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08/08/18

La serie dell'anno: "Patrick Melrose", un doloroso viaggio verso la consapevolezza.



Ecco una serie televisiva che ti apre il cuore - per chi ne ha ancora uno - come una noce. 

Patrick Melrose, appena andata in onda su Sky Atlantic, e recuperabile sul BoxSet o in streaming, è tratta dalla saga dei romanzi dello scrittore inglese Edward St Aubin (finalista del Man Booker Prize)  tra il 1992 e il 2012: cinque, come sono cinque le puntate della mini-serie. 

Si tratta della lunga tranche de vie del protagonista e come i romanzi si basa sulla vita dell'autore, cresciuto in una disfunzionale famiglia dell'alta borghesia britannica, il quale ha affrontato la morte di entrambi i genitori, problemi di alcolismo, una dipendenza da eroina, e successivamente la guarigione, il matrimonio e la paternità.

La serie è stata ideata e scritta dall'inglese David Nicholls, diretta sontuosamente da Andrew Berger per la produzione di Showtime e fortemente voluta dal carismatico Benedict Cumberbatch nei panni del protagonista.

Cinque puntate brillanti e livide, di un'ora ciascuna, in cui viene descritta senza compiacimenti e senza cadute di stile, la discesa agli inferi di Patrick, abusato da bambino dal padre-orco, un ricco e crudele aristocratico represso, con la complicità muta della disastrosa madre, in balia di alcool e psicofarmaci.

Le vicende si alternano tra la vita presente di Patrick - in lotta per liberarsi dalla dipendenza radicale dall'eroina e dall'alcool - e i frammenti agghiaccianti della vita altoborghese della sua infanzia, nel villone in Provenza, dove il padre e la madre portano il ragazzino ogni estate.

Non molto viene risparmiato allo spettatore, non certo in termini di effettacci, come oggi va molto di moda, quanto in clima di angoscia spirituale e materiale, intorno alle vicende di un bambino di dieci anni, impossibilitato a diventare un adulto responsabile e ossessionato dalla presenza-incubo dei due genitori.

La storia comincia con la telefonata che annuncia la morte del padre, dall'altra parte dell'Atlantico, in America.  Lentamente scopriamo la vita dissoluta, rovinata, consapevolmente rovinata di Patrick, il suo galleggiare sull'orlo di una impossibile normalità; i suoi anni terribili, la lotta feroce con se stesso; l'ambiente paranoico e cinico degli amici di famiglia; l'importanza di almeno due rapporti che salvano Patrick e lo guidano verso l'utopistica speranza di poter uscire fuori: l'amico e una moglie (il vero personaggio chiave della storia, nella riabilitazione alla vita, faticosissima di Patrick).

L'allestimento è da grande produzione, la regia è meravigliosamente misurata e allo stesso tempo brillante, i dialoghi sono di alto livello sempre, l'ironia e l'auto-sarcasmo percorrono tutta la vicenda attraverso la faccia, il corpo, lo stile di Cumberbatch, un attore dalle capacità espressive mostruose (come scrisse una volta Callisto Cosulich a proposito dei De Niro e Minnelli visti in New York, New York  di Scorsese), attorniato da un cast fantastico in cui spicca la grande Jennifer Jason Leigh oltre a Hugo Weaving, Indira Varma, Jessica Raine, Prasanna Puwanarajah, Pip Torrens, Anna Madeley, Allison Williams e Holliday Grainger.

Patrick Melrose conquista, turba e affascina perché è un grande racconto sulla impossibilità del perdono, sul lasciare andare, sulla consapevolezza, sul sacrificio, sulla deriva sanguinosa e sanguinaria che è generata dall'ignavia e dalla indifferenza, dalla cinica obbedienza all'egoismo.

Temi su cui è quanto mai importante riflettere oggi.

Fabrizio Falconi

riproduzione riservata



10/04/18

"Le Bureau (des Legendes)", una magnifica serie francese in onda su Sky.



Non appena terminata l'ultima scena della terza stagione di Le Bureau - Sotto copertura (Le Bureau des légendes, titolo in francese), si resta ammirati dalla capacità di scrittura e dalla realizzazione di questa serie televisiva, le cui prime puntate sono state trasmesse dal 27 aprile 2015 su Canal +, che è il canale che l'ha prodotto. 

