26/02/22

Libro del Giorno: "Le muse nascoste" di Lauretta Colonnelli

 


In tempi come questi, fa veramente bene leggere queste pagine che Lauretta Colonnelli, una delle migliori giornaliste e scrittrici di divulgazione sull'arte e sulla storia dell'arte, ha scritto e dedicato alle "Muse Nascoste", cioè alle donne poco famose o affatto famose che sono dietro alla storia e alla rappresentazione di quadri famosi o famosissimi, e dietro le vite stesse dei grandi pittori che le hanno realizzate.

E' oltretutto un libro meravigliosamente illustrato che consente di seguire, lungo tredici intensi capitoli, le vicende delle donne che nelle loro vite hanno avuto la fortuna e la sfortuna di incontrare grandi artisti che, oltre ad esserne spesso ossessionati, le hanno immortalate nelle loro opere. 

Si scoprono così e si leggono così con grande interesse le vicende di Alma Mahler e di Oskar Kokoschka - che arrivò al punto di essere così ossessionato dalla sua "musa" da  commissionare una bambola di peluche a grandezza naturale, quando lei lo lasciò; quella di Grant Wood e di sua sorella che comparve nel celebre "American Gothic" (in copertina anche nel libro), del terribile Edward Hopper che maltrattò e umiliò per una vita intera la moglie artista, pittrice; e ancora le storie di Jusepe de Ribera e Maddalena, la celebre donna barbuta che visse a Napoli; di Botticelli e di Simonetta Vespucci, le cui sembianze ritrasse nei suoi quadri più famosi; e tanti altri. 

Ci sono insomma opere d'arte, anche celebri, che devono molto alle figure femminili che vi compaiono. Eppure, sorprendentemente, molte di quelle donne, ragazze, a volte bambine, non hanno identità, a volte neanche un nome. Figure nascoste dall'ombra ingombrante dell'uomo-artista. 

Il lungo lavoro di indagine della Colonnelli permette di ricostruire i ritratti di queste donne, di epoche diverse, le vicende biografiche, il rapporto con l'artista, le ragioni e i segreti della loro presenza, riportando alla luce storie di amore e complicità ma anche casi di violenza e di negazione. 

Una serie di ritratti intensi e appassionanti, che mette in luce il ruolo subordinato, abusato, discriminato che hanno avuto le donne nella lunga storia dell'arte, destinate ad essere usate e cancellate dall'ego creativo di geniali inventori di immagini, che spesso però si rivelavano uomini assai poco evoluti, sentimentalmente primitivi. 

Un atto di giustizia e di attenzione per quelle muse indispensabili eppure dimenticate.

Lauretta Colonnelli 

25/02/22

Guerra in Ucraina: Le 10 frasi profetiche di Anna Politkovskaja sulla Russia e su Putin

 



Ora che la Guerra in Ucraina è stata dichiarata e l'esercito russo ha invaso quel paese, con conseguenze che al momento non sono prevedibili, è utile ricordare Anna Politkovskaja,  nata a New York, il 30 agosto 1958 e assassinata a Mosca, il 7 ottobre 2006).

Una grande giornalista e una grande scrittrice divenuta una martire della libertà di espressione e di informazione. 

Politkovskaja fu ritrovata morta nell'ascensore del suo palazzo a Mosca il 7 ottobre 2006. La polizia rinvenne accanto al cadavere una pistola Makarov con quattro bossoli ed uno dei proiettili sparati l'aveva colpita alla testa. Si seguì quindi la pista di un omicidio premeditato operato da un killer a contratto. 

Il giorno successivo la polizia russa sequestrò il suo computer e tutto il materiale dell'inchiesta che la giornalista stava compiendo.

Particolarmente attiva sul fronte dei diritti umani, Politkovskaja è nota principalmente per i suoi reportage sulla seconda guerra cecena e per le sue aspre critiche contro le forze armate e il governo russi sotto la presidenza di Vladimir Putin, accusati del mancato rispetto dei diritti civili e dello stato di diritto. 

Vale la pena rileggere 10 sue frasi, tratte dai suoi scritti, che oggi appaiono quanto mai profetiche:

1. L'unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede.

2. Io vedo tutto. Questo è il mio problema.

3. La Cecenia è lo strumento con cui Putin ha conquistato il Cremlino e che lo ha spinto a cercare di soffocare la società civile e la libertà di espressione.

4. La Russia sta per precipitare in un abisso, scavato da Putin e dalla sua miopia politica.

5.  (A proposito delle fonti giornalistiche) Ormai possiamo incontrarci solo in segreto perché sono considerata una nemica impossibile da “rieducare”.

6. Impedire a una persona che fa il suo lavoro con passione di raccontare il mondo che la circonda è un’impresa impossibile.

7. (Sulla guerra in Cecenia) È una guerra terribile; medievale, letteralmente, anche se la si combatte mentre il Ventesimo secolo scivola nel Ventunesimo, per giunta in Europa.

8. Il motivo è semplice: diventato presidente Putin - figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese - non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione.

9. Con il presidente Putin non riusciremo a dare forma alla nostra democrazia, torneremo solo al passato. Non sono ottimista in questo senso e quindi il mio libro è pessimista. Non ho più speranza nella mia anima. Solo un cambio di leadership potrebbe consentirmi di sperare.

10. Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano.

Tristemente profetico, quanto mai oggi.

Fabrizio Falconi - 2022 

22/02/22

La serie TV che in Italia quasi nessuno ha visto e di cui nessuno parla, e che è una delle migliori di sempre - "Normal People" da Sally Rooney

 


Ci sono fenomeni misteriosi, in Italia, tra i quali quello per cui spesso vengono premiate dal pubblico serie Tv molto commerciali e molto poco significative, e altre, di grande qualità, che vengono ignorate o comunque viste da ristrette minoranze. 

