Visualizzazione post con etichetta web. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta web. Mostra tutti i post

25/10/17

Quasi 6.000 Lettere autografe di Marcel Proust presto online !


Quasi seimila lettere di Marcel Proust saranno disponibili online.  Digitalizzare e mettere online gratuitamente quasi seimila lettere scritte o ricevute da Marcel Proust, cioe' l'essenziale della sua corrispondenza, e' il progetto delle universita' americana dell'Illinois e francese di Grenoble Alpes, tra le altre

La storia che lega l'autore di "A la recherche du temps perdu" all'universita' del nord degli Stati uniti passa per il lavoro di uno dei suoi professori, l'americano Philip Kolb

E' stato lui a pubblicare tutta la corrispondenza nota e accessibile di Proust, 5.300 lettere divise in 21 volumi (!)

In seguito altre centinaia di lettere sono state ritrovate. 

Gli scambi epistolari dello scrittore francese erano in origine, in realtà molto piu' numerosi, ma la maggior parte e' andata distrutta. 

Kolb, morto nel 1992, la stimava in 20mila lettere

L'universita' dell'Illinois ha gia' acquisito circa 1.200 lettere e continua a comprarne, budget permettendo, hanno detto il professor François Proulx e Caroline Szylowicz, bibliotecaria incaricata del progetto

L'universita' conta di iniziare nelle prossime settimane la digitalizzazione delle missive di colui che e' considerato il piu' grande scrittore francese del XX secolo

Una prima tranche, dedicata alla Prima guerra mondiale, sara' online attorno all'11 novembre 2018, centenario dell'armistizio

Di salute fragile, Marcel Proust non combatte', a differenza del fratello Robert, con il quale intrattenne una fitta corrispondenza dal fronte.

(fonte askanews - Afp)

17/04/17

600.000 visite per il Blog di Fabrizio Falconi.






Continua questa bella avventura insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il simbolico e significativo traguardo dei 600.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività personali - i libri certo, ma anche le passeggiate romane, le curiosità romane -  una finestra sul mondo della cultura, con notizie di attualità e aggiornamenti di interesse comune.

Grazie per le vostre letture.

24/01/17

24 gennaio del 1984: 33 anni fa entrava in commercio il primo Mac Intosh - la geniale intuizione di Steve Jobs.



E' una foto storica realizzata nell'inverno del 1984. 

Il 24 gennaio di quell'anno - di cui oggi ricorre il 33mo anniversario - entra in commercio il primo computer della serie Mac Intosh della Apple.

Il nome - che diventerà un must nella storia della informatica e più in generale del progresso umano - viene scelto da Jobs da una particolare specie di  mela scoperta nel 1811 dall'agricoltore scozzese-canadese John Mc Intosh nel lontano 1811 nell'Ontario. 

La specie di frutto prese il suo nome, Red Mc Intosh. 

E questo fu il nome dunque scelto da Jobs per la commercializzazione del rivoluzionario modello di computer che in breve tempo entrò nelle case di milioni di persone, aggiornato sempre fino alle più incredibili versioni odierne. 




19/12/16

500.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi .







Continua questa bella avventura insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il simbolico e significativo traguardo dei 500.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 


Grazie.

26/07/16

400.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi.






Continua questa piccola grande crescita insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il traguardo dei 400.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

09/06/16

350.000 visitatori per "Il Blog di Fabrizio Falconi".





E' una bella crescita insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato, dopo così poco tempo il traguardo dei 350.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

24/02/16

L'ultima lettera di Umberto Eco al nipote - Una lettera da far leggere ai figli.



Tratta da L'Espresso la bellissima ultima lettera scritta da Umberto Eco al nipote.  Da conservare e far leggere ai propri figli. 

Caro nipotino mio,

non vorrei che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del genere. Non vi daresti ascolto e, al momento di metterla in pratica (tu adulto e io trapassato) il sistema di valori sarà così cambiato che probabilmente le mie raccomandazioni risulterebbero datate.

Quindi vorrei soffermarmi su una sola raccomandazione, che sarai in grado di mettere in pratica anche ora, mentre navighi sul tuo iPad, né commetterò l’errore di sconsigliartelo, non tanto perché sembrerei un nonno barbogio ma perché lo faccio anch’io. Al massimo posso raccomandarti, se per caso capiti sulle centinaia di siti porno che mostrano il rapporto tra due esseri umani, o tra un essere umano e un animale, in mille modi, cerca di non credere che il sesso sia quello, tra l’altro abbastanza monotono, perché si tratta di una messa in scena per costringerti a non uscire di casa e guardare le vere ragazze. Parto dal principio che tu sia eterosessuale, altrimenti adatta le mie raccomandazioni al tuo caso: ma guarda le ragazze, a scuola o dove vai a giocare, perché sono meglio quelle vere che quelle televisive e un giorno ti daranno soddisfazioni maggiori di quelle on line. Credi a chi ha più esperienza di te (e se avessi guardato solo il sesso al computer tuo padre non sarebbe mai nato, e tu chissà dove saresti, anzi non saresti per nulla).

Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria. È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello.

La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria.

Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto.

Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis.

C’è poi la memoria storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi.

Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove.

Ora la scuola (oltre alle tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse - e invece è stato ucciso dalle Brigate Rosse.

Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi.

Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la nostra memoria.

Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste, lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male? Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino?

Potrei continuare all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni.

Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”.

18/01/16

"Roma rassegnata e meticcia" - intervista a Fabrizio Falconi.



Intervista realizzata da Gabriele Ottaviani per Convenzionali.


Convenzionali ha recensito Roma segreta e misteriosa di Fabrizio Falconi: ora, abbiamo il piacere di intervistarne l’autore.

Perché scrivere un libro su Roma e sui suoi aspetti più insoliti, esoterici, magici?

Perché, come disse una volta Sigmund Freud, Roma assomiglia a un’entità psichica, dove il passato è ovunque e convive con il presente e con il futuro. E proprio come una entità psichica, Roma può essere indagata ad libitum, scoprendo sempre nuovi aspetti, nuove profondità e nuove luci e nuove ombre. Poi Roma, proprio per questa lunghissima abitazione umana, lunga tre millenni, nasconde, custodisce storie e misteri più di ogni altra città al mondo.

