22/08/23

"Un Beau Matin" un film che fa bene al cuore (ma perché non si riesce a fare un film così in Italia?)


Vedo Un Bel Mattino (Un Beau Matin) su Mubi, uscito nel 2022 e mi chiedo perché sia inimmaginabile oggi un film così, fatto in Italia.
Lo firma una regista franco-danese (danese è la famiglia del padre), Mia Hanson Love, quarantenne, ex moglie di Olivier Assayas, già vincitrice con i suoi precedenti film, di molti premi in festival importanti, tra cui l'Orso d'Argento per la migliore regia alla Berlinale del 2021.
Un Bel Mattino è un film di bellezza disarmante, perché vero. Un film che parla della vita vera, con luminosità, dolore, intensità. La storia semplice e "ordinaria" (senza la minima ombra di retorica) di Sandra, giovane donna rimasta vedova troppo presto, con una figlia piccola, che deve affrontare la malattia del padre - professore di filosofia (come il vero padre di Mia), colpito da una grave malattia neurologica (Sindrome di Benson) e che nello stesso periodo, dopo lunghi anni di solitudine, vive una intensa storia d'amore con un uomo sposato e a sua volta padre di un bambino.
Tutti i tempi dell'amore e della passione, tutto il dolore per la malattia del padre, vivono e passano sul volto di Léa Seydoux, straordinaria attrice, che "vive" il ruolo di Sandra, più che interpretarlo. Con i silenzi, i gesti ordinari, le lacrime, i sorrisi, le fatiche, i dolori a tratti insostenibili.
C'è la lezione, modernizzata dei grandi maestri, c'è la poesia e la leggerezza di Truffaut, c'è lo scandaglio fotografico di Bergman.
E alla fine, quando questo film ti arriva al cuore con le sue immagini e il suo racconto coerente, apparentemente senza bisogno di altro, ti chiedi perché un film così oggi non possa essere fatto da noi.
E puoi darti una risposta tra una serie che provo a elencare in ordine sparso:
- perché in Italia non esiste una attrice come Léa Seydoux
- perché in Italia si "recita" e non si sa più essere, interpretando.
- perché il mondo borghese - o meglio, piccolo borghese, che è quello di quasi tutti - non sappiamo più raccontarlo.
- perché non sappiamo scrivere un copione così essenziale, funzionante, senza bisogno di trucchi o strizzate d'occhio allo spettatore
- perché la vita - come cantava Franco Battiato con Sgalambro - in Italia, è diventata una "parvenza di vita" o perché non è così e semplicemente è vita vera ma nessuno sa più raccontarla.
Non lo so, scegliete voi quale.
Nel frattempo fatevi un bel regalo, con Un Bel Mattino.

Fabrizio Falconi - 2023

20/08/23

Perché c'è il male nel mondo? La domanda senza risposta. O forse no.


Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.

Quando sono cresciuto, dopo lunghi anni di sostanziale disinteresse, ho riconfermato il senso di questo segno ricevuto - l'ho fatto anche coi miei figli - perché alcune, molte, parole che si trovano nei Vangeli, mi sembrano anche oggi le più oneste e chiare in grado di suggerire una risposta ai dilemmi eterni della nostra vita umana: tra questi, il mistero della presenza del male, nel mondo, nella creazione.
Nella semplicità di questa parabola, Gesù il Nazareno, diede la risposta che per me è ancora oggi la più convincente:
Mt. 13,24-30
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Anche se nel suo linguaggio metaforico, ad uso dei discepoli che venivano dal volgo e non erano certo intellettuali, il senso appare chiaro: il padrone della casa (Dio) non è solo, nella creazione; la creazione non è un dominio incontrastato o una tirannia assoluta del padrone della casa; nella creazione esiste un nemico; un nemico che se ne va in giro di notte (quando tutti dormono) a seminare (anche lui), anche se semina zizzania, quindi un'erba fatta apposta per uccidere la semente buona.

Infine: di fronte a questo nemico che agisce, e che evidentemente controlla una parte di territorio della creazione, il padrone di casa non interviene subito, distruggendo la zizzania seminata, facendo razzia di ciò che quello ha seminato: piuttosto, lascia il buono e il cattivo a contatto, li lascia crescere insieme, perché alla fine arriverà il giorno in cui la malaerba verrà scartata e bruciata, e l'altra, riposta nel granaio.

