14/01/09

La religione civile che manca all'Italia - Un articolo di Vito Mancuso.


Cari lettori del Mantello, vi rivolgo un caldo invito a non perdere questo articolo che ieri Vito Mancuso ha scritto per La Repubblica e che pubblico qui di seguito integralmente, sul quale - credo - sarà bene per ciascuno di noi riflettere, e discutere - se vorrete.


Non mi risulta ci sia lingua al mondo che usi l' aggettivo della propria nazionalità per designare qualcosa di imperfetto e di furbesco, come invece facciamo noi italiani dicendo "all' italiana". C' è sfiducia verso l' Italia anzitutto da parte degli stessi italiani: quanti di noi oggi, immaginando di scegliere dove poter nascere, sceglierebbero l' Italia?

La crisi però non dipende dal fatto che valiamo poco, ma dal fatto che valiamo molto, nel senso che la notevole intelligenza degli italiani è incapace di trovare un valore-guida comune. Già nel 1513 Machiavelli scriveva che «in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma»: il nostro problema non è la materia umana, che c' è; è piuttosto la mancanza di una forma su cui modellare l' esuberanza della materia.

Il problema non è il valore dei singoli, ma l' armonia tra tanti singoli di valore. Il problema, in altri termini, è "religioso", nel senso etimologico del termine religio: in Italia, a differenza degli altri paesi occidentali, manca una religione "civile", capace di legare responsabilmente l' individuo alla società.

Si tratta, per dirla ancora in altro modo, di capire come mai l' Italia, ai primi posti quanto a pratica religiosa, lo sia anche per corruzione, evasione fiscale, criminalità organizzata e litigiosità della politica. Per argomentare il mio pensiero procedo mediante tre tesi.

Prima tesi: Una società è tanto più forte quanto più è unita, e ciò che tiene unita una società è la sua religione. Con questa tesi non voglio dire che il cattolicesimo in quanto religione istituita del nostro paese sia ciò che unisce la società e che per "salvare l' occidente" anche i non credenti debbano giungere a dirsi culturalmente cattolici, come vogliono gli "atei devoti".

Intendo dire, al contrario, che ciò che tiene insieme una società rappresenta de facto la religione di quella società, religione da intendersi nel senso etimologico di religio, cioè legame, principio unificatore dei singoli. Nel suo senso più profondo, infatti, che cos' è la religione? È il fatto che talora un individuo avverta un' attrazione irresistibile verso una realtà più grande di lui, nella quale egli, tuttavia, si identifica. Il termine "religione" porta al pensiero questo fenomeno fisico di dipendenza e insieme di identificazione.

Chi ne è abitato non conosce nulla di più forte, e se poi condivide con altri questo legame, la struttura che si crea è solidissima. Per questo, quanto più una società condivide un principio unificatore, tanto più è forte. Il principio unificatore condiviso è stato visto dai nostri padri latini e chiamato religio, legame dei singoli che trasforma un insieme casuale in un sistema operativo.

La religione civile è la particolare disposizione della mente per cui un antico romano concepiva Roma più importante di sé, o per cui i politici americani ripetono God bless America sapendo che è l' America l' idea che tiene insieme gli americani. È superficiale pensare che la società sia la semplice somma degli individui: l' Impero romano non era la somma dei cittadini romani, e l' America non è la somma degli americani. Roma e l' America rappresentano idee in grado di far sì che i singoli si sommino in modo ordinato, formando un sistema. E più l' idea è unificante, più il sistema è operativo.

Seconda tesi: L' Italia non ha una religione civile e questo è il suo problema più grave. L' Italia è ai primissimi posti in Europa quanto a corruzione. La corruzione lacera il legame sociale producendo un diffuso senso di sfiducia e sfilacciamento nel Paese e un' immagine negativa all' estero. Occorre chiedersi come mai siamo così corrotti e corruttori. Anche senza la retorica degli "italiani brava gente", io non penso che la causa di tale fenomeno sia che gli italiani, individualmente presi, siano moralmente peggiori degli altri europei. Penso piuttosto che la causa sia la mancanza, all' interno della coscienza comune, di un' idea superiore rispetto all' Io e ai suoi interessi. I danesi, che risultano il popolo meno corrotto d' Europa, come singoli non penso siano moralmente migliori degli italiani; penso piuttosto che essi condividano in misura molto maggiore la convinzione che vi sia qualcosa più importante del loro particulare, per usare la classica espressione di Guicciardini.