Che città è Roma oggi?

Una città un po’ rassegnata, e completamente meticcia ormai. I Romani sono, per la prima volta nella sua storia, minoranza. Prevalgono i forestieri, la gente che vive qui ormai proviene da ogni parte d’Italia e del mondo. È ormai una città meticcia, e anche dal fascino decadente, un po’ come Istanbul.

Ci sono altri segreti e misteri oltre a quelli che ha raccontato nel suo libro?

Certo, a Roma, come dicevano i nostri nonni, basta sollevare una pietra – o un sampietrino – ed esce fuori una storia. I misteri di Roma affondano le radici nel mito stesso di Roma, e poi proseguono fino ai giorni nostri. Io qui propongo soltanto una selezione, una mia scelta.

Cosa pensano secondo lei di Roma i romani, gli italiani non capitolini e i cittadini stranieri?

I Romani, nel senso di quelli che ci abitano, non la trattano molto bene. La usano come una pantofola vecchia, ci sono abituati e la maltrattano, non la curano. Gli italiani non capitolini ne sono affascinati e in parte ne invidiano anche un po’ il suo ruolo centrale; purtroppo a causa dei palazzi del potere Roma viene ancora oggi molto bistrattata. I cittadini stranieri ne sono invece quasi tutti affascinati, innamorati. Ogni qualvolta un amico straniero viene in visita qui, a trovarmi, dopo un po’ di giorni che è rimasto qui se ne va via con le lacrime agli occhi.

Quale romanzo e quale film per lei hanno raccontato meglio la Città Eterna?

Non ho dubbi: “Roma” di Federico Fellini. Lì c’è davvero tutto lo spirito di Roma, della Roma antica e della Roma di oggi. È un capolavoro, fra l’altro creato da un non romano, che però adottato da questa città, ne comprese meglio di chiunque altro lo spirito.

Che ruolo hanno i simboli, le leggende, i luoghi comuni, i pregiudizi nella percezione di Roma?

Fondamentale. A partire dal mito fondativo, di Romolo e Remo, tutta la storia di Roma è intrisa di miti, leggende, tradizioni, usanze che affondano le radici nei riti pagani e nelle religioni, prima fra tutte il cristianesimo che ha allacciato la sua storia millenaria con quella di Roma.

Come è cambiata Roma nel corso della storia?

La pelle di Roma, come quella di un camaleonte, è cambiata molte volte nel corso della storia. Per questo non si può parlare solo di Roma in astratto: ci sono tante Roma, quella dei miti primordiali, quella della Roma imperiale, quella medievale, quella classica e papalina, quella risorgimentale, quella fascista e quella della liberazione. Ognuna, ha una storia interessante.

Roma è un centro più religioso, culturale o politico?

Oggi è sicuramente più rilevante dal punto di vista religioso. Politicamente, Roma è sempre la capitale, ma la vera capitale economica dell’Italia è ormai Milano. Culturalmente, Roma è invece parecchio indietro, rispetto alle grandi capitali europee. Ma il gap può essere colmato facilmente se ci fosse la volontà politica di farlo: nessuna città al mondo dispone di un patrimonio storico-artistico-architettonico come quello di Roma.

Cosa rappresenta Roma in Italia e nel mondo?

È sempre, come ho detto un punto di riferimento. Il centro della Cristianità in Occidente. E da un certo punto di vista la città caput mundi, quella che ha segnato la storia dell’Occidente, ponendo importanti cardini che ancora oggi reggono questa parte del pianeta.

In cosa Roma e l’Italia si somigliano e in cosa differiscono?

Si assomigliano nei limiti e nell’autolesionismo. Differiscono forse nello spirito con cui si vive: Roma è una città caotica, nella quale comunque sopravvive incredibilmente lo spirito dei padri, in certi aspetti come la sornioneria, l’ironia, lo scetticismo.

Una grande metropoli e una città di provincia: così Flaiano, più o meno. È d’accordo?

Assolutamente sì. Flaiano era un genio.

Che ruolo ha avuto la speculazione negli anni a Roma? Si può parlare della capitale con gli stessi termini che Rosi dedicò a Napoli nel suo Le mani sulla città?

Sì, il volto di Roma è stato violentato negli ultimi 50-60 anni dalla speculazione edilizia. E oggi dalla criminalità organizzata. Roma è diventata, come scrive Francesco De Gregori in una sua famosa canzone, una “vacca in mezzo ai maiali”, nel senso che per molti è soltanto una risorsa da spremere, da sfruttare fino alla morte.

Da cosa nasce il suo interesse per l’esoterismo, la magia, l’occulto?

La parola esoterico anticamente non aveva implicazioni con il satanico o l’occulto, come oggi va di moda. Io mi riconosco in quel significato, che non vuol dire altro che l’antica sapienza è stata per molto tempo occultata ai più, considerati non capaci di comprenderla, e criptata in codici, formule e simboli riservati solo agli iniziati. Così quel sapere si è conservato, e qualche volta è rimasto perfino ignoto alle generazioni successive.

Cosa ama leggere?

Leggo di tutto, sono onnivoro. Ho una curiosità irrefrenabile, e mi sembra sempre tantissimo quello che non so e che vorrei conoscere. Ma questo è in fondo, essere vivi. Si smette di esserlo quando si perde la curiosità di conoscere. La conoscenza è tutto.

Quale libro avrebbe desiderato scrivere? E quale scriverà nel futuro?

Mi sarebbe piaciuto essere forse uno di quei cronachisti che visitarono Roma nell’anno Mille e che scrissero i Mirabilia Urbis, le meraviglie di quella città, piena di rovine, che affascinava così tanto i pellegrini che venivano a visitarla a piedi da mezzo mondo… Per il futuro, sto scrivendo un nuovo libro, si intitolerà Le rovine e l’ombra. Si parlerà sempre di rovine, e anche di Roma, ma da un punto di vista molto più personale, alternando la riflessione psicologica e filosofica, con il racconto di storie legate alle rovine. Sono convinto che l’ombra che protegge le rovine – sia quelle vere, delle città, sia quelle personali, psicologiche – sia molto preziosa perché contiene grandi potenzialità e grandi riserve di vita.

