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03/04/19

L'incredibile storia di Luigi e Mokryna.

Passeggiando tra i più bei parchi di Kyiv, capitale dell’Ucraina, si possono ammirare numerosi monumenti, tra questi una statua in particolare di due anziani che si abbracciano attira l’attenzione dei passanti. La scultura commemora la commovente storia di Luigi Pedutto e Mokryna Yurzuk e celebra una incredibile storia d'amore durata oltre settant’anni che ha affrontato una guerra, ha valicato i confini e ha superato le barriere linguistiche.
Chi sono questi due innamorati e perché la loro storia d’amore è così importante? Tutto ebbe inizio nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando il cavaliere maresciallo Luigi Pedutto della Guardia di Finanza, originario di Castel San Lorenzo in provincia di Salerno, poco più che ventenne, viene deportato dai tedeschi nel campo di concentramento di Krems, nei pressi della città di Sankt Polten, in Austria. Fu lì che Luigi incontrò l’ucraina Mokryna Yurz, o meglio Maria come la chiamava lui, anche lei giovane ventenne deportata e condannata ai lavori forzati. Mokryna non parlava l’italiano e Luigi conosceva solo alcune frasi in ucraino ma nonostante ciò i due si innamorano perdutamente. In un luogo di tanto dolore e crudeltà la coppia riuscì a sopravvivere, grazie anche alla forza dell’amore, sostenendosi a vicenda: lui le portava da mangiare, lei in cambio gli cuciva gli abiti e insieme sognavano la libertà.
Quando il campo fu liberato nel 1945, la ragazza fu rimandata in Ucraina e a Luigi fu impedito dalle autorità sovietiche di unirsi alla sua innamorata. 

Tornati nel proprio paese d’origine, entrambi si sono sposati e hanno avuto figli ma non hanno mai dimenticato il loro vero e unico amore

Luigi non ha mai smesso di cercare la sua Maria e l’ha ritrovata solamente dopo sessant’anni grazie a un programma televisivo, nel 2004. In quel momento Luigi, il più emotivo dei due, ha potuto finalmente riabbracciare Mokryna, e da allora i due innamorati non si sono più separati.
Questa commovente riunione è stata immortalata e fusa in bronzo nel 2013, a oltre sessant’anni dal loro primo incontro, in un parco a Kyiv vicino al Ponte degli Innamorati, una destinazione popolare tra le giovani coppie che si promettono eterno amore

La scultura rappresenta l’amore tra Luigi e Mokryna, ormai anziani, stretti in un immortale abbraccio. 

Una copia esatta della scultura è stata inaugurata nella città natale di Pedutto, a Castel San Lorenzo, il 30 aprile 2017. L’opera è diventata simbolo di amore eterno tra due innamorati che la guerra ha riunito e poi separato. 

La versione italiana, chiamata la Fratellanza Universale, rappresenta metaforicamente un abbraccio tra due popoli, l’Italia e l’Ucraina, che hanno entrambi sofferto per i tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale.
Luigi Pedutto è morto nel 2013 all’età di 91 anni e pochi anni dopo lo ha raggiunto Mokryna, ma il loro amore resterà scolpito in eterno.

16/03/19

E' amore questo ? - Krishnamurti.



E' amore quando siamo di fronte alla completa identificazione con l'altro? E l'identificazione non è forse un modo indiretto per dare importanza a se stessi? E' amore quando c'è il dolore della solitudine, la sofferenza di venir privati delle cose che ci sembrano dare significato alla nostra vita? Essere privati della possibilità di intraprendere le strade della realizzazione di sé; dover rinunciare alle cose per cui il nostro io ha vissuto; tutto questo significa la negazione del nostro valore in quanto individui, e porta solo al disincanto, all'amarezza, al dolore dell'isolamento. E questa miseria è l'amore?

26/02/19

Trovo estasi nell'atto di vivere. Tra Emily Dickinson e Wim Wenders.



L’anima è un luogo così nuovo che la notte di ieri sembra già antiquata.
Così scriveva Emily Dickinson.  Il passare del tempo è qualcosa di incomprensibile per noi umani, nonostante Κρόνος scandisca e sia teatro di tutta la nostra esistenza su questa terra al punto tale che la nostra apprensione di misurare il tempo è divenuta panacea o illusione di poterne controllare il decorso.
Ma se il passare del tempo è inestricabilmente legato alla nostra carne, il tempo dell’anima, quello che percepiamo come tempo dell’anima, segue coordinate del tutto diverse.
Trovo estasi nell’atto di vivere, scrive ancora la Dickinson, il semplice senso di vivere è gioia sufficiente.
Se percepiamo questo, siamo sicuri di possedere una natura non solo corporea, la quale si muove secondo altri ordini che non sono quelli semplicemente spazio-temporali.
Il povero Travis – nella storia immaginata da Sam Shepard e realizzata in film da Wim Wenders in Paris,Texas – ha perso tutto e ha perso il tempo.
Lo vediamo vagare nel deserto all’inizio del film. E’ un navigatore solitario, sperso: il tempo e il luogo non esistono. E’ come una navicella alla deriva nello spazio. Un trauma, quello della perdita della persona amata, l’ha messo in orbita, l’ha sospinto lontano.