Fabrizio Falconi - 2o23

19/08/23

Quando l'innamoramento finisce: le orecchie del barone Karenin e Tolstoj


Come si è quando ci si innamora, l
o ha descritto meglio di tutti, il grande Stendhal nel De l'amour, sua opera di eleganza e acutezza unica.
Stendhal conia il famoso termine "cristallizzazione" per descrivere cosa succede all'immagine dell'amato/a quando l'innamorato, per l'appunto, si innamora.
Un processo in due fasi, che secondo Stendhal, suscita nell'innamorato la scoperta - con relativa meraviglia - di successive perfezioni (esteriori e interiori) del corpo, dell'immagine, del carattere dell'amato/a (che ovviamente percepisce con tale forza soltanto l'osservatore futuro amante).
Questa prima e seconda cristallizzazione durano finché dura l'amore. E' questa "prima immagine" - di perfezione - che fissandosi, fissa il sentimento e che resta come imago-riferimento.
Già Barthes poi, nei Frammenti di un Discorso, aveva, raccogliendo le teorie di Stendhal, analizzato la crisi dell'amore, che viene annunciato dallo svelamento di un dettaglio dell'amato/a che senza preavviso viene a incrinare apparentemente in modo del tutto ingiustificato e innocuo, quella immagine-cristallizzazione iniziale.

George Steiner, nel suo grande saggio/pietra miliare
Tolstoj o Dostoevskj, offre un esempio geniale della rottura dell'incantesimo descritta da Barthes, tornando alla scena di Anna Karenina, nella quale Anna, subito dopo aver incontrato per caso sul treno il fatale conte Vronskij, arriva alla stazione di San Pietroburgo dove ad attenderla c'è il marito, il barone Karenin, sulla banchina ferroviaria.
Anna, scesa dal treno gli va incontro e si accorge all'improvviso e per la prima volta, che suo marito ha "le orecchie molto grandi" e quelle cartilagini così sproporzionate le sembrano un sintomo di insopprimibile goffaggine, a cui - quasi non credendoci - non ha mai fatto attenzione.
Ma le orecchie del povero Karenin, ovviamente, sono sempre state là. Anna però le vede per la prima volta: è il segnale. L'incantesimo amoroso è rotto (forse lo è già da tempo): Anna è pronta a concedersi alle focose attenzioni del conte Vronskij.

Fabrizio Falconi - 2023

18/08/23

Perché la sventura ci coinvolge solo quando è vicina e non lontana e come funziona il nostro senso dell'empatia e della compassione



Letto nel 2007, quando uscì in Italia, questo saggio continua a illuminarmi a distanza di tempo.
Ritter (morto nel 2013), prendendo spunto dalla Parabola del Mandarino raccontata nel Papà Goriot di Balzac, studia a fondo il rapporto che esiste tra la nostra compassione - la compassione umana (la cum-passione dei latini, ovvero, patire-insieme-a uno che soffre, vivere la sua stessa sofferenza o dolore) - e la vicinanza fisica o geografica:
in pratica, tutti sappiamo che un evento tragico che accade lontano da noi, appunto ad esempio nella Terra dei Mandarini Cinesi, muove a molta meno partecipazione/compassione/o empatia come si ripete oggi, che se quello stesso evento, identico, accadesse fuori dalla porta di casa nostra.
E' una regola aurea, che fa parte del DNA umano, e che gli agi digitali non sembrano affatto aver cambiato, "accorciando il mondo", semmai il contrario: siamo sempre più monadi "lontane" dal mondo reale, sia quello "vicino" che quello "lontano".