Questo qualcosa cui l' Io sa cedere il passo è la società: il singolo si comporta onestamente verso la società perché sente che essa è più importante di lui e perché al contempo vi si identifica, secondo la logica di dipendenza e identificazione vista sopra. Viceversa in Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società, e per il bene del singolo non si esita a depredare il bene comune della società. Da qui il tipico male italiano che è la furbizia, uso distorto dell' intelligenza. Il furbo è un intelligente che sbaglia mira, che non ha un oggetto adeguato su cui dirigere l' intelligenza, che non capisce il primato dell' oggettività e la dirige solo su di sé. Al contrario chi sa usare davvero l' intelligenza capisce che la vita contiene valori più grandi del suo piccolo Io, e di conseguenza vi si dedica. L' intelligente gravita attorno a una stella, il furbo invece fa di se stesso la stella attorno a cui tutto deve ruotare. Con l' ovvio risultato che un insieme di intelligenti è in grado di creare un sistema, in questo caso non solare ma sociale, mentre un insieme di furbi è destinato semplicemente al caos e alla reciproca sopraffazione.

Noi italiani siamo più corrotti perché usiamo in modo distorto la nostra intelligenza, e tale distorsione la si deve alla mancanza di un' idea comune più grande dell' Io, cioè di una religione civile e dell' etica che ne discende.

La religione civile è ciò che consente di rispondere alla seguente domanda: perché devo essere giusto verso la società? Perché devo esserlo anche quando la mia convenienza mi porterebbe a non esserlo? Senza un legame di tipo "religioso" con la società, nessuno sacrifica il suo particulare, nessuno sarà giusto quando non gli conviene esserlo e può permettersi di non esserlo. Per questo la formazione di una religione civile è d' importanza vitale per il nostro paese.

Terza tesi: Una delle condizioni perché in Italia possa sorgere una religione civile è che i cattolici mettano la loro fede al servizio del bene comune. I tentativi di creare un' etica civile in Italia sono stati, e sono, di due tipi: guelfo e ghibellino. Il primo intende l' etica civile come traduzione diretta del cattolicesimo, anche a prescindere dalla fede: è l' idea degli atei devoti, guardata con notevole favore dall' attuale gerarchia cattolica. Il secondo ritiene al contrario che un' etica civile potrà sorgere solo dal superamento del cattolicesimo, ritenuto il principale responsabile della sua mancanza in Italia soprattutto per la presenza del papato. Io ritengo entrambi i tentativi destinati a fallire, il primo perché non tiene conto della secolarizzazione e della globalizzazione, il secondo della tradizione.

La storia ci ha mostrato infatti che una religione civile contrapposta al cattolicesimo non sia politicamente concepibile in Italia, si pensi al mito risorgimentale della nazione confluito nel fascismo e al mito della società confluito nel comunismo. Una religione civile, e la conseguente etica di cui l' Italia ha urgente bisogno, potrà sorgere solo in unione con il cattolicesimo, non contro di esso. Non so in quale direzione si debba muovere il pensiero dei laici per contribuire alla nascita di un' etica civile in Italia pari a quella degli altri paesi occidentali.

Mi sento però di dire, da teologo, che il lavoro in questa direzione da parte dei cattolici è uno dei compiti più urgenti. Si tratta di porre davvero la fede a servizio del mondo, di questo pezzo di mondo che si chiama Italia, pensandosi come seme che marcisce nel campo o come lievito che scompare nella pasta. Fino a quando il seme vorrà preservare la sua identità di seme senza pensarsi in funzione della pianta, verrà meno al suo compito; fino a quando il lievito vorrà preservare la sua identità di lievito senza pensarsi in funzione della pasta, verrà meno al suo compito.