Quando gli amici Walt e Anne gli mostrano il vecchio super8 – di quella giornata apparentemente banale, al mare d’inverno, trascorsa insieme – Travis è come se tornasse a casa.
Trova il proprio centro, ri-scopre se stesso attraverso la consapevolezza definitiva della perdita subita.
La disperazione è totale, ma il lutto è finalmente elaborato.  E’ da qui che si riparte.
In fondo è come quel che accade a noi, alla fine e all’inizio di ogni ciclo di vita.
Abbiamo perso il tempo. Ricordando lo ri-troviamo. Lo ri-viviamo. Ed è attraverso questa dolorosa consapevolezza –  “la notte di ieri sembra già antiquata” – che la nostra anima, luogo sempre nuovo, disincarnandosi dal passato che vuole costringere a radicarsi, a mettere radici, torna eterna in ogni “atto di vivere”.

21/02/19

Massimo Gramellini: "Eros visita l'amante, non l'amato."




Vorrei farmi largo fra la rabbia e lo sgomento dei nostri giorni per concentrarmi su qualcosa di serio e di bello, ma anche di terribile e impronunciabile, tale è la sua forza misteriosa. Per alcuni studiosi l’amore deriverebbe dal sanscrito mar, morte, di cui rappresenta l’esatto contrario: Amar, non-morte, ovvero immortale.
Come chiunque abbia subito un torto precoce, sono cresciuto con la pretesa di essere in credito con Amar. 

Una sensazione che ho ritrovato nel corso della vita in tutte le persone che avevano perduto ingiustamente un affetto, un sogno, un lavoro. 

Nella loro sofferenza, o insofferenza, ho visto rispecchiarsi la mia.
Quel desiderio inestinguibile di essere risarciti, ricompensati. 

Una molla forsennata, ma alla lunga frustrante: chi pensa che la felicità consista nell’essere amati cerca negli altri qualcosa che, una volta trovato, lo rende stranamente infelice

Finché l’altalena della vita gli dischiuderà le porte di una scoperta, che come tante altre stava già scritta in un libro. Il «Simposio» di Platone. Tutti i personaggi concordano su un punto: Eros, il demone dell’amore, coincide con la persona amata. 

Tutti tranne Socrate, che nelle ultime pagine ribalta la prospettiva: Eros non visita l’amato, ma l’amante. 

E’ l’amante a essere posseduto dall’energia che trasforma le larve in uomini e gli uomini in dei. 

E’ l’amante che desidera, soffre, sublima. In una parola: ama. 

Ah, se avessi letto il Simposio con più attenzione al ginnasio. Ma forse non lo avrei capito. Ora invece so. So che la felicità non consiste nell’essere amati. Consiste nell’amare. Senza condizioni, nemmeno quella di essere ricambiati. 


Massimo Gramellini
L’amante immortale
BUONGIORNO
14/02/2013

12/02/19

Chi è Amore secondo Platone.




Chi è Amore ?  Quel demone o angelo che viene a visitarci quando non lo vogliamo o non lo pensiamo e ci impone le sue regole ? Questa è la definizione che ne ha dato Platone 2.500 anni fa, ancora così efficace (e insuperabile): 

Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre ed è tutt'uno con la miseria. Per parte del padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista. Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù della natura paterna; sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e ignoranza. 


PLATONE, IL SIMPOSIO. XXIII

08/01/19

Cos'è l'amore?





L'amore non è una gara, non è una competizione a chi sa ferirsi di più e meglio; l'amore non è una nevrosi; l'amore non è credersi innamorati perché ci si specchia nell'amore che l'altro ti dà continuando ad amare solo se stessi; l'amore non è una dipendenza; l'amore è offrire se stessi all'altro, volere il suo bene, la sua felicità; l'amore è non soffrire e non far soffrire. Il fondamento dell'amore come sofferenza è la più grande truffa del fallimento umano.


(Fabrizio Falconi)

16/11/18

Il Caso in Amore e Milan Kundera.






Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l'amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come uccelli sulle spalle di Francesco d'Assisi.


06/11/18

L'amore si costruisce ?





L'amore si costruisce ?  

Ricordo una bella canzone di qualche anno fa di Ivano Fossati, che si intitolava proprio: La costruzione di un amore. La costruzione del mio amore/ Mi piace guardarla salire/ Come un grattacielo di cento piani/ O come un girasole diceva quel testo. 