Rileggere Ritter però, e le sue esplorazioni nella storia della letteratura e della filosofia, aggiunge parecchio. Perché la questione non è affatto "semplice" come si penserebbe.
Sarebbe stato interessante a questo proposito che Henning Ritter avesse avuto la possibilità di aggiornare il suo testo sulla crisi climatica globale:
la mancanza di empatia, di partecipazione, di consapevolezza e dunque di compassione, riguardo ai cambiamenti climatici, dipende infatti essenzialmente da quanto si "è vicini" ad essi, di quanto essi tocchino le nostre vite.
In fondo, chi vive in Occidente, percepisce l'emergenza climatica come "lontana", almeno finché dal "suo" cielo, non gli piovono addosso chicchi di grandine come aranci. Ma se i danni saranno limitati, e l'evento seguito da due settimane di clima migliore, le sue considerazioni saranno tranquillizzate.
Di certo, chi vive in angoli del pianeta diversi - nei quali ad esempio la sopravvivenza delle persone è direttamente dipendente dalle condizioni del clima e quindi ad esempio da coltivazioni e pascoli, di quel che si può mangiare o non mangiare - ha percezioni molto diverse di questa "Sventura".
Purtroppo però le redini del mondo, almeno quelle dei grandi cambiamenti economici, le tiene in pugno ancora quella parte del mondo occidentale che sente "lontane" quelle emergenze. Vengono da troppo lontano, e oltretutto qui in occidente siamo troppo impegnati a compulsare sui socials per concedere troppa attenzione a una cosa così lontana.
L'impressione o il dubbio è però che quando la sventura verrà avvertita come "vicina" anche da quella parte di mondo, minacciando la comfort zone dell'aria condizionata e delle case di cemento armato e non di fango, sarà forse davvero già troppo tardi.

Fabrizio Falconi - 2023

16/07/23

2.500.000 di Visualizzazioni per Il Blog di Fabrizio Falconi - Si festeggia con il nuovo romanzo in uscita: "IL DONO PERFETTO"

 


Nato 14 anni fa, questo Blog, Il Blog di Fabrizio Falconi festeggia oggi un altro importante traguardo: quello delle 2.500.000 visualizzazioni!

Molta strada è stata fatta in questi anni ed è doveroso ringraziare in primis i tanti lettori ovviamente, e anche gli inserzionisti che ci hanno permesso di continuare a crescere. 

Festeggiamo inoltre con l'uscita di un nuovo libro, un romanzo, Il Dono Perfetto, che dal 1 luglio è disponibile nelle librerie e online (anche cliccando qui). 

Grazie, e barra dritta, ancora.

F.



11/07/23

Eco, Ottieri, Bompiani, Quasimodo: Tutti nella stessa scena, nel capolavoro di Antonioni, "La Notte" - 1961

In una delle prime scene de La Notte di Antonioni (1961) lo scrittore Giovanni Pontano/ Mastroianni va con la moglie Lidia/Jeanne Moreau alla presentazione del suo nuovo romanzo. Che si tiene nella sede di una grande casa editrice esplicitamente citata, ovvero la Bompiani.
Così nel film (e nel cocktail per l'autore) finiscono un ventinovenne Umberto Eco (a destra di Jeanne Moreau nella foto qui sotto), Ottiero Ottieri (che sceneggerà il film seguente di Antonioni, L'Eclisse) e poi lo stesso grande editore, Valentino Bompiani, che presenta e fa firmare una copia del suo libro al "famoso Premio Nobel" che non è esplicitamente citato, ma è ovviamente Salvatore Quasimodo (Premio Nobel per la Letteratura due anni prima, nel 1959).



Ora, fa una certa impressione vedere qui riunito in una piccola scena di un grande film un tale parterre de roi.

Viene da pensare che c'è stata un'epoca in cui in Italia la parola "intellettuale" era correttamente pronunciata: in fondo lo stesso Pontano (il cui cognome allude così esplicitamente al pantano esistenziale in cui sembra muoversi) è uno che tenta di vivere con il proprio lavoro intellettuale.

Oggi gli intellettuali sono più propriamente i milionari delle fazende multinazionali digitali, che prestano il loro intelletto - prosperando - alla invenzione di beni immateriali digitali sempre più pervasivi, confortevoli, ottimizzatori.
Gli intellettuali della parola o delle arti, invece, di questi tempi, se la passano male, e si attribuiscono questo titolo sovente coloro che hanno l'unico merito di godere dei favori e delle leggi del mercato dei consumi.



Ma Antonioni e i suoi film ricordano un'età dell'oro in cui la finzione e la realtà giocavano amabilmente: Ennio Flaiano e Tonino Guerra a quel cocktail avrebbero potuto tranquillamente partecipare, ma invece preferirono restare dietro e scrivere la sceneggiatura di quel magico film. A futura memoria, si direbbe.