Immaginata e scritta da Eric Rochant, Le Bureau va in onda su Sky Atlantic dal 16 gennaio 2017 ed è interamente reperibile per chi ha la funzione On Demand. 

Interpretata da un cast d'eccezione, Le Bureau racconta le vicende di Guillaume "Malotru" Debailly (impersonato da Mathieu Kassovitz), funzionario dell'intelligence francese della DGSE, che rientra a Parigi nel cosiddetto Bureau des légendes (BDL), uno dei dipartimenti della DGSE, dopo sei anni trascorsi a Damasco sotto copertura, ma, contrariamente alle norme di sicurezza, non sembra aver abbandonato l'identità con la quale ha vissuto in Siria. 

Intanto la sua amante di Damasco, Nadia el Mansur, esperta in storia e geografia, arriva a Parigi con la copertura della partecipazione a un corso universitario, per partecipare a trattative segrete fra la Russia e la Siria, dirette da Hachem Al-Khatib, e i due tornano a frequentarsi, suscitando i sospetti di Nadim, responsabile della sicurezza siriana a Parigi.

Si dipana da qui una vicenda - sempre credibile, piena di suspense ma senza mai eccedere in effetti o effettacci di sceneggiatura - dove l'umano è sempre al centro. Malatru-Kassovitz e gli altri protagonisti dell'Ufficio (Sara Giraudeau e Léa Drucker, tra gli altri protagonisti della serie) debbono e vogliono sacrificare qualcosa o molto più di qualcosa di se stessi - e dei propri destini individuali - in vista di un altro bene che è la comunità alla quale appartengono e alla quale hanno scelto di appartenere. 

Non sono eroi, non sono tanto meno campioni d'etica, sono sempre in bilico, sempre sul punto di rinnegare o tradire, sempre nel guado di dover scegliere tra mali possibili e mali minori o peggiori.  

Rochant ha creduto fino in fondo in questo progetto ed è stato ripagato da grandi ascolti e da critiche molto positive sia in patria, sia all'estero. 

E' un prodotto di alta qualità, una serie d'autore, che merita di essere vista e apprezzata fino in fondo.

Fabrizio Falconi

  

14/02/18

Martin Scorsese girerà una serie TV su Roma Antica e il giovane Giulio Cesare.


E' una notizia bomba per gli appassionati di serie TV.

Martin Scorsese ha annunciato che collaborerà con Michael Hirst, il creatore di Vikings e I Tudors per un nuovo progetto che avrà come argomento la storia di Roma Antica e in particolare della vita del giovane Giulio Cesare. 

Come è noto Scorsese ha già fatto incursioni nel mondo delle serie TV americane, innanzitutto con Boardwalk Empire – L'impero del crimine, acclamatissima e Vinyl, prodotta insieme a Mick Jagger, che invece si è tramutata in un flop.

Le riprese di  The Caesars - così si chiamerà la serie - dovrebbero partire nel 2019 in Italia.

Gli episodi andranno poi in onda nel 2020.

La serie partirà dall'ascesa al potere di Giulio Cesare. A proposito dell'ambizioso progetto, Hirst ha dichiarato: “Scorsese è molto appassionato della cultura dell’Antica Roma. Ha sempre amato questo periodo storico ed è molto preparato sull’argomento. Al telefono con Justin Pollard, il mio consulente, ha fatto molte citazioni in latino, mentre discutevano delle fonti per le storie e della poesia romana”.

Riguardo alla figura di Giulio Cesare, Michael Hirst ha aggiunto: “Nei film di solito è un uomo di mezza età alle prese con le complessità delle questioni politiche, ma quando era giovane era un uomo molto ambizioso e interessante. Molti governatori romani sono giunti al potere quando erano molto giovani e noi non abbiamo mai visto questo lato sugli schermi. È l’eccesso, la vitalità, l’energia di una cultura giovane che è stata guidata da giovani capi”.

fonte: Paramount Channel Italia

22/11/17

The Last Post - una eccellente nuova serie BBC One.




Una nuova opera per la televisione che arriva da BBC One, il primo canale della tv pubblica inglese, che ormai sforna, uno dopo l'altro, prodotti di alta o altissima qualità. 

The Last Post è andata in onda nel Regno Unito il 1o ottobre del 2017 ed è una miniserie in 6 puntate, ambientata sulla sfondo dell'Aden Emergency, una unità della Royal Military Police, distaccata nel porto di Aden, nel corno d'Africa, ultimo avamposto dell'Impero Britannico, durante gli anni '60. 

