14/09/23

Ricordate "Il Danno" ? Torna, sotto la veste di una nuova miniserie, intitolata "Obsession" su Netflix


Dieci minuti dopo che è partito il pilot della miniserie "Obsession" (4 brevi puntate, visibili su Netflix), del 2023, risuona una frase che negli spettatori più accorti risulta inconfondibile: "Ho subito un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... "
Si capisce subito, allora, che - anche se il titolo è diverso - si tratta del rifacimento di un celebre film - regia del grande Louis Malle, 1992 - a sua volta tratto dal celebre e fortunatissimo romanzo di Josephine Hart, pubblicato nel 1991, che ha venduto l'incredibile cifra di 5 milioni di copie in tutto il mondo: "Il Danno".
Siamo dunque esattamente come nel romanzo, dentro la storia di uno stimato professionista, William Farrow, brillante chirurgo e rampante politico, altoborghese, felicemente sposato con due figli, che perde completamente la testa per la donna che è la fidanzata di suo figlio Jay, e che suo figlio Jay sta per sposare.
La donna, Anna Barton, ha un passato di storie familiari torbide, piuttosto misterioso: il chirurgo ne resta soggiogato già dal primissimo incontro, e nonostante il vincolo familiare, intraprende con lei una rovente storia sessuale, basata sulla sottomissione, con virate bondage e sadomaso.
C'è subito da dire che la serie - una coproduzione franco-inglese - si fa apprezzare per qualità e sviluppo (non ci sono lungaggini o ovvietà), presentando qualche differenza abbastanza sostanziale con la storia originale (e con il film di Malle). Di più, è di sicuro una delle serie televisive dal contenuto sessuale più esplicito e il legame quasi senza parole tra i due - funereo, nichilista - viene mostrato senza orpelli, un po' come ha insegnato la scuola del film di Bertolucci ("Ultimo Tango a Parigi").
Il segreto del successo della storia e del libro originario risiede probabilmente nella esplorazione del lato oscuro della sessualità, nel suo legame con la morte (il vecchio binomio eros/thanatos) e nella ineluttabilità del danno elaborato attraverso la perversione: d'altronde lo stesso Freud ammoniva che "la nevrosi si può curare, ma con la perversione non si può fare niente."
Chi è stato danneggiato, dunque, è questa la "morale" della Hart, è più forte, più attrezzato per sopravvivere (anche se nella relazione si traveste da quello più fragile) e chi è più vittima è in fondo chi si avvicina e cade nella rete del danneggiato.
E' una tesi forse rassicurante o forse no, ed è per questo che il successo arrivò copioso.
Questa serie è un buon esercizio su (quel) tema, ambientando la vicenda in una Londra gelida e piuttosto lugubre. Gli interpreti sono all'altezza, a parte Richard Armitage nei panni del protagonista, il chirurgo doppiamente fedifrago, che ha una sola espressione per tutta la serie, e rigido e pallido com'è, fa rimpiangere dalla prima scena, il sensuale e sontuoso Jeremy Irons del film di Malle.
Bravissima è invece Charlie Murphy (già vista in Happy Valley 2 e 3), che offre mille sfumature alla fatale, estrema Anna Barton (anche nelle difficili, esplicite scene di nudo).
Bravissima è anche Indira Varma nel ruolo della moglie e Rish Shah in quello dell'innocente vittima, il ragazzo Jay.
Il finale della serie è diverso sia dal libro che dal film di Malle e concede una opzione in più sia ad Anna che a William: la vita può andare avanti anche quando si è fatto il peggio che si potesse fare (e di certo è una tesi molto, molto discutibile).
Insomma, un voto positivo per un lavoro difficile che aveva il compito di misurarsi con un un libro molto famoso e con un film di un grandissimo regista (che non fu, comunque, uno dei suoi migliori).

Fabrizio Falconi - 2023

06/09/23

Perché Oppenheimer è un grandissimo film, anzi, un "capolavoro"?


Perché Oppenheimer di Christopher Nolan è un grandissimo film per il quale si può scomodare l'abusatissimo termine "capolavoro"?