Eppure, Normal People, serie Tv di produzione inglese-irlandese,avrebbe ogni caratteristica per imporsi anche in Italia: è tratta da un fortunatissimo romanzo di Sally Rooney (Einaudi), che anche tra di noi ha molti fedeli lettori, descrive la relazione in sottilissimo equilibrio tra amore-innamoramento-sessualità-amicizia tra due ventenni, presenta due attori protagonisti di enorme talento, parla di cose che sono molto prossime a chiunque di noi. 

Eppure nessuna serie d'autore, come questa, ha fatto incetta dei premi più prestigiosi, dentro e fuori la Gran Bretagna. 

La produzione della serie tv è BBC Three e Hulu in associazione con Screen Ireland. Ed è basata sul secondo romanzo di Sally Rooney, del 2018. 

Alla 72a edizione dei Primetime Emmy Awards, la serie è stata nominata per quattro premi, tra cui Miglior attore protagonista per Mescal e Miglior regia per Lenny Abrahamson. 

La serie descrive il passaggio all'età adulta di Marianne Sheridan e Connell Waldron dal loro periodo alla scuola secondaria nella contea di Sligo, sulla costa atlantica dell'Irlanda, fino agli anni universitari al Trinity College di Dublino. 

L'obiettivo è principalmente la complessa relazione di Connell e Marianne. Tra i suoi coetanei al liceo, Marianne è considerata una strana, ma nega di preoccuparsi della sua posizione sociale. Nonostante i suoi successi accademici, la sua vita familiare è complicata dalla madre sprezzante, Denise, e dal suo risentito fratello, Alan. Suo padre è deceduto e in seguito si scopre che è stato un molestatore domestico, anche se la sua famiglia evita di menzionarlo. 

Connell è uno studente atletico e di successo che vive con la madre single Lorraine, che è assunta da Denise come donna delle pulizie. È popolare a scuola, anche se rimane in silenzio mentre Marianne è costantemente vittima di bullismo. Questo crea complessità e punto di contesa mentre la loro relazione si sviluppa. In aggiunta a ciò, entrambi i personaggi lottano per conoscere e articolare i propri sentimenti e interpretano male le reciproche intenzioni.

Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal, nei panni dei due protagonisti è proprio il caso di dire che non "interpretano", ma "vivono" i loro personaggi, rendendoli più veri del vero. Due giovani attori straordinari. 



Tra i moltissimi elogi pubblicati su siti e riviste specializzato si leggono commenti come: "Ancorato dalle esibizioni vulnerabili di Daisy Edgar-Jones e Paul Mescal, Normal People è allo stesso tempo intimo e illuminante, traducendo magnificamente le sfumature del suo materiale originale".

Caroline Framke ha scritto su Variety: "Con la sua tripletta di scrittura, regia e recitazione eleganti, Normal People di Hulu è altrettanto cupo e intransigente come il romanzo di Rooney, un'impresa che richiede diversi episodi per essere completamente assorbita. mi ci sono voluti fino a circa metà per capire quanto mi stesse influenzando... Man mano che la relazione tra Marianne e Connell diventa più profonda, Normal People diventa coinvolgente come il libro che l'ha ispirato, facendoti desiderare e temere di sapere, o forse di più accuratamente, sperimentando, cosa succede dopo." 

La produzione ha ricevuto elogi particolari per la sua rappresentazione realistica di contenuti intimi e per il lavoro di Ita O'Brien come coordinatrice dell'intimità dello spettacolo. La nudità ha acceso anche  il dibattito alla radio irlandese, ma Prathyush Parasuraman di Film Companion , ha scritto: "Raramente ho visto il tipo di dialogo culturale che ho visto dopo l'uscita di Normal People nell'aprile 2020, quando è stato rilasciato nel Regno Unito. È ambientato in Irlanda e dintorni, con brevi deviazioni nell'assolata Italia e nevosa Svezia". 


Ma non solo la critica: Normal People ha messo d'accordo anche il pubblico, diventando la serie più vista in streaming dell'anno sulla BBC, con 62,7 milioni di visualizzazioni da aprile a novembre 2020. 

Nel giugno 2020, è stato riferito che Normal People aveva raccolto oltre 3 milioni di visualizzazioni su RTÉ Player , battendo il record precedente per il servizio di streaming di 1,2 milioni, detenuto dalla quarta serie di Love/Hate.

In Italia la serie, a parte illuminate ed euforiche recensioni - per esempio quella sul Domenicale del Sole 24 ore - è passata finora piuttosto inosservata.


Fabrizio Falconi - 2022 



21/02/22

Libro del Giorno: "Effi Briest" di Theodor Fontane


Anche durante il suo autunno, il lettore fa, di tanto in tanto, inaudite scoperte.

Non avevo mai letto Effi Briest di Theodor Fontane. Ricordavo di aver visto molti anni fa il film che ne aveva tratto Rainer Werner Fassbinder nel 1974, ma oltre alla impressione ricavata, che fosse un gran bel film, e alla stupenda fotografia in bianco e nero, non ricordavo niente della storia.

Iniziandolo senza aspettative, in breve mi sono ritrovato totalmente catturato dalla vicenda e dallo stile di Fontane.

Siamo in pieno ottocento, ma la prosa di Fontane, controllata, psicologica, quasi chirurgica, sembra già anticipare il Novecento, nel raccontare le vicende della diciottenne Effi, che va in sposa a un vecchio spasimante della madre, più grande di lei di vent'anni, un uomo rispettato e rispettabile, il Barone von Innstetten, e va a vivere con lui nella città di Kessin, sul Mar Baltico.

Nasce subito una figlia, Anna, ma Effi è spesso sola in una casa bizzarra e anche un po' spettrale: il Barone è trattenuto spesso fuori e a Berlino dal suo lavoro di prefetto, che gode la stima del principe di Sassonia.

