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16/02/13

Claudio Magris sulle dimissioni del Papa.



Vi riporto l'articolo di Claudio Magris, comparso sul Corriere della Sera il 13 febbraio 2013, sulle dimissioni del Pontefice. 


QUANDO IL NO SERVE AD AFFERMARE LA LIBERTÀ E LA DIGNITÀ DELLA PERSONA

È più facile prendere che lasciare, dire di sì che dire di no. Quasi tutto ci spinge, quasi sempre, a dire di sì dinanzi a ciò che ci viene offerto e alla condizione in cui ci troviamo: la paura di offendere o di far restar male qualcuno, il timore di rimanere fuori gioco, lo sgomento davanti a cambiamenti della nostra vita, antichi e radicati imperativi morali, spesso sacrosanti, che impongono il dovere di agire, di combattere, di restare al proprio posto come i capitani di Conrad al comando di una nave in gran tempesta. È dunque comprensibile che il grande e fermo no detto da Benedetto XVI abbia sconcertato tante persone, fedeli e no, prese alla sprovvista da una rinuncia alla più alta carica e responsabilità del mondo. È comprensibile che ci sia chi ammiri e chi deplori la risoluta decisione del Papa, anche se il legittimo sentimento di consenso o di smarrimento non autorizza nessuno ad ergersi comodamente e arrogantemente a giudice di quella drammatica risoluzione, sofferta ma portata con straordinaria fermezza, una fermezza che forse mai prima questo Pontefice, problematico e talora esitante, aveva dimostrato con altrettanta intensità.


È più facile, in generale, dire di sì, esplicitamente dinanzi a una nuova richiesta o implicitamente restando nella condizione in cui ci si trova. Ma è soprattutto con il no che si affermano la libertà e la dignità di un individuo: rifiutare e dunque mutare ciò che appare immutabile, sfatare la pretesa di ogni situazione consolidata che si crede salda e indiscutibile, non bruciare l'incenso agli idoli, talora mascherati da dei. Il gesto di Joseph Ratzinger è certo un gesto rivoluzionario, che stravolge le regole, le consuetudini e le aspettative felpate e prudentissime della Curia romana, cautele circospette radicate nei secoli e divenute talora Dna, spesso stampate nei lineamenti e nelle facce ineffabili di molti suoi alti e interscambiabili esponenti. Prendere atto, apertamente, di una propria debolezza e inadeguatezza è una delle più alte prove di libertà e di intelligenza. Lukács, il filosofo marxista, non è forse mai stato così grande come quando, ultraottantenne, si è dichiarato incompetente a giudicare l'opera che stava scrivendo e l'ha affidata ai suoi scolari. Il vecchio eschimese che, sentendosi inutile, lascia l'igloo e sparisce nella notte artica dimostra una lucidità e una forza superiori a quelle dei suoi compagni. Proprio per questo, c'è chi sostiene che Benedetto XVI avrebbe potuto - secondo alcuni, dovuto - restare al suo posto, per il bene di tutti. Ma ci si può sostituire a chi vive quel dramma, sul quale noi tranquillamente dissertiamo? Sostituirsi a chi sente nelle sue vene, nelle sue fibre, nelle sue fantasie anche fugaci prima ancora che nei suoi articolati pensieri la propria forza o la propria debolezza e avverte nel suo respiro, nel suo sudore la realtà della sua vita?

Come ha ineguagliabilmente chiarito Max Weber, c'è un'etica della convinzione e c'è un'etica della responsabilità. La prima impone di agire secondo principi assoluti, non discutibili: se sta scritto «non uccidere», non si snuda la spada, qualsiasi cosa possa accadere. La seconda impone di agire pensando alle sue conseguenze: se nessuno avesse snudato la spada davanti a Hitler, bombardando e uccidendo pure tanti innocenti bambini tedeschi, il nazismo sarebbe stato padrone del mondo e Auschwitz sarebbe stata la regola. Entrambe le etiche sono altissime ed entrambe possono degenerare, rispettivamente nel cieco fanatismo impermeabile alla realtà e nella giustificazione di ogni compromesso.