Perché è un film difficilissimo (trama, dialoghi intricatissimi) e allo stesso tempo perfettamente apprezzabile anche da chi non sa o capisce un acca di fisica, di quanti di luce, di fissione nucleare.
Eppure il film, ossessivamente dialogato per 180 continui minuti, potrebbe essere assai ostico: non ci sono effettacci di sceneggiatura o politically correct, che piacciono tanto al cinema contemporaneo; non ci sono eccentricità buttate a caso, c'è pochissimo sesso, la grande parte del film si svolge in asfittiche aule di oscure commissioni governative e non; si parla molto di scienza e di fatti accaduti 80 anni fa; c'è al centro un fisico vagamente antisociale, poco conosciuto, fino a ieri, dalla gente che di solito guarda fiction; c'è una colonna pervasiva, che come una creatura vivente segue lo sviluppo del film, di ogni suo passaggio, nessuno escluso, anche qui con piglio ossessivo; non ci sono toni consolatori o retorici, il mood generale è invece un tono dolente, disarmato, sconfitto.
Eppure..
Eppure è un film rapidamente diventato fenomeno di massa. Com'è possibile?
E' possibile perché è grande cinema. E il cinema, quando è grande, travalica ogni gusto personale, ogni pregiudizio, ogni linguaggio specifico, come la grande musica.
In un certo senso, poi, Oppenheimer, è il trionfo del cinema britannico, che oggi e da parecchi anni, è ormai la Superpotenza del cinema mondiale.
Britannico è il regista Christopher Nolan (di cui ho amato grandemente Interstellar, soprattutto), britannico è in gran parte l'incredibile cast allestito per questo film, dove anche il più umile dei partecipanti (anche con una o due scene in tutto), è un grande, grande attore, proveniente dalla infinita scuola di talenti britannica. Così, per un cinefilo, il godimento è doppio, perché si gode vedendo sfilare questa galleria di attori straordinari:
- Cillian Murphy è il protagonista, da Oscar (sarebbe meritato): un talento irlandese ormai globale, definitivamente affermatosi con Peaky Blinders, che regala al fisico Oppenheimer credibilità, sguardo allucinato, toni di tormento e sconfitta, fallimento, persecuzione.
- Florence Pugh è l'attrice inglese rivelatasi ormai da anni, che interpreta la tormentata, carnale, psichiatra comunista Jean Tatlock, ex amante di O.
- Emily Blunt è l'attrice britannica che impersona la moglie di Oppenheimer, Kitty
- il grande Robert Downey Jr. interpreta il cattivo Lewis Strauss, membro della commissione per l'energia atomica americana, nemico di O. La sua prova è straordinaria. Mi auguro vivamente che l'Oscar 2023 gli venga assegnato, perché lo stramerita, come attore non protagonista.
- Kenneth Branagh è un altro mostro sacro del teatro e del cinema britannico che qui interpreta il grande fisico Niels Bohr.
- il grande Matthew Modine, quasi irriconoscibile, invecchiato, il glorioso protagonista di Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, è un alto burocrate, dalla parte di O.
- L'ormai indefinibile (sono finiti gli aggettivi) britannico, Gary Oldman (forse il più grande attore maschile vivente) con una sola scena, dà corpo e anima al 33mo presidente americano Harry Truman.
- lo scozzese Tom Conti (vincitore di ogni possibile premio teatrale tra cui il Tony Award e il Laurence Olivier Award) è Albert Einstein.
- Dane De Haan uno degli attori migliori delle nuove generazioni, già visto in moltissime serie e film, è l'infido generale Nichols, uno dei persecutori di O.
- Rami Malek, il Freddy Mercury di "Bohemian Rhapsody" è David Hill, colui che riuscirà a incastrare Strauss.
- Casey Affleck (fratello di Ben e straordinario talento) è Boris Pash, capo dei servizi segreti dell'esercito
- Matt Damon è come sempre perfetto nel ruolo del generale Leslie Groves, il costruttore e fondatore del centro di ricerche di Los Alamos, dove verrà costruita la prima bomba atomica della storia.
Insomma, il catalogo è questo.

Sì, il film dura 3 ore, ma per una volta non ci si annoia neanche per un istante.
Si esce anzi dalla sala piuttosto grati: sentirsi raccontare una storia, oggi, e una grande storia, e raccontata con stile sobrio, classe e profondità, è un regalo di cui essere grati.
(consiglio, se si vuol leggere poi il parere di un vero addetto ai lavori, di recuperare la recensione di Roberto Escobar, forse il miglior critico in giro in Italia attualmente, sul Domenicale del Sole 24 ore, uscito il 2 settembre, che dà al film 5 stelle, sulle cinque disponibili - e non è un punteggio che Escobar conferisce frequentemente).