I fantasmi che si agitano nella testa di Effi e che sembrano popolare anche il piano nobile disabitato, della casa, finiscono per portarla, quasi inconsapevolmente nelle braccia del maggiore Crampas, sposato, ma dongiovanni.

Il congegno narrativo del romanzo è perfetto. I personaggi di contorno (che non sono soltanto di contorno): i genitori di Effi, il vecchio farmacista di Kessin, devoto ammiratore di Effi, le cameriere Rosvita e Giovanna, i notabili della buona società di Kessin e perfino il cane Rollo, offrono ciascuno un contributo importante e finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo del romanzo, le cui qualità si dispiegano, ancor più che nella descrizione della psicologia di Effi, in quelle dei caratteri e delle motivazioni dei due uomini, il maggiore Crampas e soprattutto von Innstetten.

Pur se tedesco di nascita, Fontane - come rivela il suo cognome - era di famiglia interamente francese (ugonotti trasferitisi in Prussia). Questo spiega come nel romanzo e nella sua letteratura si avvertano oltre che anticipazioni di Mann, gli echi di Flaubert e di Maupassant.

Qui, soprattutto per la descrizione del coinvolgimento emotivo dei personaggi, del loro combattimento, della battaglia persa contro quei dilemmi morali, contenuti nella stessa edificazione della società alla quale appartengono, che sabotano la felicità personale e di coppia, in nome di un rigido autocontrollo, di distorte motivazioni legate all'opportunità e alla convenienza.

Il personaggio di Effi è antesignano delle grandi protagoniste femminili del Novecento, che hanno pagato a caro prezzo e sulla propria pelle, l'emancipazione liberatoria dal ruolo in cui la vita - e la stessa letteratura - l'avevano relegate.

Il pregio maggiore del romanzo, tra i molti, è la sua capacità di esprimere mondi con l'esattezza meticolosa del taglio completo di ogni superfluo: considerazioni dell'autore, inutile moraleggiare, spreco di dettagli inutili, dilatazioni di tempi e di descrizioni; tutto invece viene economizzato e messo all'uso di una narrazione che ha bisogno di poche o pochissime parole per descrivere una malattia, una separazione o un duello.

Eccellente. Ho chiuso l'ultima pagina del libro colmo di ammirazione e gratitudine per Theodor Fontane e di umano rimpianto per i destini di Effi, del barone Innestetten e del maggiore Crampas.


18/02/22

Dopo 50 anni l'enorme attualità di "Arancia Meccanica" - Le questioni etiche, la violenza, il libero arbitrio

 


Di un capolavoro assoluto del cinema, come Arancia Meccanica (A Clockwork Orange), girato nel 1971 da Stanley Kubrick, non si finisce mai di parlare. 

Pochi altri film posseggono un alone leggendario come questo, e contengono implicazioni etiche sulla violenza e il libero arbitrio che lo rendono eternamente contemporaneo. 

In una recente intervista di Mariolina Venezia per Io-Donna/Corriere della Sera, è tornato a parlare l'indimenticabile protagonista Malcolm Mc Dowell, oggi ottantenne, che vive a Ojai in California, con i suoi 3 figli adolescenti (ne ha 5 in totale), che è tornato a raccontare curiosità riguardo le mitiche riprese di quel film che lo vide, a 25 anni, protagonista.

Fra l'altro Arancia Meccanica fu di gran lunga il film girato più rapidamente da Kubrick che, come è noto, trasformava i suoi set in estenuanti prove di resistenza (con l'apice toccato per Eyes Wide Shut, la cui produzione si è protratta praticamente per un intero decennio). 

Quel film fu invece realizzato in pochi mesi e Kubrick andò dritto all'obiettivo di trasformare il romanzo da cui film era stato tratto, scritto da Anthony Burgess in un apologo sulla libertà e sul libero arbitrio trascinato fino alle sue estreme conseguenze.

A parte le diatribe personali avute dopo l'uscita del film da Mc Dowell con Kubrick - l'attore ancora in questa ultima intervista sostiene di essere stato "truffato" da Kubrick che non gli riconobbe la percentuale sui diritti d'autore che gli aveva promesso prima di iniziare a girare (ragione per cui McDowell riesce nel corso dell'intervista ad avere parole più entusiaste per Lindsay Anderson, di cui fu protagonista del celebre If, piuttosto che per Kubrick)  - Malcolm - sullo schermo il fantastico e terribile Alex, capo dei drughi, ha ricordato l'ossessione di Kubrick per il tema del film che culminò nella maniacale cura con cui furono girate le scene della famosa "Cura Ludovico". Mc Dowell racconta che a causa di quei divaricatori oculari e del numero altissimo di ciak, rischiò anche dei seri danni all'occhio. 

Dal punto di vista dei contenuti, uno degli obiettivi del film che stava a cuore a Kubrick è il comportamentismo (psicologia comportamentale) sostenuto dagli psicologi John B. Watson e BF Skinner. Burgess disapprovava il comportamentismo, definendo uno dei libri più famosi sull'argomento scritto da uno dei più noti comportamentisti BF Skinner, Beyond Freedom and Dignity, pubblicato nel 1971, "uno dei più pericolosi mai scritti".

Sebbene i limiti del comportamentismo siano stati dichiarati dal suo principale fondatore JB Watson, Skinner affermava che la modifica del comportamento, in particolare il condizionamento operante (condizionamento che viene effettuato tramite tecniche alternate di ricompensa/punizione), più del "classico" condizionamento Watsoniano , è la chiave per un società ideale

Una tesi quantomeno inquietante. 

La Cura Ludovico nel film è ampiamente vista come una parodia della terapia dell'avversione più del classico, normale condizionamento

Mostrando il "riabilitato" Alex che rifiuta sia il sesso che la violenza, il film suggerisce che privandolo delle sue capacità di badare a se stesso, il condizionamento mentale di Alex attraverso la Tecnica Ludovico sta disumanizzando i suoi autori, proprio come gli atti di violenza di Alex nella prima parte del film avevano finito per disumanizzare lui.  

