26/10/23

"Killers of the Flower Moon" di Martin Scorsese, un film che mostra da dove nasce il male

 


Mi ha fatto piacere vedere Scorsese allontanarsi - momentaneamente? - dall'epica della violenza mostrata e pura, che è marchio distintivo del suo cinema, ma prima ancora della sua vita (la biografia lo ha segnato, come ha raccontato più volte, crescendo da bambino in mezzo alla violenza, alla minaccia, alla sopraffazione, ai ricatti piccoli e grandi della mafia).
Stavolta, Scorsese la mette da parte: c'è, ma non indugia a mostrarla. Il film si concentra invece, sulle origini di questa violenza. La ferocia, sembra dirci Scorsese, può nascere e nasce dalle parole, che possono avere una forza dirompente. Killers of the Flower Moon è infatti un film di parole: i dialoghi, a volte estenuanti, occupano il 75% del film, ma non è un gioco solipsistico come avviene a volte nella fiction contemporanea americana.
Le parole, in Killers, sono la ragnatela su cui si costruiscono i rapporti, le relazioni, e che danno vita ai fatti. E siccome le parole sono malate, anche le relazioni, anche i rapporti e anche i fatti sono malati.
La parola che redime non c'è. C'è solo il silenzio della donna indiana (Mollie - Lily Gladstone). Che sembra assistere del tutto impotente al manifestarsi del male, accettando ciò che le è stato riservato dagli uomini, senza voler aprire gli occhi fino alla fine. La vittima di un sacrificio che non ha deciso Dio, né il Dio dei bianchi (Cristo) né tantomeno il Dio dei nativi. Ma che hanno deciso gli uomini, che grondano di parole false, malate, come "famiglia" e "soldi", i due passe-partout che giustificano ogni abominio.

Il giovane Ernest Buckhart (Di Caprio) tornato scosso dalla guerra, fondamentalmente non sa nulla di sé: è tabula rasa. Non sa nulla non solo di ciò che vuole dalla vita, ma anche dei suoi sentimenti, delle sue emozioni. Crede di innamorarsi, o si innamora veramente, poco importa. Quel che conta è che il suo essere tabula rasa, lo porta ad essere perfetto strumento nelle mani del mostruoso zio William Hale (De Niro), che lo manipola a suo piacimento, instillandogli in lui ogni sorta di nefandezza, che finirà puntualmente per compiere, obbedendo fino alla fine. William Hale è il prototipo di ogni populista e perciò straordinariamente attuale: nasconde sotto una rassicurante bonomia ogni malvagità: si finge ed è - oggettivamente - "amico di tutti", in primis degli indiani, di cui si proclama garante, gode di rispettabilità, tutti lo ascoltano (anche se qualcuno diffida), tutti credono alle sue spregiudicate bugie con le quali rovescia continuamente il male con l'apparente bene, con l'utilità, il senso pratico, la giustizia.

Scorsese a 80 anni è insomma sempre più lucido, ma il suo spirito si ammorbidisce, i suoi occhi si inumidiscono sul nome della donna indiana, di Mollie, sulla sorte ben triste che le è toccata insieme al suo popolo: di essere depredata di tutto, della terra, degli avi, degli dei, della vita.
Si ammorbidisce ma non fa sconti e il suo cinema è puro piacere dell'intelligenza e degli occhi. E' Coppola che dice: "Scorsese è il più grande regista vivente." Ha ragione (anche se Coppola stesso lo segue dappresso). Non gli riesce di sbagliare un film, nemmeno se ci prova. Qualcuno dirà che va sul sicuro: ma lui dai De Niro e dai Di Caprio tira fuori ogni volta qualcosa di SUO.
Lily Gladstone vincerà l'Oscar come migliore attrice protagonista, anche se la miglior prova tra i tre, non è la sua. E' Di Caprio, sostanzialmente, a portare sulle sue spalle quasi tutto il peso del film, in un'altra prova monumentale.
E' una sorta di miracolo, questo ragazzetto che sembrava uno dei tanti, belloccio e imberbe, e che film dopo film, rivela capacità espressive veramente mostruose.
Si merita ogni complimento.