Eppure si fatica sempre a immaginare l'amore come una costruzione.  Perché siamo dominati dall'idea che l'amore è il meno razionale dei sentimenti e il meno suscettibile di ordine esteriore. Proprio a causa del fatto che l'amore risponde soltanto al suo ordine interiore. 

Non è però in contrasto con questo, affermare che anche l'amore ha bisogno di cura. Tutti nella vita sperimentano che - come una pianta formata dall'essenza delle due anime che si amano - nessun amore resiste se non vi è una cura continua, assidua, dativa. 

L'amore vive cioè di una sua vita propria - nasce spontaneamente e molto spesso neanche da un perché: nasce da un riconoscimento reciproco e nasce come dono molto raro - ma nello stesso tempo ha bisogno di nutrirsi. Ha bisogno di nutrirsi soprattutto quel complesso di cose che sostengono l'amore: la stima, la coerenza, la fiducia, la presenza, il rispetto, la considerazione, la felicità, la festa, la gioia, la sincronia dei gesti, dei pensieri, l'ascolto. 

Questo, potrebbe definirsi più generalmente è il volersi bene. Che è la cura dell'amore, ciò che sostiene l'amore. 

Lo ha espresso bene uno scrittore molto (troppo?) prolifico come Erri De Luca con queste parole: Il volersi bene si costruisce. L'amore lo senti immediato, non ha tempo. E' dire "ti sento" , un contatto di pelle, un abbraccio, un bacio. Mantenersi, il mio verbo preferito, tenersi per mano. Ti può bastare per una vita intera, un attimo, un incontro. Rinunciarvi è folle sempre e comunque. 


Fabrizio Falconi 





10/10/18

L'amore calpestato.





Lo invochiamo sempre, ma quando l'amore arriva, non si è quasi mai all'altezza. 

Regna nell'animo umano una spinta cieca, distruttrice, che quasi mai riesce a resistere alla tentazione di arginare, profanare, umiliare, dissipare quel che è puro e che non si sa gestire, vivere naturalmente, felicemente. 

Si allontana da sé l'amore, come fosse un reietto, e ci si dilegua in mare aperto come un naufrago, sentendosi inutili protagonisti. 

Lo si allontana in spregio a quanto dice Pound: "Quel che ami veramente, rimane" e a quanto aggiunge Simone Weil: "I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi come dono".

L'uomo è fondamentalmente stupido.

Preferisce comunque, con ebbrezza, la rovina di una cosa, alla cosa.

Dimenticando la lezione della vita breve, della vita che è importante. Perdiamo l'amore di chi ci ama, perdiamo le cose che non sappiamo coltivare e non sappiamo nemmeno apprezzare, come dono immeritato.




08/10/18

Quanto amore c'è in una passione ? Umberto Galimberti.




Il matrimonio è l'impresa più difficile che si possa intraprendere, perché in ciascuno di noi c'è un conflitto tra il nostro bisognodi "individuazione" e il nostro bisogno di "coesione", che sono tra loro in un rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. 

Se il bisogno di individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico con l'altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e una sua lunga durata, garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell'altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità. 

Tutti capiscono che una condizione del genere è un'opera d'arte.

E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura è il suo bisogno di individuazione e il suo bisogno di coesione. 

A differenza che in passato quando la famiglia, le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi dello Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una notevole influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto individuale, come se l'amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra autorità che non sia la propria decisione soggettiva. 

Ma se le cose stanno così, allora quell'esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con un'altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all'essere padroni assoluti della propria felicità. 

In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente sull'intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile, diventa come scriveva Tolstoj "un inferno". 

Ma la passione è l'unico modo in cui si può declinare l'amore?

La passione come diceva Stendhal "non è cieca, è visionaria". E di visione in visione si può arrivare anche all'allucinazione. E' vero che senza idealizzazione non nasce nessun amore, ma non dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci in quella condizione caratterizzata dal "patire l'altro", mentre l'amore non si accontenta di "patire" perché vuole agire, e perciò col tempo rifiuta di declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità delle sue oscillazioni. 

E rifiutandosi di subire, l'amore crea, come un artista, la sua opera d'arte. 

Se poi l'opera d'arte non riesce e la relazione si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita ad evitare la vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere nel cinismo che nega il valore dell'altro che un tempo avevamo sopravvalutato, e ci induce a concludere che i grandi amori sono per gli ingenui.  Non ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli un giorno provati.  Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. 

La fedeltà in sé non è un valore.

Un valore è l'amore, perché quando si è innamorati non c'è bisogno di imporsi alcuna forma di fedeltà.

Umberto Galimberti, da Lettere a Galimberti, D di La Repubblica 29 settembre 2018, p. 126

03/10/18

L'uomo e la donna in amore - Maupassant.