L'intera ambientazione è stata ricostruita minuziosamente in una base navale in disuso che domina la baia di Simon's Town, in Sudafrica. 

Il Capitano Joe Martin (Jeremy Naumark Jones) arriva alla base insieme alla moglie Honor (Jessie Buckley, già vista in Guerra e Pace, sempre BBC) per rimpiazzare il Capitano Nick Page, che viene assassinato proprio l'ultimo giorno di servizio.  Joe deve affrontare la rivalità del tenente Ed Laithwaite (Stephen Campbell Moore) che sperava di subentrare a Page nella linea di comando. E Honor diventa così amica della moglie Laithwaite (Jessica Raine, già vista in Fortitude). 


La vicenda si fa intricata quando viene rapito dalle forze ribelli locali - che vogliono il ritorno a casa degli Inglesi - il figlio del comandante, il maggiore Harry Markham (Ben Miles), di sei anni. 

Le trattative per la liberazione del bambino si intrecciano con le vicende claustrofobiche dei soldati nel campo base e delle loro mogli.

Ideata da Peter Moffat, la serie nel corso di sei puntate di un'ora ciascuno si fa apprezzare soprattutto per la qualità drammaturgica, l'ambientazione perfetta, e lo scavo psicologico dei personaggi, alle prese con l'eterno dissidio impulsi/regole.  

Senza compiacimenti e senza moralismi, The Last Post conduce lo spettatore dritto all'obiettivo: che è quello di intrattenere con una storia ai limiti del vero, di stampo quasi documentaristico, e di indurre una potente riflessione sulla natura ambigua umana, sempre in bilico tra ombre e possibili redenzioni.


Gli attori, tutti di scuola britannica, sono superlativi. La forza degli sceneggiatori britannici è in questo caso anche quella di guardarsi dietro, nelle zone oscure della storia (recente) dell'impero britannico: era un'altra vita e un altro mondo, una grandezza che forse suscita nostalgia, ma anche inquietudini. Anche perché molti disastri odierni trovano radici profonde nel colonialismo, e nel colonialismo britannico. 

Ma la vera particolarità della serie è di aver differenziato i piani di scrittura, mettendo in secondo piano quelli camerateschi e militareschi di solito preminenti nei film o nelle serie di guerra. Qui è decisamente più importante il lato femminile della storia. La catarsi della storia - quella scritta e quella reale - la fanno l'ingenua, pura Honor; l'inquieta Allison; la giornalista americana Martha Franklin; la musulmana Yusra: l'amore, il rifiuto, il coraggio. Di cui sono capaci le donne e che sciolgono come neve al sole i dubbi, le incertezze, le ambiguità, le piccolezze degli uomini e delle loro presunte regole. 

Fabrizio Falconi 

07/09/17

Da Stasera in TV una miniserie dedicata alla eccezionale vita (e opera) di Jack London !






Il destino eccezionale dello scrittore famoso in tutto il mondo per "Il richiamo della Foresta", "Zanna Bianca" e "Martin Eden", una delle figure americane piu' importanti del XX secolo. 

È "Jack London, un'avventura americana" la miniserie in onda in prima visione tv da giovedi' 7 settembre alle 21.10 su Rai Storia per il ciclo "a.C.d.C." con Alessandro Barbero

Nato nel 1876, sul finire della "conquista del West" e l'ingresso dell'America nell'eta' contemporanea, Jack London vive a cavallo tra questi due mondi differenti, partecipando a tutte le principali vicende politiche, sociali e culturali del tempo.

Il documentario in due episodi racconta di come la sua vita avventurosa si sia specchiata nella storia americana: crescere nei quartieri poveri con i pirati della Baia di San Francisco, scoprire il Grande Nord nella corsa all`oro del 1897, sperimentare il foto giornalismo durante il conflitto russo-giapponese e il grande terremoto e incendio del 1906 a San Francisco, e ancora l'impegno socialista e la navigazione dei mari del sud sullo "Snark"

Questa serie commemora il centenario della morte dello scrittore e, con oltre 12.000 fotografie e numerose ore di pellicola, aspira ad essere la piu' ambiziosa biografia filmata sul grande maestro del romanzo d'avventura nordamericana.

20/06/17

"Taboo", una delle serie televisive dell'Anno - imperdibile.