Fabrizio Falconi - 2023


23/10/23

"Entre sueño y vigilia" (Tra Sonno e Veglia) di Fabrizio Falconi - traduz. spagnola

 





Estoy a un cierto punto del sueñoentre sueño y vigilia
esperándote y puntualmente llegas
para trancar la puerta,
no quieres tenerme y no quieres
dejarme ir, sin decir
y sin callar, como un silbido
de viento detenido por las olas
todo es brillante y espacioso
pero no aparece nada de esperado,
cubro la cabeza con el cojín
empujando el resto de ti
que se queda y me quedo indeciso
si entrar, me quedo en vilo
como un geranio en el balcón
como una vela antes del horizonte,
nadie me advirtió
que habría solamente soñado
habría solamente dormido
habría velado
como solo los insomnes y los muertos
pueden hacer.
*
Sto ad un certo punto del sonnotra sonno e veglia
ad aspettarti e puntualmente arrivi
a sbarrare la porta,
non vuoi tenermi e non vuoi
lasciarmi andare, senza dire
e senza tacere, come un sibilo
di vento trattenuto dalle onde
tutto è lucente e spazioso
ma non appare nulla di atteso,
copro la testa col cuscino
spingendo via il resto di te
che rimane e resto indeciso
se entrare, resto in bilico
come un geranio sul balcone
come una vela prima dell’orizzonte,
nessuno mi ha avvertito
che avrei solamente sognato
avrei solamente dormito
avrei vegliato
come solo gli insonni e i morti
possono fare.

*

Fabrizio Falconi
tratto da Nessun Pensiero Conosce l'AmoreInterno Poesia, 2018Traduzione dall'italiano allo spagnolo Centro Cultural Tina Modotti 



17/10/23

"Il Complotto contro l'America" - perché è una serie da vedere oggi


E' un'opera che tutti, specialmente oggi, dovrebbero vedere.

"Il Complotto contro l'America", miniserie HBO (un marchio di garanzia), in 6 puntate da un'ora ciascuna, disponibile su Sky e NowTv, è tratta dall'omonimo romanzo di Philip Roth, pubblicato nel 2004.
In quel romanzo, Roth metteva in scena una ucronia (o storia alternativa o allostoria o fantastoria), collocandola nel 1940, cambiando il corso degli eventi e quindi raccontando non della vittoria di Franklin D. Roosevelt, al suo terzo mandato - come è avvenuto nella realtà - ma di quella del trasvolatore Charles Lindbergh, che per primo aveva attraversato l'oceano Atlantico in solitaria con il suo aereo e che negli anni immediatamente prima della guerra godeva di enorme popolarità negli USA.
Lindbergh fu in effetti, nella sua vita, simpatizzante del regime nazista, accolto anche con mille onori da Adolf Hitler a Berlino.
La vittoria di Lindbergh a quelle elezioni, immaginata da Roth, cambia completamente il destino della storia: il Lindbergh del romanzo - e anche della serie, ovviamente - si è candidato contro Roosevelt proprio rivendicando la necessità e il diritto degli USA di rimanere neutrali nella guerra che si è scatenata in Europa e di non intervenire al fianco degli inglesi, sommersi da un diluvio di bombe naziste.
Il paese resta, così, neutrale. E addirittura il ministro degli esteri nazista Von Ribbentrop, viene ricevuto, con tutti gli onori, alla Casa Bianca.
Nel contempo nel paese, comincia una lenta e capillare discriminazione degli ebrei (americani) che vengono destinati a "programmi di inserimento" che si propongono di "integrare" gli ebrei nel modo di vita, nei costumi e nelle credenze del popolo americano.
Il tutto viene visto dalla prospettiva di una famiglia ebrea della midlle class di Newark, New Jersey, che precipita in un incubo e in un orrore pesantissimo, con il padre che non vuole per nessun motivo essere costretto ad abbandonare il paese che ritiene "il suo" e la madre che spinge per fuggire - finché è possibile - in Canada.
La zia, zitella, finisce invece per diventare l'amante del rabbino (vedovo) Bengelsdorf che in buona fede finisce per diventare il megafono del presidente Lindbergh.
La serie è prodigiosa per realizzazione tecnica (costumi, ricostruzione dell'epoca, ambienti, ecc.), di qualità cinematografica, per scrittura e per bravura degli attori: John Turturro in primis nei panni dell'ambizioso rabbino che fino alla fine non vuol vedere cosa sta succedendo, rendendosi complice; Wynona Rider, eccezionalmente brava nel ruolo della zia ingenua; Zoe Kazan (nipote del grande Elia), nei panni della madre, Morgan Spector nei panni del padre.
Si parla di una storia parallela, ma la serie parla - molto - dell'oggi, di quello che succede oggi intorno a noi, per questo va vista: perché i meccanismi umani sono sempre gli stessi e possono precipitare - come è successo sovente nella storia e come succede anche oggi - nella viltà, nell'ignavia, nell'ambizione irresponsabile, nella cecità, nell'incapacità di misurare il principio di realtà, conducendo i poteri all'orrore e gli innocenti al sacrificio.