Fabrizio Falconi - 2023

09/07/23

La Poesia della Domenica: "Baccano"




Baccano


E non è vero che Floki non sappia

morire: che ne sanno le anime

                                     del pandemonio?

Lui sente, come senziente, la sua vita

minacciata ad ogni istante e il pericolo

                                    è già morte;

come tutti si prostrano prima

di chiudere gli occhi, al dio del non-senso,

Floki invece abbaia e guaisce, si tiene

stretto a quello che viene, il suo chiasso

è la porta del paradiso; nessuno 

del resto lo sa: che la vita vera finisce 

senza finire                   in un baccano.


Fabrizio Falconi - 2023

(foto Elliot Erwitt)

  

05/07/23

Un romanzo dimenticato e molto bello: "La Rossa" di Alfred Andersch


Se oggi andate a cercare su Amazon o altre librerie on line (non parliamo di quelle tradizionali/cartacee) il nome di Alfred Andersch, non troverete nulla di nulla pubblicato in Italia, negli ultimi 40 anni.
Eppure c'è stato un periodo non lontano, nel quale lo scrittore nato a Monaco di Baviera nel 1914 era piuttosto in voga, come si vede, pubblicato anche dagli Oscar Mondadori.
Personalmente questa edizione del 1972 (il romanzo è del 1961), l'ho trovata in una meritevole libreria che commercia prezioso usato (negli stessi scaffali ho addirittura trovato la prima edizione de Il Dono di Humboldt di Bellow, in Italia (la mia ormai è consumata)).
Così ho scoperto questo notevole romanzo di un autore piuttosto controverso: pur essendo tra i fondatori del Gruppo '47, Andersch infatti dovette difendersi, nel dopoguerra, da accuse di ambiguità/collusione con il regime nazista.
Andersch fu effettivamente arruolato nella Wehrmacht nel 1940, quando aveva 26 anni, e schierato sul fronte occidentale contro la Francia.
Prima di allora, però, dal 1930, Andersch era stato un fervente comunista, e dopo l'ascesa al potere dei nazionalsocialisti, era stato rinchiuso - secondo il suo racconto - per tre mesi nel campo di concentramento di Dachau, in quanto sovversivo.
Uscito dalla prigionia, lo scrittore, caduto in depressione, non aveva potuto evitare l'arruolamento, anche se nel 194 fu ufficialmente "licenziato" dall'esercito perché nel frattempo si era legato sentimentalmente alla pittrice Gisela Groneuer, considerata dalla polizia una "mezza ebrea".
Arruolato nuovamente nel 1943, Anders disertò nel giugno 1944, consegnandosi agli americani, che lo trasferirono in un campo di prigionia in Virginia.
Tornato in patria, fu uno dei protagonisti della scena letteraria tedesca del dopoguerra, fino alla morte avvenuta nel 1980 in Svizzera.
Tredici anni dopo la morte, Andersch fu oggetto di pesanti accuse di "contraffazione letteraria e fanatismo" da parte di W. G. Sebald, ma il rapporto di Sebald fu "giustamente respinto nella sua generalità".
Al di là di queste controversie legate alla sua biografia, "La Rossa" (Die Rote), è un romanzo importante, che risente direttamente delle vicende vissute da Andersch negli anni della guerra e del nazismo.
La vicenda ha per protagonista Francesca, una donna trentenne tedesca, che dopo aver lasciato marito e amante, prende il primo treno alla Stazione di Milano, che la porta a Venezia, con sole 40 mila lire in tasca.
La donna forse è incinta. Non sa cosa succederà della sua vita, vuole semplicemente allontanarsi da tutto, ricominciare. Una cupa, allucinata e bellissima città fantasma la accoglie nel pieno dell'inverno.
Qui, attraverso diverse voci modulate nel testo e diverse scritture, Francesca si trova coinvolta, suo malgrado, dentro una tragica resa dei conti tra una spia inglese e un ex criminale nazista.
Ma c'è molto di più di una semplice spy-story in questo romanzo. Ci sono le vite rovinate dall'orrore, l'orgoglio di una donna che non si vuole sottomettere al potere di maschi ottusi o cinici, c'è una Italia distrutta dalla guerra, eppure desiderosa di ricominciare, ci sono tradimenti e imboscate del destino, c'è l'intelligenza che non vuole morire e vuole anzi, sopravvivere, secondo il "suo" modo.
C'è l'ambiguità di Kramer, uno dei più verosimili "boia" nazisti incontrati nella letteratura che scrive di quel tempo oscuro.