Fabrizio Falconi - 2023

25/08/23

"Il senso di una fine", il meraviglioso romanzo di Julian Barnes diventa un film, con Charlotte Rampling - su Amazon Prime Video


E' sempre molto difficile portare sullo schermo un romanzo importante. Ancora di più se si tratta di un romanzo "perfetto", uno dei migliori scritti nell'ultimo ventennio: "Il senso di una fine", di Julian Barnes (Einaudi, 2011), vincitore del Man Booker Prize 2011.

Come si fa a trasferire sullo schermo la magia della prosa di Barnes, che in sole 160 pagine costruisce una tragedia in due atti (o parti) sul mistero degli affetti umani, con uno straordinario colpo di scena che si rivela solo nelle ultime 3 pagine?
In Inghilterra ci ha provato la rete nazionale (BBC), che a differenza di quel che accade da noi, non manda in onda solo quiz dementi e show di imitatori, ma propone e produce anche alta qualità cinematografica, seriale, documentaristica.
Il film è uscito nel 2017, anche se in Italia nessuno lo ha visto (naturalmente i titolisti italiani hanno pensato bene di stravolgere il titolo originario, sia del romanzo che del film - che è "The Sense of an Ending" , letterariamente "Il senso di un finire", o "Il senso di una fine", come è stato tradotto da Einaudi - in "L'altra metà della storia").
Il cast è di primo livello, con Charlotte Rampling nei panni della misteriosa Veronica (da anziana) e Jim Broadbent in quelli di Tony Webster, che con Veronica ha avuto una incompiuta storia d'amore, ai tempi del college. Nel cast anche Michelle Dockery (la Lady Marian di Downton Abbey) e Joe Alwyn (visto recentemente in Conversazione tra amici, la serie tratta dal romanzo di Sally Rooney), nei panni di Adrian, l'amico di college di Tony, misteriosamente suicidatosi da giovane.
Per misurarsi con un romanzo così intenso e denso, il film non se la cava male (la regia è dell'indiano Ritesh Batra), ma lasciano a desiderare i tempi morti, i dialoghi irrisolti, il finale da "happy ending" che non è affatto quello del romanzo.
La Rampling praticamente appare in tutto in 4 scene, anche se bastano per manifestare il suo inquietante talento; le musiche di Max Richter sono molto belle; la Londra del film è come sempre, piovosa e malinconica (come si addice al mood della storia).
Barnes non è intervenuto nella sceneggiatura, che è del solo Nick Payne, il quale ha dilatato (troppo) l'attesa che si respira nel romanzo, stemperandone anche (purtroppo) l'inquietudine.
Complessivamente, tenendo conto delle suddette difficoltà, un film che supera la prova. Il romanzo, però, è - come sempre - un'altra cosa.

22/08/23

"Un Beau Matin" un film che fa bene al cuore (ma perché non si riesce a fare un film così in Italia?)


Vedo Un Bel Mattino (Un Beau Matin) su Mubi, uscito nel 2022 e mi chiedo perché sia inimmaginabile oggi un film così, fatto in Italia.
Lo firma una regista franco-danese (danese è la famiglia del padre), Mia Hanson Love, quarantenne, ex moglie di Olivier Assayas, già vincitrice con i suoi precedenti film, di molti premi in festival importanti, tra cui l'Orso d'Argento per la migliore regia alla Berlinale del 2021.
Un Bel Mattino è un film di bellezza disarmante, perché vero. Un film che parla della vita vera, con luminosità, dolore, intensità. La storia semplice e "ordinaria" (senza la minima ombra di retorica) di Sandra, giovane donna rimasta vedova troppo presto, con una figlia piccola, che deve affrontare la malattia del padre - professore di filosofia (come il vero padre di Mia), colpito da una grave malattia neurologica (Sindrome di Benson) e che nello stesso periodo, dopo lunghi anni di solitudine, vive una intensa storia d'amore con un uomo sposato e a sua volta padre di un bambino.
Tutti i tempi dell'amore e della passione, tutto il dolore per la malattia del padre, vivono e passano sul volto di Léa Seydoux, straordinaria attrice, che "vive" il ruolo di Sandra, più che interpretarlo. Con i silenzi, i gesti ordinari, le lacrime, i sorrisi, le fatiche, i dolori a tratti insostenibili.
C'è la lezione, modernizzata dei grandi maestri, c'è la poesia e la leggerezza di Truffaut, c'è lo scandaglio fotografico di Bergman.
E alla fine, quando questo film ti arriva al cuore con le sue immagini e il suo racconto coerente, apparentemente senza bisogno di altro, ti chiedi perché un film così oggi non possa essere fatto da noi.
E puoi darti una risposta tra una serie che provo a elencare in ordine sparso:
- perché in Italia non esiste una attrice come Léa Seydoux
- perché in Italia si "recita" e non si sa più essere, interpretando.
- perché il mondo borghese - o meglio, piccolo borghese, che è quello di quasi tutti - non sappiamo più raccontarlo.
- perché non sappiamo scrivere un copione così essenziale, funzionante, senza bisogno di trucchi o strizzate d'occhio allo spettatore
- perché la vita - come cantava Franco Battiato con Sgalambro - in Italia, è diventata una "parvenza di vita" o perché non è così e semplicemente è vita vera ma nessuno sa più raccontarla.
Non lo so, scegliete voi quale.
Nel frattempo fatevi un bel regalo, con Un Bel Mattino.

