30/11/09

La vecchiaia e la Sintesi di una Vita - Vito Mancuso rilegge Wittgenstein.

Vorrei oggi riportarvi questo bellissimo articolo, scritto da Vito Mancuso, che racchiude alcune delle ultime riflessioni del Card. Carlo Maria Martini. Penso ci sia davvero molto su cui meditare. A partire dalla vicenda descritta all'inizio dell'articolo che sfiora una delle personalità centrali del Novecento filosofico, Ludwig Wittgenstein.

LA SINTESI DI UNA VITA

Nei primi mesi del 1916 Ludwig Wittgenstein, volontario nell' esercito austriaco, si trovava in Galizia sul fronte orientale col reggimento impegnato a sostenere il più grande attacco nemico, la cosiddetta Offensiva Brusilov. In mezzo a perdite altissime la sua azione dovette essere di un certo rilievo visto che il 1° giugno venne promosso caporale e il 4 decorato al valor militare. Pochi giorni dopo, l' 11giugno, colui che diventerà uno dei più grandi logici e filosofi delNovecento, annota sul suo quaderno: «Il senso della vita, cioè il senso del mondo, possiamo chiamarlo Dio. Pregare è pensare al senso della vita».

Io penso che per ogni essere umano la vecchiaia sia paragonabile a una trincea della Prima guerra mondiale. Sono finite le cerimonie, le marce, le sfilate, gli inni, le retoriche che fanno da preambolo non solo alla vita militare delle retrovie, ma anche alla vita quotidiana nella gran parte dei suoi momenti. Giunge il momento del redde rationem, il leopardiano «apparir del vero». Chi arriva alla vecchiaia non ha più nessuno davanti, è in prima linea sul fronte dell' essere o del nulla. E penso sia naturale in questa stagione dell' esistenza guardare al senso complessivo della vita, della propria e di tutti gli amici che si sono visti cadere, con un'intensità esistenziale paragonabile a quella di un soldato in trincea.

Ciò che Wittgenstein percepì a 27 anni di fronte al fuoco dell'esercito russo ogni uomo che prenda sul serio l' esistenza è destinato a sperimentarlo quando inizia a sentire arrivare il termine dei suoi giorni. Non è un caso quindi che il cardinale Carlo Maria Martini,riflettendo sulla preghiera dall' alto dei suoi 82 anni, abbia sentito anzitutto il richiamo di un grande vecchio della letteratura biblica quale Qohèlet ricordandone la celebre descrizione allegorica degli effetti fisici della vecchiaia, quando le mani («i custodi dellacasa»), le gambe («i gagliardi»), i denti («le donne che macinano»), gli occhi («quelle che guardano dalle finestre»), le orecchie («ibattenti sulla strada») non funzionano più come prima, preludio al momento in cui l' uomo se ne andrà "nella dimora eterna".

In questa prospettiva la preghiera di chi è anziano per Martini è anzitutto ricerca di consolazione interiore di fronte alla crescente fragilità che la vecchiaia comporta, è richiesta della ragione e del sentimento che un senso definitivo della vita ci sia e che a questo senso si possa personalmente partecipare. Il cardinal Martini però aggiunge un'ulteriore considerazione sulla preghiera di chi è anziano, rivolta ora non più al futuro ma al passato, e qui a mio avviso egli tocca il momento più alto del suo scritto.

Mi riferisco a quando egli parla degli anziani come di coloro che hanno raggiunto «una certa sintesi interiore» e che per questo possiedono «uno sguardo di carattere sintetico sulla propria vita ed esperienza». Aver compiuto un lungo cammino non significa solo vederne la fine, significa anche potersi voltare e vederne per intero il percorso. Da questa altezza può scaturire «una lettura sapienziale della storia e del mondo», per descrivere la quale Martini giunge a coniare in perfetto stile evangelico una vera e propria beatitudine, una nona beatitudine che non sfigurerebbe come prosieguo delle otto beatitudini proclamate da Gesù nel celebre Discorso della montagna: «Beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti o anche sul tempo presente inconfronto con quelli passati!». Martini sa bene che il giudizio negativo sul presente è una delle tipiche malattie che affliggono lo spirito della vecchiaia, quando la consapevolezza che presto per sé sarà la fine conduce spesso a un rapporto amaro e risentito con ilpresente, valutato solo come progressiva decadenza rispetto "ai miei tempi".

Ma il cardinale aggiunge che a un uomo può capitare di peggio,cioè di guardare indietro alla propria esistenza e di vedere solo macerie (talora anche le ricchezze e gli onori ricevuti non sono altroche macerie perché costruiti con la frode e a prezzo dell' onestà personale). Ne viene che non solo il futuro ma anche il passato
risultano avvolti da un disperato senso di vuoto. Può capitare, e se capita è forse la più grande disgrazia per la vita di un uomo. Per questo «beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio», cioè come dotato di senso, di logicità, di sincerità, di rettitudine.