Fabrizio Falconi - 2023

01/07/23

"Il Dono Perfetto" - L'intervista di Giovanna Bandini a Fabrizio Falconi per il nuovo romanzo - VIDEO

 Da ieri, 30 giugno, è in libreria Il Dono Perfetto, il nuovo romanzo di Fabrizio Falconi. Qui brevi clip dall'intervista realizzata da Giovanna Bandini con Dario Pettinelli, per Il Momento Perfetto - ItaliaTv

 



   
   
 QUI SOTTO il PODCAST completo dell'intervista: 

   

Il Dono Perfetto è nelle librerie e online in vendita su Amazon e su ogni libreria online. Infine anche in vendita online sul sito della casa editrice (SANTELLI).



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26/06/23

"A proposito di Davis", un grande film dei Fratelli Coen - da recuperare su Amazon Prime Video


Chi vuole può recuperare "A proposito di Davis" ("Inside LLewyn Davis") dei fratelli Coen, uscito nel 2013, adesso disponibile sulla piattaforma di Amazon Prime Video.

E' per me la miglior prova in assoluto dei geniali fratelli, dai tempi de "L'uomo che non c'era" (2001, il loro ultimo grande capolavoro), cui aggiungerei il favoloso "Macbeth" (2021) che però è firmato dal solo Joel.
"A proposito di Davis", come è stato tradotto in italiano dall'originale americano, che suona assai diverso (è il titolo dello sfortunato LP pubblicato dallo sfortunato Davis, che nessuno compra e nessuno vuole ascoltare), è uno dei più riusciti ritratti di losers che si è visto sullo schermo.
Gli presta il volto (e la voce) l'eccellente Oscar Isaac, uno dei più talentuosi attori oggi in circolazione (protagonista fra l'altro, insieme a Jessica Chastain, della versione 2021 di "Scene da un matrimonio").
Davis è un personaggio immaginario, ma più vero del vero. I Coen lo hanno disegnato sul modello di due veri folksingers newyorchesi, Dave Van Ronk e Ramblin' Jack Elliott, che ebbero l'immane sfortuna di presentarsi da esordienti sulla stessa scena e nello stesso identico periodo in cui Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, muoveva i suoi primi passi, nei fumosi locali di Brooklyn e del Greenwich Village.
Davis è quindi, nella poetica dei Coen, un perfetto contraltare del grande Bob. Mettendo in scena i suoi fallimenti, le sue goffagini, le sue sofferenze esistenziali (chiamiamole anche con il nome più rozzo per quello che sono: "sfighe"), Davis è per i Coen l'eroe della nobile sconfitta: colui che non può farcela (a diventare famoso), colui che è costretto a restare un fallito, un senza casa, un fuori posto, uno che vede la storia scorrergli davanti, da vicino o da vicinissimo, ma la può soltanto sfiorare.
E' oro per il talento dei Coen, che hanno costruito molta della loro fortuna, sul canto (ironico o disperato) degli sconfitti.
La fotografia (pluripremiata) di Bruno Delbonnel, le musiche (T Bone Burnett) e le canzoni tradizionali del folk anglosassone, il cast di grandi attori (tutti accorrono quando i Coen chiamano): Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman, F. Murray Abraham, Adam Driver, contribuiscono alla riuscita del film, perfetto e toccante in ogni inquadratura.
Poteva poi essere anche quasi un racconto in prima persona, ma i Coen amano a tal punto le storie e il cinema, che qui inventano un assai tenue, eppure magico macGuffin con le fattezze di un gatto ribelle che riesce a rendere ancora più tortuosa e difficile la vita del povero Davis.
Il film ha ricevuto numerose candidature ai premi più importanti (Oscar e Golden Globe compresi) e ha (stra) meritatamente vinto il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2013.

Fabrizio Falconi - 2023

22/06/23

Ecco "Black Bird", la migliore serie che c'è in giro, oggi


Quasi nessuno parla da noi di "Black Bird"
, la migliore serie che c'è in giro, e una delle migliori degli ultimi anni.