Fabrizio Falconi - 2023

20/08/23

Perché c'è il male nel mondo? La domanda senza risposta. O forse no.


Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.

Quando sono cresciuto, dopo lunghi anni di sostanziale disinteresse, ho riconfermato il senso di questo segno ricevuto - l'ho fatto anche coi miei figli - perché alcune, molte, parole che si trovano nei Vangeli, mi sembrano anche oggi le più oneste e chiare in grado di suggerire una risposta ai dilemmi eterni della nostra vita umana: tra questi, il mistero della presenza del male, nel mondo, nella creazione.
Nella semplicità di questa parabola, Gesù il Nazareno, diede la risposta che per me è ancora oggi la più convincente:
Mt. 13,24-30
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”.
E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”».

Anche se nel suo linguaggio metaforico, ad uso dei discepoli che venivano dal volgo e non erano certo intellettuali, il senso appare chiaro: il padrone della casa (Dio) non è solo, nella creazione; la creazione non è un dominio incontrastato o una tirannia assoluta del padrone della casa; nella creazione esiste un nemico; un nemico che se ne va in giro di notte (quando tutti dormono) a seminare (anche lui), anche se semina zizzania, quindi un'erba fatta apposta per uccidere la semente buona.

Infine: di fronte a questo nemico che agisce, e che evidentemente controlla una parte di territorio della creazione, il padrone di casa non interviene subito, distruggendo la zizzania seminata, facendo razzia di ciò che quello ha seminato: piuttosto, lascia il buono e il cattivo a contatto, li lascia crescere insieme, perché alla fine arriverà il giorno in cui la malaerba verrà scartata e bruciata, e l'altra, riposta nel granaio.

Fabrizio Falconi - 2o23

19/08/23

Quando l'innamoramento finisce: le orecchie del barone Karenin e Tolstoj


Come si è quando ci si innamora, l
o ha descritto meglio di tutti, il grande Stendhal nel De l'amour, sua opera di eleganza e acutezza unica.
Stendhal conia il famoso termine "cristallizzazione" per descrivere cosa succede all'immagine dell'amato/a quando l'innamorato, per l'appunto, si innamora.
Un processo in due fasi, che secondo Stendhal, suscita nell'innamorato la scoperta - con relativa meraviglia - di successive perfezioni (esteriori e interiori) del corpo, dell'immagine, del carattere dell'amato/a (che ovviamente percepisce con tale forza soltanto l'osservatore futuro amante).
Questa prima e seconda cristallizzazione durano finché dura l'amore. E' questa "prima immagine" - di perfezione - che fissandosi, fissa il sentimento e che resta come imago-riferimento.
Già Barthes poi, nei Frammenti di un Discorso, aveva, raccogliendo le teorie di Stendhal, analizzato la crisi dell'amore, che viene annunciato dallo svelamento di un dettaglio dell'amato/a che senza preavviso viene a incrinare apparentemente in modo del tutto ingiustificato e innocuo, quella immagine-cristallizzazione iniziale.