Taboo è decisamente una delle miserie televisive dell'anno.  Prodotta da Ridley Scott (produttore esecutiva) è ideata da Steven Knight, dall'attore Tom Hardy, che è anche il protagonista maschile e da suo padre Chips Hardy, che è anche consulente produttore. 

Di produzione britannica, la serie viene trasmessa dal 7 gennaio 2017 su BBC One nel Regno Unito, e dal 10 gennaio 2017 su FX, negli Stati Uniti. È stata rinnovata per una seconda stagione e in Italia, va in onda dal 21 aprile 2017 su Sky Atlantic. 

Di forti sapori conradiani, la serie racconta la storia dell'avventuriero James Keziah Delaney che nel 1814 torna a Londra dopo aver passato molti anni in Africa. 

Dopo i funerali del padre, morto in oscure circostanze, James eredita l'intero patrimonio assieme all'isola di Nootka, sulla costa occidentale degli Stati uniti, un territorio la cui posizione strategica conferirebbe la possibilità di commerciare con l'oriente attraverso il pacifico. 

Ben presto dovrà fare i conti con i suoi demoni ed il misterioso passato del padre, fronteggiando la potente Compagnia britannica delle Indie Orientali e la corona inglese, entrambe decise ad ottenere il possesso di Nootka tramite qualunque mezzo.



09/09/16

"The Night of" - Una splendida mini-serie HBO.



In Italia arriverà solo dal prossimo 25 novembre, trasmessa da Sky Atlantic.  Ma già da ora vi dico di appuntarvi questo appuntamento e non mancare The Night of, che davvero è una delle più belle serie di sempre. 

Per l'esattezza si tratta di una miniserie televisiva statunitense in otto puntate prodotto dalla HBO (un marchio di garanzia) e trasmessa dalla stessa emittente in America, dal 10 luglio 2016, basata sulla serie britannica Criminal Justice della BBC.

Il progetto iniziale è una idea dell'attore James Gandolfini che avrebbe dovuto esserne protagonista, con Richard Price come sceneggiatore e Steven Zaillian come regista

La morte prematura e improvvisa di James Gandolfini, avvenuta in un albergo romano il 13 giugno del 2013, ha indotto i responsabili della HBO ad abbandonare il progetto.

Che è stato ripreso qualche anno più tardi scegliendo come protagonista, al posto di Gandolfini, Robert De Niro, che ha poi rinunciato per sopravvenuti impegni, e alla fine John Turturro. 

The Night of è un classico drama in otto puntata, un giallo in piena regola, che avvince sin dal pilot iniziale.

E' la storia di un ragazzo pakistano - di buona famiglia, studente universitario - che in una notte, dopo aver preso di nascosto il taxi del padre per recarsi ad una festa di compagni di scuola, conosce una ragazza (che sale sul suo taxi credendolo in servizio) e dopo aver dormito a casa sua, si sveglia e la trova morta, uccisa da 22 coltellate.

Il ragazzo preso dal panico, scappa portandosi via il coltello con il quale lui e la ragazza hanno giocato al gioco della mano dopo essersi drogati insieme. 

Subito fermato, il ragazzo viene arrestato con l'accusa di aver ucciso la donna. 



La notte dell'agguato, un avvocato difensore d'ufficio - John Turturro - si interessa di lui dichiarandosi pronto a difenderlo. 

Da qui si dipana una lucida vicenda che vede da una parte l'odissea in carcere del ragazzo pakistano, e dall'altra, quella dell'avvocato John Stone (Turturro) alle prese con il caso, che gli viene dapprima scippato da un'avvocatessa specializzata nella difesa dei diritti umanitari e gli torna poi indietro in una serie di colpi di scena.

Solo all'ultima puntata si capirà cosa è successo quella notte nella casa della ragazza.

La serie ha ottenuto recensioni entusiastiche oltreoceano e anche in casa nostra.  In effetti la serie è un prodotto di altissima qualità dal punto di vista tecnico come spiega in questo articolo Il Post, oltre a proporre una interpretazione da Oscar di Turturro nei panni di uno dei più bei looser che si siano visti recentemente, l'avvocato squattrinato e umano, ipocrondriaco eternamente alle prese con un bruttissimo eczema. 

E' anche un ottimo poliziesco, un prodotto classico e allo stesso tempo innovativo. Un racconto che - per i suoi particolari e per la rilevanza complessiva della storia - non si dimentica facilmente.

