperatore Traiano si distinse in battaglia in Asia Minore L'episodio della Visione avvenne durante una battuta di caccia nei boschi vicino a Tivoli, quando vide all'improvviso il magnifico cervo

Cercò di inseguirlo per catturalo, ma l'animale con agilità si arrampicò su di una ripida roccia e riapparve con una luminosissima croce fra le corna, e si udì una voce: "Perché mi perseguiti? Io sono Gesù,che tu senza conoscere, onori"

Davanti a questa immagine, il suo cavallo s'imbizzarrì e Placido fu rovesciato a terra (come San Paolo sulla via di Damasco) ma continuando ad ascoltare quella voce misteriosa. E allora pronunciò la sua fede: "Credo!". Sconvolto dalla apparizione, Placido tornò a casa dalla sua famiglia e raccontò l'episodio. Si convertì nelle mani del vescovo cristiano per farsi battezzare insieme ai suoi familiari, cambiando il suo nome di Eustachio, da eystachios e significa "che produce molte buone spighe". .

Eustachio fu perseguitato e perse tutti i suoi beni, fuggì in Egitto con la moglie Teopista (etimologia: fedele a Dio), ed i due figli Teopisto e Agapito (etimologia: diletto del Signore)

In Egitto gli furono rapiti la moglie ed i figli, che per anni Eustachio cercò invano nel deserto. 

Intanto, l'imperatore Traiano era impegnato a fronteggiare nuovamente i popoli dell'Asia minore che si ribellavano a Roma e pensò di rintracciarlo per dargli il comando delle milizie romane in quelle terre. Così fu, ed Eustachio vinse anche quest'altra dura impresa militare, entrando trionfante a Roma, dove ritrovò finalmente la sua famiglia.

Ma a causa delle accuse dirette ad Eustachio per la sua fede cristiana, l'imperatore Adriano, succeduto a Traiano, gli ordinò di onorare le divinità dei romani. Al suo netto rifiuto, (era l'anno 140) fu condannato, insieme alla moglie ed ai figli, a morire nell'arena tra i leoni, ma le fiere, racconta la leggenda, non li toccarono nemmeno. I romani allora li sottoposero ad una morte atroce: furono rinchiusi in un contenitore di bronzo (o rame) a forma di toro, sotto il quale fu dato fuoco per ben tre giorni. Il quarto giorno, davanti all'imperatore, i corpi dei martiri furono mostrati ai presenti, ed erano immobili, così come erano stati deposti, a significare la calma e la pazienza dei martiri cristiani, sorretti dalla forza della fede, anche nel momento del supplizio. 


Nell'anno 325, l'imperatore Costantino innalzò un oratorio sulla sua casa, proprio dove furono martirizzati e sepolti. Oggi, le loro spoglie sono conservate a Roma, sotto l'altare maggiore della Basilica di Sant'Eustachio in Campo Marzio eretta nello stesso luogo dell'oratorio, e sono custodite in un sarcofago di porfido. 

Nella chiesa gotica di Sant'Eustache a Parigi invece, sono conservate alcune importanti reliquie, oggetti ed indumenti appartenuti ai quattro santi martiri. 

Sant'Eustachio è uno dei quattordici santi ausiliatori, cioè coloro che vengono invocati in situazioni di grave necessità e durante le epidemie. Ecco perché a causa della peste, nel medioevo la devozione al santo si diffuse velocemente in tutta Europa. Abbiamo dunque il grano, il cervo(simbolo di purezza e carità), il deserto, la peste, il toro arroventato, la croce.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. Tratto da Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editore

08/11/16

Santa Maria Nova al Foro Romano (Santa Francesca Romana): uno scrigno pieno di tesori.




Per la sua posizione, la Basilica di Santa Maria Nova, detta anche di Santa Francesca Romana, è una delle più famose di Roma, incastonata com'è, in pieno Foro Romano, sulla Via Sacra, tra le rovine del tempio di Venere e Roma. 

Ha, come molte chiese di Roma, una storia nobile e antichissima, essendo stata eretta da Leone IV, nel IX secolo e terminata da Nicolò I con ulteriori abbellimenti dovuti ad Alessandro III nel 1161 (al quale si deve anche lo splendido campanile romanico, a fianco della Chiesa). 