Qual è la cosa più importante da fare quando si racconta una storia, qualunque essa sia?

Considerarne la verosimiglianza, approfondirne i dettagli e gli aspetti e raccontarla con la passione, come quando si cerca di interessare un bambino ad ascoltare una favola. In fondo, il nostro bisogno di storie non finisce mai, in tutta la vita, indipendentemente dalla età che abitiamo.

Intervista realizzata da Gabriele Ottaviani per Convenzionali.

11/11/14

"Facebook, l'orrore e l'incanto" - di Sandra Petrignani.



Facebook, l’orrore e l’incanto 
di Sandra Petrignani
Il Foglio

“Da quando ho letto ‘Se niente importa’ di Jonathan Safran Foer non sono più riuscita a mettere una bistecca in bocca”, mi ha detto un’amica. “Nemmeno io”, ho risposto. 

Lo scambio, però, non avveniva a tu per tu o al telefono, ma su Facebook, ed ecco che in pochi minuti ai nostri commenti se ne aggiungevano molti altri di convinti vegetariani o viceversa di irrecuperabili mangiatori di carne, che contestavano le posizioni animaliste dello scrittore americano, e di altri ancora che non avevano mai sentito parlare di quel libro e sarebbero corsi a comprarlo grazie al piccolo, insignificante scambio di battute fra noi. 

Perché Fb è così: getti un sasso nello stagno e i cerchi, quando l’argomento è sentito, si allargano a dismisura e la tua chiacchiera a due diventa dibattito pubblico, hai l’impressione di appartenere a una comunità, di essere seduto accanto al fuoco a scambiare racconti della tua vita e di quella altrui come si faceva prima dell’epoca dell’incomunicabilità. 

E’ l’orrore e l’incanto di questa geniale invenzione del mondo contemporaneo: tornare a vivere in piazza, e non nella piazzetta del paese, ma in una piazza globale dove puoi farti i fatti del vicino di casa, che non hai mai visto, nemmeno sai che è proprio il tuo vicino di casa, come quelli di uno sconosciuto che vive all’altro capo del pianeta.

Non era questo all’inizio il progetto del giovane inventore Mark Zuckerberg, studente di Harvard che, con un paio di amici, nel febbraio del 2004 voleva solo mettere in contatto fra loro gli iscritti alla sua università perché potessero scambiarsi alla grande notizie utili allo studio, prendere appuntamenti, dividere i costi di un appartamento. 

Fare, insomma, via rete ciò che facevano anche prima stringendo amicizia sui prati del campus o nei frequentatissimi baretti di Harvard Square o affiggendo bigliettini nelle varie bacheche dei vari istituti. Non è certo un caso che la pagina-profilo su Facebook si chiami, appunto, “bacheca” (wall) e che il sito prenda il nome dall’annuario che raccoglie le fototessera degli studenti, il face book con cui abbiamo familiarizzato attraverso tanto cinema americano. 

Non immaginava il geniale Mark dal viso cavallino e le guance implumi che nel giro di dieci anni avrebbe invaso la terra intera e superato i 500 milioni di utenti per un fatturato di 1,1 miliardi di dollari. Perché oltre agli harvardiani si sono mano mano registrati al servizio anche gli studenti di altre università americane, e poi quelli europei e poi quelli delle scuole superiori e a un certo momento (alla fine del 2006 più o meno) non erano più solo studenti, ma dai tredici anni in su chiunque dotato di duttilità tecnologica poteva connettersi a Fb. 

Cosicché, inevitabilmente, i contenuti iniziali finivano con il modificarsi. “Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita” è lo slogan del sito. E forse per questo i detrattori pensano, senza saperne molto, che “ritrovare i vecchi compagni di scuola” ne sia lo scopo principale. “Cosa vuoi che me ne importi di riprendere i rapporti con persone che conoscevo a sei anni! Se le ho perse di vista ci sarà una ragione”, mi dicono amici perplessi e ostili alla mia passione per il social network secondo solamente a Google, stando al numero di visitatori. 

Ma che c’entrano i compagni di scuola! mi tocca spiegare ogni volta: ne ho ritrovata una sola di compagna di scuola, due va’. A parte il fatto che sono proprio le due compagne di scuola che mi fa piacere frequentare, Facebook non è una triste festa planetaria di “ex amichetti d’asilo cinquant’anni dopo”, tanto è vero che gli utenti più attivi sono giovani e giovanissimi, che l’asilo se lo sentono troppo vicino per provarne nostalgia. Ma allora che diamine è questo Facebook? E soprattutto: “Cosa ci trovi di così attraente?”, mi viene chiesto con incredulo sconcerto ogni volta che mi dichiaro dipendente dal popolare “gioco” di società virtuale, che sta ridisegnando il modo di stringere relazioni fra le persone. 

Buone domande a cui non è per niente facile rispondere. Ci proverò cominciando dall’inizio della mia, chiamiamola, “militanza feisbuchiana”. Innanzitutto devo spiegare che non appartengo alla pattuglia della prima ora: mi sono affacciata sul sito, per altro frenata dalle stesse resistenze e dagli stessi sospetti dei miei amici più critici, solo un anno e mezzo fa, quando una giovane editor mi convinse che per uno scrittore far circolare su Facebook i propri libri è un ottimo investimento pubblicitario. Insomma ero animata, lo confesso, unicamente da spirito affaristico e se non fosse stata lei stessa, quella intraprendente ragazza, a iscrivermi mostrandomi quanto fosse facile entrare a far parte della modernità tecnologicamente più avanzata, sarei ancora lì a chiedermi: mi butto o non mi butto? Mi sono buttata. 

E, subito lasciata a me stessa, ho capito che potevo nuotare senza problemi anche ignorando totalmente i segreti di parole misteriosissime come “tag” (con annesso verbo “taggare”), come “poke” (con annesso “pokare”). Anzi ancora oggi qualche dubbio lo conservo e sulla questione “taggare” non ho ben capito se è l’andare importunando le persone imponendo loro la lettura di nostre “note” o se, più semplicemente, il tag è la scrittura del loro nome dentro una fotografia in cui compaiono o se l’una e l’altra cosa. 

