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22/11/14

5 domande per sapere chi sei.





Un piccolo gioco ideato da me (e a quanto pare piuttosto efficace) - per chi vuole - per saperne di più su come si è.

Domani fornirò su questo blog una chiave per interpretare le risposte.  Si tratta di rispondere semplicemente, senza starci a pensare molto, a queste 5 domande, che rappresentano un modello di aut-aut  un po' paradossale. 

Bisogna scegliere l'uno o l'altra.  Segnatevi le 5 risposte.
Domani ne parleremo. 

1.

Mozart (A) o Beethoven (B) 


2. 

La pioggia (A) o la neve (B)


3.

Esserci sempre (A) o esserci quando si può (B)


4.

Cerchio (A) o quadrato (B)


5.

Uscita (A) o entrata (B)




Fabrizio Falconi



24/01/14

"Quando non onoriamo il momento presente consentendogli di essere, creiamo il dramma." - Eckhart Tolle.




Gran parte del cosiddetto ‘male’ che avviene nella vita delle persone è dovuto all’inconsapevolezza. Si crea da solo, o, meglio, è creato dall’io. Talvolta io chiamo queste cose “dramma”. Quando siamo pienamente consapevoli, il dramma non entra più nella nostra vita. Vorrei rammentare brevemente come opera l’io e come crea il dramma.

L’io è la mente non osservata che gestisce la nostra vita quando non siamo presenti come consapevolezza testimone, come osservatori. L’io si percepisce come frammento separato in un universo ostile, senza alcuna connessione interiore con ogni altro essere, circondato da altri io che considera potenziali minacce o che cercherà di usare per i propri fini. Gli schemi fondamentali dell’io sono creati per combattere la sua radicata paura e il suo senso di mancanza. Si tratta di resistenza, dominio, potere, avidità, difesa, attacco. Alcune delle strategie dell’io sono estremamente abili, eppure non risolvono mai alcuno dei suoi problemi, semplicemente perché l’io stesso è il problema.

Quando gli io si riuniscono insieme, che si tratti di rapporti personali o di organizzazioni o istituzioni, prima o poi accade il “male”: un dramma di qualche genere, sotto forma di conflitti, problemi, lotte di potere, violenza emotiva o fisica, eccetera. Fra questi vi sono mali collettivi come guerre, genocidi e sfruttamenti, tutti dovuti all’inconsapevolezza accumulata. Inoltre molti tipi di malattie sono causati dalla resistenza continua dell’io, che crea restrizioni e blocchi nel flusso di energia attraverso il corpo. Quando ci ricolleghiamo all’Essere e non siamo più gestiti dalla nostra mente, smettiamo di creare queste cose. Non creiamo e non partecipiamo più al dramma.

Quando due o più io si uniscono insieme, ne consegue un dramma di qualche genere. Ma anche chi vive completamente solo crea il proprio dramma. Quando noi ci sentiamo dispiaciuti per noi stessi, questo è dramma. Quando ci sentiamo in colpa o in ansia, questo è dramma. Quando lasciamo che il passato o il futuro oscurino il presente, creiamo il tempo, il tempo psicologico, la sostanza di cui è fatto il dramma. 

Quando non onoriamo il momento presente consentendogli di essere, creiamo il dramma.

Quasi tutti sono innamorati del proprio dramma di vita particolare. La loro storia è la loro identità. L’io gestisce la loro vita. Vi hanno investito l’intero loro senso del sé. Perfino la loro ricerca (di solito infruttuosa) di una risposta, di una soluzione, o di una guarigione ne diventa parte. Ciò che temono e a cui resistono di più è la fine del loro dramma. Fintanto che SONO la loro mente, ciò che temono e a cui resistono di più è il loro risveglio.