George Steiner, nel suo grande saggio/pietra miliare
Tolstoj o Dostoevskj, offre un esempio geniale della rottura dell'incantesimo descritta da Barthes, tornando alla scena di Anna Karenina, nella quale Anna, subito dopo aver incontrato per caso sul treno il fatale conte Vronskij, arriva alla stazione di San Pietroburgo dove ad attenderla c'è il marito, il barone Karenin, sulla banchina ferroviaria.
Anna, scesa dal treno gli va incontro e si accorge all'improvviso e per la prima volta, che suo marito ha "le orecchie molto grandi" e quelle cartilagini così sproporzionate le sembrano un sintomo di insopprimibile goffaggine, a cui - quasi non credendoci - non ha mai fatto attenzione.
Ma le orecchie del povero Karenin, ovviamente, sono sempre state là. Anna però le vede per la prima volta: è il segnale. L'incantesimo amoroso è rotto (forse lo è già da tempo): Anna è pronta a concedersi alle focose attenzioni del conte Vronskij.

Fabrizio Falconi - 2023

18/08/23

Perché la sventura ci coinvolge solo quando è vicina e non lontana e come funziona il nostro senso dell'empatia e della compassione



Letto nel 2007, quando uscì in Italia, questo saggio continua a illuminarmi a distanza di tempo.
Ritter (morto nel 2013), prendendo spunto dalla Parabola del Mandarino raccontata nel Papà Goriot di Balzac, studia a fondo il rapporto che esiste tra la nostra compassione - la compassione umana (la cum-passione dei latini, ovvero, patire-insieme-a uno che soffre, vivere la sua stessa sofferenza o dolore) - e la vicinanza fisica o geografica:
in pratica, tutti sappiamo che un evento tragico che accade lontano da noi, appunto ad esempio nella Terra dei Mandarini Cinesi, muove a molta meno partecipazione/compassione/o empatia come si ripete oggi, che se quello stesso evento, identico, accadesse fuori dalla porta di casa nostra.
E' una regola aurea, che fa parte del DNA umano, e che gli agi digitali non sembrano affatto aver cambiato, "accorciando il mondo", semmai il contrario: siamo sempre più monadi "lontane" dal mondo reale, sia quello "vicino" che quello "lontano".

Rileggere Ritter però, e le sue esplorazioni nella storia della letteratura e della filosofia, aggiunge parecchio. Perché la questione non è affatto "semplice" come si penserebbe.
Sarebbe stato interessante a questo proposito che Henning Ritter avesse avuto la possibilità di aggiornare il suo testo sulla crisi climatica globale:
la mancanza di empatia, di partecipazione, di consapevolezza e dunque di compassione, riguardo ai cambiamenti climatici, dipende infatti essenzialmente da quanto si "è vicini" ad essi, di quanto essi tocchino le nostre vite.
In fondo, chi vive in Occidente, percepisce l'emergenza climatica come "lontana", almeno finché dal "suo" cielo, non gli piovono addosso chicchi di grandine come aranci. Ma se i danni saranno limitati, e l'evento seguito da due settimane di clima migliore, le sue considerazioni saranno tranquillizzate.
Di certo, chi vive in angoli del pianeta diversi - nei quali ad esempio la sopravvivenza delle persone è direttamente dipendente dalle condizioni del clima e quindi ad esempio da coltivazioni e pascoli, di quel che si può mangiare o non mangiare - ha percezioni molto diverse di questa "Sventura".
Purtroppo però le redini del mondo, almeno quelle dei grandi cambiamenti economici, le tiene in pugno ancora quella parte del mondo occidentale che sente "lontane" quelle emergenze. Vengono da troppo lontano, e oltretutto qui in occidente siamo troppo impegnati a compulsare sui socials per concedere troppa attenzione a una cosa così lontana.
L'impressione o il dubbio è però che quando la sventura verrà avvertita come "vicina" anche da quella parte di mondo, minacciando la comfort zone dell'aria condizionata e delle case di cemento armato e non di fango, sarà forse davvero già troppo tardi.

Fabrizio Falconi - 2023

16/07/23

2.500.000 di Visualizzazioni per Il Blog di Fabrizio Falconi - Si festeggia con il nuovo romanzo in uscita: "IL DONO PERFETTO"

 


Nato 14 anni fa, questo Blog, Il Blog di Fabrizio Falconi festeggia oggi un altro importante traguardo: quello delle 2.500.000 visualizzazioni!

Molta strada è stata fatta in questi anni ed è doveroso ringraziare in primis i tanti lettori ovviamente, e anche gli inserzionisti che ci hanno permesso di continuare a crescere. 

Festeggiamo inoltre con l'uscita di un nuovo libro, un romanzo, Il Dono Perfetto, che dal 1 luglio è disponibile nelle librerie e online (anche cliccando qui). 

Grazie, e barra dritta, ancora.