Il risultato non cambia: ho imparato a taggare a più non posso nell’una e nell’altra direzione. Quanto al poke, me l’ha spiegato mio figlio, per motivi generazionali più a suo agio di me dentro l’universo dei naviganti internettiani. “Poke” mi ha detto “è fare così” e mi ha dato con un dito una spintarella sulla spalla. E dunque? ho chiesto continuando a non capire. “Ma sì, è un modo per attirare l’attenzione. Tu mandi un poke a qualcuno e quello si accorge di te. E’ come un saluto”. Ma insomma qui non siamo l’Accademia della Crusca, non tuteliamo l’integrità della lingua e, dunque, se proprio volete saperlo, quando qualcuno su Facebook riceve un poke, e lo ricambia, per una settimana consentirà al pokante di curiosare nel suo profilo (o bacheca che dir si voglia). 

E adesso veniamo al nocciolo: cosa succederà mai su queste “bacheche”? Di tutto, di più. Qui sta il bello: tu credi di piegare ai tuoi interessi l’intero trappolone convincendo a comprare i tuoi prodotti i pochi o tanti “amici” che sei riuscito ad accalappiare in rete, e presto, se non subito, la trappola scatta su di te. 

E se non scatta, mi chiedo, che ci stai a fare su Fb? Se non scatta, non ti diverti. Se non scatta, se non ti fai invischiare, se stai lì a difenderti e a fare il sostenuto, se non dai qualcosa di te di autentico, se sei un tipo freddo che gli altri devono stare al loro posto e guai se si avvicinano, se sei pauroso di tutto e di tutti e fai il prezioso, sempre con la puzza al naso, sempre lì a valutare “chi mai sarà questo sconosciuto/a che mi chiede l’amicizia, gliela do o non gliela do”… se insomma, come certi innamorati che non vogliono scoprirsi e fanno gli indifferenti finché l’amata si scoccia e sceglie un altro, stai su Facebook con l’aria di non starci, con la paura di perdere tempo, con il contagocce, non saprai mai cosa può succedere fra una bacheca e l’altra, nella ragnatela indistricabile di rapporti virtuali che qualche volta (spesso) diventano reali e di rapporti reali che, diventando virtuali, finalmente si approfondiscono. 

Mi rendo conto che, a chi non lo pratica, non ho ancora chiarito niente del complesso sistema di relazioni messo in campo da Fb. E allora un poco di casistica. Una volta iscrittisi a Facebook si deve andare a cercare nomi di persone note (solo a noi o in generale) già interne al “gioco” chiedendo loro l’amicizia per costituire un proprio gruppo di persone con cui interagire. Ognuna di queste persone possiede un suo tesoretto di nomi (corredati di simboli, foto, disegni che le rappresentano) che possono essere messi in comune, previo accordo degli interessati. 

C’è chi cerca solo persone che conosce già nella vita vera, o comunque garantite da presentazioni affidabili, e chi si lascia incuriosire dagli sconosciuti, purché simili a lui, e chi non si fa impressionare negativamente neppure dagli elementi che nel suo gruppo sociale vengono generalmente banditi: un modo ruspante di proporsi, una battuta ingenua, una foto scollacciata, un tatuaggio selvaggio… Inutile dire che a maggior apertura corrisponde più grande divertimento. Ma siccome la natura umana è selettiva e conservatrice e simile chiama simile, ecco che poi all’interno anche del più sterminato campo-amicizie finiranno per legare solo quelli che hanno gusti, idee politiche, cultura analoghi. Insomma uno può arrivare a totalizzare anche cinquemila amici (limite massimo consentito) ma a interagire sul serio e assiduamente è grasso che cola se saranno in cinquecento. 

Ancora un po’ di esempi: c’è chi lancia temi di discussione e chi va a ruota. C’è chi ama polemizzare e chi butta acqua sul fuoco, c’è chi discute solo di politica e chi propone spezzoni di film, canzoni, brani teatrali (attraverso i video YouTube) o proprie immagini. Chi scrive poesie e le sottopone al giudizio della comunità, chi invita a feste, presentazioni di libri, degustazioni, sfilate di moda e chi cerca appartamenti al mare. 

Chi scrive articoli per i giornali e li rilancia sul suo profilo (il suo wall) dove avrà il piacere di vederli discutere da una massa di gente, spesso molto agguerrita e intelligente, non sempre e comunque adorante e acritica. Chi si mobilita per qualche (giusta?) causa, chi denuncia, chi informa, chi chiama a raccolta per scendere in piazza, chi fa propaganda elettorale (uno stuolo – in genere noioso – di politici noti, notissimi o alle prime armi accompagnati da slogan e bandiere), chi dà lezioni di cucina, chi sistema cani randagi, chi commenta in diretta una trasmissione televisiva, chi si sfoga per i tradimenti del coniuge e chi cerca nuovi innamorati/e. 

Chi non ha inventiva e si affida a scambi preconfezionati con invii (virtuali, ma a pagamento) di mazzi di fiori, orsacchiotti, cuoricini… Dove altro puoi andare di corsa a dirne quattro a David Sassoli perché ha votato a favore di una vergognosa legge sulla vivisezione al Parlamento europeo (e lui sta faticosamente cercando di spiegare le sue ragioni) o congratularti con Vito Mancuso, se sei d’accordo con le sue posizioni, perché lascia la Mondadori? 

Fai amicizia in quattro e quattr’otto con Michela Murgia e le dici quanto ti è piaciuto il suo libro e lei ti risponde un ovvio “grazie”, o qualcosa di articolato dedicato esclusivamente a te, se sei stato capace di interessarla (perché, per esempio, Michela Murgia, grande esperta di blog e comunicazione in rete, è di quelli che non si risparmiano: non lo faceva prima da semisconosciuta, non lo fa adesso che ha vinto il Campiello). Ma, soprattutto, Facebook dà i superpoteri. Questo è il segreto del suo successo. 