Fino a quando i cattolici italiani vorranno preservare la loro identità di cattolici senza pensarsi al servizio della società italiana, verranno meno al loro compito; e fino a quando la Chiesa tutelerà i suoi interessi particolari come una delle tante lobby senza essere davvero "cattolica" cioè universale, non sarà fedele al suo compito che è spendersi "per la vita del mondo". La situazione del Paese richiede a ogni italiano, laico o cattolico, con responsabilità politiche in campo civile o in campo ecclesiastico, di ripensare il proprio rapporto con la società secondo ciò che in termini religiosi si chiama "conversione". Purtroppo non è più sdolcinata retorica dire che ne va del futuro dei nostri figli.

- VITO MANCUSO

12/01/09

Sette Anime - Un film da non perdere.

Ho visto due sere fa, Sette Anime di Gabriele Muccino, che in realtà ha solo diretto - con grande maestria, comunque - un copione di Grant Nieporte.

E' un film particolare, che vorrei consigliare caldamente agli amici e lettori di questo blog.

Un film incredibilmente coraggioso, vista l'epoca che stiamo vivendo: coraggioso innanzitutto perchè l'oggetto di questo film è il BENE.

E si sa, dai tempi di Chaplin, quanto sia enormemente più facile scrivere e fare film sul Male, su personaggi negativi, su omicidi, assassini e quant'altro, rispetto a fare un film sul Bene.

E' poi coraggioso perchè Sette Anime sembra mettere in scena tutto quello che oggi appare politically in-correct : è un film che sceglie di parlare di sacrificio, di amore, di donazione di sè, di morte, di dolore, di malattia.

Tutte cose che noi di solito vogliamo scacciare perentoriamente dal nostro orizzonte. Che riteniamo ormai perfino 'di cattivo gusto'. Sento tanta gente dire: " al cinema ci vado una volta l'anno, e ci voglio andare per divertirmi ".

Sempre al solito: divertirsi sembra essere l'unico (non)valore omologante di questa nostra società.

Sette Anime va nella direzione opposta. Per questo anche parte della critica ufficiale ha storto in naso, per questo dopo un primo boom di pubblico in America, il passa parola - su temi come questo - ha ridimensionato poi le presenze (comunque sempre numerosissime, tra i primi incassi della stagione).

Will Smith nel film è Ben Thomas, un uomo che ha sul cuore 'sette pesi' ( il titolo americano è seven pounds, sette pesi, appunto, e non sette anime, come è stato tradotto, che c'entra poco). Deve, vuole sdebitarsi di questi pesi. Deve, vuole fare qualcosa della sua vita. Fino all'estremo.

Senza nessuna concessione al sentimentalismo, questo film va dritto al cuore. E secondo me, realizza anche il senso di una storia profondamente 'cristiana' o 'cristica'.

Andate a vederlo, poi ne riparleremo, se vorrete.

09/01/09

La Famiglia al collasso : 110 vittime negli ultimi 6 mesi.


In Italia si fa un gran parlare di famiglia. Lo abbiamo visto nell'ultima campagna elettorale, dove praticamente tutti i partiti in campo si dichiaravano 'difensori' della famiglia.

Ma di quale famiglia ? Come è diventata la famiglia italiana ?

E' fin troppo ovvio che ogni 'difesa' pregiudiziale del vecchio modello di 'famiglia', in Italia, dovrebbe tener conto di quanti e quali guasti essa ha provocato. Dietro il velo di ipocrisie d'epoca (la moglie 'angelo del focolare' e il marito 'cacciatore' o 'guerriero' ) si celavano spesso veri e propri inferni coniugali, aggravati dalla im-possibilità almeno legale, di separarsi.