Non sappiamo se Ratzinger abbia agito secondo l'etica della convinzione o secondo quella della responsabilità, ritenendosi inadeguato - cosa più che comprensibile per un uomo della sua età cui il vicariato di Cristo non risparmia alcun decadimento comune a tutti gli uomini - a guidare la Chiesa. Se è così, ha fatto il suo dovere, cosa che era difficile fare. Si possono avanzare tutte le illazioni possibili sui fattori che possono averlo spinto a quella decisione: qualche imminente grave crisi della Chiesa che egli non si sentiva capace di dominare, amarezze, incomprensioni o peggio subite da chi gli stava intorno o chissà quali altri motivi. Ma sulle illazioni, finché restano tali, non si può fondare alcun giudizio. Certo la sua rinuncia al soglio supremo fa specie soprattutto in Italia in cui non c'è quasi nessuno capace di rinunciare al più misero seggiolino - forse perché quel seggiolino è la sua unica realtà, è tutto il suo Io, che senza il seggiolino o la seggetta svapora come un cattivo odore, mentre Joseph Ratzinger non è solo un Papa, è - prima ancora - Joseph Ratzinger.

Il suo gesto rende concreta, umana, la figura di chi si proclama vicario di Cristo ma non per questo, nella dura e opaca vita d'ogni giorno, ne sa più degli altri. Ha portato due croci, due destini pesanti. Il primo è stato il percorso che lo ha condotto, da innovatore fra i più audaci all'inizio del Concilio Vaticano II - fortemente avversato, come altri cardinali e vescovi tedeschi, da conservatori della Curia come Ottaviani - a un ruolo che, soprattutto grazie alle semplificazioni mediatiche, lo ha fatto apparire, per lo più ingiustamente, un conservatore retrogrado. Ha vissuto il doloroso dramma di chi apre arditamente una porta al nuovo e, turbato da tante cose confuse e cattive che si mescolano alla bontà del nuovo, si trova spinto a chiudere quella porta, come un insegnante che giustamente faccia leggere ai suoi allievi Baudelaire o de Quincey e poi, vedendo che molti goffamente si ubriacano di assenzio e di oppio, toglie quelle letture dal programma. È divenuto, ingiustamente, bersaglio di tanti stolti e supponenti dileggi, un bersaglio obbligato del tiro a segno nel grande circo in cui viviamo. È stato ad esempio fischiato e vilipeso per la sua contrarietà al matrimonio omosessuale, ma i suoi fischiatori, stranamente, non sono andati a fare pernacchie e a tirare uova marce alle finestre delle ambasciate di Paesi in cui gli omosessuali vengono decapitati. È divenuto Papa e sul suo pontificato sarà la Storia a giudicare.

Ma si vedeva subito che non era felice di fare il Papa, diversamente dal suo predecessore. Non era, non è a suo agio in quel ruolo, che probabilmente esige una vitalità diversa, una sanguigna e brusca capacità di scuotere la polvere degli eventi dai propri calzari, cosa che era naturale a Giovanni Paolo II, che poteva soffrire - e ha sofferto molto - ma non dava mai l'impressione di essere a disagio. Negli stessi panni, Joseph Ratzinger si è trovato invece forse a disagio e perciò ha dato talora l'impressione di essere indeciso e soprattutto di soffrire troppo il peso della sua responsabilità, cosa che non è sempre un bene per chi esercita il potere.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo e di poter parlare liberamente con lui, in un'udienza privata, in occasione della pubblicazione del secondo volume - il più grande - del suo Gesù di Nazaret , che avevo presentato a Roma la sera prima. C'era un'atmosfera di tristezza, nell'aria ovattata di quelle splendide sale e corridoi; dava l'idea di una dorata prigionia. Abbiamo parlato, in italiano e in tedesco, di città care ad entrambi, come Monaco o Regensburg, e di alcuni passi straordinari di quel suo libro su Gesù, ad esempio là dove egli dice, con grande coraggio, che la vita eterna non è una specie di tempo infinitamente prolungato bensì la vita autentica e piena di significato, il kairòs greco, l'istante assoluto della verità. «Ma allora - mi disse quasi con incantevole ingenuità - Lei ha veramente letto il mio libro!», al che gli risposi che non ero un impostore e che, in ogni caso, se proprio avessi deciso di imbrogliare, non avrei scelto per questo il suo libro. Forse l'altissimo ufficio non si confà alla sua natura. Se è così, il suo gesto di rinuncia è anche un riappropriarsi della propria persona, un gesto di libertà che come pochi altri fa di un Papa un uomo, secondo il detto di Shakespeare, che esorta, qualsiasi cosa si faccia, a farla secondo la propria natura.