Qualunque sia l'amore che li unisce, per quel che concerne l'animo e l'intelligenza, l'uomo e la donna restano sempre estranei uno all'altra, due belligeranti, di razza diversa; deve sempre esserci chi domina e chi è dominato, un padrone e uno schiavo; una volta l'uno, una volta l'altro; non sono mai, comunque, sullo stesso livello. 


 Maupassant , La Buche.

27/09/18

Basta con le sciocchezze. Nutriamo la vita interiore !



Quanto tempo disperdiamo in inutili sciocchezze. Quanto scialo nelle nostre vite. Di quanta stupidità ricopriamo le nostre giornate, le nostre frequentazioni, il nostro tempo. Siamo una razza accecata, scrive Carl Gustav Jung nel Libro Rosso, viviamo solo in superficie, solo nell'oggi e pensiamo solo al domani. Trattiamo brutalmente il passato, perché non ci prendiamo cura dei morti. Vogliamo fare soltanto lavori che assicurino un successo visibile. Soprattutto vogliamo essere pagati. Non v'è dubbio che le necessità della vita ci hanno costretto a preferire frutti tangibili. Ma chi soffre di più di coloro che si sono smarriti alla superficie del mondo ?

Jung non intende solo pagati nel senso di uno stipendio, ovviamente.  Non sta parlando di monete. Sta parlando di frutti tangibili. Siamo diventati tutti così materialisti - vogliamo solo "frutti tangibili" - così aridi anche nei rapporti, nelle relazioni, nel tempo che passiamo durante la giornata, perfino nelle nostre solitudini. 

Cerchiamo di stordirci, di esercitare il nostro spasmodico bisogno di sedurre, cerchiamo l'ora libera, l'ora d'aria, riempiamo la nostra vita di intervalli inutili, che non riempiono niente. 

Ci perdiamo dietro relazioni narcisistiche, dove si spera di colmare il proprio vuoto con l'amore che l'altro ha o sembra avere per noi, senza accorgerci che anche lì c'è solo vuoto. Perché tutti sono interessati solo a prendere, non a dare.  E purtroppo, o per fortuna, è solo dando, offrendo che si riempie veramente la nostra vita interiore. 

Offrendo attenzione, disponibilità, curiosità, generosità, attenzione, attenzione. 

Cose che costano fatica.

Per questo preferiamo vivere vite stupide, fatte di niente, fatte di ore passate sulla superficie del mondo. 

Solo la vita interiore offre una buona causa per vivere. 

Essa ci chiede continuamente nutrimento, che noi ignoriamo. Per questo soffriamo, per questo ci ammaliamo, per questo ci innamoriamo delle persone sbagliate, per questo continuiamo a perdere tempo sulla superficie del mondo.

E' solo ascoltando se stessi veramente, è solo nutrendo costantemente quell'essere interiore che ci abita e che vuole soltanto crescere, vivere, prosperare per renderci pienamente felici, che possiamo trovare le forze che vogliamo, i desideri che vogliamo, la felicità vera che inseguiamo. 

La vita interiore è silenzio, è sincerità, è generosità, è passione, è curiosità, è attenzione. 

Attenzione vera che è cura costante. Cura di ogni lacrima, cura di ogni gioia. 


Fabrizio Falconi 

11/07/18

"L'amore mancato" di Heidegger e Hannah Arendt. Riprendono le pubblicazioni dei Quaderni Neri di Heidegger. Un articolo di Donatella di Cesare.




Dopo una pausa durata più di tre anni, riconducibile al clamore suscitato in tutto il mondo dai primi volumi, riprende la pubblicazione dei Quaderni neri di Martin Heidegger. 

È appena uscito dall’editore Klostermann il volume 98 delle opere complete, curato da Peter Trawny, che contiene le Annotazioni VI-IX e un inserto intitolato Der Feldweg («Il sentiero interrotto»)

... 

Nelle Annotazioni VIII si trova invece la testimonianza velata del primo incontro, nel dopoguerra, con Hannah Arendt, avvenuto a Friburgo, nel febbraio del 1950. L’incipit è una citazione di Agostino: «Nessun invito ad amare è maggiore di questo: prevenire amando». E poi ancora un’altra citazione, questa volta di Meister Eckhart: il «fuoco dell’amore» alimenta il pensiero. 

L’amore è il motivo di fondo. Heidegger si schermisce non senza imbarazzo: «Si dice che nel mio pensiero l’amore non sia pensato. Lo si può forse pensare?» (p. 233). E ancora: «Amare vuol dire privarsi nell’evento; sostenere l’espropriazione» (p. 235)

Nessun possesso dell’altro, dunque. L’amore irrompe inatteso. 

Nella lontana primavera del 1925 Arendt aveva spezzato l’ordo amoris di Heidegger che da quella passione era fuggito, incapace di far fronte alla presenza di lei nella sua vita

Contrario all’«amore borghese», quello dei «viaggi insieme», aveva mancato la chance che si sarebbe rivelata l’unica autentica. 