F.



11/07/23

Eco, Ottieri, Bompiani, Quasimodo: Tutti nella stessa scena, nel capolavoro di Antonioni, "La Notte" - 1961

In una delle prime scene de La Notte di Antonioni (1961) lo scrittore Giovanni Pontano/ Mastroianni va con la moglie Lidia/Jeanne Moreau alla presentazione del suo nuovo romanzo. Che si tiene nella sede di una grande casa editrice esplicitamente citata, ovvero la Bompiani.
Così nel film (e nel cocktail per l'autore) finiscono un ventinovenne Umberto Eco (a destra di Jeanne Moreau nella foto qui sotto), Ottiero Ottieri (che sceneggerà il film seguente di Antonioni, L'Eclisse) e poi lo stesso grande editore, Valentino Bompiani, che presenta e fa firmare una copia del suo libro al "famoso Premio Nobel" che non è esplicitamente citato, ma è ovviamente Salvatore Quasimodo (Premio Nobel per la Letteratura due anni prima, nel 1959).



Ora, fa una certa impressione vedere qui riunito in una piccola scena di un grande film un tale parterre de roi.

Viene da pensare che c'è stata un'epoca in cui in Italia la parola "intellettuale" era correttamente pronunciata: in fondo lo stesso Pontano (il cui cognome allude così esplicitamente al pantano esistenziale in cui sembra muoversi) è uno che tenta di vivere con il proprio lavoro intellettuale.

Oggi gli intellettuali sono più propriamente i milionari delle fazende multinazionali digitali, che prestano il loro intelletto - prosperando - alla invenzione di beni immateriali digitali sempre più pervasivi, confortevoli, ottimizzatori.
Gli intellettuali della parola o delle arti, invece, di questi tempi, se la passano male, e si attribuiscono questo titolo sovente coloro che hanno l'unico merito di godere dei favori e delle leggi del mercato dei consumi.



Ma Antonioni e i suoi film ricordano un'età dell'oro in cui la finzione e la realtà giocavano amabilmente: Ennio Flaiano e Tonino Guerra a quel cocktail avrebbero potuto tranquillamente partecipare, ma invece preferirono restare dietro e scrivere la sceneggiatura di quel magico film. A futura memoria, si direbbe.

Fabrizio Falconi - 2023

09/07/23

La Poesia della Domenica: "Baccano"




Baccano


E non è vero che Floki non sappia

morire: che ne sanno le anime

                                     del pandemonio?

Lui sente, come senziente, la sua vita

minacciata ad ogni istante e il pericolo

                                    è già morte;

come tutti si prostrano prima

di chiudere gli occhi, al dio del non-senso,

Floki invece abbaia e guaisce, si tiene

stretto a quello che viene, il suo chiasso

è la porta del paradiso; nessuno 

del resto lo sa: che la vita vera finisce 

senza finire                   in un baccano.


Fabrizio Falconi - 2023

(foto Elliot Erwitt)

  