Claudio Magris

12/02/13

Le dimissioni di Benedetto XVI - Una riflessione di fr. MichaelDavide Semeraro.




Vi riporto qui una riflessione di fr. MichaelDavide Semeraro sulle clamorose dimissioni di Benedetto XVI. 


Tantum aurora est! 
Le dimissioni di Benedetto XVI

L’annuncio così semplice e scarno delle dimissioni del Vescovo di Roma ha scosso l’opinione pubblica, ma soprattutto ha zittito i nostri ambienti ecclesiali troppo abituati – sarebbe meglio dire rassegnati – al fatto che non ci si possa più aspettare nulla di nuovo. È successo qualcosa di molto simile a ciò che avvenne nella sagrestia della Basilica di San Paolo quando Giovanni XXIII annunciò – più di cinquant’anni fa – l’indizione del Concilio Vaticano II creando non poco subbuglio tra i prelati presenti e tra quelli di tutto il mondo. 

Eppure quell’annuncio, tanto inaspettato quanto profondamente atteso, è stato capace di ridare a molti credenti la speranza di poter ritrovare le vie di una doppia fedeltà al Vangelo eterno che è Cristo Signore e al suo incarnarsi nella concretezza mutevole e amabilissima della storia.

Il gesto tanto inatteso quanto profondamente gradito di Benedetto XVI di rinunciare al suo ministero di Vescovo di Roma, ci stupisce nel senso più bello e profondo del termine. Infatti, questo gesto rompe le nostre abitudini a non aspettarci più nulla e a rinchiuderci in una sorta di pessimismo spirituale che si fa, troppo facilmente, abitudine ad una critica che talora, senza volerlo, rischia di cedere alla lamentela. Invece no, aldilà, anzi al cuore stesso delle nostre fragilità personali ed ecclesiale vi è una dynamis che continua a far crescere la Chiesa come segno, sacramento e primizia di un’umanità in cammino di cui i credenti, non solo sono parte, ma di cui sono appassionati artefici.

Il motivo per cui Giovanni XXIII sentì l’ispirazione di indire il Concilio Vaticano II fu proprio il bisogno di ritrovare la strada di una co-spirazione profonda tra la Chiesa e il mondo contemporaneo rinunciando così all’idea di essere il modello stabile e immobile di un mondo che rischia di non esistere se non tra la polvere delle biblioteche e degli archivi. Così pure il motivo per cui Benedetto XVI ha scelto di lasciare il posto di nocchiero della barca di Pietro è proprio l’umile riconoscimento che il mare in cui questa barca deve gioiosamente e seriamente navigare si è fatto ancora più vasto e, per questo, attraversato da correnti diverse. 


Casualmente la Liturgia del giorno in cui Benedetto XVI ha annunciato le sue dimissioni ci offriva come testo l’inizio della Genesi: In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gn, 1, 1-2). Quasi un monito per ricordarci che se noi siamo parte di questa creazione voluta e amata da Dio, al contempo essa è il frutto di un amore e di una forza che ci precedono sempre e sono capaci di portarci più lontano poiché lo spirito di Dio non smette di aleggiare e di gonfiare le vele della storia e, prime fra tutte, le purpuree vele della Chiesa di Cristo tinte dal sangue dei martiri di ogni tempo.