Senza Hannah era rimasto spaesato, tra la provincia asfittica e l’erranza spensierata. 

L’aveva abbandonata con un augurio apparentemente rispettoso: «amore è la volontà che l’amata sia (…); non desidera, né pretende nulla». 

Ma che amore è quello che non pretende nulla? Dietro quell’augurio si celava a stento la sua fuga. Il sé lasciava andare l’altro, per non esserne a sua volta toccato. Heidegger era tornato alla filosofia.

Dopo quei cinque lustri, il tempo che «ti ha ingiunto di andar via, che mi ha lasciato errare» (così le aveva scritto in una lettera, subito dopo l’incontro del 1950), emergono le inibizioni, gli impedimenti che lo avevano reso prigioniero nel regno della possibilità. 

L’evento, nella sua vita, non aveva saputo accoglierlo. 

Durante il dopoguerra Heidegger teorizza il «passo indietro» («La somma del mio pensiero», p. 57). Nel caleidoscopio dell’amore viene alla luce quell’abbandono che verrà elevato a categoria filosofica, ma anche una rassegnazione amara che lo accompagnerà sino alla fine.

25/06/18

L'Età del Dubbio - 5 Antidoti alla nostra vita divorata dal dubbio. Michael Cunningham.



questa che riporto è una anticipazione del testo che sarà letto da Michael Cunningham alla Milanesiana, festival ideato e diretto da Elisabetta Sgarbi il 28 giugno alle 21 al Piccolo Teatro Grassi di Milano.


L’età del dubbio

Ho dei dubbi. Chi è che non li ha? Se il diciottesimo secolo è stato l’Età della Ragione, sembra assolutamente possibile che il nostro periodo, quello in cui stiamo vivendo oggi, verrà ricordato come l’Età del Dubbio. 

Persone terribili hanno un potere enorme su di noi. Com’è successo? I nostri telefoni ci stanno ascoltando, proprio mentre noi li ascoltiamo? Ci sarà un futuro? Quando dico che la nostra epoca verrà ricordata come l’Età del Dubbio, lo dico presupponendo che ci sarà un futuro. Pare che tutto quello che sappiamo con certezza è che abbiamo ragione di dubitare di quasi ogni cosa. 

E allora, non dovremmo pensare a qualunque antidoto contro il dubbio che riusciamo a escogitare? 

Perché, in fondo, dobbiamo pur vivere le nostre vite, persino in un’epoca in cui sembra fin troppo ragionevole rimanere dentro casa, con le persiane abbassate. 

Ho un mio, personale elenco di antidoti contro il dubbio. Spero che anche voi ne abbiate qualcuno. 

Uno. Ogni giorno mi concentro su qualunque cosa su cui non nutro alcun dubbio. La bellezza e la vitalità di mio figlio, di ventun anni. La luna quasi piena in una notte d’estate, mentre mi siedo su un tetto di New York City in compagnia di alcuni amici e di una bottiglia di vino. Il pino giapponese di cui mi sto prendendo cura nel balcone del mio appartamento. Le pere che stanno diventando mature sul davanzale della finestra. Ho paura per il futuro di mio figlio, il futuro dei miei amici e del pino. Ma non dubito della loro bellezza e del loro valore, nel presente

Due. Ho fiducia nel fatto che una specie in grado di realizzare Il Gattopardo, la Venere di Urbino e La Traviata – per non parlare del romanzo di George Saunders Lincoln nel Bardo, e l’arte di Mimmo Paladino – non permetterà che il mondo finisca prematuramente, per quanto alcune persone possano adoperarsi per fare esattamente questo. L’arte serve a darci fede, e più fede equivale a meno dubbio. 

Tre. Ogni giorno cerco di aiutare qualcuno, che sia uno sconosciuto bisognoso di soldi o un turista che ha l’aria di essersi perso. Si tratta di semplici azioni, di cui non ho alcun dubbio. Se le persone hanno bisogno di soldi e voi ne avete di più del necessario, gliene potete dare un po’. Non dovete domandarvi per cosa li spenderanno. Se chiedono dei soldi, allora ne hanno bisogno. Se alcune persone si sono perse, potete aiutarle a ritrovare la loro strada. Sebbene probabilmente riuscirebbero cavarsela anche da sole, è sempre possibile che si possano perdere al punto di vagare per il mondo, cacciati di casa, cercando continuamente di raggiungere le loro destinazioni proprio mentre si allontanano sempre di più da esse. Non dovete dubitare dell’onestà del vostro gesto di averle mandate nella direzione in cui dovevano andare

Quattro. Ogni giorno leggo un blog o guardo un notiziario in televisione, con le cui politiche sono fortemente in disaccordo. Credo di sentirmi meglio – o in ogni caso meno nervoso – se vedo il mostro rintanato sotto il letto, invece di sapere solamente che c’è qualcosa sotto il letto. Se si vede il mostro, si ha una consapevolezza maggiore di come combatterlo. È a questo punto che le cose si complicano. Nel guardare il mostro, è possibile che cominciamo a comprendere il suo dolore, la sua paura, i suoi bisogni. Ma in verità è meglio ignorare quell’impulso empatico, almeno finché il mondo non sarà tornato in sé e avrà smesso di cercare così assiduamente di distruggere se stesso.