Fra l'altro, la tecnica che tende a condizionare Alex ad avere reazioni di sofferenza fisica di fronte alla violenza è simile al progetto MKUltra che era stato sviluppato dalla CIA negli anni '50

Secondo alcuni, la tecnica Ludovico può essere paragonata alle tecniche esistenti e moderne di castrazione chimica, rendendo la materia del film strettamente contemporanea.

Inoltre, il film permette di “porre lo spettatore di fronte alle sue pulsioni tabù” e quindi di considerare il cervello come un “covo di follia”. 

La società ritratta nel film, caratterizzata da crisi sociale e deriva totalitaria, fu accomunata secondo alcuni a un tipo di struttura comunista, per le evocazioni della cultura russa, come lo slang adolescenziale, creato da Burgess traendo ispirazione dal vocabolario russo, o affreschi di operai in stile Propaganda realista socialista sovietica , deturpata da disegni osceni, che si trovano sia nel film che nel romanzo. 

Tuttavia, nella lunga e storica intervista rilasciata a Michel Ciment, Kubrick rispose, alla domanda sull'esatta natura della società descritta, che essa rimane volutamente ambigua. Kubrick riconosce di fare paragoni nel film tra la destra e la sinistra e sente che c'è poca differenza tra i due: "Il ministro, interpretato da Anthony Sharp , è chiaramente una figura di destra. Lo scrittore, interpretato da Patrick Magee, è un pazzo di sinistra. Differiscono solo nei loro dogmi. Il loro modo di fare e gli obiettivi finali sono quasi gli stessi."  

Una metafora potentissima del potere di ogni tipo e grado e ideale, che ancora oggi turba e affascina. E che esprime il pessimismo di Kubrick e la potenza filosofica dei film che ci ha lasciato.

Fabrizio Falconi - 2022  

17/02/22

Cani e scrittori famosi: L'incredibile amore di Virginia Woolf per Pinka

 

Virginia Woolf con la sua amata Pinka 

Molti celebri scrittori del passato sono stati proprietari di cani e dai loro animali domestici hanno tratto ispirazioni per il loro lavoro letterario. 

Non solo: spesso, con questi meravigliosi animali, si è intessuto un rapporto profondo intimo, che ha accompagnato queste personalità letterarie per parti importanti delle loro vite e delle loro opere. 

Un esempio è la grande Virginia Woolf che come è noto adorava i cocker spaniel e, in particolare, il suo amato cane Pinka che era sempre al suo fianco ed è spesso immortalato nelle bellissima foto d'epoca. 

La Woolf scrisse anche uno dei più celebri romanzi che hanno per protagonista un cane: Flush: A Biography, un resoconto semi-immaginario del cocker spaniel della poetessa Elizabeth Barrett Browning, che è stato chiamato "Flush" per qualche ragione inconoscibile.

Il romanzo, Between the Acts, è stato invece l'ultimo romanzo di Virginia Woolf ed è stato pubblicato poco dopo la sua morte nel 1941.

La storia ha elementi di un'opera shakespeariana con tocchi di parodia e un finale vittoriano, tutto in un solo giorno. 

Alcuni critici ritengono che Woolf sapesse Between the Acts sarebbe stato il suo canto del cigno come scrittrice in quanto si tratta di una sorta di elegia. 

Non sorprese le persone che la conoscevano, che uno dei personaggi del romanzo fosse un cane, “Sohrab”, un levriero afgano che la Woolf usò per rappresentare aspetti di uno dei personaggi umani del libro. 

Virginia era stata proprietaria di cani di diverse razze, nella sua vita, ma per quanto ne sappiamo, non ha mai posseduto un levriero afgano. 

Aveva avuto un terrier e un cane da pastore, e quando sposò Leonard Woolf all'inizio della prima guerra mondiale, la coppia si offrì di custodire il Clumber Spaniel di un amico chiamato "Tinker" quando il suo proprietario partì per prestare servizio in guerra. 

Purtroppo, Tinker fuggì dal loro giardino, si perse, e non fu mai ritrovato nonostante i tanti sforzi compiuti da Virginia e Leonard. 

Il più famoso dei cani di Virginia Woolf restò però "Pinka", il Cocker Spaniel di razza donato alla coppia dal poeta inglese, romanziere e designer di giardini, Vita Sackville-West, il cui Cocker Spaniel, "Pippin", aveva avuto una cucciolata. 

Pinka restò al fianco di Virginia fino al giorno del suo suicidio all'età di 59 anni, il 28 marzo del 1941 nelle acque del fiume Ouse. 

Fabrizio Falconi - 2022 


15/02/22

Il dramma di Nastassja Kinski, alle prese con un "padre-orco"

Klaus Kinski con la seconda moglie Brigitte Ruth Toki e la loro figlia Nastassja

Aveva pianto a lungo, ma poi aveva manifestato tutta la sua ammirazione e fierezza per il coraggio che sua sorella Pola aveva manifestato, nove anni fa, nel 2013, quando aveva dato alle stampe un libro sconvolgente - intitolato "Parole di bambini" -  in cui per la prima volta rivelava gli abusi sistematici subiti dal padre, il famoso attore Klaus Kinski. 

Intervenendo su 'Bild', Nastassja Kinski, icona cinematografica nei decenni '70, '80, '90 aveva detto a proposito delle rivelazioni nel libro della sorella: "Aiuteranno tutte le vittime della pedofilia. Sì, è un momento difficile per me - spiega - Io però sono con mia sorella, la sostengo. Sono profondamente sconvolta. Ma sono anche orgogliosa della forza che ha avuto nello scrivere un libro del genere. Conosco il contenuto. Ho letto le sue parole. E ho pianto a lungo...". 