Fabrizio Falconi 



02/06/16

"Ray Donovan", la migliore serie dell'anno - Una profonda riflessione sulla colpa.




Ray Donovan è una potente serie americana, rilasciata da Showtime su Netflix per la prima volta nel 2013, giunta alla quarta stagione. 

Il buon successo commerciale, in diversi paesi, premia una serie di grande impianto produttivo e di grande qualità. Basti pensare che nel cast ricorrono in alcuni ruoli principali mostri sacri come Jon Voight, Elliott Gould e Ann Margret, mentre il ruolo principale di Ray Donovan spetta a Liev Schreiber considerato il miglior interprete shakespeariano contemporaneo sulla scena americana. 

Il vero pregio di Ray Donovan è però la scrittura. 

Su un  canovaccio molto semplice - il faccendiere Ray Donovan risolve con abilità e destrezza i problemi di molte personalità di spicco di Los Angeles, atleti, cantanti e uomini d'affari, mentre è impelagato con enormi problemi personali - la serie costruisce un grande affresco sulla famiglia e sul senso di colpa. 

I tre fratelli Donovan infatti, Ray, Terry e Bunchy, sono cresciuti in una famiglia disastrata: il padre, Mickey (Jon Voight) è un delinquente, reduce dall'aver scontato venti anni in prigione, che ha abbandonato moglie e figli per unirsi con una donna  nera (e fare un altro figlio con lei). Nel frattempo i tre ragazzi Donovan sono stati molestati in diversi modi da un prete cattolico (i Donovan sono di origini irlandese), e tutti e tre ne hanno ricavato un trauma indelebile. 

Bunchy è quello più abusato e quello che ha riportato maggiori danni. E' una sorta di disadattato, ingenuo bambinone; Terry il secondo, è un ex pugile rimasto menomato: ora si occupa della vecchia palestra di famiglia che sostanzialmente funziona da copertura per Ray, per mascherare i suoi affari sporchi. 

Ray che è il più grande sente su di sé la responsabilità del fratello maggiore. Vorrebbe coltivare il suo ambiguo lavoro con una famiglia alto-borghese tradizionale.  Ma l'equilibrio non funziona: tutto viene via a pezzi. La giostra si frantuma quando irrompe sulla scena il redivivo padre, Mickey, che è sempre lo stesso e che è pronto nuovamente a devastare le vite dei figli. 

Tutti e tre i figli hanno sulle spalle il fardello di un gigantesco senso di colpa: quello di avere un padre come Mickey, e quello di essere stati abusati. Il macigno che sentono pesare sulla propria testa, la condanna familiare, sembra impossibile da sopportare e da cambiare.  Ma gli sforzi dei tre fratelli e soprattutto di Ray sono quasi eroici e degni di com-passione. Mickey, il padre, è il contraltare: è colui che non prova mai senso di colpa. Niente di quello che ha fatto lo mette minimamente in discussione, niente ha il potere di farlo dubitare. Niente potrà mai mutare la sua natura immutabile. 

La moralità insieme all'unione familiare, in questo caso, non è dissolta: Ray, Terry e Bunchy lottano per mantenerne viva una parvenza. Ma sono le vite individuali ad essere andate in pezzi. La vita è un mare ostile, denso di ostacoli, di difficoltà e tragedie: è una vera e propria giungla dove la priorità è sopravvivere. Per farlo bisogna affrontare i mostri del proprio senso di colpa, attraversarne le sabbie mobili, afferrarsi a quel poco di umano che resta, e che sembra l'unica salvezza. 

Fabrizio Falconi

12/08/15

Torna Twin Peaks, David Lynch e Mark Frost al lavoro !



Per qualcuno, e io sono tra questi, Twin Peaks è davvero l'inizio di tutta l'epopea della moderna serialità tv di alta qualità che rappresenta la vera novità nel linguaggio culturale dei primi anni 2000.

Farà dunque piacere ai molti appassionati di allora - e agli appassionati alle serie di oggi - questa notizia: 

Partiranno a settembre le riprese del sequel di Twin Peaks, thriller cult della Abc del 1990-91, che andrà in onda su Showtime

In pista entrambi i co-creatori della serie, David Lynch e Mark Frost, dopo il momentaneo addio al progetto da parte del regista, annunciato ad aprile via twitter con grande sconforto dei fan. 