Fu soltanto qualche secolo dopo, nel Seicento, sotto papa Paolo V, che assunse la denominazione popolare di Santa Francesca Romana, in onore della Santa canonizzata nel 1608 e sepolta sotto il presbiterio. Uno dei maggiori santi di Roma: Francesca Ponziani nata nel 1384 e morta il 9 marzo del 1440, religiosa e fondatrice della comunità delle Oblate di Tor de' Specchi.

La magnifica facciata in travertino romano, con la doppia scalinata, il portico a tre arcate, il frontone triangolare e le statue sulla sommità del timpano, si deve a Carlo Lombardi (1554-1620). 

La chiesa è ad una sola, maestosa navata. Ed è particolarmente suggestiva, perché quasi sempre in penombra. 

Anche in questa chiesa c'è la mano di Gianlorenzo Bernini: fu lui infatti a trasformare la confessione, lucente di marmi policromi appartenenti al primitivo edificio di Leone IV, nella tomba di Santa Francesca Romana.

La fronte dell'Arco era ricoperta anticamente da mosaici, di cui oggi sopravvive soltanto quello - stupendo - nel catino, raffigurante la Vergine con il bambino in trono.  

Nel tabernacolo dell'altare maggiore, l'antica immagine di Maria fu trasportata a Roma dalla Terra Santa nel secolo XI da Angelo Frangipane, della celebre famiglia che era proprietaria anche del vicino castello. 

La Chiesa è legata anche alla permanenza di Pietro apostolo a Roma: nella parete destra della crociera, infatti, protette da due inferriate, si conservano due pietre sulle quali, secondo la tradizione, s'inginocchiò San Pietro quando, nella località dove ora è la Chiesa, Simon Mago si levò in volo, episodio riferito negli Atti degli Apostoli (8,9-10)



In Santa Francesca Romana sono conservate anche le spoglie di un papa, Gregorio XI, il pontefice che riportò la sede papale a Roma dopo la pausa avignonese.  Il bassorilievo di Pier Paolo Olivieri (1551-1599) riproduce l'ingresso trionfale del Papa a Roma.

Molti quadri sono presenti nell'antica chiesa, fra questi la Madonna in trono e santi eseguita nel 1524 da Sinibaldo Ibi (1482- 1528), allievo del Perugino, unica opera dell'artista a Roma. 

A parte i suoi tesori, il privilegio forse più prezioso che la Chiesa offre è nella vista che si gode all'uscita della Chiesa, dal piano rialzato del portico di entrata, da cui si può ammirare lo spettacolo dei Fori, di cui il campanile di Santa Francesca è uno dei simboli più famosi.

Fabrizio Falconi - 2016 riproduzione riservata. 


12/10/16

L'Estasi di Santa Teresa nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, un capolavoro immortale.



Qualche giorno fa sono tornato a visitare la chiesa di Santa Maria della Vittoria in via XX settembre, una delle più magnifiche della capitale.  E sono rimasto come sempre colpito dal tipo di turismo di massa selvaggio che ormai si consuma a Roma, come in molte altre città. 

Uno stuolo di turisti - forse americani - tutti con cappellino da baseball e asta per lo smartphone, sono entrati in Chiesa, incuranti dei tesori che vi si conservano e sono andati diretti davanti all'Estasi di Santa Teresa (o Transverberazione di Santa Teresa d'Avila come sarebbe più giusto chiamarla) scolpita da Gian Lorenzo Bernini che evidentemente le loro guide ritengono uno dei must   da vedere in quelle che presumo visite-lampo nella capitale.  Così, giusto il tempo per uno scatto al gruppo scultoreo, in fila uno per uno,e poi tutti fuori dalla Chiesa, in pochi secondi. 

E' un peccato. Ma questo è lo stato dell'arte attualmente. E dispiace che si dedichino a quest'opera meravigliosa soltanto pochi secondi (spesso neanche osservati con il proprio occhio, ma solo con lo schermo di uno smartphone). 

La Transverberazione, nella Cappella Cornaro, è forse il più grande capolavoro del Bernini. 

I lavori gli furono affidati dal cardinale Federico Cornaro nel 1647 e nella realizzazione della intera cappella il Bernini si superò, colpito nell'orgoglio dalla tiepida accoglienza che il Cardinale aveva riservato ad altre sue opere. 