Fabrizio Falconi - 2023

12/10/23

"Il Cielo Sopra Berlino" riesce al cinema - Un sorprendente ricordo personale


Adesso che il film sta riuscendo nelle sale - nel bagliore del nuovo restauro - posso raccontare questo fatto davvero surreale, che mi accadde anni fa.

Come molti altri, io avevo amato smisuratamente quel film di Wenders, e Bruno Ganz (che ci ha lasciato qualche anno fa) era per me, come per molti altri, soprattutto il meraviglioso, malinconico angelo de "Il Cielo sopra Berlino" (The Wings of Desire), il film diretto da Wim Wenders nel 1987, vincitore come regista al Festival di Cannes di quell'anno, edizione che fra l'altro avevo seguito come giornalista accreditato.
Bene, parecchi anni dopo quel film (15 per l'esattezza) - che però avevo sempre in testa, compresi i dialoghi scritti da Peter Handke - una mattina d'inverno decisi di portare mio figlio a visitare Castel Sant'Angelo, qui a Roma.
Doveva essere il 2002, Matteo era dunque molto piccolo. La giornata era cupa, nuvolosa e con parecchio vento, con un cielo che sembrava più berlinese che romano.
Giungemmo sulla Terrazza superiore, quella dominata dal colossale angelo in bronzo che rinfodera la spada sul cielo di Roma, scolpito da Peter Anton von Verschaffelt nel 1753.


Quella mattina, sulla grande terrazza del Castello c'erano pochissimi turisti. Ad un tratto, sembrandomi davvero sulle prime il frutto di una allucinazione, scorsi, vicino al parapetto una figura di spalle, avvolta in un cappotto scuro, che sembrava piuttosto familiare.
Mi avvicinai di qualche passo e aspettai di vederlo meglio.
Con sconcerto mi accorsi che era proprio lui, era proprio Bruno Ganz, con i capelli raccolti da un elastico sulla nuca e il lungo cappotto scuro fino ai piedi. Per un momento pensai perfino che dovessero esserci le sue ali trasparenti, quelle che di cui era dotato nel film di Wenders, le ali dell'angelo, mentre si sporgeva sui tetti estremi di Berlino.
Era solo. Lo spiai per un po'. Sembrava assorto nei suoi pensieri. Più volte rivolse lo sguardo all'angelo enorme in bronzo che lo sovrastava. Rimase più di venti minuti, poi scomparve in fretta giù per le scale.
Non ho mai dimenticato quell'incontro, e ancora mi chiedo che cosa ci facesse lì, da solo, vestito proprio da angelo, come nel film.
Chissà, forse Bruno Ganz un po' angelo lo era veramente.
Forse non lo ha detto a nessuno. Forse in realtà non è nemmeno morto. Ma è volato da qualche parte senza dir niente a nessuno. Mistero. Comunque, posso dire, la più bella - e indimenticabile - "apparizione" della mia vita.

Fabrizio Falconi - 2023

03/10/23

Parte alla Libreria Eli il seminario "Storie di Roma" con Fabrizio Falconi, dal 20 ottobre





SEMINARIO DI INCONTRI CON FABRIZIO FALCONI 

LIBRERIA ELI – VIALE SOMALIA 50

 

·    Corso/seminario di incontri STORIE DI ROMA, presso la Libreria con cadenza mensile – ogni terzo venerdì del mese, alle 18.30 -  durante il quale si ripercorrono gli itinerari sul territorio monumentale, antico e moderno di Roma, la città che tutto – con la sua storia e i suoi luoghi – racchiude.