Lo ha spiegato il presidente del gruppo Showtime, David Nevins. 

Lynch e Frost stanno scrivendo la nuova stagione, la terza, e lo stesso Lynch dirigerà tutti gli episodi.

"Non ho mai avuto dubbi sul fatto che gli avremmo fatto cambiare idea", ha commentato Nevins parlando del momentaneo forfait del regista. Superato l'intoppo relativo al numero degli episodi - "saranno piu' di nove", ha spiegato Nevins, senza specificare quanti - nel cast "ci saranno molti dei personaggi che il pubblico aspetta, ma anche sorprese"

Resta ancora un mistero la messa in onda, attesa comunque nel 2016.

18/03/15

Su "Fargo". La banalità del male è più forte del male puro.




C'è genialità nella serie televisiva Fargo, del resto dominatrice dei premi della stagione. 

Quanto ci sia dei Coen è facile arguire. Perché l'opera si riconnette direttamente alla filmografia dei fratelli di St. Louis Park e in particolare al loro film omonimo, anche se con parecchie differenze. 

La serie televisiva - in dieci puntate - è una epopea sul male. Lester Nygaard (il bravissimo Martin Freeman) è il prototipo dell'uomo medio: middle class, assicuratore, mediamente sposato senza figli, mediamente infelice. Non intelligente, ma furbo. Deciso - con la forza della disperazione - a riscattare la frustrazione che ha fatto di lui un uomo eternamente vessato. 

Il corto circuito che manda in pezzi la vita di Lester è la capacità di uccidere a sangue freddo (e con violenza inaudita, come capita molto spesso leggendo le cronache dei giornali) l'insopportabile moglie (che lo vessa continuamente e lo giudica), durante un banale litigio.

Da lì comincia una furibonda lotta di Lester contro se stesso e contro tutto il mondo.  Di guaio in guaio entra in rotta di collisione con lo spietato killer Lorne Malvo (Billy Bob Thornton), epigono del male assoluto, uomo che ha scelto convintamente il male come filosofia di vita: l'esistenza è una giungla, le regole non esistono, esiste solo la legge del più forte.  Sopravvive chi è più forte.

Lester se la cava molto bene, e a lungo, per confondere - complice anche una polizia sgangherata, con l'eccezione della poliziotta Molly (Allison Tolman) - le tracce dei suoi misfatti.  Con incredibile nonchalance viola ogni regola morale, tradisce il fratello, lo fa incarcerare, passa sopra ogni affetto e ogni norma primaria di comportamento.

Lo scopo è sopravvivere. Lo scopo è rovesciare la frustrazione e trasformarla in sopraffazione. A scapito dunque di altri frustrati.  Lester  è un ambizioso.  Rappresenta il male banale di Harendtiana memoria, quello che sembra debole e goffo, normale  e prudente e invece è il più devastante. 

La capacità del plot è nell'indurre lo spettatore a schierarsi senza alcuna esitazione dalla parte del malvagio (ma gentleman) Lorne. A indurlo a sperare che sia il male puro a spazzare via quel microbo di Lester e a dargli la punizione che merita, in virtù del patto faustiano che i due hanno stipulato (è stato Lester a chiedere l'aiuto di Lorne, nella prima puntata, perché lo tiri fuori dal casino che ha combinato).

Ma - e qui c'è una avvertenza di spoiler (chi non ha ancora visto la fine, non vada avanti) - non sarà così.  Il sottovalutato Lester - il male banale - è molto più duro a morire e più pervicace di chi è male per istinto, per purezza costitutiva. 

Ad affondare Lester (in tutti i sensi) sarà solo il destino. Il ghiaccio che si sbriciola sotto i suoi piedi e lo inghiotte è una efficace metafora del fatto che prima o poi tutti i giocolieri finiscono per cadere vittime della propria ambizione (il vero male in senso lato).   Non a caso Molly non è ambiziosa. Non è nemmeno così interessata alla carriera. Lo è nel modo giusto, sano. E' una persona che sa stare al suo posto. E' questo, forse che le permette di vedere - l'unica che riesce a vedere - quello che gli altri non vedono. 

In questo senso Fargo è una leggenda morale nera (il tocco leggiadro della narrazione la rende altamente spettacolare) che parla al cuore di ognuno di noi, costringendo a farsi continue domande: cosa si salva ? cosa resta ? perché si è così prigionieri ? perché non si sa apprezzare nulla (dei doni) dell'esistenza ? perché il nostro sistema è così disincarnato ? perché siamo sempre più soli ? perché non riusciamo più a comunicare ? perché non troviamo conforto se non nella nostra dissoluzione ?