Diventi ubiquo: puoi festeggiare il matrimonio di un tuo lontano parente in uno sperduto villaggio degli Stati Uniti e insieme trovarti a Ibiza a condividere la vacanza di tua sorella. Ti fai invisibile: puoi controllare i figli che si danno appuntamento per il sabato sera e verificare se il tuo amante fa il cascamorto con le altre. Hai superudito, supervista, superenergie. Puoi cambiare personalità, identità, persino sesso senza ricorrere alla chirurgia. 

Eppure su Facebook vengono a galla pregi e difetti, la generosità o la supponenza dei vari tipi psicologici, che si tratti di soliti noti o di imprevedibili ignoti. C’è chi viene inseguito e chi insegue in modo anche indipendente dalla notorietà acquisita altrove. Non che il mito del successo non alligni in rete come negli altri mondi, ma la possibilità di strappare la maschera e guardare cosa ci sia dietro al personaggio famoso è a disposizione di chi non si lasci incantare. 

E la bella sorpresa è che di gente autonoma, gentilmente critica, attenta e sensibile è pieno il mondo di Fb quanto di cretini, invadenti e opportunisti. Ma con un clic puoi liberarti dello scocciatore senza strascichi. E adesso la domanda delle domande: è davvero una rivoluzione il modo di stare insieme su Facebook o solo un’illusione collettiva di amicizie inesistenti, di compagnie fittizie? Sposta qualcosa nell’inconscio collettivo, nel modo di informarsi e costruirsi idee autonome su ciò che ci circonda o non sarà la pericolosa anticamera di uno spropositato narcisismo alla portata di tutti, un’immaginaria fabbrica di scatenati egocentrismi, un contagiarsi inutile per blaterare rivendicazioni al vento, un’invasione senza limiti della privatezza, del segreto delle persone? Che ricadute avrà tutto questo sulla vita vera della gente? E, soprattutto, qual è a questo punto la vita vera e quella falsa? 

Vale di più avere un vicino di cui non sappiamo niente e al quale non rivolgeremmo mai la parola sul pianerottolo perché è di destra e noi siamo pervicacemente di sinistra, o ritrovarselo amico su uno schermo imparando che fiori preferisce, chi ha amato alla follia, di che cosa sta soffrendo e scoprirci capaci di una viva simpatia perché come noi si getterebbe nel fuoco per salvare un gatto? In un recente articolo sul Corriere della Sera Maria Laura Rodotà riferiva le tesi di Stephen Coleman, un sociologo che a Londra studia la “cittadinanza digitale” e che non è per niente ottimista sulle ricadute sociali dell’impegno dimostrato in rete dagli under 40 (non più precisamente riconoscibili nelle tradizionali categorie di sinistra e di destra): si mobilitano su temi specifici ma senza capacità di organizzare una militanza attiva, agitano opinioni in rete facendo proseliti senza incidere sul reale perché non sono in grado di elaborare proposte politiche concrete. 

Prova ne sia la parabola di Obama, eletto grazie all’appoggio dei social network da persone che non sanno andare oltre la configurazione del “fan” e che non hanno elaborato strategie per sostenerlo nel tempo.

Ora, siccome Maria Laura Rodotà è anche un’attiva presenza su Facebook con un parco amici di poco inferiore ai fatidici cinquemila, il suo articolo ha subito suscitato una discussione in rete rilanciata da un altro giornalista e scrittore, Fabrizio Falconi, portatore di una visione meno pessimista, e i commenti si stanno moltiplicando.

Il famoso sasso nello stagno. E se ogni causa ha un effetto, anche gli infiniti cerchi provocati dal quotidiano dibattito feisbuchiano da qualche parte andranno a parare. La comunità digitale avanza, né più buona né più cattiva di quella reale, né particolarmente diversa negli usi e costumi, ma avanza, con qualche inevitabile, magari per ora impercettibile, slittamento verso il nuovo. 

Il visconte di Valmont e la marchesa di Merteuil avrebbero di che sbizzarrirsi manovrando un’arma potente come il computer e un teatro umano vasto come quello di una rete digitale per manipolare i destini amorosi delle loro vittime. Sono relazioni pericolose, molto pericolose, tanti scambi fra amanti spiati da mogli e mariti gelosi sotto false identità (chiunque può aprire un profilo con un nome di fantasia), ma si sa anche di storie d’amore risbocciate fra partner di vecchia data che avevano ripreso ignari a corteggiarsi, sotto altro nome, riscegliendosi inesorabilmente fra sterminate nuove possibilità… 

Chissà se Zuckerberg aveva previsto almeno questo nell’inventare la sua micidiale macchina: la possibilità di moltiplicare gli scenari delle vicende sentimentali, complicarne gli strazi, pervertirne le delizie, centuplicare gli equivoci. Nell’altalenante pendolo fra virtuale e reale, se un social network non riesce a far trionfare un presidente (o viceversa a decretarne la fine) almeno produce il flusso multicolore di tante storie possibili, il grande romanzo di un’umanità chiacchierona e invadente che, minacciata dall’incomunicabilità, dalla separazione, dall’individualismo, ha trovato la via di fuga (o di salvezza, chissà) di una perenne, promiscua compagnia. 

23/07/14

I bambini di Silicon Valley (The Children of Silicon Valley) : un illuminante post di Robert P. Harrison sul mondo digitale.




Pubblico questo articolo scritto da Robert Pogue Harrison per il blog di The New York Review of Books.  E' un piccolo saggio pieno di spunti e riflessioni illuminanti sul nuovo mondo di Silicon Valley: Google, i social network, il sistema digitale che sembra aver inghiottito le nostre vite.  