Bernini realizzò una specie di macchina teatrale, creando una nicchia nel transetto che, attraverso i vetri gialli utilizzati, fornisce un vero e proprio spot di luce (come si direbbe a teatro), diretto sul gruppo scultoreo, in linea con il dardo spiccato dall'angelo verso il cuore della Santa e con quelli di luce, in stucco che scendono dall'alto dorati. 

Il vero capolavoro però è la scultura del corpo della Santa, avvolto nelle vesti che sembrano agitate e sollevate da venti tempestosi. Il volto di Teresa è sconvolto dalla visione, gli occhi sono rivoltati verso l'alto, tutto il corpo è sconvolto da un sentimento quasi erotico di condivisione passionale, in perfetta ottemperanza di quanto la Santa scrisse nella sua autobiografia: 

Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura.  Vidi nella sua mano una  lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore tanto da penetrare dentro di me.  Il dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata.  (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)


Bernini, nel pieno della maturità, aveva allora quarant'anni e la sua fede si era rafforzata attraverso la pratica degli esercizi spirituali di Sant'Ignazio, eseguiti sotto la guida dei padri Gesuiti, che allora frequentava. 

Non sono mancate interpretazioni esoteriche, non nuove fra l'altro nell'arte del Bernini, che leggono questa opera come segno di iniziazione verso stati di coscienza superiori, con l'angelo spirito di luce che guida verso il contatto ultraterreno. 

La potenza di quest'opera è comunque intatta. Basta soltanto tornare a visitarla nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria, magari, se possibile, scansando le frotte dei distratti turisti. 


Fabrizio Falconi





05/10/16

La Chiesa di Santa Maria in Porticu a Piazza Campitelli e la "Croce di fuoco".



E' una meravigliosa Chiesa di Roma, forse un po' sottovalutata rispetto alle più blasonate

Santa Maria in Porticu, in Piazza Campitelli ha comunque una storia nobilissima:  al centro dell'Altare si venera infatti da tempo immemorabile una prodigiosa immagine della Vergine che ha una storia antichissima: la Madonna sarebbe infatti apparsa ad alcune giovani donne; Fabiola, Marcella, Lucina, Paola e Galla, quest'ultima figlia di Simmaco, che in questo luogo allestivano ogni giorno una mensa per i poveri. 

Avvertito del miracolo, il pontefice di allora, Giovanni I (523 -526 d.C.) si recò sul luogo, e poiché in quell'epoca infieriva una terribile pestilenza, benedì Roma con il prezioso quadretto (grande soltanto cm.20x 25 cm.) e la peste cessò. Era il 17 luglio del 524. 



Nei secoli seguenti la Chiesa fu detta anche Romanae portus securitatis per i numerosi miracoli operati durante le varie calamità.

L'interno della Chiesa è maestoso, l'impianto architettonico incredibilmente elaborato, trionfo di linee barocche, capolavoro di C. Rainaldi (1662-1667).


Tra le molte opere d'arte e curiosità la Chiesa riserva una sorpresa : sulla sommità della tribuna, di sopra al cornicione in un ovale, è possibile notare un pezzo di colonna molto molto raro, di alabastro cotognino, che tagliata in mezzo, forma una croce ed è talmente trasparente che, ingannando la vista di chi entra in chiesa "sembra sianvi dentro de lumi", come scrisse il Nibby, o come dice il popolo, sembra di fuoco.  E davvero, vista nella penombra, appare come illuminata da lampade invisibili. 

Sembra che questo frammento di colonna sia stato ritrovato fra le rovine del vicino Portico d'Ottavia. Nella foto qui sotto si vede la Croce di fuoco, subito al di sopra della tribuna, nella cornice ovale. Ma per apprezzarla meglio bisogna andare di persona. 



Fabrizio Falconi

15/07/14

La "donna scaltra" e l'origine della leggenda della Bocca della Verità.


Santa Maria in Cosmedin

La Bocca della Verità e la mirabile leggenda della scaltra donna.

Fa certamente impressione vedere in qualsiasi stagione, con qualsiasi tipo di condizione meteorologica,  l’incredibile fila di turisti che ogni giorno si dispongono in ordinata fila fuori dalla chiesa di Santa Maria in Cosmedin, in quello che una volta si chiamava Foro Boario, sin dalle prime luci del mattino, per sottoporsi al rito della Bocca della Verità,  l’antica usanza di fotografarsi mentre si infila la mano nella bocca del grande medaglione di marmo pavonazzetto che da tempo immemore si trova in questo luogo.  E certamente stride il contrasto tra l’entusiasmo esagerato per ammirare quella che è in fondo solo un’antica pietra e l’indifferenza di queste schiere di turisti (che compiuto il rito, se ne vanno via frettolosi) per la chiesa che la ospita, un vero gioiello dell’architettura medievale italiana. 