Fabrizio Falconi 

18/09/12

Homeland - Una serie tv "dostoevskiana."




Avrà pensato a Dostoevskij lo sceneggiatore israeliano Gideon Raff che ha inventato la serie Hatufim, negli USA tradotta come Prisoners of War, che poi il canale americano Showtime ha realizzato nella nuova versione per il mercato USA e occidentale (in Italia è trasmessa dai canali Fox e Cielo).

L'interminabile messe di premi ricevuta da questa serie si giustifica con l'originalità dell'assunto e con la qualità del prodotto - che significa livello degli interpreti, messa in scena, sceneggiatura impeccabile, senza sbavature, senza nessuno di quegli effetti/orpello che di solito appesantiscono le serie tv.

Homeland parte da uno spunto molto semplice:  Nicholas Brody, un sergente dei Marine ritenuto scomparso in azione nella guerra d'Iraq, viene liberato dopo otto anni di prigionia. Una volta ritornato a casa, l'intera nazione lo elegge immediatamente eroe di guerra; Carrie Mathison, un'analista della CIA, è l'unica a credere che in realtà egli rappresenti una seria minaccia per il Paese: venuta a conoscenza del fatto che uno sconosciuto prigioniero di guerra americano era passato al servizio di al-Qaida, Carrie ritiene che quel prigioniero sia proprio Brody.

Qui siamo però ben oltre la nota paranoia americana sul nemico invisibile che minaccia la nazione, e oltre il noto stereotipo dei politici (americani) corrotti che cinicamente sfruttano queste paranoia.  

Ciò che interessa Raff e gli sceneggiatori americani sono i personaggi.  

Homeland è interamente giocata sul tema della ambiguità umana - come si vede anche dall'eloquente trailer qui sopra.   Chi tradisce ? Chi dice la verità ? Chi è contemporaneamente innocente e colpevole ? Chi si illude ? Chi crede a quel che vede ? E più in generale: dov'è il male e dove il bene ?  Chi è 'buono' può fare il male ? Chi è 'cattivo' può fare il bene ?

Homeland indaga - senza compiacimenti e senza sporcature - l'abisso del cuore umano.  Interroga profondamente lo spettatore su cosa resta, alla fine, all'estremo, nel cuore di ciascuno di noi al netto di tutti gli infingimenti, i mascheramenti, le auto-giustificazioni che ciascuno di noi si dà nel corso della propria esistenza.

Fabrizio Falconi


04/07/12

The Killing - Una grande serie tv.



Lo sostengo da tempo, la creatività visiva e narrativa contemporanea - che sembra essersi impigrita al cinema - vive un  momento di nuovo fulgore in diverse serie televisive in produzione in diverse parti del mondo.

Un esempio è The Killing, serie televisiva statunitense poliziesca prodotta dalla Fox Television Studios e dalla Fuse Entertainment per la rete televisiva via cavo AMC, che l'ha trasmessa a partire dal 3 aprile 2011 e la cui ultima puntata - della seconda serie - è andata in onda qualche giorno fa praticamente in contemporanea in USA e in Italia.

The Killing è il remake della serie televisiva danese Forbrydelsen, considerata un capolavoro e detentrice di ogni record di ascolto nella televisione di quel paese.

La serie americana, come quella danese, è incentrata sulle vicende che ruotano attorno l'omicidio di una giovane ragazza e la conseguente indagine della polizia.

Nella versione statunitense è nella nordica Seattle che una giovane ragazza, Rosie Larsen, viene trovata uccisa, chiusa nel bagagliaio di una macchina affondata in un laghetto.

La trama intreccia tre aspetti connessi all'omicidio: le indagini della detective Sarah Lindendetective del dipartimento di polizia di Seattle, silenziosa e acuta osservatrice, conduce una vita solitaria con il figlio Jack -  affiancata dal collega Stephen Holderex detective della narcotici che ha ottenuto la promozione alla squadra omicidi;  il dolore che colpisce la famiglia della vittima; e un gruppo di politici locali che rischia di vedersi compromessa la campagna elettorale. Con la prosecuzione della storia, diventa chiaro che non ci sono casualità e ognuno dei personaggi coinvolti si porta dietro un segreto che gli impedisce di poter voltare pagina. 