Forse perché è su AppleTv, che non tutti hanno (ma ricordo che si può anche fare una prova gratuita che dura 7 giorni).
Black Bird - in cui sembra di rivivere certe atmosfere da True Detective 1 (vertice mai più raggiunto) - è diretta da Dennis Lehane e coprodotta oltre che da Apple, da Dan e Ryan Friedkin, gli attuali proprietari della AS Roma.
E' tratta da una storia vera, e più specificatamente dalla autobiografia Il Falco di James Keene, pubblicata nel 2010. Keene, di buona e colta famiglia fu arrestato dopo essere entrato in un giro di spaccio di droga e condannato a dieci anni di carcere.
Contattato dall'FBI, fu convinto a entrare sotto copertura, con la promessa di guadagnarsi la libertà, in un carcere di massima sicurezza (nonché manicomio criminale), allo scopo di guadagnarsi la fiducia di Larry Hall, sospettato di essere l'omicida seriale di un certo numero di ragazze sparite nelle campagne dell'Illinois.
Le sei puntate della tiratissima miniserie raccontano dunque la difficilissima discesa di James - o Jimmy - nell'inferno del carcere più duro, cercando di avvicinare Larry, diventarne amico e confidente, per arrivare a ottenere da lui la confessione dei suoi crimini (e in particolare, dei luoghi delle sepolture delle ragazze che ha ucciso).
Il punto di forza della serie è nella coppia di attori protagonisti: il giovane inglese Toran Egerton (nei panni di Jimmy) e Paul Walter Hauser che riesce a incarnare il più convincente e realistico omicida seriale che si sia visto recentemente al cinema o alla Tv.
Entrambi, infatti, hanno fatto incetta di candidature e di premi ovunque, compresi i Golden Globe. Erano tutti e due nella cinquina finale. Il premio per la migliore interpretazione maschile è poi andato - meritatamente - a Paul Walter Hauser.
Il quale virtuosisticamente colora il suo assassino di sottilissime sfumature, smorfie, idiosincrasie, rendendolo naif e terribile insieme.
L'altro versante della storia - l'indagine condotta da un ispettore locale e da una funzionaria dell'FBI - è meno interessante e forse andava tagliato nei tempi.
Nel complesso, però, una grande storia su dannazione e riscatto, sul buio interiore e sull'esercizio di una forza che non si arrende.
Assolutamente da vedere.

Fabrizio Falconi - 2023

19/06/23

"La Famiglia dei Diamanti" - saga familiare Netflix nel quartiere ortodosso di Anversa


La Famiglia dei Diamanti (Rough Diamonds), visibile sulla piattaforma Netflix, serie belga, del 2023, si inserisce sulla scia delle diverse serie che, dalla meravigliosa Shtisel a Unorthodox, si sono addentrate nel mondo della cultura e della vita delle comunità ebree ortodosse.

In questo caso siamo in Belgio, ad Anversa, da sempre "la città dei diamanti", lì dove cioè hanno prosperato da secoli commercianti - non solo ebrei - che si sono specializzati nel mercato delle preziose pietre provenienti dalle miniere dell'Africa.
Il pretesto narrativo è il suicidio - perché coinvolto in debiti di gioco - di un giovane membro della famiglia Wolfson, una delle più blasonate del quartiere dei diamanti.
Al capezzale del morto accorre anche il più classico figliol prodigo: Noah, che venti anni prima ha lasciato la famiglia, lasciando la fede ortodossa. Noah, che è fratello del suicida, vive a Londra e si occupa di affari poco puliti.
La morte del fratello lo spinge però a riconnettersi con la comunità Haredi e con la sua famiglia, che si trova adesso in guai molto seri - ricattata dalla malavita albanese - e che lui si sente in dovere di aiutare.
Coprodotta dagli israeliani Keshet, la serie, solida e ben scritta si segue volentieri fino all'ultima delle 8 puntate.
I punti deboli sono gli attori, in particolare Kevin Janssens, il protagonista, dall'espressione fissa e stolida, modesto come modesti sono anche altri nei ruoli secondari; i personaggi fra l'altro, tranne quello del fratello maggiore, Eli, non "crescono" ; e una inconcludenza generale della vicenda, specie nell'epilogo, irrisolto e tirato via senza convinzione, soltanto per preparare il terreno a una probabilissima seconda stagione.