"Bambini e adolescenti devono essere protetti:" aveva proseguito Nastassja, "devono sapere che ci può essere subito aiuto per loro, quando succede qualcosa di così raccapricciante. Un libro come quello di Pola aiuta tutti i bambini, i giovani, e le mamme che hanno paura del padre, e che mandano giù questa paura e la nascondono nell'anima". "Mia sorella è un'eroina", aggiunge, e così "ha liberato dal peso della segretezza il suo cuore, la sua anima e il suo futuro".

Klaus Kinski con la giovanissima Nastassja

"Queste cose succedono a bambini di tutto il mondo" aveva continuato, "ogni giorno. Più se ne sa, più si può essere di aiuto. Soltanto perché uno si chiama padre, non vuol dire che sia davvero un padre. L'orrore è successo, anche i padri fanno cose orribili". 

Ma cosa successe esattamente nell'infanzia e nella adolescenza di Pola e di Nastassja, figlie dell'attore tedesco morto nel 1991? 

Lo stesso Klaus Kinski aveva rivelato anni prima, in un libro di memorie, le sue perversioni: nel 1975 era infatti apparso in libreria un volume con uno strano titolo: "Sono così pazzo della tua bocca di fragola", che fu poi ritirato dal mercato nella sua edizione originale. 

Cosa scriveva? Kinski sosteneva di portare sua figlia di 3 anni in un bordello, raccontò "Bild". E scriveva: "Se la madre non vuole darmi mia figlia, io gliela strappo dalle braccia". 

Il tabloid ricordava anche che Kinski scriveva di "aver violentato una quindicenne", e di aver alzato il volume dela tv per non farne sentire le urla. 

Nel 1985, a 59 anni, si lamentò pubblicamente del fatto di non poter fare del sesso, legale, con minorenni: "Da noi si va in prigione, in altri paesi si sposano..."

D'altronde i traumi vissuti dalla giovane Nastassja, dovettero avere conseguenze, se è vero che, quando aveva appena 15 anni, e in altri tempi molto lontani dal me too, fece molto parlare una sua relazione con l'allora quarantaduenne Roman Polanski. 

Nastassja, figlia della seconda moglie di Kinski, Brigitte Ruth Tocki, non ha mai voluto rivelare se fosse mai stata a conoscenza delle molestie nei confronti di Pola, la sorellastra, nata dal primo matrimonio della star di “Aguirre, furore di Dio” (1972), con la cantante Gislinde Kuehbeck, e non ha voluto nemmeno mai scendere nei particolari della sua relazione con il padre. 

Ancora Nastassja adolescente, con il padre Klaus 

La settantenne Pola, anche lei attrice, ha raccontato invece senza mezzi termini, che Kinski l’ha violentata regolarmente da quando aveva 5 anni fino ai 19. 

Le sorelle hanno un altro fratellastro, Nikolai, 36 anni. “Lo faceva anche se mi difendevo, come succedeva spesso, o dicevo di non volere: per lui era uguale”, ha ricordato la primogenita.

Bild ha pubblicato anche alcuni estratti delle memorie di Klaus Kinski,  del 1975, in cui l'attore raccontava la sua attrazione per le giovani donne. 

Nel testo racconta di avere portato Pola con sé durante una visita in un bordello, quando aveva appena tre anni, e, in un altro passaggio, afferma di avere tolto la verginità di una minorenne alla presenza della sua sorella 17enne. Inoltre, raccontò che da adolescente era stato a letto con la sorella più piccola Inge. 

Insomma, una vita davvero difficile per Nastassja, che del resto l'allora bellissima attrice portava scritta negli occhi e nel suo malinconico sorriso.

Fabrizio Falconi - 2022


13/02/22

Poesia della Domenica: "Lieve avvicinamento" di Fabrizio Falconi







Lieve avvicinamento 

Avvicinandosi gli anni del mercimonio 
con la morte, l'intenso amaranto degli oleandri
sembra staccandosi dal muricciolo di selci 
prevalere sul bruno di ogni parola pensata 
sul cielo e la cometa lievi sussurri pronunciati 
come fanno gli animali che riconoscono il momento e vanno di buon grado 
senza nemmeno gridare. 

Smette l'amore, non la sete 
divide il tempo ma non separa 
piove l'attesa senza asciugare.




12/02/22

Quando i Neonazi manifestavano liberi nel 1962 a Londra, a Trafalgar Square

 


Una bella miniserie prodotta da BBC, "Ridley Road", in 4 puntate di 1 ora ciascuna, ancora in attesa di trovare un distributore in Italia, ha riportato alla memoria l'incredibile vicenda di un gruppo neonazista che in Gran Bretagna, ispirandosi direttamente ad Adolf Hitler, nel dopoguerra, riuscì a manifestare liberamente per le strade di Londra, come conferma questa foto storica scattata a Trafalgar Square, nel 1962.

Il gruppo era capitanato dal politico Colin Jordan, e dalla moglie francese, Francoise Dior, che oltre ad essere la dama nera del movimento inglese, era anche la nipote (figlia del fratello) di Christian Dior. 

Ero piuttosto curioso, dopo aver visto la serie, di scoprire quanto nella fiction ci fosse di vero. E sembra proprio che la ricostruzione sia molto fedele ai fatti. 

Nell'Inghilterra del dopoguerra Colin Jordan, figlio di un impiegato postale scozzese, cavalcò la frustrazione di un popolo che molto aveva sofferto durante la Seconda Guerra Mondiale, con un inaudito numero di perdite umane; lanciando lo slogan che tutto questo era stato fatto "per salvare gli ebrei" e quindi, tutto sommato, per colpa loro. 

Cominciò così una campagna dai toni sempre più aggressivi nei confronti degli ebrei inglesi, fino a quando Jordan non fu arrestato con l'accusa - e le prove - di aver organizzato una forza paramilitare sul modello delle SA naziste. 

Ridley Road ripercorre con tocco lieve ma efficace, la storia di due infiltrati - ebrei - che riuscirono a sabotare l'organizzazione di Jordan, fornendo a Scotland Yard, le prove della loro attività criminale. 

