Lc (7-36-8,3)
16/06/13
Cristo, il proto-femminista.
Lc (7-36-8,3)
10/03/13
Diretta dal Conclave 6./ Un Papa governatore o un Papa "pastore" e rinnovatore ?
E' questa, in fondo, la partita che si gioca nel prossimo Conclave che sta per iniziare tra poche ora.
Nel caso contrario, i tempi allungati potrebbero favorire un outsider.
28/01/13
Pietro Citati - Elogio delle Chiese silenziose e vuote.
13/12/12
Prima conosci te stesso.
07/04/12
Pasqua: l'evento della resurrezione.
13/03/12
"Quel primato degli umili che rovesciò il mondo. Perché la predicazione di Gesù si distingue da tutte le altre" di Pietro Citati.
Un bellissimo articolo oggi, di Pietro Citati, sul Corriere della Sera. Eccolo:
23/02/12
L'affidabilità storica dei Vangeli.
Capita spesso, in discussioni o convivi, di incappare nel vecchio argomento della attendibilità - vera o presunta - dei Vangeli cristiani, della loro potenzialità 'documentale'. E siccome mi accorgo della dilagante ignoranza in materia - di nozioni storiche, collegata alla perdita di radici millenarie - vorrei qui riproporre un prezioso résumé che traggo dal sito camcris e che allinea le informazioni storiche relative ai testi più famosi dell'antichità classica.
Autore - opera |
Periodo di redazione
|
Copia più antica disponibile
|
Intervallo (anni)
|
Numero di copie
|
Giulio Cesare |
100 - 44 a.C.
|
900 d.C.
|
1.000
|
10
|
Tito Livio |
59 a.C. - d.C. 17
|
20
| ||
Platone |
427 - 347 a.C.
|
900 d.C.
|
1.200
|
7
|
Cornelio Tacito (Annali) |
56 - 115 d.C.
|
1100 d.C.
|
1.000
|
< 20
|
(opere minori) |
56 - 115 d.C.
|
1000 d.C.
|
900
|
1
|
Plinio il Giovane (Storia) |
61 - 113 d.C.
|
850 d.C.
|
750
|
7
|
Tucidide (Storia) |
460 - 400 a.C.
|
900 d.C.
|
1.300
|
8
|
Svetonio (De Vita Caesarum) |
75 - 160 d.C.
|
950 d.C.
|
800
|
8
|
Erodoto (Storia) |
480 - 425 a.C.
|
900 d.C.
|
1.300
|
8
|
Orazio |
65 - 8 a.C.
|
900
| ||
Sofocle |
496 - 406 a.C.
|
1000 d.C.
|
1.400
|
193
|
Lucrezio |
95 - 55 a.C.
|
1.100
|
2
| |
Catullo |
84 - 54 a.C.
|
1550 d.C.
|
1.600
|
3
|
Euripide |
480 - 406 a.C.
|
1100 d.C.
|
1.500
|
9
|
Demostene |
383 - 322 a.C.
|
1100 d.C.
|
1.300
|
* 200
|
Aristotele |
384 - 322 a.C.
|
1100 d.C.
|
1.400
|
** 49
|
Aristofane |
450 - 385 a.C.
|
900 d.C.
|
1.200
|
10
|
Omero (Iliade) |
1100 a.C.
|
400 a.C.
|
700
|
643
|
il Nuovo Testamento |
40 - 100 d.C.
|
125 d.C.
|
25
|
> 24.000
|
* tutti dalla stessa copia |
Il numero di manoscritti del Nuovo Testamento (ben 24.000) è di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altra opera antica. Osservando questa tabella risulta anche chiaro che moltissimi documenti antichi sono stati copiati e ricopiati per secoli prima di giungere alla copia più antica in nostro possesso. Il manoscritto più antico del Nuovo Testamento, ha un intervallo di soli 25 anni dall'originale.
In conclusione, basandoci sul numero di documenti disponibili e sull'intervallo fra l'originale e la copia più antica, risulta chiaro che il Nuovo Testamento è storicamente molto più attendibile degli scritti di qualsiasi altro autore sopra menzionato.
Ma oltre all'evidenza che proviene dai manoscritti, abbiamo anche le citazioni in testi e lettere dei padri della Chiesa. Essi citano brani del Nuovo Testamento. Questa fonte esterna garantisce ulteriore sostegno all'affidabilità storica del Nuovo Testamento.