05/07/23

Un romanzo dimenticato e molto bello: "La Rossa" di Alfred Andersch


Se oggi andate a cercare su Amazon o altre librerie on line (non parliamo di quelle tradizionali/cartacee) il nome di Alfred Andersch, non troverete nulla di nulla pubblicato in Italia, negli ultimi 40 anni.
Eppure c'è stato un periodo non lontano, nel quale lo scrittore nato a Monaco di Baviera nel 1914 era piuttosto in voga, come si vede, pubblicato anche dagli Oscar Mondadori.
Personalmente questa edizione del 1972 (il romanzo è del 1961), l'ho trovata in una meritevole libreria che commercia prezioso usato (negli stessi scaffali ho addirittura trovato la prima edizione de Il Dono di Humboldt di Bellow, in Italia (la mia ormai è consumata)).
Così ho scoperto questo notevole romanzo di un autore piuttosto controverso: pur essendo tra i fondatori del Gruppo '47, Andersch infatti dovette difendersi, nel dopoguerra, da accuse di ambiguità/collusione con il regime nazista.
Andersch fu effettivamente arruolato nella Wehrmacht nel 1940, quando aveva 26 anni, e schierato sul fronte occidentale contro la Francia.
Prima di allora, però, dal 1930, Andersch era stato un fervente comunista, e dopo l'ascesa al potere dei nazionalsocialisti, era stato rinchiuso - secondo il suo racconto - per tre mesi nel campo di concentramento di Dachau, in quanto sovversivo.
Uscito dalla prigionia, lo scrittore, caduto in depressione, non aveva potuto evitare l'arruolamento, anche se nel 194 fu ufficialmente "licenziato" dall'esercito perché nel frattempo si era legato sentimentalmente alla pittrice Gisela Groneuer, considerata dalla polizia una "mezza ebrea".
Arruolato nuovamente nel 1943, Anders disertò nel giugno 1944, consegnandosi agli americani, che lo trasferirono in un campo di prigionia in Virginia.
Tornato in patria, fu uno dei protagonisti della scena letteraria tedesca del dopoguerra, fino alla morte avvenuta nel 1980 in Svizzera.
Tredici anni dopo la morte, Andersch fu oggetto di pesanti accuse di "contraffazione letteraria e fanatismo" da parte di W. G. Sebald, ma il rapporto di Sebald fu "giustamente respinto nella sua generalità".
Al di là di queste controversie legate alla sua biografia, "La Rossa" (Die Rote), è un romanzo importante, che risente direttamente delle vicende vissute da Andersch negli anni della guerra e del nazismo.
La vicenda ha per protagonista Francesca, una donna trentenne tedesca, che dopo aver lasciato marito e amante, prende il primo treno alla Stazione di Milano, che la porta a Venezia, con sole 40 mila lire in tasca.
La donna forse è incinta. Non sa cosa succederà della sua vita, vuole semplicemente allontanarsi da tutto, ricominciare. Una cupa, allucinata e bellissima città fantasma la accoglie nel pieno dell'inverno.
Qui, attraverso diverse voci modulate nel testo e diverse scritture, Francesca si trova coinvolta, suo malgrado, dentro una tragica resa dei conti tra una spia inglese e un ex criminale nazista.
Ma c'è molto di più di una semplice spy-story in questo romanzo. Ci sono le vite rovinate dall'orrore, l'orgoglio di una donna che non si vuole sottomettere al potere di maschi ottusi o cinici, c'è una Italia distrutta dalla guerra, eppure desiderosa di ricominciare, ci sono tradimenti e imboscate del destino, c'è l'intelligenza che non vuole morire e vuole anzi, sopravvivere, secondo il "suo" modo.
C'è l'ambiguità di Kramer, uno dei più verosimili "boia" nazisti incontrati nella letteratura che scrive di quel tempo oscuro.

Fabrizio Falconi - 2023

01/07/23

"Il Dono Perfetto" - L'intervista di Giovanna Bandini a Fabrizio Falconi per il nuovo romanzo - VIDEO

 Da ieri, 30 giugno, è in libreria Il Dono Perfetto, il nuovo romanzo di Fabrizio Falconi. Qui brevi clip dall'intervista realizzata da Giovanna Bandini con Dario Pettinelli, per Il Momento Perfetto - ItaliaTv

 



   
   
 QUI SOTTO il PODCAST completo dell'intervista: 

   

Il Dono Perfetto è nelle librerie e online in vendita su Amazon e su ogni libreria online. Infine anche in vendita online sul sito della casa editrice (SANTELLI).



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26/06/23

"A proposito di Davis", un grande film dei Fratelli Coen - da recuperare su Amazon Prime Video


Chi vuole può recuperare "A proposito di Davis" ("Inside LLewyn Davis") dei fratelli Coen, uscito nel 2013, adesso disponibile sulla piattaforma di Amazon Prime Video.