Ma detto questo, siamo sicuri, oggi di passarcela molto meglio ? Sembrerebbe di no, visto che da un recente studio emerge come la violenza in famiglia non abbia più confini. Dopo l'ultima vicenda, quella di Caltagirone, in cui una donna ha ucciso suo marito - sull'eterno, drammatico problema dell'affidamento dei figli - si è constatato che nel nostro paese ogni due giorni si consuma una tragedia familiare che esplode in omicidio; questo è il dato riferito agli ultimi 6 mesi. Un fenomeno di preoccupante recrudescenza di questi fatti di sangue che trasformano la famiglia italiana, un tempo considerata isola felice e modello per tutto il mondo, nel teatro del più alto numero di violenze nel nostro Paese, addirittura maggiore di quelle perpetrate dalla malavita organizzata nel suo complesso.


Allora forse bisognerebbe cominciare a chiedersi: è davvero un mondo felice quello che stiamo costruendo, dopo che - emancipandoci - abbiamo conquistato (o crediamo di averlo fatto) ogni possibile libertà personale ? Davvero la realizzazione personale di se stessi - a scapito di tutto e di tutti, anche dei rapporti famigliari che si sono iniziati a costruire - è il valore principale e fondante, che deve venire prima di tutto ? E come mai a una maggiore libertà non corrisponde una maggiore felicità ?


Dalle statistiche pubblicate dall'Associazione nazionale degli Avvocati Matrimonialisti in Italia, emerge che nel nostro paese la durata di una udienza presidenziale, nel corso della quale vengono emessi i primi provvedimenti provvisori sull'affidamento dei figli (anche piccolissimi) , è in media di 27 minuti. In questo esiguo lasso di tempo, il Giudice è chiamato a disporre l’affidamento condiviso dei figli senza avere la possibilità di conoscere, neanche parzialmente, la storia della coppia separanda né le qualità dei due coniugi-genitori.

Non basta: un magistrato, spesso, in un solo giorno è chiamato ad emettere provvedimenti per 20 coppie che si separano. I Tribunali sono al collasso, specie nelle grandi città.


Davvero come ci si può poi meravigliare che un Teatro di questo genere diventi ‘terreno fertile’ per la violenza intrafamiliare che negli ultimi 6 mesi ha causato circa 110 vittime, tra cui anche diversi bambini ?

Non bisognerebbe che tutti, organizzazioni laiche e religiose, ma anche e soprattutto individui, dalla base, dal fondo, comincino a ripensare a dove stiamo andando ? A cosa vogliamo chiedere davvero alle nostre vite ?
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07/01/09

Benedetto XVI - Il Cosmo non è governato da una forza cieca.


Penso che l'intera omelia di Benedetto XVI, ieri mattina, nella Basilica Vaticana, per la Messa dell'Epifania, meriterebbe di essere letta e meditata (la trovate nella sua interezza cliccando qui ). Uno sguardo ad ampio raggio su orizzonti davvero inusuali, per un Papa. E di una ricchezza speculativa notevole. Ve ne riferisco qui di seguito una rapida sintesi, postata dall'agenzia Zenit:

Benedetto XVI ha raccolto questo martedì, solennità dell'Epifania, la lezione lasciata da Galileo Galilei al pensiero: l'universo non è governato da una forza cieca, ma dall'Amore.

Nell'omelia della Messa in cui i credenti ricordano i Magi, esperti di astronomia, giunti a Betlemme guidati da una stella, il Papa ha ricordato che nel 2009 si celebra il quarto centenario delle prime osservazioni di Galileo grazie al telescopio.

Questo anniversario ha portato l'UNESCO a proclamare l'Anno Mondiale dell'Astronomia.

Benedetto XVI ha affermato che in questo momento si verifica “una nuova fioritura” in questo campo, “grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità”.

“Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un 'libro' – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore”, ha aggiunto nella sua omelia.

Secondo questo libro, ha affermato, “è l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale”.

“Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio 'l’amor che move il sole e l’altre stelle'”.

“Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia”.

“Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore”, ha spiegato.

Per questo motivo, ha constatato, gli uomini non sono schiavi degli “elementi del cosmo”, “ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio”.

“Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, 'Parola-Ragione' che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia”.
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05/01/09

Gaza: Hamas nega l'Olocausto, Israele spara bombe al fosforo. L'uomo non conosce vergogna !