Autore |
Periodo
(dopo Cristo) |
Citazioni
| |||||
Vangeli
|
Atti
|
Lettere di Paolo
|
Lettere generali
|
Apocalisse
|
Totale
| ||
Giustino martire |
100 - 165
|
268
|
10
|
43
|
6
|
3 (+266 allusioni)
|
330
|
Ireneo |
150 - 200
|
1.038
|
194
|
499
|
23
|
65
|
1.819
|
Clemente d'Alessandria |
150 - 212
|
1.017
|
44
|
1.127
|
207
|
11
|
2.406
|
Origene |
185 - 253
|
9.231
|
349
|
7.778
|
399
|
165
|
17.922
|
Tertulliano |
160 - 220
|
3.822
|
502
|
2.609
|
120
|
205
|
7.258
|
Ippolito |
170 - 235
|
734
|
42
|
387
|
27
|
188
|
1.378
|
Eusebio di Cesarea |
260 - 340
|
3.258
|
211
|
1.592
|
88
|
27
|
5.176
|
Totali
|
19.368
|
1.352
|
14.035
|
870
|
664
|
36.289
|
21/09/11
Misericordia per tutti ?
La lettura dei brani evangelici è sempre frutto di scoperte, se soltanto si ha la pazienza e la disponibilità di ascolto. Sempre, scopriamo cose illuminanti su di noi, e sul nostro destino.
Come ognuno sa, le parole dei Vangeli sono poi anche le più abusate e le più equivocate.
Ciascuno, nel corso dei secoli le ha interpretate. E spesso anche per fini di comodo, come è ovvio.
E però ci sono cose che sono difficilmente interpretabili.
Le ultime due domeniche del tempo ordinario ci hanno sottoposto due parabole, enunciate da Gesù, che sono celebri e sono anche fonte di numerose intepretazioni.
Io credo però che certe volte basterebbe leggere con attenzione. Ascoltare e basta.
Quella di domenica scorsa è la parabola dei lavoratori della vigna. Quella che definisce l'assunto cristiano: gli ultimi saranno i primi.
Proviamo a rileggere.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)
Qui, la cosa che vorrei far notare è una, oltre al fatto indubitabile che Cristo indica un senso di giustizia molto diverso da quello degli uomini (chi arriva per ultimo ha le stesse chances di chi è arrivato per primo): e cioè che il presupposto per ottenere il denaro (la ricompensa) è LAVORARE PER LA VIGNA. Cioè, rispondere alla chiamata. Operare per aderirvi. Farlo sul serio. Poi, dice Cristo, se lo si fa per una vita intera, o se lo si capisce alla fine, poco conta. Ma non è che la porta è aperta a tutti, indistintamente. Se non si risponde alla chiamata, se non si PARTECIPA al lavoro, io credo sia molto chiaro, il denaro non arriverà. Questo è quel che dice la parabola, mi sembra.
La seconda lettura, sette giorni fa, presenta la parabola sulla restituzione del debito. Anche qui, rileggiamo.
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18,21-35)
Anche qui, la cosa che mi preme mettere in luce, è che il racconto di questa parabola, se dobbiamo far credito alle parole di Cristo nel loro senso letterale, ci dice molto chiaramente che il Regno non è aperto a tutti. Una questione che sembra contrastare molto nettamente con una versione del cristianesimo assai edulcorato che oggi sembra aver preso piede (anche in ambienti ecclesiastici, anche nelle omelie sempre più tirate via che capita di ascoltare): Cristo dice che se non si opera cristianamente, cioè come in questo caso, se si è duri di cuore, se nella vita ci si chiude avidamente agli altri, si è incapaci di perdonare il prossimo, di essere misericordiosi, NON CI SARA' NESSUNA misericordia. Il Signore della parabola, non accoglie il servo 'traditore' dicendogli: "non ti preoccupare, tutto a posto, verrai perdonato." Il padrone, quel padrone (che è il Signore) è invece durissimo: il servo ingrato viene mandato nientemeno agli aguzzini, che dovranno estirpargli il credito ricevuto. Se non fosse abbastanza chiaro, la parabola aggiunge a chiosa finale: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.
Ecco, questo è quel che dice Cristo. Poi, certo, oggi a noi fa molto comodo credere e pensare altro. Ma questo, a me non sembra affatto rispecchiare il fondamento stesso della vita cristiana così come è stato enunciato dal suo Fondatore.