The Children of Silicon Valley

Robert Pogue Harrison


In the new HBO comedy Silicon Valley, almost every new start-up representative at a high-tech conference ends his presentation with the programmatic words, “and this will make the world a better place.” When Steve Jobs sought to persuade John Sculley, the chief executive of Pepsi, to join Apple in 1983, he succeeded with an irresistible pitch: “Do you want to spend the rest of your life selling sugared water, or do you want a chance to change the world?” The day I sat down to write this article, a full-page ad for Blackberry in The New York Times featured a smiling Arianna Huffington with an oversize caption in quotes: “Don’t just take your place at the top of the world. Change the world.” A day earlier, I heard Bill Gates urge the Stanford graduating class to “change the world” through optimism and empathy. The mantra is so hackneyed by now that it’s hard to believe it still gets chanted regularly.
Our silicon age, which sees no glory in maintenance, but only in transformation and disruption, makes it extremely difficult for us to imagine how, in past eras, those who would change the world were viewed with suspicion and dread. If you loved the world; if you considered it your mortal home; if you were aware of how much effort and foresight it had cost your forebears to secure its foundations, build its institutions, and shape its culture; if you saw the world as the place of your secular afterlife, then you had good reasons to impute sinister tendencies to those who would tamper with its configuration or render it alien to you. Referring to all that happened during the “dark times” of the first half of the twentieth century, “with its political catastrophes, its moral disasters, and its astonishing development of the arts and sciences,” Hannah Arendt summarized the human cost of endless disruption:
The world becomes inhuman, inhospitable to human needs—which are the needs of mortals—when it is violently wrenched into a movement in which there is no longer any sort of permanence.
The twenty-first century has only aggravated the political, moral, social, and environmental concussions of the twentieth. There would be reason to applaud the would-be world-changers and start-up companies of Silicon Valley if they made it their business to resist or reverse this process of planetary upheaval, the way environmentalists seek to do with the wounds we have afflicted on nature. Sadly they have no such militancy in their souls, nor much thoughtfulness. With a few exceptions, our new tech armies rarely take the time to think through what they are doing. Or if they do, they tend to think in ways that only add to the turmoil and agitation.
Silicon Valley, and everything it stands for metonymically in our culture, has indeed affected billions of people around the planet. The innovations have come fast and furious, turning the past four decades into a series of “before and after” divides: before and after personal computers, before and after Google, before and after Facebook, iPhones, Twitter, and so forth. In the silicon age, “changing the world” means at bottom finding new and more ingenious ways to turn my computer or smart phone into my primary—and eventually my only—access to “reality.”
In truth Silicon Valley does not change the world as much as it changes my way of being in it, or better, of not being in it. It changes the way I think, the way I emote, and the way I interact with others. It corrodes the worldly core of my humanity, leaving me increasingly worldless. (I do not consider the Internet’s Borg collective, with its endless drone of voices, a world, any more than I consider social media a human society; those who do not see the difference have already been assimilated.) Thoreau wrote: “Be it life or death, we crave only reality.” If only that were unconditionally true. Alas, Silicon Valley has enriched its coffers thanks largely to a contrary craving in us—the craving to trade in reality for the miniature screen of the cell phone.
In “Change the World,” a splendid New Yorker article published in 2013, George Packer mentions an employee at a high-tech firm who refused to take time away from work to hear what President Obama, who was visiting the campus, had to say. “I’m making more of a difference than anybody in government could possibly make,” the employee reportedly told a colleague. There are not many places in the world—maybe only one—where an employee can expect an absurd utterance like that to be taken seriously, and where children, metaphorically speaking, believe that adults need their guidance and tutelage. Speaking of the pastoral campuses of companies like Google and Facebook, Packer writes:
A polychrome Google bike can be picked up anywhere on campus, and left anywhere, so that another employee can use it. Electric cars, kept at a charging station, allow employees to run errands.… At Facebook, employees can eat sushi or burritos, lift weights, get a haircut, have their clothes dry-cleaned, and see a dentist, all without leaving work. Apple, meanwhile, plans to spend nearly five billion dollars to build a giant, impenetrable ringed headquarters in the middle of a park that is technically part of Cupertino. These inward-looking places keep tech workers from having even accidental contact with the surrounding community.
These heterotopias, with their teenage dress codes, situate themselves neither inside nor outside the public sphere. The companies that create such “frictionless” environments for their employees expect them to have an unlimited devotion to their jobs. Almost everyone who works for one of these companies in fact overworks in optimal working conditions, at the expense of their private, social, and public lives. Villiers de L’Isle-Adam’s famous remark—“As for living, our servants will do that for us”—would make an appropriate motto for many of them.
The high-tech campus is the setting of Dave Eggers’s The Circle, which aspires to be the great dystopian novel of Silicon Valley and its dream of total connectivity. Reading this book makes one wonder whether Silicon Valley could ever inspire a good novel. It can inspire good comedy, as in Mike Judge’s HBO series Silicon Valley, whose caricatures are highly effective. People who work in Silicon Valley tend to love this show precisely because its over-the-top portrayals of the most infantile and socially dysfunctional aspects of the tech start-up culture are eerily on the mark. Silicon Valley captures a truth that masquerades as farce, yet farce and truth in this case are almost indistinguishable.
Eggers’s transpicuous allegories in The Circle have no such cutting edge. As one perceptive employee at Google remarked to me, it is hard to tell whether the novel wants to parody Silicon Valley or the clichés of its critics. Eggers is otherwise an excellent writer, which makes one wonder why this particular novel is so flat. From a literary point of view it seems colonized by the totalitarianism of transparency that its fictional high-tech company, with its presumptions of a higher moral mission, seeks to impose on its workers, and on the world at large, which of course it wants to change. Eggers’s story suffers from a similar syndrome as its protagonist, Mae Holland, a young college graduate who lands a desirable job at The Circle. She believes that her life is full of excitement, yet in truth the more engrossed she is in her work the more vapid she gets. When Mae’s childhood friend Mercer chides her at a family gathering for not being able to tear herself away from her cell phone, he infuriates her by pointing out something she refuses to believe: “Mae, do you realize how incredibly boring you’ve become?”
It’s not Mae’s fault. Becoming a boring human being is the fate of most people who keep the tech economy’s lights burning deep into the night. These industries may be among the most vibrant and dynamic in the world, yet those inside the hive are among the most tedious people in the room, endlessly plugging into their prosthetic devices. The bad news is that their employers excel at finding ways to make those devices, in their continuously updating versions, universally available.
You shall know them by their fruits, Jesus says in Matthew 7:16. From the point of view of the world we share in common, the fruits in question are altogether tasteless. I have seen young teenagers who just yesterday were ebullient, verbal, interactive, and full of personality turn into aphasic zombies within three months of getting a smart phone or an iPad. The new wine is dying on the vine, and Dionysos, the telluric god of ecstasy, is nowhere in sight. It is unlikely that the next big digital innovation will lure him back.