Che cosa bisogna pensare degli uomini ? Degli uomini intesi come esseri umani ? Davvero sembra proprio che essi siano, che l'uomo sia, come scrisse qualche anno fa Isaiah Berlin, "il legno storto della Creazione. " Cosa può dire il nostro cuore sanguinante di fronte a quello che accade in questi giorni nella striscia di Gaza ?

Da una parte, cosa si può dire di un movimento come Hamas, che - leggo oggi su 'La Stampa' - ritiene il popolo ebraico responsabile di tutti i mali del mondo, della Rivoluzione Francese, del colonialismo, delle due guerre mondiali ? Hamas, per chi non lo sappia, nega del tutto che sia esistito un Olocausto, afferma che le famose farneticazioni dei "Protocolli dei Savi di Sion" siano autentiche, e se la prende anche con massoneria, Lions Club e Rotary che lavorano nell'interesse del sionismo.

Come si può dialogare con un movimento che teorizza questi principi, e che - oltretutto - è stato in passato cospicuamente finanziato da paesi dell'Occidente ?

Nello stesso tempo, come è possibile assolvere Israele per quello che sta succedendo in queste ore ? E' di pochi minuti fa la notizia che Israele sta usando, in questi raid terrestri - più di 500 morti in nove giorni ! - proiettili al fosforo bianco - sostanza vietata che causa ustioni gravissime se entra in contatti con la pelle - per coprire con schermi fumogeni l'avanzata delle proprie truppe nella Striscia di Gaza. La notizia arriva dal quotidiano britannico 'The Times' - non dalla propaganda islamica - ed è suffragata da prove inoppugnabili.

E lo stesso quotidiano ricorda che questo tipo di armi sono vietate dal Trattato di Ginevra del 1980 e non possono essere usate in aree abitate da civili, perche' possono uccidere molte persone: il fosforo bianco continua a bruciare fino a quando non si esaurisce per mancanza di ossigeno, elemento al contatto con il quale si innesca la fiamma. The Times riporta anche le dichiarazioni esaltate di un ufficiale israeliano che così commenta le armi proibite:"Queste esplosioni hanno un aspetto fantastico, e producono molto fumo che acceca il nemico. Cosi' le nostre truppe possono avanzare". Viene in mente la celebre scena di "Apocalypse now" in cui il colonnello degli aviotrasportati americani in Vietnam si inebriava respirando l'odore del Napalm, gettato a bidonate dagli elicotteri contro i vietcong.


Come si può assistere in silenzio a tutto questo ? E nello stesso tempo: come si può sperare di redimere gli uomini, se lo "stato delle cose" è questo ?

28/12/08

La meraviglia è la speranza cristiana.


In un suo volume di parecchi anni fa, Carlo Maria Martini scriveva: " Ciascuno di noi ha in sè un credente e un non credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda, che rimandano continuamente domande pungenti e inquietanti l'uno all'altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me."

Io credo che guardando onestamente a quello che è la nostra vita, anche la nostra vita di credenti, questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento, sempre. Quello di capire e comprendere e accettare che siamo sempre in una condizione in bilico.

Una condizione che è esattamente condensata da queste parole del teologo ebreo Stefano Levi della Torre ( in Essere fuori luogo): "Ciò che non mi piace di ogni religione è la pretesa di parlare soprattutto di cose che non si sanno, come se essa invece le sapesse (di quale sia, ad esempio, la volontà di Dio). Ciò che non mi piace della mentalità laicistica è la sua propensione a limitarsi alla cose che si sanno o che si possono sapere, come se queste fossero, in quanto "visibili", più rilevanti dell'invisibile. Eppure è il mistero a dar respiro alla conoscenza, a farla lievitare nelle più mirabili costruzioni della cultura. "

Ecco dunque: il mistero. E' questo, quel che ci resta. E non è poco. Non è poco per niente. Questo grande mistero, per esempio, lo riscopriamo ogni anno, in questo tempo di Natale, noi cristiani.