·    Il corso/seminario durerà da ottobre 2023 a maggio 2024 affrontando in percorsi di circa due ore ciascuno, le tappe significative della storia tri-millenaria di Roma mediante la scoperta dei luoghi conosciuti e meno conosciuti e degli aneddoti, curiosità, letture, citazioni, con uso di slides e il coinvolgimento immersivo dei partecipanti. 

Questo il piano degli incontri, che seguiranno un percorso cronologico:

 

22 Ottobre 2023: Le origini della Città – I Luoghi e le leggende della Fondazione, i Re di Roma.

 

17 Novembre 2023: L’età antica – La Roma Repubblicana

 

15 Dicembre 2023: L’età antica – La Roma Imperiale

 

19 Gennaio 2024: Dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’Anno Mille

 

16 Febbraio 2024: La Roma Medievale

 

15 Marzo 2024: Il Rinascimento a Roma

 

19 Aprile 2024: Il Risorgimento a Roma e l’Ottocento

 

17 Maggio 2024: Dai primi del Novecento ai giorni nostri

 

Tutti gli incontri avranno inizio alle ore 18.30


Scrivi alla Libreria Eli per Iscriverti 


"Dalla perfezione spesso non nasce niente - Nina, una donna che lo impara a sue spese" - Intervista VIDEO a Fabrizio Falconi - RealTeamTV

 



da oggi verrà trasmessa sia sulla nostra webtv “REAL TEAM TV” e quindi sul suo sito ufficiale, Canale ufficiale YouTube e tutti i suoi vari account social,  che sempre a rotazione in diverse fasce della giornata anche su “Globus Television” e su “ST Europe Channel” al canale 268 del DTT Nazionale del digitale terrestre.




28/09/23

"STORIE DI ROMA" - Un nuovo ciclo di incontri tematici su Roma e le sue infinite storie presso la Libreria Eli - Domenica 1 ottobre ore 11

 


STORIE DI ROMA - Una nuova bella iniziativa che ho il piacere di presentare, Domenica prossima, 1 ottobre alle ore 11 alla bellissima Libreria Eli (con ingresso gratuito), per chi ama Roma e le sue infinite Storie.


Il ciclo d’incontri:



Il corso/seminario da tenersi da ottobre 2023 a maggio 2024 affronterà in percorsi di circa due ore ciascuno, le tappe significative della storia trimillenaria di Roma mediante l’attraversamento dei luoghi conosciuti e meno conosciuti e degli aneddoti, curiosità, letture, citazioni, ecc.. con l’uso di slides e il coinvolgimento totale dei partecipanti, alla conoscenza dei molti segreti e misteri della Città Eterna.

In ogni incontro la Passeggiata virtuale consentirà di conoscere meglio i luoghi, la storia le infinite curiosità su Roma, come di solito non si vedono mai.

Quando:

MERCOLEDI'  1 ottobre 2023  Ore 11:00

Il piano degli incontri:

  • Ottobre: Le origini della Città – I Luoghi e le leggende della Fondazione, i Re di Roma.
  • Novembre: L’età antica – La Roma Repubblicana
  • Dicembre: L’età antica – La Roma Imperiale
  • Gennaio: Dalla Caduta dell’Impero Romano d’Occidente all’Anno Mille
  • Febbraio: La Roma Medievale
  • Marzo: Il Rinascimento a Roma
  • Aprile: Il Risorgimento a Roma e l’Ottocento
  • Maggio: Dai primi del Novecento ai giorni nostri

Rileggere "La Storia" - Il coraggio delle lacrime e le accuse di "patetismo"


Terminata la rilettura de La Storia e fatti i conti con le ultime pagine strazianti, capisco meglio cos'è che diede fastidio, di questo romanzone di 700 pagine, nella temperie degli anni '70, a una parte consistente degli intellettuali dell'epoca (con le notevoli eccezioni di Cesare Garboli, della Ginzburg e di altri, entusiasti)