14/10/13

Bauman a Milano: La felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli.




"Devo deludervi, non sono un guru", ha esordito Zygmunt Bauman, aprendo il suo intervento milanese a Meet The Media Guru: "non vi dirò come condurre la vostra vita". La conferenza di Bauman, uno dei maggiori pensatori viventi, ha toccato molti aspetti centrali della nostra condizione di esseri umani, a cominciare dal rapporto con la vita digitale. Secondo il sociologo, la nostra esistenza ha conosciuto, con la rivoluzione digitale, l'impatto con una divisione, quella tra online e offline, che ci ha imposto di vivere allo stesso tempo in due differenti dimensioni. In questo contesto, i bambini incontrano Internet ormai già a 4 anni e crescono senza nemmeno poter immaginare che la connessione al Web possa non esserci, tanto il nostro rapporto con la vita online è diventato stretto. La Rete, per Bauman, è parte del progresso, ma porta con sé anche un numero di "perdite collaterali". L'automatizzazione del lavoro, ad esempio, causa diminuzione di posti di lavoro "umani" sia nell'industria pesante che nel lavoro intellettuale, ha puntualizzato Bauman: "i server stanno immagazzinando la nostra conoscenza e la nostra capacità di memorizzare sta scomparendo".

Per esemplificare questa dicotomia tra guadagno e perdita dovuta al progresso, Bauman ha citato Mark Zuckerberg e l'incredibile successo di Facebook: il social network ha intercettato la nostra paura di non essere visti ed essere soli e ha fondato il suo successo sull'allontanamento di questa paura: "il fondamento delle relazioni online è la soddisfazione", ha specificato Bauman, "e le relazioni diventano estremamente fragili". Facebook ci dà un "gadget" che ci fa credere di poter incontrare 500 amici in un giorno stesso, "io non sono riuscito a farne altrettanti in 80 anni di vita", ha scherzato Bauman. "Il problema con Facebook e gli altri social network è che promettono esattamente quello che il progresso promette: rendere la nostra vita più semplice". Questo meccanismo si presenta anche nella gestione delle relazioni umane e sentimentali. Per Bauman, i social media servono, ad esempio, a rendere semplice la conclusione della relazione con un'altra persona, superando le dinamiche del mondo "offline". Ma siamo davvero felici di questa possibilità? Per Bauman la risposta è no: "la felicità non è evitare i problemi, la felicità è superarli".

La Rete, però, nella visione di Bauman porta con sé anche vantaggi, come la disponibilità quasi infinita di conoscenza: "con un click, Google ci presenta due milioni di risposte, un numero che non potremmo consultare nemmeno in tutta la nostra vita". Anche questo aspetto, però, ha un prezzo: l'impazienza e la perdita della capacità di conservare conoscenza "dentro di noi". Sono i server a conservare il nostro sapere, noi possiamo solo consultarlo e questo "avrà un effetto negativo sulla nostra creatività".

Per Zygmunt Bauman, Internet ci fa vivere "senza rischi", consentendoci di relazionarci solo con persone che la pensano come noi e condividono il nostro punto di vista: "le persone diventano così nostri specchi", ha spiegato Bauman; in caso contrario, "clicchiamo il tasto 'delete' e passiamo a un altro sito". Ma come uscire da questa condizione? Per l'autore della "vita liquida" una risposta è piuttosto ovvia: "parlando gli uni con gli altri e dimostrando interesse nel dialogo" per mantenere vivo l'interesse nei confronti di chi la pensa in modo diverso, evitando opinioni preconcette. La seconda soluzione è "essere aperti", dando inizio a un dialogo tenendo viva la possibilità che le nostre opinioni possano essere sbagliate. La terza possibilità è la cooperazione: "il dialogo non deve servire a far prevalere il nostro ego", ha spiegato Bauman, "perché nel dialogo con il diverso non devono esserci né vincitori, né vinti". Queste "arti" sono messe a repentaglio da Internet, nella visione di Bauman. Allo stato delle cose, riscoprire queste capacità di dialogo nei confronti del diverso è una questione "di vita o di morte" per il nostro futuro perché, ha chiosato Bauman, "Il futuro non esiste, il futuro va creato".

12/12/12

75.000 visite per il Blog di Fabrizio Falconi.






Vorrei ringraziarvi tutti, per aver raggiunto - in così poco tempo - la cifra ragguardevole di 75.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio mira a rivolgersi, con umiltà, dal basso, alle cose vere e importanti delle quali spesso non ci occupiamo, troppo presi a fare altro

Ma sempre più è diventato anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno, insieme alla vita che viviamo.

Grazie.

Fabrizio

17/09/12

Radio: "Eta beta", una nuova imperdibile trasmissione.




Eta Beta come il curioso personaggio dei fumetti arrivato dal futuro, con la testa grossa e il corpo snello, metafora di tutti coloro a caccia delle idee che stanno cambiando il mondo. 

Ma anche come “età della beta”, il nome della versione di prova che gli innovatori lanciano nella rete per testare le loro idee creative. 

O come la seconda lettera dell'alfabeto greco, che segna l'avvio di un nuovo inizio. 

Eta Beta e’ il nuovo programma di Radio1, ideato e condotto da Massimo Cerofolini, in onda il sabato alle 23.35, con il podcast in mp3 sul sito www.etabeta.rai.it, dedicato ai fermenti innovativi che si stanno affermando in tutti i campi: dal web alla scienza, dall’economia alla societa’, dalla cultura al linguaggio, dal cibo alla spiritualità, dallo sport al tempo libero.

In ogni puntata, l'analisi sulle dinamiche dei mutamenti in corso, le occasioni e i chiaroscuri, le difficolta’ di gestire i ritmi con cui cambia la vita intorno a noi. 

Spazio soprattutto alle voci dei giovani creativi, alle start up che propongono servizi e modalita’ nuove del vivere, alle esperienze di condivisione e comunione, a tutti coloro che cercano di comprendere quale umanita’ stia nascendo da questa grande trasformazione. 