E dovrebbe essere, secondo me, proprio questa "meraviglia di fronte al Mistero" il dato connotante il nostro essere cristiani. La meraviglia è quel che ci fa vivere compiutamente da esseri umani, sempre.

"La fede-speranza ebraica cristiana" scriveva Filippo Gentiloni, " è non soltanto oscura e povera, ma anche aperta, ariosa. Ha gli occhi del bambino: conosce anche in vecchiaia, la meraviglia. Di fronte a un filo d'erba che cresce a primavera, come di fronte alla resurrezione. La meraviglia proprio come maniera di vivere contrapposta alla chiusura, all'arresto, all'egoismo. "

Di questa meraviglia dovremmo sempre essere pieni.


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24/12/08

Questo è il Natale.


"Questo è il Natale, avvertire dentro di sé, una volta all'anno, questa aspettativa, questo fermo diritto che niente può deludere. Sentire che in fondo i nostri più grandi desideri, se solo apriamo a loro il nostro cuore, non possono non essere esauditi. Questi sono, carissima mamma, i miei pensieri di Natale per te..." scriveva Rainer Maria Rilke in una delle sue lettere che con regolarità spediva a Natale alla madre. Lettere bellissime.

Questa aspettativa... questo fermo diritto che niente può deludere...

Proprio così. Dovremmo essere capaci, almeno oggi, di tornare quel che eravamo - e quel che siamo ancora dentro il nostro involucro adulto - e credere alla meraviglia dell'inesprimibile. Sapere che qualcosa è lì per noi. Ad attenderci e a rispondere.

Essere come quel bambino - Alexander - che osserva il gioco della Lanterna magica, animata dalla luce delle candele, la notte di Natale, e aspetta... aspetta...

Buon Natale a tutti gli amici del Mantello di Bartimeo dal profondo del mio cuore !
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20/12/08

Il dolore innocente.


Cari tutti, vi riporto qui di sotto l'articolo integrale scritto da Vito Mancuso per 'Il foglio' l'8 dicembre scorso, su "Il dolore innocente", con argomenti che richiamano quelli da lui espressi nel libro "L'anima e il suo destino."



In questo articolo intendo ragionare sul dolore innocente, spronato dalle polemiche dei giorni scorsi sul rifiuto della Santa Sede di sottoscrivere il documento delle Nazioni Unite sulle persone handicappate. Francamente non ho capito bene il senso di tale rifiuto, e ancora meno quello che riguarda il documento sulle persone omosessuali. Ma mi occupo di teologia, non di diplomazia, e posso solo tentare di contribuire con qualche riflessione teologica. Inizio ricordando che il berillo è un minerale che appartiene al gruppo dei silicati, ha cristalli esagonali e nelle sue forme più pure può essere verde (smeraldo), azzurro (acquamarina), o anche giallo, rosa e bianco. E’ al berillo bianco che si rifà uno dei più grandi pensatori cristiani di tutti i tempi, Niccolò Cusano (1401-1464), scrivendo il “De Beryllo”, trattato concluso nel 1458. Vi si legge all’inizio: “Il berillo è una pietra lucida, bianca e trasparente, cui si dà una forma parimenti concava e convessa; e chi guarda attraverso di esso vede ciò che prima gli era invisibile.

Se si applica agli occhi dell’intelletto un berillo intellettuale, che abbia forma parimenti massima e minima, attraverso di esso si coglie il principio indivisibile di tutte le cose” (“De Beryllo”, cap. II; ed. it. Niccolò Cusano, Scritti filosofici, a cura di Giovanni Santinello, vol. II, Zanichelli, Bologna 1980, p. 385). Io assumo il dolore innocente quale “berillo intellettuale” per capire il senso del nostro essere al mondo.