Quando viviamo in completa accettazione di ciò che esiste, questa è la fine di ogni dramma della nostra vita. Nessuno può nemmeno litigare con noi, per quanto ci provi. Non possiamo litigare con una persona pienamente consapevole. Il litigio implica l’identificazione con la mente e una posizione mentale, nonché resistenza e reazione alla posizione dell’altra persona. Il risultato è che le opposte polarità si forniscono energia reciprocamente. Questa è la meccanica dell’inconsapevolezza. Possiamo ancora esprimere la nostra opinione chiaramente e fermamente, ma non vi sarà dietro nessuna forza reattiva, nessuna difesa e nessun attacco. Allora non si trasformerà in dramma. Quando siamo pienamente consapevoli, smettiamo di essere in conflitto. “Nessuno che sia in unione con se stesso può nemmeno concepire un conflitto”: questo si riferisce non soltanto al conflitto con altre persone ma fondamentalmente al conflitto dentro di noi, che viene meno quando non vi è più alcuno scontro fra le esigenze e le aspettative della mente e ciò che esiste.

Eckhart Tolle, tratto da Il potere di adesso - Armenia Editore. 


in testa: opera di Severino Del Bono.

19/02/13

Innamoramento come prova della trascendenza.




Si cercano tanto nella vita, si cercano sempre prove della trascendenza della natura umana, della sua non spiegabilità solo basata su fattori biologici.

Una di queste prove ce l'abbiamo sotto mano tutti i giorni, ed è la nostra capacità di innamorarci.

Come scrive James Hillman ne Il codice dell'Anima, la mappa amorosa può spiegare le cose visibili, come i fianchi morbidi, le automobili e i cammelli, ma l'amore si innamora anche di qualcos'altro che è invisibile. 

Diciamo: "Lui/lei ha un non so che"; "Il mondo intero cambia quando c'è lui/lei". Come pare abbia detto Flaubert: "Lei era il punto di luce sul quale convergeva la totalità delle cose."

Questo sulla mappa non c'è. Qui ci troviamo nel territorio della trascendenza, dove le realtà normali sono meno convincenti delle cose invisibili. Se mai volessimo la prova lampante dell'esistenza del daimon che chiama (cioè dell'anima), basta che ci innamoriamo una volta.

Nessun gene, nessun liquido organico riuscirà mai a spiegarci perché ci innamoriamo proprio di quella persona, e non di una delle altre migliaia che incontriamo durante la vita.

Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset dice che gli innamoramenti sono rari, se pensiamo a come è lunga la vita. L'innamoramento è un evento raro e fortuito, che colpisce a profondità incredibile.

Quando accade, accade esclusivamente per la singolarità della persona: quella persona, e non un'altra.

L'occhio dell'innamorato è capace di vedere una realtà che vede soltanto lui, e che soltanto lui riconosce come qualità invisibile dell'oggetto amato.

Servono altre prove, altre parole per rendere evidente che nell'uomo agiscono forze a lui ignote, non spiegabili e non riducibili soltanto ai meccanismi della biologia e della materia ?

Eppure oggi ci diverte molto questo gioco macabro che vuole rendere l'uomo equivalente a un pezzo di legno, o a qualsiasi altra cosa del creato.


27/01/13

Jung parla della morte





Traggo questa meritoria traduzione di questa intervista - fatta da C.G.Jung poco tempo prima di morire - da 
Il Blog di Andrea Gentile. E' una riflessione molto interessante sulla morte, che chi vuole può ascoltare direttamente sul sito soprastante e chi preferisce, può leggere qui sotto.

Intervistatore: Ricordo che una volta dicesti che la morte, a livello psicologico, è importante tanto quanto la nascita……. ma la morte è una fine?

Jung: Se la morte è una fine non si sa con certezza, perchè sappiamo che ci sono queste particolari facoltà psichiche che non sono interamente confinate in uno spazio e in un tempo; possiamo avere sogni o visioni….  e tu esisti e probabilmente sei sempre esistito. Questi fatti dimostrano che la psiche in parte non è dipendente da questi confini, e quindi se la psiche non è sotto l’obbligo di vivere solamente in uno spazio ed in un tempo (e di certo non lo è), allora è ammesso che praticamente c’è una continuazione della vita e quindi una sorta di esistenza oltre il tempo e lo spazio.