Come sempre, quando si tratta di serie inglesi, la ricostruzione è perfetta negli ambienti, nel clima, e nei personaggi. 

Tra tutti i (bravi) attori, menzione particolare per Rory Kinnear, attore shakespeariano che incarna magistralmente il nevrotico represso Jordan. 

Fabrizio Falconi - 2022 



10/02/22

Quando si incontrarono due geni: Pasolini e Orson Welles

 


Che incontro è stato, quello tra Pasolini e Orson Welles. 

Il grande regista americano nei primi anni '60 era alle prese con problemi familiari e soprattutto problemi economici.  Decise di tornare a lavorare in Italia visto l'ostracismo delle grandi majors americane, che gli avevano chiuso le porte per motivi politici e per motivi legati alla resa al botteghino dei suoi film, che costavano sempre tantissimo.

In Europa Welles accettò un po' di tutto, parti come attore in film popolari, e spesso anche di basso livello. 

L'incontro con Pasolini, però fu diverso:

Nel 1962, Pier Paolo Pasolini, i cui primi film erano improntati al neorealismo, fece un balzo nella frenetica modernità con questo breve e apocalittico film - uno degli episodi del film collettivo Ro.Go.Pa.G. - che ha come tema la freddezza non cristiana della contemporaneità. 

Orson Welles interpreta un regista che sta girando la Passione su una collina vicino a Roma. Stracci (Mario Cipriani), la comparsa che interpreta il ladro pentito, brama la ricotta per il suo misero sostentamento ma non può permettersela e, per averla, diventa, nella vita reale, un ladro

Le sequenze sul set sono selvaggiamente satiriche, quando una diva nutre con il caviale il suo cane mentre Stracci lo guarda, gli attori nella scena della Crocifissione si mordono il naso o ridono nei momenti inappropriati mentre  i membri della troupe invocano la corona di spine. 

In una concisa intervista a un giornalista in visita, Welles esprime il credo del marxismo cattolico di Pasolini; e Stracci, il vero Cristo tra gli uomini, subisce un'intima flagellazione di proporzioni bibliche mentre attende la sua scena legato alla Croce. 

Con dispositivi dirompenti come l'intersezione di filmati a colori e in bianco e nero, la parodia delle buffonate dei film muti e l'inserimento di scene di giovani che ballano il twist, Pasolini afferma la grandezza classica del modernismo cinematografico e trasmette il suo senso di un tempo ormai disconnesso. 

Welles era arrivato in Italia accompagnato dalla terza moglie, l'italiana Paola Mori (nata Contessina Paola Di Gerfalco) che il regista sposò nel 1955 e dal quale ebbe una figlia, Beatrice (lo stesso nome della madre di Welles), nata il 13 novembre dello stesso anno. 

Si erano conosciuti l'anno precedente a un party sul set del film Il maestro di Don Giovanni (1954) e per Welles, che aveva divorziato nel 1948 da Rita Hayworth, fu amore a prima vista. 

La coppia rimase sposata dal 1955 fino alla morte di lui, avvenuta nel 1985. La Mori morì l'anno seguente a 57 anni di età, in seguito a un incidente stradale occorsole in Nevada. 

I due non divorziarono mai, pur vivendo di fatto da tempo separati, poiché proprio in quell'anno, nel 1962 Welles aveva intrapreso una relazione con l'artista croata Oja Kodar, conosciuta durante la lavorazione del film Il processo (1962).

Orson Welles e Paola Mori a Venezia

Fabrizio Falconi - 2022

08/02/22

Quando Dario Argento si prese gioco dello spettatore mostrando il volto dell'assassino prima del finale (e nessuno se ne accorse!)



Questo articolo contiene SPOILER ed è dunque sconsigliato a chi ancora non abbia visto il film. 

Profondo rosso, realizzato nell'ormai lontano 1975 diretto da Dario Argento, viene ormai unanimemente considerato il suo capolavoro, costituendo anche il passaggio tra la fase thriller del regista,  cominciata nel 1970 con L'uccello dalle piume di cristallo e quella horror intrapresa nel 1977 con Suspiria.

Qui vengono narrate le vicende del pianista jazz Marc Daly (l'attore David Hemmings, lanciato da Michelangelo Antonioni in Blow Up), sulle tracce di un efferatissimo serial killer, i cui segreti affondano in un inconfessabile, macabro passato.

Il geniale Dario Argento, che si era nutrito da studente di cinema di Hitchcock, in questo film realizzò una vera impresa "prendendosi gioco" dello spettatore e praticamente consentendogli di risolvere il rebus riguardante l'identità dell'assassino già a partire dalle primissime scene. 

Durante una di queste infatti il protagonista si trova nella piazza sottostante quella dell'assassino della sensitiva, che apre il film, con il suo amico Carlo, anch'egli abile pianista ma con gravi problemi di alcolismo. 

Qui i due sentono le grida della vittima e Marc vede la sensitiva mentre viene scaraventata contro il vetro della finestra dalla quale stava chiedendo aiuto. 

Precipitatosi nell'appartamento non può che constatarne la morte. 

In realtà però, in quella scena, quando Marc entra nell'appartamento della vittima, Dario Argento svela il volto dell'assassino, in un veloce frammento, durante la camminata nel corridoio. Marc, infatti non si accorge - e lo spettatore con lui - che l'assassino è ancora all'interno dell'appartamento. 

Il suo volto compare infatti riflesso da uno specchio, insieme ai volti ritratti in quadri d'arte contemporanei che la sensitiva teneva appesi nella casa. 

La trovata del quadro/specchio è sicuramente una delle più geniali e rivoluzionarie del film e costituirà il ricordo sbiadito e subliminale che ricorre per tutto il film nella mente del protagonista

Già all'epoca il particolare ebbe molto clamore. Quando si diffuse il passaparola, molte persone tornarono a vedere il film per essere certi che davvero in quella scena, Argento avesse mostrato il volto dell'assassino, sfidando le regole di ogni thriller, e mettendolo sotto gli occhi dello spettatore. 