Non tutti i dolori sono innocenti. Se uno viene impiccato perché ha violentato dei bambini si può discutere sulla proporzionalità e la liceità della pena capitale che gli viene inflitta, ma non vi sono dubbi che il dolore che subisce sia riconducibile a una sua colpa e quindi colpevole. Non così invece quello dei bambini violentati: il loro dolore è senza colpa, è innocente. Nel mondo vi sono molteplici tipologie di dolore innocente, di cui il caso esemplare a mio avviso è nelle nascite colpite da una delle svariate migliaia di malattie genetiche finora censite, il cinque per cento dei nati oggi nel mondo. Le statistiche dicono che ogni giorno nel mondo ottomila bambini nascono gravemente handicappati, di questi 76 in Italia. Penso sia compito della teologia porsi la domanda metafisica sul perché di queste nascite, su come conciliarle con l’affermazione tradizionale, così spesso ripetuta, che la vita viene da Dio.

Tre risposte sbagliate. Di fronte al dolore innocente vi sono di solito tre reazioni, a mio avviso tutte sbagliate: la prima è il fideismo, la seconda il razionalismo, la terza la disperazione. Sono tutte e tre una sconfitta della ragione, del logos interiore a ciascuno di noi, chiamato a riconoscere la sua appartenenza al logos che è all’origine del mondo – perché precisamente questo è lo scopo della vita.
1) Il fideismo è quell’atteggiamento mentale che genera il senso opprimente del mistero e della vita umana come nulla, polvere, in balìa di una forza misteriosa e talora anche capricciosa che è la forza divina. A questo livello non ha molta importanza che tale forza venga ritenuta impersonale, come gli antichi greci pensavano il fato, oppure personale, come se la raffigura la fede giudaico-cristiana e anche l’islam: quello che conta è il senso di nullità dell’uomo di fronte a essa, il fatto che non vi sia nessun rapporto stabile, sicuro, affidabile, nessuna vera alleanza di Dio con il singolo uomo. E’ la spiritualità cui invita l’intervento divino nel finale del libro di Giobbe. A Giobbe che si lamenta del suo dolore ritenendolo innocente, cioè ingiustificato, Dio risponde: “Chi è costui che oscura il mio consiglio con parole insipienti?” (38, 2), e poi gli rovescia addosso tutte le meraviglie del cosmo facendolo sentire un nulla. E infatti Giobbe conclude: “Ho esposto senza discernimento cose troppo superiori a me… perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere” (42, 3 e 6).

2) Il razionalismo è l’atteggiamento mentale generato dall’apologetica. Dio governa il mondo con forza e giustizia, quindi non vi può accadere nulla contro il suo volere e il suo senso di giustizia. Non c’è perciò nessun dolore innocente: se c’è un dolore, c’è stata di sicuro, prima, una colpa che l’ha prodotto. Il dolore, quindi, è sempre colpevole. E’ quello che dice a Giobbe il secondo dei tre amici, Bildad: “Può forse Dio deviare il diritto o l’Onnipotente sovvertire la giustizia? Se i tuoi figli hanno peccato contro di lui, li ha messi in balìa delle loro iniquità” (8, 3-4). La stessa cosa dice Zofar: “L’iniquità è nella tua mano, l’ingiustizia nelle tue tende” (11, 14). Il cristianesimo conosce una forma moderata di razionalismo in quella teoria che riconduce il dolore a un progetto di Dio, secondo cui il dolore, innocente quanto al soggetto che lo vive, sarebbe però misteriosamente finalizzato da Dio che lo permette per trarne un bene maggiore, come diceva Agostino e come ribadisce oggi il Catechismo (vedi Compendio, art. 58).

3) Il terzo atteggiamento, la disperazione, nasce quando il dolore vince e si impone alla coscienza che non riconosce più nulla di superiore ad esso. Che cos’è la vita? Un continuo declinare verso l’assurdo, verso il nulla. Si sentono i discorsi dei moderni amici di Giobbe, poi si guarda la realtà, e si giunge alla conclusione che quei discorsi sono solo chiacchiere, la verità è un’altra, la vita è una tragedia, a volte una farsa. Dopo aver sentito i discorsi dei tre amici teologi, Giobbe si rivolge a Dio: “Perché mi hai tratto dal seno materno? Fossi morto e nessun occhio mi avesse mai visto!” (10, 18). Parole che sono una vera e propria bestemmia, molto più dura di quelle rivolte direttamente contro Dio magari solo per abitudine; si tratta di una bestemmia contro la vita, l’azione divina per eccellenza. Si può anche bestemmiare Dio o Cristo per una falsa idea che se ne ha, ma se si bestemmia la vita si pecca contro lo Spirito, ed è il peccato che non può essere perdonato. Questo è stato, ed è ancora oggi, il risultato dei discorsi “teologici” degli amici di Giobbe.