Tu credi che la morte sia una fine?

Jung: Bene, io non posso dire credo…. credere è una cosa difficle per me, io non credo, devo avere delle ipotesi, ma se lo so, non ho bisogno di crederci... quando ci sono sufficienti motivi per una certa ipotesi, io devo accettarla, potrei dire che dobbiamo riconoscere quantomeno la possibilità della sua esistenza.

Int. : (Qui c'è una domanda sulla morte come fine certa e su che visione dovrebbero avere gli anziani rispetto alla morte)

Jung: Io ho trattato molti pazienti anziani ed è molto interessante vedere come l’inconscio agisce sulla concezione della morte come apparentemente definitiva… Io penso che è meglio per le persone anziane guardare avanti al giorno successivo, come se ci fossero secoli ancora da vivere e solo così vivrà correttamente,….. se al contrario sarà spaventato e guarderà indietro si pietrificherà, si irrigidirà e morirà prima del suo tempo. Ma se guarderà avanti guardando fiducioso nella grande avventura della vita che ha davanti, allora vivrà…. e questo è il vero significato al quale tende l’inconscio. Dato che è abbastanza ovvio che moriremo tutti e questo è il triste finale di tutto….. [ anche qui c'è un passaggio che non ho ben compreso dato il suo inglese]…. Io non so perchè abbiamo bisogno di un’anima, ma preferiamo avere anche un’anima, perché in questo modo ti senti meglio, e così quando pensi in una certa maniera ti potrai considerevolmente sentire meglio….. e penso che se pensi attraverso le linee della natura, pensi correttamente!

09/03/12

Douglas Hofstadter: "La nostra anima risiede non solo nei nostri cervelli, ma anche nei cervelli di altre persone."



Niente di più scivoloso che palare di 'anima'.

Eppure, spesso abbiamo l'impressione che 'anima' non riguardi semplicemente noi stessi, non riguardi direttamente solo e semplicemente l'individualità, la singolarità umana. L'uomo è animale sociale, l'uomo è perfettamente, completamente calato nell'anima mundi. 


Nel 1979, un giovane esperto di intelligenza artificiale sorprese il mondo con un libro di enorme mole, labirintico, geniale e di immenso successo. Il libro era "Gödel, Escher e Bach" e il suo autore Douglas Hofstadter. 

Attraverso logica matematica, musica, paradossi grafici e linguistici, Hofstadter cercava di dare sostanza a un'intuizione che sembrava scandalosa: la mente umana potrebbe non essere altro che un computer, i neuroni dei semplici chip, l'intelligenza mera capacità di eseguire i programmi scritti nel cervello. 

A quasi trent'anni di distanza, molte cose sono cambiate: i computer non occupano più gli scantinati delle università ma sono in tutte le case e in tutte le tasche, e gli studi sul cervello hanno raggiunto un grado di raffinatezza quasi inimmaginabile. Eppure, resta intatto l'ultimo mistero: dove si trova e come è fatta l'anima? 

Cos'è che chiamiamo "io" quando parliamo con noi stessi? Cosa resta di noi (se resta qualcosa) dopo la nostra morte fisica? 

Nell'ultimo libro di Hofstadter, pubblicato anche in Italia, Anelli nell'Io,  Hofstadter affronta anche direttamente il tema della dolorosa perdita della moglie, che ha suscitato nuove e profonde riflessioni.  Inoltre, ritroviamo tutta la sua abilità di divulgatore, capace di spaziare dalla letteratura all'informatica, dai giochi di parole ai dibattiti più attuali della filosofia, dagli esempi più curiosi agli esperimenti mentali più originali e vividi.

15/11/11

L'anima delle donne.


Nella mia vita mi sono trovato più spesso a mio agio, compreso, stimolato, in sintonia, con donne che con uomini.