Pregare è pensare al senso della vita, scriveva Wittgenstein; pregare è pensare con riconoscenza e con gioia alla storia della propria vita, aggiunge il cardinal Martini. Felice quindi chi ha lavorato su di sé per essere in grado di coltivare questi sentimenti, essendo diventato così libero dal proprio ego da poter dire grazie alla vita anche al cospetto della fine cui il proprio ego inevitabilmente va incontro.

Per quanto concerne la modalità concreta della preghiera, Martini ne distingue due forme fondamentali, quella vocale fatta di recitazione di formule e di partecipazione alla liturgia comunitaria, e quella mentale, più personale, intima, colloquiale. Egli dice che generalmente col progredire dell' età «diminuisce la preghiera mentale per la minore capacità di concentrazione» e quindi aumenta la preghiera vocale, con la conseguenza che si ritorna a pregare quasi come si faceva da bambini,quando si ripetevano formule misteriose sentite dai grandi. Si trattadi una considerazione molto cattolica da cui emerge il valore dellacomunità. Nella trincea di fronte all' essere e al nulla non si è da soli, ma si può contare sulla relazione con altri, su ciò che ladottrina chiama "comunione dei santi", e che a me, e penso anche al cardinal Martini, piace allargare abbracciando santi per nulla canonici, tra cui il caporale Wittgenstein e tutti i giusti che primadi noi hanno lasciato questo mondo.

VITO MANCUSO

4 commenti:

  1. ...due anni fa, a Betlemme, nel pelligrinaggio Diocesano per i suoi ottant'anni e il cinquantesimo di sacerdozio di Tettamanzi nella Chiesa di Santa Caterina,Martini nell'Omelia ha chiesto, davanti a più mille persone venute da Milano per l'occasione...pregate per me perchè di fronte a quello che sta attraversando il mio corpo non so se la mia fede reggera...una parola dura che ha folgorato i presenti perché li vi è racchiusa tutta la spiritualità di Martini e la sua ricerca, attraverso la lectio, la preghiera liturgica e del cuore, la meditazione, e il confronto con i non credenti e con il non credente che vi è in ognuno di noi dell'incontro personale con il Signore, quello stesso Gesù che lui desidera trovare, per esserne abbracciato, nel momento in cui vivrà l'ultimo atto della sua vita; perché la morte appartiene ancora alla vita e alla dimensione della vita è questione che riguarda la vita, e questo è il suo grande mistero. La vecchiaia, e lo dico come chi vi sta entrando, è il punto i cui si è perché si è vissuto e il vecchio lo sa o dovrebbe saperlo.Riflettere sulla propria vita non è guardare le retrovie perché si è sotto il fuoco del nemico... morte... ma abbracciarla per trovarne il senso. Il modo in cui si muore è la sintesi di una vita.La morte non è il nemico! Così la intendeva Canetti, l'autore che più amo e forse conosco. ne abbiamo una terribile paura, non conosciamo quello che ci attende dopo, da questa paura e solo da li nasce il nostro egoismo nelle mille forme in cui si manifesta. Martini non considera la morte un nemico, come non è nemico l'ignoto...semplicemente ci è ignoto e per questo lo temiamo. La preghiera della vecchiaia di cui parla Martini non è mentale ma del cuore, è il dialogo intimo, personale, continuo con il Signore. Con il Signore, non con i nostri sentimenti ed emozioni Ma questo Mancuso fatica a comprenderlo perché la sua fede è culturale, la sua teologia è culturale per questo paragona cose non paragonabili. Wittgenstein come tutti i sopravvissuti a centinaia di migliaia di persone senza saperne la ragione... hanno scritto pagine insuperabili su questo i sopravvissuti ai campi di concentramento nazisti, sceglie dopo una simile esperienza tra le uniche due opzioni a disposizioni per un uomo consapevole di quanto accaduto: o Dio o il padrone del mondo. Cercare il senso profondo della propria vita o cercare di arraffare il massimo dalla vita che si ha a disposizione...sempre siamo messi di fronte a questa terribile libertà! Martini ha scelto, Wittgenstein ha scelto, io vorrei esserne capace, sapendo che il non credente che vi è in ognuno di noi ce ne dice continuamente l'idiozia...

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  2. "Cercare il senso profondo della propria vita o cercare di arraffare il massimo dalla vita che si ha a disposizione."

    Davvero, Alessandro, non potevi descriverlo meglio.

    Posso chiederti anche, vista l'occasione, che sensazioni hai provato durante quel pellegrinaggio a Betlemme (visto che ci avviciniamo al Santo Natale)?

    F.

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  3. ...per me la Terra Santa è la concretezza dell'incarnazione! Dio che assume la nostra corporeità in un luogo marginale come nazareth ed entra nella storia di tutti gli uomini per dirci che l'amore è dentro l'orizzonte della nostra umanità e non oltre le nostre possibilità.Ci sono andato spesso. In quell'occasione, credo per tutti i presenti,la sensazione più forte è stata proprio la comunicazione di Martini sulla fragilità della fede se non è scelta e cercata ogni giorno ed in ogni circostanza.

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