Oggi che Dario Argento, a 81 sta uscendo con il suo nuovo film, in concorso alla Berlinale, questo è un modo per fargli gli auguri, e ringraziarlo dei brividi di classe che con i suoi film ci ha regalato, specialmente con la prima parte della sua filmografia.

Fabrizio Falconi - 2022 

07/02/22

Sam Shepard e Wim Wenders, i dialoghi dettati al telefono: come nacque il capolavoro di "Paris, Texas"



Come sanno tutti quelli che hanno amato e amano Paris, Texas, capolavoro di Wim Wenders, che uscì nel 1984 e vinse in quell'anno la Palma d'Oro al Festival di Cannes, quest'opera si caratterizza, fra le altre cose, per essere quasi del tutto priva di dialoghi. 

Come nacque la magia del film?

Sicuramente tutto risale alla straordinaria amicizia tra Wenders e Sam Shepard, che ci ha lasciato purtroppo il 27 luglio del 2017.

Wim Wenders aveva viaggiato all'epoca a lungo negli Stati Uniti e aveva dichiarato di voler "raccontare una storia sull'America". Il film prese il nome dalla città texana di Paris, ma in realtà non vi fu  ambientata lì nessuna scena. 

Già all'inizio della sua carriera Wenders aveva scattato molte fotografie durante la ricerca di luoghi negli Stati Uniti occidentali, ritraendo luoghi come Las Vegas e Corpus Christi, in Texas . 

Sam Shepard aveva già ha incontrato Wenders per discutere della scrittura e/o della recitazione per il progetto Hammett (diventato poi il film L'amico americano) di Wenders, ma si disse non interessato a scrivere di Hammett.  

I due presero però in considerazione l'idea di adattare vagamente una novella scritta da Shepard, Motel Chronicles e iniziarono a sviluppare insieme una storia di fratelli, uno dei quali ha perso la memoria. 

La loro sceneggiatura crebbe fino a 160 pagine, poiché il rapporto fratello-fratello diminuì di importanza e furono presi in considerazione numerosi finali. 

Il film fu girato in sole quattro o cinque settimane, con solo un piccolo gruppo al lavoro nelle ultime settimane, e la realizzazione fu molto breve e veloce. Ci fu però un'interruzione alla fine delle riprese, durante la quale la sceneggiatura fu poi completata. 

Il film segnava la prima volta che Wenders evitava completamente lo storyboard,  andando direttamente alle prove, sul posto, prima delle riprese. 

Le riprese iniziarono nel 1983 quando la sceneggiatura era ancora incompleta, con l'obiettivo di girare secondo l'ordine della storia. Shepard pianificò di basare il resto della storia sulle osservazioni degli attori e sulla loro comprensione dei personaggi

A causa di continui rinvii per la difficoltà nel reperire i fondi necessari per la produzione Sam Shepard si ritrovò impegnato a lavorare a un altro film quando Paris, Texas raggiunse il punto in cui la sceneggiatura finiva. Wim Wenders fu aiutato da Kit Carson, che era sempre presente sul set essendo il padre di Hunter Carson, il bambino del film, per alcune scene. 

In seguito Wenders spedì ciò che aveva scritto a Sam Shepard, che a sua volta dettò per telefono al regista i dialoghi tra Harry Dean Stanton e Nastassja Kinski delle due scene madri del film, che si svolgono all'interno della cabina del peep-show, e che rappresentano il vero acme del film. 

Wenders e i suoi collaboratori, decisero di non ritrarre un peep show realistico, poiché avevano bisogno di un formato che consentisse una maggiore comunicazione tra i personaggi. 

Kinski non poteva vedere nessuno, solo uno specchio, nelle scene del peep show, e dopo la fine delle riprese ha confessato che questo creava una vera sensazione di solitudine.

Le sfide sono emerse quando il film ha esaurito le finanze, ma Wenders si è sentito sollevato quando  ha completato la scena con la Kinski, osservando: "mi sono reso conto che avremmo toccato le persone in grande stile. Ero un po' spaventato dall'idea".

Era la percezione di essere riuscito - grazie all'aiuto fondamentale di Sam Shepard - a portare a compimento il suo film, poeticamente e creativamente, con quell'ultima lunga scena entrata, con ogni merito, nella storia del cinema. 

Fabrizio Falconi - 2022

29/01/22

Come rifare 50 anni dopo, "Scene di un matrimonio" di Bergman e come farlo meravigliosamente bene


Si pensava che fosse impossibile e impensabile imbarcarsi in un remake da un'opera mitologica come "Scene da un matrimonio" che Ingmar Bergman realizzò per la televisione qualcosa come 50 anni fa, nel 1973, archetipo e prototipo delle "serie" televisive, che nasceranno soltanto 30 anni più tardi.

Invece l'israeliano Hagai Levi non solo ci ha provato, ma ha realizzato un miracolo.

D'altronde Levi è il più brillante scrittore e creatore della sua generazione, basti pensare che ha inventato il "format" di In Treatment, (nell'originale israeliano Be Tipul), poi esportato e rifatto negli USA e in decine di altri paesi.

Prodotto dalla Hbo, la più raffinata delle reti, Hagai Levi ha riscritto interamente il copione bergmaniano, operando alcune coraggiose modifiche: tagliando la puntata n.2 di Bergman (quella che aveva il meraviglioso titolo "L'arte di nascondere la polvere sotto il tappeto") - e quindi qui sono 5 non 6 - e invertendo i ruoli dei protagonisti:  nella serie 2021 non è il marito a tradire e a andarsene, ma la moglie. E di conseguenza, tutto avviene a parti invertite.