Fabrizio Falconi - 2023

16/06/23

"Blue Jay" (2016), un gioiello su Netflix, per commuoversi senza sentirsi in colpa


'Blue Jay' (2016)
è uno strano, toccante film indipendente, che dura solo 80 minuti, ora visibile su Netflix.

E' così strano che è anche difficile chiamarlo 'film', somigliando più a una confessione 'in presa diretta' o a una duplice prova d'attore.
Lo ha realizzato in un elegante bianco e nero Alex Lehmann, su un copione scritto da Mark Duplass, che è il protagonista maschile del film.
La storia - se storia si può chiamare - è presto detta: in un supermercato si rincontrano dopo molti anni, Jim e Amanda, che sono stati insieme da giovanissimi: un primo amore intenso, finito male.
Il caso li ha riportati lì nello stesso momento: lui deve chiudere la casa della madre che è morta, lei è venuta in visita alla sorella che è incinta.
Il film descrive le ore di questa giornata e della notte trascorsa insieme, tra allegria - ritrovando molta di quella magia che li aveva fatti innamorare l'uno dell'altro da giovanissimi - e principio di realtà - misurando la distanza tra quel che si era, quel che si voleva diventare e quel che si è diventati.
Un pretesto narrativo che sembrerebbe fin troppo facile.
Eppure il film vince la scommessa, facendosi apprezzare proprio per semplicità, misura, autenticità.
Gran merito è dei due attori, sempre in scena: Mark Duplass (impacciato e simpatico, ironico, irrisolto) e soprattutto Sarah Paulson, incantevole e di bravura davvero mostruosa.
'Blue Jay' ha girato molto nei festival di cinema indipendente, poi è riaffiorato grazie alla piattaforma globale e ha trovato un suo pubblico. Meritatamente. Si ride e ci si commuove, senza facili ricatti.

Fabrizio Falconi - 2023

11/06/23

"Via dalla Pazza Folla" di Thomas Vinterberg, una convincente trasposizione da Thomas Hardy, con una splendida Carey Mulligan

Ancora una volta ho apprezzato la grande qualità e la versatilità del regista di "Festen", "Il sospetto", "Un altro giro" (vincitore lo scorso anno dell'Oscar come miglior film straniero).
Visibile a noleggio su Google Play e Amazon Prime Video a 3.99 euro, "Via dalla Pazza Folla" è un adattamento assai scrupoloso del romanzo di Hardy, e meno ingombrante di quello che fu realizzato da John Schlesinger nel 1967, con protagonisti mostri sacri come Julie Christie, Alan Bates, Terence Stamp, Peter Finch.
L'eterna storia di Bathsheba Everdene, bellissima e intelligente, forte, fragile e desiderosa di indipendenza, prima contadina e poi fittavola in una immaginaria contea inglese, contesa da tre uomini molto diversi - naturalmente lei si concede a quello meno raccomandabile - è uno dei classici studi di Hardy che rappresentano la sua concezione totalmente pessimista del mondo.
Il mondo nel quale la natura sa essere punitiva e ingiusta, ma gli esseri umani fanno di tutto per condannarsi all'infelicità.
Bathsheba è uno splendido ritratto femminile, cui Carey Mulligan concede corpo e anima, ed intensa espressività ad ogni sguardo o gesto (del resto la Mulligan è da tempo una delle migliori attrici sulla scena del cinema internazionale).
Il colosso Matthias Schoenaerts è un perfetto Gabriel Oak, il primo a dichiararsi, respinto, a Bathsheba all'inizio della storia, e colui che le resta fedele fino alla fine.
Michael Sheen è il ricco fittavolo William Boldwood, che incastrato da un poco innocente scherzo di Bathsheba ne finisce completamente soggiogato.
Tom Sturridge è invece il famoso sergente Troy del romanzo, scapestrato e fatuo, irresistibile, dannato.
Per sceneggiare un romanzo così complesso - 600 pagine - Vinterberg si è affidato a David Nicholls che ha operato scelte radicali e coraggiose: le prime 200 pagine del libro vengono infatti risolte nei primi 10 minuti del film, che si concentra, come è giusto, nella seconda metà della storia, dove accadono i fatti più rilevanti.
La bellissima fotografia, che ricostruisce meticolosamente gli esterni e gli interni della campagna inglese dell'Ottocento, è di Charlotte Bruus Christensen (danese come il regista), mentre le musiche sono dell'inglese Craig Armstrong, compositore molto amato anche nei circoli rock e jazz.
"Via dalla Pazza Folla" di Vinterberg è insomma un convincente (e pienamente soddisfacente per lo spettatore) adattamento di un grande classico della letteratura, che indaga con fredda e appassionata lucidità gli anfratti e le ombre delle personalità umane, la loro incompletezza, i loro desideri, la speranza di poter un giorno essere felici, perché finalmente consapevoli.