Sono convinto, da sempre, che le donne siano migliori degli uomini (anche se conosco, per fortuna, molti meravigliosi uomini, uomini veramente).

Le donne (con le dovute eccezioni) hanno meno limiti mentali, non hanno paura di sognare, e di esprimere (e spesso di inseguire con tutta la determinazione) i loro sogni. Le donne (con le dovute eccezioni) sanno ascoltare.

Le donne (con le dovute eccezioni) sono meno propense all'uso della violenza e della prevaricazione.

Sono convinto che se il mondo fosse stato governato da donne, invece che da uomini, oggi avremmo qualche milione di morti in meno e un bel po' di genocidi in meno.

Le donne (con le dovute eccezioni) sono più sagge e meno infantili degli uomini. Le donne (con le dovute eccezioni) sanno affrontare con più dignità la morte (forse perchè sono aiutate dal grande privilegio e dal grande onere di poter concedere la vita) rispetto agli uomini.

Le donne (con le dovute eccezioni) amano leggere libri (in italia leggono solo loro, gli uomini hanno medie patetiche, a livello del terzo mondo), e in genere si interessano più degli uomini di arte, di quel sentimento del  bello che rende la vita meritevole di essere vissuta.

Cosa rende la donna diversa dall'uomo ?

Diffido delle lezioni dei neuroscienziati che hanno una spiegazione per tutto, anche per quello che non conoscono.

Io credo che la differenza non sia (solo) nei geni. Penso che l'anima femminile e quella maschile siano profondamente diverse. E di questa misteriosa differenza di anime, nessuno, da questa parte della vita, può sciogliere l'arcano.

26/10/11

La morte secondo Steve Jobs. Una riflessione.




Mi ha molto colpito leggere nei giorni scorsi l'intervista realizzata dal Corriere a Walter Isaacson, l'autore della corposa biografia di Steve Jobs conclusa pochi giorni prima della sua morte, e data alle stampe a tempo di record. Mi hanno particolarmente colpito i passaggi nei quali Jobs parla a cuore aperto della morte e dell'oltremorte, dei suoi dubbi e delle sue speranze.

Riporto i passaggi salienti. 

«E' fifty-fifty" mi diceva. "Cinquanta e cinquanta. A volte credo che Dio esista. A volte no. Vorrei credere nella vita ultraterrena. Ma ho il timore che alla fine ci sia solo un tasto on-off. Un clic, la luce se ne va. E tu non ci sei più. Per questo non mi è mai piaciuto mettere tasti di accensione sui prodotti della Apple"». i tormenti di Steve Jobs, il suo interrogarsi sull'aldilà. 

È la prima intervista concessa a un giornale italiano dopo aver consegnato all'editore (in Italia Mondadori) la sua biografia del fondatore della Apple. 

Abbiamo già letto molte anticipazioni del suo libro, ma poco del temperamento irascibile di Jobs, i tratti duri del suo carattere. Quanto a Dio, l'aveva evocato parlando di musica. Lui, che aveva riempito il suo iPod coi brani di Bob Dylan, i Beatles, Joan Baez, i Rolling Stones e Yo-Yo Ma, una volta disse al violoncellista franco-cinese: «Le tue esecuzioni sono la migliore prova dell'esistenza di Dio perché non credo che un essere umano da solo possa fare tutto questo». 

«Con me Steve cominciò a parlare di Dio man mano che prendevamo confidenza e che la malattia riguadagnava terreno. Non era paura, si interrogava: "Voglio credere nella vita ultraterrena" mi diceva, "perché questo fa parte della mia formazione buddista. Tutta la saggezza che hai accumulato, la tua conoscenza non svanirà nel nulla quando tu non ci sarai più". Poi, però, veniva assalito dal dubbio che alla fine della vita ci sia solo un "off switch"». 