Il Vescovo di Roma si ritira nella preghiera e, come tutti, accetta di prepararsi alla morte raccogliendo il frutto delle sue fatiche e riposandosi come ogni uomo della sua età. Come tutti anche il Papa ha diritto a giorni tranquilli che siano intensamente segnati da una tenerezza donata e ricevuta senza che questa divenga un alibi per permettere ad altri di abusare della fragilità e della debolezza. In questi anni abbiamo visto il Vescovo di Roma sopravvestirsi sempre di più creando non poco imbarazzo per il ritorno di simboli e forme di cui sembravamo esserci liberati per sempre. All’imbarazzo oggi segue uno stupore grato perché Benedetto XVI consegnerà il servizio del ministero petrino al suo successore in punta di piedi e senza i consueti faraonici funerali papali in cui sopravvivono ancora simboli estranei allo spirito del Vangelo e al ministero proprio del Servo dei servi di Dio. 


Nello stesso anno in cui ricordiamo il 1700° anniversario dell’Editto di Costantino, con tutto ciò che ha significato per la storia della Chiesa, un Papa riconosce con semplicità di essere come tutti: chiamato ad un grande servizio che non lo rende immune da nessuna debolezza e che lo obbliga a riprendere il suo posto tra i servi inutili così necessari di cui ci parla il Signore Gesù nel Vangelo.


Come qualcuno ha già ricordato in queste ore, i gesti valgono più di tanti discorsi e persino talora sono capaci di dare ali alla storia più di mille documenti ed esortazioni. Il gesto di Benedetto XVI apre il cuore allo stupore: la Chiesa è in cammino e i suoi passi sono guidati da Altro. Come ricordava e si augurava Giovanni XXIII inaugurando il Concilio Vaticano II tantum aurora est di una comprensione più evangelica e incarnata del Vangelo. Siamo solo agli inizi, ma il gesto di Benedetto XVI ci conforta del fatto che stiamo camminando. Ci sono dei gesti da cui non si torna più indietro e quello di ieri è uno di questi: tutto non è più come prima e non solo per il Papa di Roma, ma per tutti!

26/10/12

31 ottobre: La Cappella Sistina compie 500 anni




Capolavoro assoluto di tutti i tempi, "lucerna dell'arte nostra", come la defini' Giorgio Vasari, ancora oggi meta (ogni anno) di 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo (e che ne mettono a rischio l'integrita'), la Cappella Sistina  (QUI IL SITO CON LA VISITA VIRTUALE), celebra il 31 ottobre i 500 anni dallo svelamento degli affreschi della volta. Il pontefice Giulio II della Rovere, che l'aveva commissionata a Michelangelo Buonarroti nel 1508, dovette aspettare ben 4 anni prima di ammirare quell'immane, insuperata opera popolata di centinaia di figure e scene delle Scritture, capaci di rivoluzionare la storia dell'arte influenzandola per secoli.

Solo nell'agosto del 1511, il 'papa guerriero' era riuscito a compiere una parziale visione degli affreschi, che andavano a sostituire nella volta della Sistina il magnifico cielo stellato dipinto da Pier Matteo d'Amelia, di certo ispirato dalla padovana Cappella degli Scrovegni. Una meraviglia che perfettamente si armonizzava con le decorazioni volute Sisto IV, anche lui un della Rovere, che aveva fatto edificare tra il 1477 e il 1483 la Cappella. A tal scopo erano stati chiamati i maestri indiscussi del '400 italiano da Botticelli al Ghirlandaio, da Signorelli a Perugino, il quale coordino' il lavoro dei ponteggi e realizzo' per la parete dell'altare 'La Nativita' di Cristo' e 'Mose' salvato dalle acque', nonche' la pala dell'Assunta.