La sostanza però non cambia. Ma tutto viene "aggiornato" secondo lo zeitgeist, lo spirito del tempo, di oggi.

Ed è una serie dolorosissima, come l'originale, ma necessaria.

5 puntate meravigliose, contenute nel claustrofobico legame tra Jonathan (Oscar Isaac) e Mira (Jessica Chastain), che non riescono ad essere all'altezza dell'amore che li lega, del sentimento che sentono l'un l'altro, che sabotano - come spesso succede - questo rapporto e anche le loro vite individuali, alla ricerca di aria, di libertà, di spazio, di crescita evolutiva, di emancipazione, salvo ritrovarsi poi all'apparente punto di partenza, sconsolatamente orfani di qualcosa che hanno perduto e che non può ormai più essere rimesso in piedi - se non sotto forma di affetto o scarna sessualità estemporanea.

Quest'opera riesce insomma ad essere degna dell'originale bergmaniano (anche se ovviamente, nelle mani del maestro, tutto ciò si trasformava in una delle sue ricerche da entomologo sulla natura e sulle ombre dell'animo umano).

Tutto ciò grazie a due attori veramente straordinari, Jessica Chastain e Oscar Isaac che si mettono in gioco completamente, esponendo con se stessi, la nudità completa dei loro personaggi, indagati instancabilmente da primi o primissimi piani.

I due meritavano e hanno vinto innumerevoli, meritatissimi premi.

Il segreto della loro alchimia sul set, sembra nasca dal fatto che si conoscono da tantissimo tempo, essendo ex compagni di corso nella mitica Julliard School che ha sfornato innumerevoli talenti negli ultimi anni.

Ogni piega, ogni dolore, ogni lacrima, ogni sorriso, ogni violento litigio, ogni compassione o riappacificazione è dunque qui mostrata con naturalezza, con estrema verità.

Una serie che è una delle più belle e sostanziose sorprese di questi ultimi due difficilissimi anni, per tutti.

Fabrizio Falconi - 2022

24/01/22

Elezione del Presidente della Repubblica: quanti anni avevano i presidenti eletti finora al momento della loro proclamazione? Il più giovane e il più vecchio

 



Sta per essere eletto il nuovo Presidente della Repubblica.

In questi giorni è forse utile anche rispolverare qualche curiosità. 

Per esempio: Quanti anni avevano i presidenti eletti finora al momento della loro proclamazione? Qual è stato il più giovane eletto e il più vecchio?

Il presidente più giovane al momento dell'elezione è stato Cossiga, eletto a 56 anni; il più anziano è stato Napolitano, eletto per il secondo mandato a 87 anni; il più anziano al momento dell'elezione per il primo mandato è stato Pertini, eletto a 81 anni.

Ma rivediamo l'elenco completo dei Presidenti: 

- Enrico De Nicola, eletto a 71 anni

- Luigi Einaudi, eletto a 74 anni

- Giovanni Gronchi eletto a 68 anni

- Antonio Segni eletto a 71 anni

- Giuseppe Saragat eletto a 66 anni

- Giovanni Leone eletto a 63 anni

- Sandro Pertini eletto a 81 anni

- Francesco Cossiga eletto a 56 anni

- Oscar Luigi Scalfaro eletto a 74 anni

- Carlo Azeglio Ciampi eletto a 79 anni

- Giorgio Napolitano eletto nel primo mandato a 80 anni

- Giorgio Napolitano eletto nel secondo mandato a 87 anni

- Sergio Mattarella eletto a 74 anni



E' morto Paolo Taggi - Il ricordo di un amico

 


Ho conosciuto Paolo nei meravigliosi anni della Radio-Rai, e siamo diventati molto amici.
Era uno dei pupilli di Lidia Motta, storica capostruttura di RadioDue, che l'aveva lanciato alla conduzione del programma notturno.
Paolo, novarese di nascita, si era laureato alla Cattolica di Milano, con Gianfranco Bettetitini, che era stato il maestro della generazione di talentuosi allievi di quegli anni.
Paolo era uno degli uomini più intelligenti che abbia conosciuto e uno dei più grandi conoscitori di cinema in assoluto, in Italia.
Fu per decenni la colonna portante di Segnocinema, la rivista vicentina di Mario Calderale e di Paolo Cherchi Usai, che aveva l'ambizione di essere la versione italiana dei Cahiers francesi.
Con Paolo nacque una amicizia immediata, sincera, profonda.
Era un intellettuale del tutto atipico, completamente privo di spocchia e di cinismo. Metteva prima di ogni altra cosa il cuore, nei rapporti umani, come nel lavoro. Era un sognatore e grande affabulatore, dotato perlopiù di notevole ironia e autoironia.
Passare un pomeriggio con lui era una vera festa.
Lavorò con la Videa di Degli Esposti, oltre che con la Rai, con Mediaset, ecc.. fu talent scount di giovani talenti (fu lui a segnalarmi Federica Gentile, che chiamai, appena diciottenne, a condurre Tempo Giovani, a Radiodue), e infaticabile scrittore di piccoli saggi, articoli, libri, romanzi.
Fu anche lui conquistato dal demone della televisione e divenne autore di programmi molto popolari. Anche qui, lo faceva con spirito naif, divertendosi soprattutto quando riusciva a inventare.
Mi chiese di collaborare con Segnocinema, cosa che feci per anni, con grande piacere, per il principale fatto di potermi confrontare con lui, e parlarci dei film che avevamo visto, scambiandoci pareri e piccole scoperte.
Oggi quando ho ricevuto la notizia, non potevo crederci. Paolo mi sembrava lontanissimo dall'essere associato all'idea di morte, anche se non ci vedevamo da parecchio tempo.
La sua carica vitale ne sembrava immune.
Quella umana invece persiste e persisterà in quelli che l'hanno conosciuto, in anni bellissimi. Forse davvero irripetibili.
A rivederci, carissimo Paolo.

Fabrizio