Dietro l'accusa esplicita, sferzante o allusiva di "patetismo", si celavano più generali riserve (o censure) riguardanti una concezione della Storia vista dalla parte dei deboli (non dei sommersi di Levi, perseguitati per via dell'essere nati appartenenti alla razza "sbagliata"), ma da coloro - Ida, i suoi figli Nino e Useppe, gli avventori tutti dello Stanzone di Pietralata, anche Davide alla fine - che subiscono, come bovini al macello, il destino di sottomessi, di disegni inafferrabili e crudeli : il Fascismo, l'alleanza con i nazisti, la Guerra, la malvagità, il disastro che si abbatte sulle loro case, sui progetti, sulle speranze, sulle illusioni.
E' tutto quel che vede nelle ultime pagine Ida, subito prima della fine di Useppe, come un film a ritroso: un vortice, o meglio, un Maelstrom, imponderabile e cieco che ha inghiottito la sua famiglia, i suoi figli, lei stessa, obbedendo a nessuna logica, se non alla logica di un destino che non si può e che è inutile contrastare.
C'è odore di cristianesimo, insomma, e specialmente di quel cristianesimo continuamente frainteso dalla critica analitica marxista.
Perché il cristianesimo, come si sa, è molte cose. E se si vede soltanto una cosa, del cristianesimo, non si capisce nulla di cosa esso sia. Morante era credente (lo era a tal punto dal non voler concedere il divorzio a Moravia, perché convinta dell'indissolubilità del legame spirituale), ma era cristiana "pauperista" (il cristianesimo di Carlo Borromeo, il cristianesimo degli ultimi, dei poveri, degli analfabeti, degli indifesi).
Confondere questo con l'accettazione supina del proprio destino (nella speranza, evidentemente di una "ricompensa" nell'altra vita), vuol dire non aver capito niente del cristianesimo della Morante, che poi era lo stesso (senza vera fede) di Pasolini e del suo Vangelo secondo Matteo.
Cristo non è un masochista che vuole soffrire e essere macellato sul Golgota: Cristo, nell'orto degli ulivi, è un uomo che chiede, piangendo, di poter evitare quel calice molto amaro.
Cristo è un cantore, anzi IL cantore, della bellezza del vivere, del vivere in pace, della vita intesa come dono: la pianta di fichi che fa frutti meravigliosi, il granello di senape che diventa florido albero, la vigna che produce botti abbondanti, la pesca che sfama tutti e rende tutti sazi.
È lo stesso incanto che ha Useppe, come tutti i bambini e i puri di cuore.
Se nella creazione le cose non vanno come dovrebbero andare, la colpa non è di Cristo e non è degli ultimi. Loro sono le vittime. Cantare questo e piangere con loro, non è patetismo: altrimenti bisognerebbe buttare a mare non soltanto Manzoni, ma anche Chaplin, De Sica, Rossellini e buona parte del neorealismo italiano.
La "colpa" della Morante fu semmai, quella di essere arrivata "fuori tempo massimo". Ma lei era fatta così: pubblicò Menzogna e Sortilegio quando il romanzo classico, di impianto ottocentesco, era morto e sepolto e pubblicò l'Isola d'Arturo quando il lirico-fantastico era già fuori moda. Poi La Storia, pubblicato mentre le avanguardie chiedevano lo scalpo dei "passatisti".
Sul finire della vita, Morante si prese forse la rivincita definitiva con Aracoeli, romanzo indefinibile che spiazzò tutti e brilla ancora oggi come un diamante grezzo: la dimostrazione (o la conferma) che poteva scrivere tutto, meglio di tutti.
"La Storia" doveva essere così: Elsa Morante era maestra di destini (aveva imparato con tutta la durezza possibile a fare i conti con il suo personale, privato), e sapeva che ogni sua opera avrebbe avuto il suo: ben oltre la mancanza di visione dell'attuale e del contingente.

Fabrizio Falconi - 2023

21/09/23

La Lettera su "Il Manifesto" che attaccò frontalmente - da sinistra - "La Storia", il grande romanzo di Elsa Morante


E' una delle pagine più imbarazzanti (e anche abbastanza vergognosa) della storia letteraria italiana del Novecento:

La lettera pubblicata su Il Manifesto del 15 luglio 1974 (che riporto nell'originale in calce all'articolo e si può integralmente leggere ingrandendo l'immagine) contro La Storia di Elsa Morante, e soprattutto contro il giornale, che aveva osato pubblicare qualche giorno prima una recensione elogiativa del romanzo - il quale nel frattempo stava vendendo centinaia di migliaia di copie in tutta Italia, pubblicato da Einaudi.
Ad attaccare in modo frontale la scrittrice al suo terzo romanzo è in Italia, incredibilmente, soprattutto la sinistra intellettuale. Dopo una recensione ammirata e entusiasta di Cesare Garboli, e una dichiarazione commossa di Natalia Ginzburg, scoppia la bagarre.
Sulle pagine del «Manifesto» arriva questa velenosa lettera a firma di Nanni Balestrini, Elisabetta Rasy, Letizia Paolozzi e Umberto Silva, la quale stigmatizza la recensione positiva di Liana Cellerino, che inizia con l'arroganza e il disprezzo tipici di quegli anni: "qualcuno di noi ha letto qualche riga, qualcuno qualche pagina...."
Seguiranno interventi di Rina Gagliardi, positivo, e per fortuna una tirata d’orecchie di Pintor ai firmatari, poi però altre recensioni negative e il finale tombale di Rossana Rossanda, decisamente contro.
Arriva così il fuoco ad alzo zero contro il romanzo: tutti schierati: la neoavanguardia, la sinistra extraparlamentare, capitanata da Asor Rosa (lo paragona a un Kolossal cinematografico: puro kitsch), Romano Luperini (ne critica l’impianto ideologico piccolo borghese) e Franco Fortini, che latita e si nasconde (la storia della sua mancata recensione è un saggio nel saggio); ma anche il gruppo romano intorno a Moravia, ex marito della Morante, che entra in campo con una secca stroncatura di Enzo Siciliano.
Così è.
A rileggere oggi questa lettera viene il prurito. Questi censori ideologici - che accusano la Morante di scrivere con un impianto piccolo borghese - vengono da famiglie e salotti borghesi e dai loro divani attaccano la Morante che - indiscutibilmente - viene davvero dal popolo, ha sofferto la fame vera, è stata sfollata, ha rischiato la vita anche per la sua origine mezza ebrea.
Una studiosa italiana, Angela Borghesi, ha recentemente ricostruito il caso "La Storia/Morante" in un corposo saggi uscito da Quodlibet.
La Borghesi mette in luce l’incomprensione che in un paese, dominato culturalmente da marxisti e cattolici, coglie la critica davanti a un’opera che spiazzava le ideologie dell’epoca con una visione del mondo che Garboli giustamente definisce «poetica», al di là delle convinzioni politiche e sociali.
Perché questa reazione? Ci sono almeno tre aspetti che Borghesi riassume nelle pagine finali, arrivando sino al nostro tempp oggi, dove in Italia, in mezzo a tanti "capolavori" dimenticati, La Storia vende 7-8.000 copie ogni anno.
Il primo lo spiega Garboli, il solo che si schiera con decisione e motivazioni a favore della Morante: invidia.
Gran parte degli articoli con un linguaggio politico-militare stigmatizzano l’aspetto commerciale, il best seller che diventa. Aveva successo, quindi non poteva essere un buon libro.
Borghesi ha strada facile nel segnalare come in gran parte delle critiche, con qualche eccezione, manchi l’analisi critica, l’approfondimento, e dire che narratologia e critica stilistica erano ben sviluppate all’epoca.
La seconda ragione, scrive l’autrice, è «il pregiudizio di genere», un tema oggi attuale, forse non così profondamente marcato all’epoca; di certo, in quanto romanziere donna, Morante ha sempre suscitato molte diffidenze.
La terza ragione è probabilmente la più profonda, e anche letterariamente più importante: il rifiuto del patetico. Italo Calvino, che pure stimava Elsa, e a cui il romanzo non piace fino in fondo, lo dice con molta evidenza: un narratore contemporaneo può far ridere o far paura al suo lettore, ma «farlo piangere no».
Quello che la critica marxista in particolare rifiuta è proprio il pathos narrativo de La Storia. Non si concede alla scrittrice di far piangere i suoi lettori, o che usi quella che Calvino chiama la «tecnica letteraria della commozione». All’ "uterina" scrittrice romana non è concesso utilizzare impunemente il registro patetico sentimentale.
L’autore del Marcovaldo si chiede: «Cosa fare allora? Guardarsi dell’essere "umani" nello scrivere?». Il punto probabilmente è qui: il patetico.
Morante non è kitsch, ci dice questo librone, perché quella che suscita non è «la seconda lacrima», per dirla con Milan Kundera, bensì la prima, quella vera.
Ma la sinistra italiana di quegli anni non può capirlo, accecata da un pregiudizio ideologico: in più, dice Borghesi, la sinistra italiana non ha mai fatto bene i conti con il kitsch, nonostante Gillo Dorfles e altri.
Quello che non colsero i critici, come scrisse ex post Marino Sinibaldi, è che una concezione tragica della storia e dei limiti della modificabilità del mondo, come quella del romanzo di Morante, era «utile alla definizione dei confini, dei limiti della politica».
Ma letta oggi questa lettera riassume il massimalismo cieco di certa critica di quegli anni: l'incapacità di riconoscere un capolavoro, la violenza di degradarlo (senza averlo letto) paragonandolo a De Amicis (!), la vergogna di non riconoscerne l'alto valore civile, oltre che letterario.
Negli anni '70 avevamo una Morante. E tutto il mondo, a quanto pare (visto che continua ad essere studiata e letta in tutto il mondo), l'aveva capito. E l'avevano capito anche gli italiani di allora, tutti tranne la critica militante che "ha sempre ragione".