La nuova commessa di Giulio II si rese necessaria per la grande crepa che si era prodotta sulla volta per un inclinamento della parete meridionale. Vasari racconta che fu proprio il Bramante, uno dei maggiori sostenitori di Raffaello Sanzio, a suggerire al pontefice il nome di Michelangelo, conosciuto soprattutto come scultore. Tra il Buonarroti e il genio urbinate si stava consumando un'aperta rivalita', e il primo architetto del papa, sicuro che Michelangelo non sarebbe stato in grado di eguagliare i capolavori di Raffaello, secondo l'autore delle Vite trovo' questo espediente per "levarselo dinanzi".

Anche per la soluzione di mettere a punto dei ponteggi idonei a quell'impresa (la volta e' a 20 metri da terra), Bramante elargi' consigli dubbi, tali da danneggiare lo stesso edificio. Capita l'antifona, prosegue il Vasari, l'artista fiorentino decise di costruirsi da solo l'impalcatura e affronto' quell'immane lavoro con pochi collaboratori fidatissimi. I problemi arrivarono subito con lo strato di intonaco steso sulla volta, che comincio' ad ammuffire perche' troppo bagnato. Michelangelo dovette rimuoverlo e ricominciare da capo, ma provo' una nuova miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jacopo l'Indaco. Questa non solo resistette alla muffa, ma entro' anche nella tradizione costruttiva italiana.

Inizialmente il Buonarroti era stato incaricato di dipingere solo dodici figure, gli Apostoli, ma presto l'impegno cambio'. Su sua richiesta, ritenendo il progetto iniziale "cosa povera", ricevette da Giulio II un secondo incarico che lasciava all'artista la piena ideazione del programma. In solitudine Michelangelo si mise all'opera e concepi' una possente architettura in cui inseri' nove Storie centrali, raffiguranti episodi della Genesi, con ai lati figure di Ignudi, a sostenere medaglioni con scene tratte dal Libro dei Re. Alla base della struttura architettonica, ecco i dodici Veggenti, Profeti e Sibille, assisi su troni monumentali contrapposti piu' in basso agli Antenati di Cristo, raffigurati nelle Vele e nelle Lunette. Nei quattro Pennacchi angolari, l'artista rappresento' infine alcuni episodi della salvazione miracolosa del popolo d'Israele.

Durante l'impresa, Michelangelo pretese che nessuno vedesse il suo capolavoro, rifiutando regolarmente le richieste di Giulio II di ammirare, insieme alla sua corte, lo stato dei lavori. Il rivale Raffaello, che in realta' ne comprendeva il genio, riusci' nel 1510 a contemplare parzialmente la prima parte degli affreschi e ne rimase cosi' colpito da inserire un ritratto di Michelangelo (l'Eraclito) nella Scuola d'Atene. E quando fu necessario smontare parte dei ponteggi, anche il papa e il suo seguito videro quello che il Buonarroti stava realizzando. 

L'artista stesso si rese conto che doveva portare delle modifiche al suo modo di dipingere.

Nelle scene del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso Terrestre e nella Creazione di Eva la raffigurazione divenne quindi piu' spoglia, con corpi piu' grandi e massicci, accentuando la grandiosita' delle immagini. Ma non cedette mai alle pressioni del pontefice per aggiungere piu' oro e decorazioni. Nel tardo pomeriggio del 31 ottobre 1512, Giulio II inauguro' la conclusione della volta della Cappella Sistina celebrando la liturgia dei Vespri alla vigilia di Ognissanti. Lo stesso gesto che per omaggio al capolavoro assoluto di Michelangelo ripetera' a 500 anni di distanza esatti papa Benedetto XVI.

30/01/12

Hans Kung: "La Chiesa è stata troppo debole con Berlusconi."