Credo che sia difficile, molto difficile trovare una migliore esposizione, in poche righe - S.Jobs era del resto un uomo di intelligenza superiore - dell'impasse nel quale si dibatte e si ritrova l'uomo contemporaneo, di fronte ai cosiddetti ultimi: la morte, la vita dopo la morte, il senso della vita, il nulla o Dio.

Decaduto il principio di fede, persi per strada i cammini iniziatici, disintegrati i dogmi di qualunque tipo, l'uomo occidentale si trova sempre più in bilico tra speranza (cuore) e disperazione (ragione).  Tra voglia di affidarsi ad una speranza ultraterrena (Dio) e paura/terrore di un nulla profondo, tra annichilimento e permanenza di ciò che sei stato.

Il tasto on-off al quale si riferisce Jobs è quanto mai simbolico ed in effetti solo ora mi spiego perché le sue meravigliose diavolerie elettroniche non prevedano un tasto di spegnimento, ma solo un eterno stand-by. 

Il tasto dell'i-pod switcha e... basterà sfiorare nuovamente l'apparecchio perché la musica desiderata, la storia meravigliosa, torni a srotolarsi nuovamente dal punto in cui era stata interrotta.  Riporto qui un estratto dal libretto di istruzioni apple:

Spegnere iPod 
Non esiste un vero e proprio tasto Stop (spegnimento) per iPod. iPod può essere messo in pausa e dopo qualche minuto di inattività si spegne da solo, entrando in una fase denominata Sleep, seguita dalla fase Deep Sleep (dopo 36 ore di inattività). 


Metafora migliore, nessun mistico sarebbe riuscito a trovarla.

E forse non è un caso che a realizzarla sia stato il 'padrone dei sogni tecnologici', proprio lui.



10/10/11

Le anime si riconoscono.



Da sempre - da quando ci ho ragionato su - sono convinto che le anime si riconoscano.
Quando due persone si incontrano, mettono insieme una serie di 'riconoscibilità', non una sola - quella che di solito noi pensiamo sia l'unica: cioè quella del soma, del corpo.
I corpi si parlano con il linguaggio del corpo: sappiamo subito dire se una persona è 'simpatica', o 'antipatica', se è 'affascinante' o 'respingente', se i suoi occhi sono 'profondi', e la sua bocca 'sensuale'. Tutto ciò attraverso una serie di 'segnali' che i nostri occhi, le nostre orecchie, il nostro olfatto, decodificano subito.
Allo stesso modo, le nostre anime ( per anima intendo proprio, seguendo Plotino, la terza 'ipostasi', che è insieme immortale, intellettiva e divina) si riconoscono da subito.
Ad ogni incontro la nostra anima sente (non allo stesso modo dei sensi, ovviamente), l'anima di chi ci è di fronte: ne riconosce il profilo, la consistenza, le qualità.
Se incontriamo un'anima sofferente, i nostri occhi e i nostri sensi possono anche scansarla e tirare subito dritto, ma la nostra anima l'ha riconosciuta, e questo incontro la nostra anima se lo porta dietro.
Gran parte della sofferenza di oggi negli uomini, ne sono convinto, deriva da questa incapacità di ascoltare la propria anima. Che vive tenuta al guinzaglio dentro ognuno di noi dal ferreo controllo del corpo e soprattutto della psiche.
La nostra psiche è come un ingenuo (e spaventato) guardiano che pensa che tenendo tutto sotto controllo (e ben stretto il guinzaglio) ogni sofferenza, ogni emozione troppo forte verrà resa innocua.        Invece, quel che ottiene psiche è esattamente l'opposto: l'anima tenuta al guinzaglio si ribella.     Manifesta la sua protesta attraverso quelle cose che noi chiamiamo con nomi che all'anima devono apparire  ridicoli: ansia,     depressione,    crisi,      vuoto,    malattia.
L'anima vuole essere libera. Vuole conoscere TUTTO, vuole assaporare la vita, vuole essere vera, perchè viva.  E viva, perché vera.
Vuole parlare.
E se noi non la facciamo parlare (al nostro corpo, alla nostra psiche), la nostra anima si limiterà a scambiare cenni di assenso, di riconoscimento alle altre anime prigioniere che incontra, come due navi che si incrociano nel cuore della notte, e che non possono fare altro che illuminarsi debolmente per qualche fuggevole minuto.
Fabrizio Falconi
in testa: 'Telone' di Justin Bradshaw,  acquarello, acrilico su zinco, 20X15 cm.