E' per me la miglior prova in assoluto dei geniali fratelli, dai tempi de "L'uomo che non c'era" (2001, il loro ultimo grande capolavoro), cui aggiungerei il favoloso "Macbeth" (2021) che però è firmato dal solo Joel.
"A proposito di Davis", come è stato tradotto in italiano dall'originale americano, che suona assai diverso (è il titolo dello sfortunato LP pubblicato dallo sfortunato Davis, che nessuno compra e nessuno vuole ascoltare), è uno dei più riusciti ritratti di losers che si è visto sullo schermo.
Gli presta il volto (e la voce) l'eccellente Oscar Isaac, uno dei più talentuosi attori oggi in circolazione (protagonista fra l'altro, insieme a Jessica Chastain, della versione 2021 di "Scene da un matrimonio").
Davis è un personaggio immaginario, ma più vero del vero. I Coen lo hanno disegnato sul modello di due veri folksingers newyorchesi, Dave Van Ronk e Ramblin' Jack Elliott, che ebbero l'immane sfortuna di presentarsi da esordienti sulla stessa scena e nello stesso identico periodo in cui Robert Zimmerman, alias Bob Dylan, muoveva i suoi primi passi, nei fumosi locali di Brooklyn e del Greenwich Village.
Davis è quindi, nella poetica dei Coen, un perfetto contraltare del grande Bob. Mettendo in scena i suoi fallimenti, le sue goffagini, le sue sofferenze esistenziali (chiamiamole anche con il nome più rozzo per quello che sono: "sfighe"), Davis è per i Coen l'eroe della nobile sconfitta: colui che non può farcela (a diventare famoso), colui che è costretto a restare un fallito, un senza casa, un fuori posto, uno che vede la storia scorrergli davanti, da vicino o da vicinissimo, ma la può soltanto sfiorare.
E' oro per il talento dei Coen, che hanno costruito molta della loro fortuna, sul canto (ironico o disperato) degli sconfitti.
La fotografia (pluripremiata) di Bruno Delbonnel, le musiche (T Bone Burnett) e le canzoni tradizionali del folk anglosassone, il cast di grandi attori (tutti accorrono quando i Coen chiamano): Carey Mulligan, Justin Timberlake, John Goodman, F. Murray Abraham, Adam Driver, contribuiscono alla riuscita del film, perfetto e toccante in ogni inquadratura.
Poteva poi essere anche quasi un racconto in prima persona, ma i Coen amano a tal punto le storie e il cinema, che qui inventano un assai tenue, eppure magico macGuffin con le fattezze di un gatto ribelle che riesce a rendere ancora più tortuosa e difficile la vita del povero Davis.
Il film ha ricevuto numerose candidature ai premi più importanti (Oscar e Golden Globe compresi) e ha (stra) meritatamente vinto il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 2013.

Fabrizio Falconi - 2023

22/06/23

Ecco "Black Bird", la migliore serie che c'è in giro, oggi


Quasi nessuno parla da noi di "Black Bird"
, la migliore serie che c'è in giro, e una delle migliori degli ultimi anni.

Forse perché è su AppleTv, che non tutti hanno (ma ricordo che si può anche fare una prova gratuita che dura 7 giorni).
Black Bird - in cui sembra di rivivere certe atmosfere da True Detective 1 (vertice mai più raggiunto) - è diretta da Dennis Lehane e coprodotta oltre che da Apple, da Dan e Ryan Friedkin, gli attuali proprietari della AS Roma.
E' tratta da una storia vera, e più specificatamente dalla autobiografia Il Falco di James Keene, pubblicata nel 2010. Keene, di buona e colta famiglia fu arrestato dopo essere entrato in un giro di spaccio di droga e condannato a dieci anni di carcere.
Contattato dall'FBI, fu convinto a entrare sotto copertura, con la promessa di guadagnarsi la libertà, in un carcere di massima sicurezza (nonché manicomio criminale), allo scopo di guadagnarsi la fiducia di Larry Hall, sospettato di essere l'omicida seriale di un certo numero di ragazze sparite nelle campagne dell'Illinois.
Le sei puntate della tiratissima miniserie raccontano dunque la difficilissima discesa di James - o Jimmy - nell'inferno del carcere più duro, cercando di avvicinare Larry, diventarne amico e confidente, per arrivare a ottenere da lui la confessione dei suoi crimini (e in particolare, dei luoghi delle sepolture delle ragazze che ha ucciso).
Il punto di forza della serie è nella coppia di attori protagonisti: il giovane inglese Toran Egerton (nei panni di Jimmy) e Paul Walter Hauser che riesce a incarnare il più convincente e realistico omicida seriale che si sia visto recentemente al cinema o alla Tv.
Entrambi, infatti, hanno fatto incetta di candidature e di premi ovunque, compresi i Golden Globe. Erano tutti e due nella cinquina finale. Il premio per la migliore interpretazione maschile è poi andato - meritatamente - a Paul Walter Hauser.
Il quale virtuosisticamente colora il suo assassino di sottilissime sfumature, smorfie, idiosincrasie, rendendolo naif e terribile insieme.
L'altro versante della storia - l'indagine condotta da un ispettore locale e da una funzionaria dell'FBI - è meno interessante e forse andava tagliato nei tempi.
Nel complesso, però, una grande storia su dannazione e riscatto, sul buio interiore e sull'esercizio di una forza che non si arrende.
Assolutamente da vedere.

Fabrizio Falconi - 2023