Cinque. Amore. Ho tenuto l’antidoto migliore per ultimo. Amare gli altri, anche se amiamo una o due persone (benché mi auguri che tutti noi ne amiamo un po’ di più) è più efficace nello scacciare i dubbi di qualsiasi altra misura che conosca. C’è qualcuno nella stanza accanto, c’è qualcuno al telefono, c’è qualcuno che non solo ti conosce, ma sa dove sei e come stai, proprio come tu sai dov’è e come sta l’altra persona. Quando amiamo, quando diamo e riceviamo amore, non possiamo veramente farci del male, non possiamo venire colpiti al cuore, qualunque cosa possa succedere ai nostri corpi, alle nostre città. Alla nostra terra. 

Detto questo… Non possiamo abbandonare i nostri dubbi. Il mondo in pericolo ha bisogno di persone che dubitano. In fondo, ci sono poche persone più pericolose di quelle che non dubitano; che credono incontestabilmente in un sistema politico, in un’ideologia, una fede. E, allo stesso, tempo, dobbiamo vivere e, come specie, non riusciamo a crescere e a progredire veramente con una dieta a base di paura e incertezza. Brindiamo alle nostre vite, allora. Ai dubbi che animano il nostro mondo e a qualunque certezza che ci aiuta a vivere in esso. Brindiamo alla forza che tutti noi possediamo, alla forza che nasce dalla nostra umanità condivisa, alla nostra pura e semplice volontà di continuare a vivere, e affinché i nostri figli continuino a vivere, che per secoli è stata la nostra arma migliore. 

L’ultima cosa che so con assoluta certezza… eccoci qui. 

Sono abbastanza sicuro delle nostre vite per scrivere questo, e voi siete abbastanza sicuri delle nostre vite per ascoltarlo. Eccoci qui, allora. Tutti noi. Eccoci qui, vivi, adesso. Non abbiamo nessuna ragione per dubitarne. Abbiamo tutte le ragioni per esserne lieti. 

Traduzione di Licia Vighi 

MICHAEL CUNNINGHAM

Fonte: Cinquantamila.it

20/10/17

Il Libro del Giorno: Roland Barthes: "Non si riesce mai a parlare di ciò che si ama."



Anche in un testo di poche pagine, Roland Barthes riesce a sorprenderci, ad andare così a fondo con la sua capacità di rivelare o svelare ciò che tutti i giorni è sotto i nostri occhi, ma si nasconde dietro mille simulazioni, abitudini, fisime e cecità personali. 

Questo testo, presentato da Mimesis, ha un valore anche documentale assai rilevante:  si tratta infatti dell'ultimo scritto in assoluto di Barthes, che lo stava preparando per un convegno - "Stendhal a Milano" - che si sarebbe tenuto nel capoluogo lombardo dal 19 al 23 marzo del 1980.  

Un mese prima di quell'appuntamento, però, il 25 febbraio, Barthes viene investito in strada da un furgoncino.  Dopo una lunga agonia morirà in ospedale il 26 marzo

La prima pagina di questo testo dunque era stata dattiloscritta. La seconda fu ritrovata ancora inserita nella macchina per scrivere in quel giorno fatidico - 25 febbraio - il resto è stato ricostruito dagli appunti. 

E già a partire dal titolo originale francese, questo testo esprime la sua genialità: il titolo infatti recita: "On échoue toujours à parler de ce qu'on aime", che ha un doppio possibile significato, dovuto al termine échoue che vuol dire letteralmente "arenarsi", "incagliarsi". Per questo la frase può significare sia "Non si riesce mai a parlare di ciò che si ama", sia "Si finisce sempre con il parlare di ciò che si ama", ma inteso nel senso di "arenarsi", "incagliarsi." 

Al tema dell'amore, del parlare d'amore è dedicato dunque questo breve scritto in cui Barthes prende come spunto Stendhal e il suo viaggio in Italia, in particolare il soggiorno milanese, durante il quale lo scrittore francese rimase folgorato dalla bellezza della città italiana, già prospettando quello che poi avrebbe trovato nelle altre città della penisola. 

Barthes analizza l'impossibilità di raccontare l'amore - e quindi anche l'impossibilità di Stendhal di raccontare l'amore per Milano, per la bellezza che vi vede - se non attraverso un "rimaneggiamento", "a cose fatte", attraverso un aprés-coup, uno scoppio ritardato. 