Sono diversi e numerosi i motivi di interesse di questa serie: la precipitazione in un gorgo progressivo che sembra ingoiare ogni barlume di umanità (di senso umano) dei personaggi coinvolti;  la pioggia battente che scende per 24 giorni consecutivi su Seattle (la capitale della cultura grunge) e l'acqua - elemento onnipresente in tutte le puntate - nella quale sembra immersa la realtà intera rappresentata (e anche il corpo della vittima);  la solitudine dei due detective, la solidarietà progressiva che si stabilisce, il faticoso rapporto di fiducia, la protezione che offre Holder (anche se per alcune puntate si è indotti a credere che anche lui sia marcio, sia dall'altra parte) alla sperduta Linden; l'assenza di erotismo (seppure sempre sottinteso), la ricerca continua del senso ultimo e minimo delle cose, dalle quali ripartire (la certezza non esiste, va ricercata nell'humus più putrescente, va ritrovata - perché esiste - nel cancellato e nel negato);  la volontà - più forte di tutto - di mantenere la barra dritta nel gorgo, nell'abisso frequentato da spettri e mistificatori; l'estrema linearità del racconto che mantiene unità narrativa e precisione di scopi (senza voli pindarici, senza sotterfugi o strizzate d'occhio allo spettatore):  insomma un gran bel lavoro che parla a noi, e proprio a noi, oggi e ci spiega (anche) da dove si può e si deve ripartire.


Fabrizio Falconi 

16/04/12

Enlightened - La serie televisiva. Spunti per l'oggi.



E' molto interessante Enlightened, la serie televisiva statunitense trasmessa dal 2011 sul canale HBO, e co-ideata ed interpretata da Laura Dern, la grande attrice americana, figlia d'arte (suo padre è Bruce Dern) divenuta 'attrice feticcio' di David Lynch.

La prima stagione, andata in onda dal 10 ottobre 2011, è composta da dieci episodi. HBO ha poi rinnovato la serie per una seconda stagione, anch'essa di dieci episodi.

L'idea di questa serie è molto originale: seguiamo infatti la storia e le peripezie di Amy Jellicoe, una dirigente aziendale di una multinazionale attiva nel settore della cosmetica che, dopo una crisi di nervi causatale dal crollo della propria vita professionale e privata, ottiene il risveglio spirituale grazie ad un percorso di riabilitazione nelle Hawaii e decide così di riprendere in mano la propria vita.

Laura Dern è impareggiabile nel rendere la velleità perfino naif della protagonista di 'cambiare il mondo', una volta tornata alla sua solita vita: cambiare un luogo di lavoro - e colleghi di lavoro - infernali.  Cambiare la madre, persa in un deliquio anaffettivo e catatonico. Cambiare il marito, dipendente dalle droghe e completamente sballato. Cambiare gli amici.
Renderli partecipi di una nuova consapevolezza maturata: cosa è veramente importante nella vita.

Naturalmente questa velleità - convincere gli altri che si è compreso il vero senso della vita, e che la vita che vivono gli altri è piena di cose false, vacue, inutili e dannose - si scontrerà contro un poderoso muro di gomma:   Amy sbaglia tutto, ovviamente, sbaglia nel modo stesso in cui pretende di convincere e di rendere consapevoli gli altri.

Ma gli altri sono impietosi.  E' davvero troppo irresistibile rovesciare in faccia a chi pretende di cambiarti la vita il tuo disprezzo, bollando questa persona  semplicemente come una pazza supponente, una pazza fuori del mondo, che non sa o non vuole rendersi conto di come va la vita. 


E' perciò molto interessante Enlightened, per le dinamiche che descrive, e che ci riguardano tutti. 

Una volta raggiunta la consapevolezza che la vita che si vive fa schifo, cosa si può fare di concreto per cambiarla ? E una volta che siamo disposti a cambiarla, come possiamo per rendere consapevoli gli altri ?

Amy è una ingenua. Ma è anche, indubbiamente, una persona di buona volontà.

I suoi metodi sono sbagliati ma non c'è dubbio che il suo fine sia autenticamente giusto. Ma .. come fare ?  E particolarmente toccanti sono le pagine del suo discorso interiore che viene recitato, in ogni puntata, dalla voce di Amy fuori campo.

Da vedere.