"Molti italiani si sarebbero aspettati che papa Benedetto XVI condannasse gli abusi fatti durante il governo Berlusconi, e io oggi sarei lieto se la Chiesa adesso fosse molto chiara nel suo sostegno a Monti".

Lo ha detto a Udine il teologo 'critico' e pensatore di fama internazionale Hans Kung, giunto in Friuli per ricevere il Premio Nonino 2012 nell'omonima distilleria di Percoto (Udine). 

"Oggi si vede che tutto questo sistema berlusconiano era amorale e ha condotto l'Italia alla miseria - ha proseguito Kung - ma prima il premier e' stato ricevuto con molti onori in Vaticano". 

"Dunque la Chiesa deve riflettere su cio' che ha fatto in quel periodo - ha aggiunto - sostenendo troppo Berlusconi e quindi rendendosi complice di quel sistema". 

"Dal Papa e dalla Chiesa - ha detto ancora Kung - dovrebbero ora arrivare parole incoraggianti nei confronti di Mario Monti, un uomo onesto che ha un compito difficilissimo, spero che sia coraggioso anche sulle banche e sui loro poteri". 

Il teologo Hans Kung e' il vincitore del 37/a edizione del Premio Nonino. Nel suo intervento, dopo aver ricevuto il riconoscimento dalle mani di Antonio Damasio, ha esortato nazioni e popoli a individuare "nell'epoca della globalizzazione un ethos globale"; il teologo ha anche auspicato un nuovo risorgimento per l'Italia, con "un presidente del Consiglio serio, competente, onesto con un governo non certamente di santi ma di esperti e con un parlamento dove gli onorevoli tornino ad essere onorabili". 

Kung ha parlato della necessita' di onesta' "della chiesa, di Montecitorio, del Vaticano e dell'economia". 

Secondo il pensatore l'economia ha bisogno di una "etica mondiale e, ripetendo le parole pronunciate all'Onu all'indomani dell'11 settembre, ha detto che ogni uomo va trattato umanamente e che nell'ambito del comandamento "quello che non vuoi che venga fatto a te non farlo ad altri" ha auspicato che "ogni nazione si impegni per diffondere una cultura della non violenza, della solidarieta', della tolleranza e della sincerita"'

Di fronte al monito dei politologi che prevedono per questo secolo uno scontro di civilta' bisogna contrapporre "non l'ideale utopico, ma una realistica visione della speranza - ha detto Kung -. Non c'e' pace fra nazioni se non c'e' pace fra le religioni e non c'e' pace fra religioni se no c'e' dialogo e non c'e' dialogo se non un c'e' un modello etico globale". 

Oltre a Kung sono stati conferiti il premio internazionale Nonino 2012, al poeta cinese Yang Lian, e il premio "ad un maestro del nostro tempo" allo storico inglese Michael Burleigh. Il premio Nonino Risit d'Aur 2012 e' andato invece ai contadini degli 'Orti di Gorizia' per il radicchio rosa di Gorizia.

23/01/12

Hans Kung: "Perchè dobbiamo tornare a Gesù."



Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha pubblicato un grande articolo di Hans Kung, in occasione della nuova edizione di "Essere cristiani", una delle pietre miliari della moderna teologia.  Kung rilegge qui il suo libro, criticato dalla Chiesa, alla luce delle grandi questioni dell'attualità. Ed è una lettura che vi consiglio caldamente. 

Solo seguendo il Messia si può agire, soffrire e morire in modo umano. 

Tramite il libro Essere cristiani, numerosissime persone hanno trovato il coraggio per essere dei cristiani. 

L’autore lo sa per via di innumerevoli recensioni, lettere e colloqui. Molte persone, infatti, allontanate dalla prassi e dalla predicazione di qualche grande Chiesa cristiana, cercano delle vie per restare cristiani credibili, cercano una teologia che non sia per loro astratta ed estranea al mondo, ma spieghi in modo concreto e vicino alla vita in che cosa consiste l’essere cristiani. Essere cristiani non intendeva «sedurre» le persone con la retorica o aggredirle con un tono da predica. 