Nella prima puntata l’approfondimento è sulle nanotecnologie, al centro della Conferenza mondiale sulle scienze aperta domenica 16 settembre a Venezia, con i fisici Roberto Cingolani, Alessandro Patelli e Andrea Di Falco, ricercatore della “materia invisibile”. Si parla anche della “Social media week” di Torino e del nuovo social network Path, l’antifacebook che limita gli amici a un numero ristretto, con il filosofo della scienza Maurizio Ferraris.

Infine la start up in primo piano è risparmiosuper.it. Per restare informati e ricevere i file audio tutte le settimane c'è anche un profilo facebook, accessibile dal sito del programma.

11/08/12

La scala dell'Universo - un meraviglioso sito.





E' un meraviglioso sito - ormai tra i più cliccati della rete - e nasce da una geniale idea di due ragazzi Cary e Michael Huang che hanno creato un mezzo sorprendente, rapido ed efficace per darci conto della immensa complessità nella quale è calata la nostra vita, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo. 

Con un semplice movimento del vostro mouse è possibile compiere un viaggio nel nostro intero universo tra pianeti, batteri, monumenti, galassie, animali e atomi. 

Sembra un gioco, ma il tutto è perfettamente rispondente alle attuali conoscenze scientifiche. E se vi va, potrete spingervi fino all'estremo large del nostro universo - ma chissà cosa c'è oltre - e fino all'estremo small della nostra realtà sub-atomica che ci porta ad un altrettanto inconoscibile mistero su cosa vi sia... oltre.

E' una bella lezione di umiltà (e di conoscenza). Buon viaggio, allora.

Cliccate qui:

http://scaleofuniverse.com/

23/01/09

Benedetto XVI - Internet, un vero dono per l'Umanità.


Le tecnologie digitali sono "un vero dono per l'umanità", ma sarebbe "un grave danno" se non fossero accessibili a tutti, e specialmente ai più poveri e agli emarginati: lo ha detto Benedetto XVI nel suo messaggio per la 43esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.

"E' gratificante - afferma il Papa - vedere l'emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti. Ci si deve tuttavia preoccupare - avverte - di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti.

Sarebbe un grave danno per il futuro dell'umanità - ha insistito - se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell'informazione e della socializzazione umana".

Nel discorso del Papa c'é anche un appello alla responsabilità e al rispetto della "dignità e del valore della persona umana" su internet, con chiaro riferimento alla pornografia e alle incitazioni all'odio e alla violenza. "Coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media - ha detto nel suo messaggio - non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l'essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l'odio e l'intolleranza, svilisce la bellezza e l'intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi".

Un richiamo anche al rispetto tra culture e religioni diverse, ormai tutte parte "della nuova arena digitale", tra le quali internet può favorire l'incontro, che deve essere però basato su "forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso". Occorre poi - aggiunge il pontefice - "non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l'esperienza soggettiva soppianta la verità".

Benedetto XVI invita a cogliere le grandi opportunita' positive offerte da Internet ma invita anche ad "essere attenti a non banalizzare il concetto e l'esperienza dell'amicizia". Il rischio non e' solo quello di favorire "passeggere, superficiali relazioni" che porterebbero a svilire il valore dell'amicizia che il Pontefice considera "un grande bene umano che sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso: gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l'un l'altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunita' umana".

Soprattutto occorre evitare, spiega, il rischio dell'alienazione: "quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza e' che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale". "Cio' - rileva il Pontefice - finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano".

"Sarebbe triste - scrive nel messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali - se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a
spese della disponibilita' per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realta' di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero".



fonte: ANSA e AGI


.

20/05/08

André Glucksmann - Elogio del relativismo.



Ho letto di recente una intervista ad André Glucksmann e a suo figlio Raphael. Insieme, il filosofo (ex nouveau philosophe) e il figlio giornalista, hanno scritto un libro: Sessantotto, dialogo tra un padre e un figlio su una stagione mai finita, edito ora anche in Italia da Piemme.

Vi si trovano, in questa intervista, considerazioni ad ampio raggio sullo stato del mondo, della crisi delle religioni, e sull’etica. Alcune vale la pena di riportarle.

Domanda: Se non esiste più una fede politica e Dio – l’ha scritto lei – l’abbiamo ucciso in questa epoca per la terza volta, dove si va ?

E’ la domanda posta a Glucksmann padre, che risponde:

“Siamo in pieno relativismo, e non è detto che sia un disastro. Infatti io farei una distinzione tra relativismo e nichilismo, cosa che non fa per esempio Benedetto XVI. Il relativismo è rinunciare a imporre a tutti un’idea di bene comune, e questo è il laicismo che ha posto fine alle guerre. Il nichilismo è la negazione dell’esistenza del male, e porta alle stragi.”

Dal canto suo, Raphael, aggiunge:

“ Siamo in una situazione simile a quella del Rinascimento: non c’è più niente dietro e niente davanti, ma questo rende il mondo molto dinamico. Internet, i blog, You Tube e My Space, tutto orizzontale, non esistono più gerarchie. Ci possono ancora essere credenti, ma non chiese. Io non ho nostalgia dei padri.”

Tutto bene, tutto chiaro. Ma qualche domanda sorge spontanea.

1. Se il relativismo è cosa buona e giusta. E quindi bisogna rinunciare a imporre un’idea di bene comune, come faremo a non negare l’esistenza del male ? Cioè come potremo definire il male, se non esiste più un’idea di bene comune ? Cos’è il male, allora: una sensazione individuale ? Anche il male è relativo ?
2. Non c’è dubbio come dice Raphael che siamo in un mondo molto dinamico. Ma tutto questo dinamismo dove sta portando ? Sta portando a una rinascita delle arti e delle culture come avvenne nel Rinascimento ? O sta invece portando a una deriva ?

3. Siamo proprio sicuri che non esistano più gerarchie ? Il fatto che nel mondo il web abbia aperto nuove frontiere e milioni di persone ne facciano uso vuol dire che non ci siano più pochi potenti – sempre di meno – o potentati che governano le cose e i gusti del mondo e determinano le gerarchie ?

sito della Piemme: www.edizpiemme.it