Una tesi che ha molto a che fare con ciò che Barthes pensava sull'amore e che espresse nel suo testo più fortunato, Frammenti di un discorso amoroso. 

L'Italia di Stendhal, scrive Barthes, è in effetti un fantasma. Come sempre o quasi sempre è un fantasma l'oggetto amoroso. 

L'amore, la follia dell'innamorato, è una vacanza, una sospensione dal Dovere, è un luogo immateriale, un Paradiso, un luogo senza il Male, un Bene Sovrano.  E' questo che rende impossibile descriverne l'effetto. O meglio il contenuto o la ragione dell'effetto. Si può solo dire: io sono inebriato, trasportato, colpito, ecc... 

Ma poi vi è solo afasia. E' solo attraverso lo scoppio ritardato di un racconto, di un diario, di un romanzo - e Stendhal è maestro - che si può scendere nella definizione, nella espressione di un effetto.  Stendhal lo farà anni più tardi quando scriverà La Chartreuse de Parme con la lunga introduzione descrittiva di Milano, con i francesi che vi fanno irruzione. 

E' la menzogna romanzesca l'unica vera svolta della verità possibile, e l'espressione finalmente trionfante della sua (di Stendhal) passione per l'Italia. Una lezione che Barthes ha messo in pratica con la sua vita e la sua scrittura, mettendo sulla pagina - come nessun altro - i contenuti e le ragioni della passione amorosa. 

Fabrizio Falconi

26/02/17

Cesare Viviani: "Dov'è finito il tempo dei sentimenti ?"




Oggi, guardando alla vita di chi lavora, una cosa salta subito agli occhi: il tempo è occupato per la maggior parte dall'attività (e dal suo valore, che sta nei risultati, nell'autostima e nella stima degli altri).

Certamente il lavoro condensa grandi significati. 

Poi, nel tempo libero c'è il divertimento e lo svago (gli hobby e le diverse opzioni per distrarsi e giocare, oggi accresciute dalle attraenti novità tecnologiche): un modo questo per bilanciare il sacrificio e l'impegno delle ore occupate.

Perciò la vita è lavoro e divertimento. 

E il sentimento ? C'è un tempo, non striminzito, per gli affetti, per viverli, nutrirli e approfondirli ? Ci sono ore per l'ascolto e per il cuore ? 


Oppure, sia per il gran lavoratore che per l'appassionato hobbista è tutto tempo perso ?

31/01/17

Esce "Siamo tutti diversi!" di Teresa Forcades, una radicale riflessione sulla diversità umana.






E' davvero un pensiero profondo e originale quello di Teresa Forcades, esposto in questo volume appena pubblicato da Castelvecchi. 

Teresa Forcades si racconta e, mentre la sua biografia si dipana nella narrazione, emergono in modo dirompente i temi della sua riflessione: dall’originale interpretazione teologica del concetto queer e della radicale differenza di ciascun essere umano al pensiero femminista, dalla mercificazione del corpo all’omosessualità. 

Uno sguardo acuto sul percorso che ogni essere umano compie per diventare adulto e trovare la propria unica e irriducibile identità. E poi ancora: unioni civili, utero in affitto, medicalizzazione della società, fede e Vangeli, cattolicesimo e ruolo della donna nella Chiesa, amore e libertà, clericalismo e patriarcato, religione, psicanalisi e lotta politica. 

In filigrana, attraverso il flusso di una vita d’eccezione, una domanda spiazzante: cosa significa essere una teologa femminista nel XXI secolo?



Teresa Forcades 
Monaca benedettina di origine catalana, medico, teologa femminista e attivista politica, si è specializzata in Medicina Interna a Buffalo (Stato di New York), ottenendo poi un Master of Divinity a Harvard

Ha conseguito un dottorato in Salute pubblica e un dottorato in Teologia Fondamentale a Barcellona; successivamente, un post-dottorato presso la Humboldt-Universität di Berlino, dove ha poi insegnato Teologia della Trinità e Teologia queer. 

Nel 2012 ha fondato il movimento politico Procés Constituent per l’indipendenza della Catalogna. 

La sua popolarità si è imposta all’attenzione internazionale per la sua ferma critica alle industrie farmaceutiche e le sue coraggiose posizioni sia all’interno della Chiesa sia nel dibattito politico contemporaneo.

Teresa Forcades 
Siamo tutti diversi! 
Per una teologia queer 
a cura di Cristina Guarnieri e Roberta Trucco
pagine 192 prezzo € 16.50
Castelvecchi, 2017

16/01/17

Esce "Il genere di Dio - La Chiesa e la teologia alla prova del Gender" di Selene Zorzi.



Si fa un gran parlare in questo periodo, anche a sproposito, di teoria gender. 