Non voleva neppure fare semplicemente dei proclami, delle declamazioni o dichiarazioni in senso teologico. Intendeva motivare, spiegando che, perché e come anche una persona critica di oggi può essere responsabilmente cristiana di fronte alla sua ragione e al suo ambiente sociale. Non si trattava di un semplice adattamento allo spirito del tempo. Certo, su questioni discusse come i miracoli, la nascita verginale e la tomba vuota, l’ascensione al cielo e la discesa agli inferi, sulla prassi ecclesiale e il papato si dovevano pure assumere delle posizioni critiche. Questo, però, non per seguire una facile tendenza incline all’ostilità verso la Chiesa o al pancriticismo, bensì per purificare, a partire dal Nuovo Testamento stesso come criterio, la causa dell’essere cristiani da tutte le ideologie religiose e per presentarla in maniera credibile. 

L’originalità del libro non sta dunque nei passaggi critici, sta altrove e nell’aver fissato dei criteri che per molti rappresentano in teologia delle sfide. In Essere cristiani, infatti, ho cercato: di presentare l’intero messaggio cristiano nell’orizzonte delle odierne ideologie e religioni; di dire la verità senza riguardi di natura politico-ecclesiastica e senza curarmi di schieramenti teologici e tendenze di moda; di non partire perciò da problematiche teologiche del passato, bensì dalle questioni dell’uomo d’oggi e da qui puntare al centro della fede cristiana; di parlare nella lingua dell’uomo d’oggi, senza arcaismi biblici, ma anche senza ricorrere al gergo teologico di moda; di evidenziare ciò che è comune alle confessioni cristiane, come rinnovato appello anche all’intesa sul piano pratico-organizzativo; di dare espressione all’unità della teologia in modo tale che non possa più essere trascurato il nesso incrollabile di teoria credibile e di prassi vivibile, di religiosità personale e riforma delle istituzioni. 

A questo libro non sono mancati riconoscimenti pubblici. Inoltre è stato una opportunità anche per le Chiese e su questo piano ha parimenti incontrato vasto consenso. Tuttavia, non può essere taciuto il fatto che i membri della gerarchia tedesca e romana hanno fatto di tutto per vanificare questa opportunità. Non si sono vergognati – di fronte al successo del libro anche fra il clero – di mettere pubblicamente in dubbio, anzi di diffamare l’ortodossia dell’autore. Per nulla all’autore ha giovato l’aver dichiarato ampiamente, una volta ancora, la sua fede in Cristo nel libro Dio esiste? (1978), che apparve quattro anni dopo Essere cristiani. 

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Hans Küng

20/02/09

Hans Kung da Lucia Annunziata - Il tempo per Morire.



http://www.ildialogo.org/Allegati/HansKung08022009.mp3


Cari amici, con molto piacere vi propongo qui sopra una parte dell'intervento audio  di Hans Kung alla trasmissione di Lucia Annunziata (1/2 ora) l'8 febbraio scorso - prima, dunque della morte di Eluana - nella quale il teologo svizzero ha affrontato molti temi - innovazioni e profonde critiche del papato dell' 'amico-nemico' Joseph Ratzinger, Benedetto XVI; morale ed etica, buona morte .
Trattandosi di un raro esempio di televisione generalista di alto livello, ritengo giusto proporlo per consentire a chi l'ha perso, di recuperarlo.

24/01/09

Ultim'ora: il Papa revoca la scomunica ai Lefebvriani


Benedetto XVI ha approvato il decreto contenente la revoca della scomunica per i vescovi scismatici lefebvriani Bernard Fellay, Alfonso de Gallareta, Tissier de Mallerais e Richard Williamson incorsi nella piu' grave sanzione che puo' comminare la Chiesa per aver ricevuto l'ordinazione episcopale il 30 giugno del 1988 senza il permesso di Giovanni Paolo II.