Fabrizio Falconi - 2023

20/09/23

L'attrazione di Elsa per gli omosessuali: un "vulnus" non risolto


Tra i suoi diversi amori, Elsa Morante è attratta, in vita, anche dai maschi omosessuali. Molti sono artisti che frequenta, e di cui diventa anche confidente.

Spesso diventano protagonisti dei suoi romanzi, come il più famoso, Wilhelm Gerace, l'anaffettivo padre di Arturo, nel romanzo vincitore del Premio Strega nel 1957.
C'è una ragione, probabilmente, in questa attrazione, che ha a che fare con la vita personale di Elsa: un vulnus irrisolto e irrisolvibile, contenuto nel segreto che le viene rivelato, senza mezzi termini e con l'impiego di ogni dettaglio, quando lei ha soltanto dieci anni, dalla madre che l'ha generata: Irma Poggibonsi.
Irma le rivela che lei, e i suoi tre fratelli, non sono figli di quello che loro ritengono il loro padre e che ha dato loro il cognome, Augusto Morante, di professione sorvegliante presso il riformatorio giovanile di Trastevere, ma di un "amico di famiglia" che da sempre, i bambini hanno visto aggirarsi in casa loro, un certo Francesco Lo Monaco, portalettere siciliano, amico del padre.
La verità, come brutalmente rivela ai figli la madre, in quel giorno, è che Augusto, sin dalla prima notte di nozze si è manifestato "impotente". E questa impotenza 'coeundi', non solo 'generandi', ha fatto sì che la madre Irma, non rassegnandosi all'idea di non avere figli, abbia accettato di averne con un altro uomo, presentatole proprio dal marito, quindi con l'approvazione di lui.
Francesco Lo Monaco, anche se è già sposato e ha una sua famiglia, si prodiga nell'attività di "donatore di figli", senza mai rivelare il suo vero ruolo. Irma ne diventa perfino gelosa, perché sa che lui, oltre alla sua famiglia e a lei, frequenta anche altre donne.
Tanto per aggiungere dramma al dramma, un giorno Francesco Lo Monaco si toglie di mezzo, suicidandosi.
Augusto, invece, è rimasto sempre al suo posto, sempre più marginale, sempre più umiliato da Irma, sempre più squalificato agli occhi dei suoi stessi figli.
Elsa dirà più tardi di non aver mai avuto un padre, perché il suo vero padre era un estraneo, e quello che viveva con lei non era suo padre.
Ma chi era nella realtà Augusto? Per Elsa rimase probabilmente sempre un mistero.
Il sospetto che in realtà fosse omosessuale è molto più che un sospetto, e questa è forse l'unica versione che poteva dare una spiegazione valida a tutta la faccenda.
Sicuramente Elsa si sforzò nella sua vita adulta, e nella sua attività di scrittrice di elaborare questa figura di padre-non padre, di cercare di penetrarne la sofferenza, la negazione emotiva e sentimentale: padre in fondo non lo era mai stato, per lei. Ma di sicuro quel padre ombroso e lontano fu - nel suo modo - più "padre" di un prestatore d'opera, che davvero con il mondo di Elsa aveva poco o punto a che fare.

Fabrizio Falconi - 2023