Di fronte al risveglio degli studi di genere, il tema giunge fino a coinvolgere la teologia, giungendo a domandarsi di che genere sia Dio padre. 

Ma Dio non ha sesso. La sua immagine va identificata piuttosto nella relazione. Nella persona umana l’energia affettiva (eros) è primaria. 

E Dio è Amore. Questo libro nasce dalla consapevolezza che quando l’Italia un giorno sgomenta svegliandosi ha scoperto che tutti parlavano del Gender, la Chiesa e la teologia si sono ritrovate spesso appiattite o ricondotte a posizioni di gruppi fondamentalisti. 

Il bisogno che ha generato queste pagine, seguite a confronti e dibattiti pubblici, è che la chiarezza dommatica, la spiegazione dei testi biblici, il rendere chiara la dottrina della Chiesa sia un servizio necessario per evitare che l’ignoranza, il non sapere cioè di questioni importanti che attingono all’umano come immagine del divino che è in ognuno, degeneri al punto da proclamare verità ciò che è invece solo confusamente ci viene dato di conoscere

Le questioni principali degli studi di genere a cui la teologia può offrire un contributo prezioso, sono in questo volume affrontate con un linguaggio semplice perché chiaro, supportato da studi sedimentati nell’autrice che ha il coraggio di sostare quando le risposte indicano il bisogno di una ricerca ancora aperta. 

Pagine che lette fino alla fine ci apriranno il cuore e la mente a una più corretta interpretazione di quell’essere, come creature, immagine del Creatore che sì ci fece maschi e femmine, ma soprattutto ci fece a sua immagine.

Selene Zorzi
Il genere di Dio 
La Chiesa e la teologia alla prova del Gender 
Pagine 106 
Edizioni La Meridiana, Firenze, 2017

22/11/16

Decalogo giapponese dell'amore.





Decalogo giapponese dell'amore
(mia libera traduzione)


1. L'amore perfetto non si raggiunge mai attraverso il possesso. Il sesso perfetto non arriva mai attraverso il possesso.

2. L'amore perfetto non arriva mai attraverso uno sfogo o una frustrazione. Il sesso perfetto non viene mai per la via di uno sfogo o di una frustrazione.

3. Mai cercare l'amore perfetto per trovare il sesso perfetto.

4. Mai cercare il sesso perfetto per trovare l'amore perfetto.

5. L'amore perfetto non chiede nulla.

6. Il sesso perfetto non chiede nulla.

7. L'amore perfetto è come un fiore che si apre al mattino.

8. Il sesso perfetto è come un fiore già aperto che riceve la luce perché è aperto.

9. Il sesso perfetto è l'immobilità del torrente che trova il mare.

10. L'amore perfetto è il mare che tu sei. E dentro di te, tutto.



15/11/16

La cura - di Fabrizio Falconi.





Cura è una parola ambivalente. Significa infatti non soltanto curare qualcuno o qualcosa che sta male, portandolo alla guarigione, ma anche permettere a qualcosa o a qualcuno - che è già sano -  di crescere, di svilupparsi, di fiorire come fioriscono le piante. 

E non sembra un caso che la parola derivi dal latino cura che a sua volta deriva dalla radice ku-/kav- che significa osservare

Chi ha a cuore qualcosa o qualcuno infatti, per prima cosa osserva. Meravigliandosi di quella bellezza unica - non riconosciuta e non vista da alcuno, nei suoi propri termini tranne da chi osserva, e osservando cura.  

Ti curo perché ti amo e ti voglio proteggere e preservare. Ti voglio far crescere. Non voglio che tu cresca secondo i miei desideri, perché questo sarebbe forzare, piegare, stridere.  Voglio che tu cresca per come sei, voglio che tu esprima la potenzialità piena che è in te. 

Io ti osserverò, ti guarderò da lontano, senza co-stringerti. Ti lascerò libera. Ma ti aiuterò ogni volta che tu lo vorrai e ogni volta che ne avrai bisogno. 

Lo farò non per ottenere riconoscenza, ma solo perché il tuo stesso sbocciare è per me la ricompensa. 

Dunque la mia cura non ti verrà data perché tu sei malata, ma proprio perché sei piena di bellezza. 

Diventerò forse saggio, in questo modo.  La stessa radice in sanscrito dice che kavi è il saggio. Il saggio è colui che osserva.

Questo mio osservarti sarà fatto fino alla fine.  Ovvero finché tu non ne avrai più bisogno. E se tu avrai sempre bisogno di me, io sarò sempre qui a curarti. 

Nel tempo sospeso e breve di una esistenza, questa cura salverà dai tuoni e dalla tempesta.  Rimarrà indelebile anche dopo il turbinio della pioggia e delle foglie. Tornerà a splendere ad ogni nuova stagione.  Sarà la mia luce. Sarà la tua luce. 

Fabrizio Falconi