La scomunica riguardo' anche i due vescovi consacranti, mons. Marcel Lefebvre e il brasiliano Antonio de Castro Mayer, entrambi deceduti. I seguaci di quest'ultimo sono gia' rientrati nella Chiesa Cattolica, cosi' come un gran numero di lefebvriani. A seguito dell'autorizzazione a celebrare liberamente la messa in latino firmata dal Papa nel 2007 e' venuto comunque meno il motivo fondamentale della controversia che aveva opposto l'anziano vescovo francese alla Santa Sede. Cosi' alcuni mesi fa gli stessi vescovi avevano scritto al card. Dario Castrillo Hoyos, presidente della Ecclesia Dei, chiedendogli la possibilita' di essere reintegrati in seno alla Chiesa Cattolica.

Il decreto porta la firma del prefetto della Congregazione per i vescovi, card. Giovanni Battista Re. A quanto sembra deve ancora essere trovata la forma giuridica per inserire nuovamente la Fraternita' San Pio X nella Chiesa. Ma con il decretto di revoca delle scomuniche Papa Ratzinger spiana la strada alla piena comunione e ricuce una ferita dolorosissima per tutta la Chiesa."Con questo atto - spiega il decreto - si desidera consolidare le reciproche relazioni di fiducia e intensificare e dare stabilita' ai rapporti della Fraternita' San Pio X con questa Sede Apostolica". Nelle intenzioni del Pontefice, "questo dono di pace, al termine delle celebrazioni natalizie, vuol essere anche un segno per promuovere l'unita' nella carita' della Chiesa universale e arrivare a togliere lo scandalo della divisione".

Il decretro "auspica che questo passo sia seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternita' San Pio X, testimoniando cosi' vera fedelta' e vero riconoscimento del Magistero e dell'autorita' del Papa con la prova dell'unita' visibile". "In base alle facolta' espressamente concessemi dal Santo Padre Benedetto XVI - e' la formuila usata dal card. Re nel decreto - in virtu' del presente Decreto, rimetto ai vescovi Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta la censura di scomunica latae sententiae dichiarata da questa Congregazione il primo luglio 1988, mentre dichiaro privo di effetti giuridici, a partire dall'odierna data, il Decreto a quel tempo emanato".

fonte: AGI

07/01/09

Benedetto XVI - Il Cosmo non è governato da una forza cieca.


Penso che l'intera omelia di Benedetto XVI, ieri mattina, nella Basilica Vaticana, per la Messa dell'Epifania, meriterebbe di essere letta e meditata (la trovate nella sua interezza cliccando qui ). Uno sguardo ad ampio raggio su orizzonti davvero inusuali, per un Papa. E di una ricchezza speculativa notevole. Ve ne riferisco qui di seguito una rapida sintesi, postata dall'agenzia Zenit:

Benedetto XVI ha raccolto questo martedì, solennità dell'Epifania, la lezione lasciata da Galileo Galilei al pensiero: l'universo non è governato da una forza cieca, ma dall'Amore.

Nell'omelia della Messa in cui i credenti ricordano i Magi, esperti di astronomia, giunti a Betlemme guidati da una stella, il Papa ha ricordato che nel 2009 si celebra il quarto centenario delle prime osservazioni di Galileo grazie al telescopio.

Questo anniversario ha portato l'UNESCO a proclamare l'Anno Mondiale dell'Astronomia.

Benedetto XVI ha affermato che in questo momento si verifica “una nuova fioritura” in questo campo, “grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità”.

“Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un 'libro' – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore”, ha aggiunto nella sua omelia.

Secondo questo libro, ha affermato, “è l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale”.

“Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio 'l’amor che move il sole e l’altre stelle'”.

“Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia”.

“Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore”, ha spiegato.

Per questo motivo, ha constatato, gli uomini non sono schiavi degli “elementi del cosmo”, “ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio”.

“Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, 'Parola-Ragione' che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia”.
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