Fabrizio Falconi
27/04/11
La Resurrezione ha per teatro dei dormienti ?
Esiste la teologia (indagine di Dio) delle immagini. Sicuramente uno dei casi più limpidi è quello del celebre affresco dipinto da Piero della Francesca tra il 1450 e il 1463 e conservato nel Museo Civico di San Sepolcro (per celebrare il nome stesso di quel Borgo). Una immagine nota nel mondo – secondo Aldous Huxley “il più bel dipinto del mondo” - enigmatica e complessa seppure apparentemente elementare nella sua raffigurazione. La Resurrezione di Piero offre anche a noi – specie in questo tempo Pasquale – molti motivi di riflessione e meditazione.
Innanzitutto in questa che è a tutti gli effetti una icona – cioè espressione grafica del messaggio cristiano affermato nel Vangelo – viene celebrata la Resurrezione di Gesù. Ma come noi sappiamo bene,questa scena, la scena cioè in cui Gesù si solleva dal sepolcro mortale e lo lascia, è assente nei Vangeli.
In nessuno dei quattro racconti dei Vangeli c’è descritta la scena della Resurrezione, per il semplice fatto che la scena avviene, come si direbbe oggi, senza testimoni.
Il racconto che viene fatto della Resurrezione è ‘a posteriori’: noi conosciamo la storia dal dopo, da quando cioè la Maddalena prima e i discepoli poi, recatisi al sepolcro per omaggiare il Cristo sepolto, si trovano di fronte una verità inaudita e razionalmente inaccettabile. Al punto tale che la Resurrezione del Maestro porterà, nei loro cuori oltre allo stupore, anche confusione e sconcerto.
Piero dunque immagina e descrive una scena che ‘nessuno ha mai visto’. E ciò è particolarmente simbolico anche per noi. Il Gesù che per certi versi appare trionfante, uscire dal sarcofago – il gesto del braccio sul ginocchio, il vessillo impugnato nell’altra mano, lo sguardo fisso sull’osservatore – riemerge dalla morte nel silenzio e, sembrerebbe di poter dire, nella desolazione (il panorama circostante) e nella indifferenza: i quattro soldati di guardia al sepolcro dormono infatti pesantemente. Uno, addirittura usa il marmo del sepolcro come poggiatesta (e diversi critici sostengono si tratti dell’autoritratto di Piero). Non vedono e non odono. Gli uomini sono addormentati. La terra è addormentata e oscura.
In questa ‘Terra desolata’ (Eliot), umanamente e naturalmente, prorompe l’evento misterioso e stupefacente della Resurrezione: il Cristo – vivo più che mai, il sangue ancora fuoriesce dalla ferita al costato, le guance sono di porpora – torna ad affermarsi presente nel mondo, torna come prima e diverso da prima.
Torna potremmo dire come torna ogni ricorrenza pasquale, eppure torna senza che gli uomini avvertano la sua presenza. In fondo sembra realizzarsi la profetica domanda – retorica – che il Maestro stesso aveva fatto ai discepoli poco prima di morire: “Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?” (Lc. 18,8).
Ed è piuttosto simbolico che i discepoli dormano profondamente sia nell’ultimo atto della vita terrestre di Gesù in mezzo al loro - nell’Orto di Getsemani quando Egli chiede di vegliare e loro non riescono a farlo nemmeno per un ora – sia nel primo atto della nuova vita di Gesù.
La sorte di Gesù, così come la sua venuta rivoluzionaria nella nuova veste nella quale dovrà venire per quel tempo in cui “saranno giudicati i vivi e i morti (e dunque ogni ingiustizia sarà appianata) e il suo Regno non avrà fine” ha come testimoni uomini che non hanno saputo fare di meglio che addormentarsi.
Verrà probabilmente un tempo nuovo anche per loro. E forse, quella chiamata nuova che comincia dal prodigio della Resurrezione e che scuote i discepoli a “darsi finalmente da fare” si trasmetterà ad ogni uomo. E’ il nostro compito anche oggi, sembrerebbe di poterlo dire: svegliarci da questo sonno profondo, prendere finalmente coscienza di una presenza viva, chiederci cosa vuole realmente da noi, cosa ci chiama a fare, non a sognare. Il tempo del sonno non è quello della nuova vita.
Fabrizio Falconi