03/08/11

RI-COMINCIARE. Da dove ? (12 cose da cui ripartire) – 7. FEDELTA'




Non dovrò sforzarmi per essere fedele.

La fedeltà come costrizione non ha senso. La fedeltà è una scelta libera. Perché libero sono io che vivo, e solo vivendo libero posso scegliere di essere fedele.

Sarò soprattutto fedele ai ricordi. Non li lascerò appassire come germogli che nessuno ha curato. Senza questa prima fedeltà, non sarò in grado nemmeno di riconoscermi e di sapere chi sono.

Fedele a ciò che gli altri hanno fatto di me, con l’istinto umano dell’amore e della crescita. Non li dimenticherò, li porterò in ogni giorno in forme traslucide di pensiero, in ombre misteriose di gesti e di sapienza.

Sarò poi fedele a me stesso e a quel che ho scoperto di me. Ma sarò fedele anche ad ogni nuova scoperta. Non la tradirò, voltandomi, nascondendomi.

Soltanto così potrò crescere, sviluppare i miei rami, le mie foglie, radicarmi e protendermi verso l’alto: questa è la missione di ogni essere vivente.

Sarò fedele all’amore. Non penserò di possederlo, non penserò di vantarlo: sarò semplicemente fedele nella cura.

Sarò fedele alla mia anima. La ascolterò, la starò a sentire, la chiamerò, mi risponderà, parleremo. Anche quando sarà difficile. Questo sarà, in fin dei conti, vivere.

Credo in te, anima mia, scriveva Walt Whitman, l’altro che io sono non deve umiliarsi di fronte a te, e tu non devi umiliarti di fronte a lui.

Fabrizio Falconi

12/04/08

L'istinto morale è innato - Uno studio dell'Università di Yale.


Per molte persone è difficile pensare all'esistenza dell'anima. Concepiscono l'essere umano come un intreccio di componenti biologiche che interagiscono tra di loro, fini a se stesso, governati da reazioni meccaniche o meccanicistiche, a base fisio-chimica.

A me invece sembra del tutto evidente che oltre la pura biologia, esiste un quid di inafferrabile nell'essere umano, che non è solo biologia, un qualcosa di più che non sappiamo cos'è e che non sappiamo definire, ma che esiste e ci è data.

Mi è sembrato sempre evidente. E mi sembra tuttora evidente.

L'idea è poi confortata quando arrivano notizie come queste: un recente studio americano, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature compiuto da ricercatori dell'Università di Yale, ha dimostrato che i bambini, già a pochi mesi, sono in grado di riconoscere e apprezzare l'altruismo nei protagonisti di una semplice storia illustrata.

Lo studio documenta come bimbi di sei e dieci mesi, spettatori di una storiella interpretata da pupazzi, sono in grado di scegliere tra diversi tipi: l'altruista, il neutrale, il cattivo.

Inoltre la maggioranza dei bambini, senza alcun condizionamento esterno, preferisce il modello del "buon samaritano".

"Questo studio" spiegano i ricercatori, " confermerebbe l'ipotesi secondo cui le capacità di valutare le persone è un adattamento biologico universale e non appreso. L'abilità di riconoscere le persone da cui possiamo ricevere aiuto è essenziale."

E quindi, conclude lo studio, anche l'istinto morale sarebbe innato. In qualche modo pre-scritto nel nostro essere, e dato come assunto precostituito.

Se la capacità di identificare e scegliere il bene è innata, per quale motivo al mondo dovremmo negare di possedere un'anima ?