Fabrizio Falconi - 2023

06/06/23

L'oscura Via del Mandrione, a Roma, amata da Pasolini


Fa una certa impressione immaginare che dalla costruzione dell’ultimo dei grandi maestosi acquedotti romani (i cui resti ancora giganteggiano per l’Italia) trascorsero ben tredici secoli prima che si sentisse la necessità a Roma di realizzarne uno nuovo

L’impresa fu voluta da Papa Sisto V a cui si deve la completa ristrutturazione urbanistica di Roma (con il celebre Piano Sistino), il quale la commissionò nel 1585 all’architetto Matteo Bortolani. 

Tanto per comprendere quale fosse la grandezza dei romani, Bortolani commise degli errori di progettazione del nuovo acquedotto, e il Papa dovette ricorrere a Giovanni Fontana (lo stesso architetto che aveva spostato l’obelisco di Piazza San Pietro) per rimediare e correggere il difettoso deflusso delle acque. 

In onore di Sisto V (che la secolo si chiamava Felice Peretti) il nuovo acquedotto fu chiamato Felice e aveva il compito di utilizzare le antiche sorgenti dell’Aqua Alexandrina, per approvvigionare le zone del Viminale e del Quirinale. 

Il tracciato originale del nuovo acquedotto superava la Via Tuscolana all’altezza della Porta Furba e giungeva fino nel cuore di Roma con il trionfo finale della Mostra della Fontana del Mosè, in Piazza San Bernardo. 

Oggi una gran parte del circuito cittadino dell’Acquedotto Felice è affiancata dalla lunga Via del Mandrione, che dà il nome ad un quartiere, o meglio, ad una porzione del quartiere Tuscolano

In questa Via, una specie di tortuoso serpente che si snodava e in parte si snoda ancora sul confine tra la periferia della città e la campagna, furono trovati i resti di una splendida villa romana e parte di un lastricato. 

Il nome, Mandrione, deriva proprio dal fatto che qui, nella campagna sotto gli archi del vecchio acquedotto, venivano portate le mandrie a pascolare

Era però, già anticamente, una zona di scorribande, adatta agli agguati da parte di briganti e di sabotatori e per questo motivo, lungo questa via transitavano i sorveglianti degli acquedotti, arruolati dalle autorità pontificie. 

I solenni archi divennero però con il passare dei secoli anche un ideale rifugio: dapprima in tempo di guerra quando sotto l’Acquedotto Felice trovarono riparo gli sfollati del bombardamento di San Lorenzo del 1943, che costruirono le prime baracche, e poi, nel dopoguerra comunità di nomadi e prostitute. 

Ben presto dunque la zona del Mandrione divenne malfamata e territorio di studio per le condizioni abitative di disagio in città, che richiamarono nel dopoguerra l’interesse di personalità come Pier Paolo Pasolini, Gian Giacomo Feltrinelli, Elsa Morante, Goffredo Parise. 

Da qui partirono però anche progetti rivoluzionari (come quelli della pedagogista Angelina Linda Zammataro) di integrazione delle comunità nomadi e di recupero della zona archeologica con lo sgombero delle baracche e l’assegnazione di alloggi popolari alle numerose famiglie che vi abitavano

Oggi l’oscura Via del Mandrione ha – come altre parti della periferia romana – cambiato pelle, ospitando locali, botteghe artigiane e vita notturna.


Fabrizio Falconi, tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, 2013