Ma tant’è: la fama della Bocca della Verità è aumentata con il tempo, sempre di più, in particolare dopo che anche Hollywood ha pensato bene di celebrarne il mito in quel famoso film che William Wyler diresse nel 1953, Vacanze Romane, nella scena con Gregory Peck e Audrey Hepburn entrata nella storia del cinema.
Il bello è però che a cospetto di tanta fama, il mistero intorno alla celebre pietra, non è ancora dissolto. Creduto per molto tempo di epoca etrusca, il grande tondo (5,80 metri di circonferenza per 1,75 metri di diametro) raffigurante la testa di fauno è stato invece, secondo nuovi studi, ritenuto più recente, sicuramente originale, ma di epoca romana imperiale e riconosciuto come uno dei tombini o chiusini di cloaca che adornavano la città di Roma nel suo massimo splendore, a complemento di una rete idraulica e fognaria unica al mondo.


Le fattezze del fauno erano sicuramente ispirate dunque ad una divinità fluviale, forse allo stesso Portuno, dio dei porti e del fiume, al quale peraltro i romani avevano edificato un grande tempio proprio lì nel Foro Boario, a pochi metri di distanza dalla chiesa di Santa Maria in Cosmedin.
Non si sa come e quando prese piede la leggenda di attribuire alla pietra un potere di stabilire la verità. Quel che è certo è che l’oggetto viene già ricordato nei Mirabilia Urbis Romae la guida per i pellegrini che visitavano Roma nell’anno Mille.  Fu in epoca medievale che la leggenda cominciò a svilupparsi, con la proprietà riconosciuta a questa pietra di scoprire – richiudendo le sue fauci intorno alla mano della colpevole – quando una donna avessi fatto fallo a suo marito.

A questo proposito cominciarono a circolare numerosi aneddoti riguardanti la pietra, che si diffusero – attraverso i pellegrini una volta che tornavano nei loro paesi – in tutta Europa.  Il più arguto dei quali arrivava a spiegare anche il motivo per cui, da un certo punto in poi, la Bocca della Verità avesse deciso di smettere il suo lavoro, di segnalare cioè le infedeltà che gli veniva chiesto di esaminare.  


Secondo questo racconto popolare, che fiorì a Roma probabilmente nel Settecento, la giovane moglie di un patrizio romano era stata sorpresa dai vicini di casa a ricevere assidue visite da un amante mentre il marito, molto indaffarato per ambasciate fuori città, si assentava.  Senza lasciarsi commuovere dalle lacrime, il marito tradito decise di richiedere la prova della Bocca della Verità in pubblico.

E nell’ora convenuta, una gran folla si radunò davanti alla chiesa di Santa Maria in Cosmedin (anticamente la pietra non si trovava nell’atrio come ora, ma appoggiata sulla parete esterna dell’edificio).  Accadde però che prima della prova, un giovane si fece largo tra la folla e tra lo sconcerto generale si avvicinò alla donna ritenuta colpevole e cominciò a stringerla e a baciarla sulla bocca davanti a tutti.  Immediatamente lo sconsiderato fu portato via a forza di braccia dalla folla.

Tornata la calma, la supposta adultera si avvicinò fieramente alla pietra e infilando la sua mano nel grande foro della bocca pronunciò questa frase: “Giuro che nessun uomo mi ha mai abbracciato e baciato, all’infuori di mio marito e di quel giovane demente!”  

La mano rimase intatta, la bocca non si chiuse, il marito perdonò e la folla esplose nel giubilo.

Ma.. la donna era – come è fin troppo facile arguire – molto scaltra e aveva semplicemente trovato, insieme al suo amante, un espediente infallibile per trarre in inganno tutti, compresa la stessa Bocca.  La quale, dice la leggenda, offesa da tanto ardire, e consapevole di essere stata raggirata, decise da quel momento di non esercitare più il suo ruolo e di non chiudere mai più .. la bocca.