I nostri giorni sono attraversati da una disperazione senza pari. Recentemente ho visto il film di un giovane regista italiano sulla condizione giovanile. Era venuto in università con la troupe per intervistarmi, stava realizzando un film-documentario proprio sul male, poi mi ha spedito a casa il Dvd del suo primo film. Io quindi ero ben disposto, tuttavia guardare quel film è stato durissimo per l’immenso senso di vuoto e di disperazione che conteneva. L’anima contemporanea si dibatte in una morsa: sente di aver bisogno della verità, ma sente al contempo che le risposte tradizionali non funzionano, e non sa dove andare e non sa cosa fare. I nostri giovani spesso non sanno cosa fare di se stessi. Il cristianesimo appare loro inconsistente soprattutto per l’incapacità di rispondere al problema del male. Magari non lo sanno tematicamente, ma lo sentono.

Il limite della dottrina è stato finora, a mio avviso, quello di fare del dolore un problema da risolvere. Occorre invece fare del dolore il berillo intellettuale. E non certo per un malsano dolorismo, ma per il più grande atto di omaggio alla vita, la quale può essere compresa solo guardandola come totalità. Per riconciliare gli uomini col senso della vita, è necessario guardare con onestà al tutto della vita, il che comporta l’inevitabile passaggio attraverso “il travaglio del negativo”. Scrive ancora Hegel nella “Fenomenologia dello spirito”: “La vita di Dio e il conoscere divino possono venire espressi come un gioco dell’amore con se stesso; ma questa idea degrada fino alla predicazione, e addirittura all’insipidezza, quando mancano la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del negativo”. Quante volte sentendo le prediche su un Dio che ci ama, che è amore, che vince il dolore, si sente insipidezza, un vuoto parlare di cose tanto distanti dalla vita reale. Fare del dolore innocente il berillo intellettuale significa comprendere che nel dolore innocente la posta in gioco non è la sorte di qualche sfortunato, ma è la complessiva visione del mondo (metafisica) e conseguentemente l’azione umana in esso (l’etica). La nascita di una sola bambina con una malformazione genetica ha a che fare con il senso della vita di ognuno. E’ il principio formulato da Kierkegaard: “Se si vuole studiare correttamente l’universale è sufficiente ricercare una reale eccezione. Essa porta alla luce tutto più chiaramente… Le eccezioni esistono. Se non si è in grado di spiegarle, non si è nemmeno in grado di spiegare l’universale” (“La ripetizione”, tr. it. di Dario Borso, Guerini e Associati, Milano 1991, pag. 128).

Nel dolore che il mondo riserva ai suoi figli è in gioco la filosofia in quanto fisica + metafisica, e la conseguente costruzione dell’etica.

Il dolore innocente ci dice che l’uomo è natura, fragile natura come ogni altra parte del cosmo, esposta alle ferite del caso. Ma io penso che esso sia il luogo dialettico per eccellenza, dove si scorge l’abisso, ma dove insieme lo si può superare. Il dolore innocente mi ha fatto vedere l’abisso del nulla, ma al contempo mi ha mostrato la luce più intensa che io abbia mai visto intorno alla natura umana, la luce che scaturisce da chi si prende cura di chi nulla mai gli potrà dare in cambio. Di fronte a un’assurdità naturale, l’uomo reagisce creando senso laddove senso naturale non c’è, e si mostra in grado di produrre ciò che di più importante esiste per la vita, cioè il bene.

Coloro che si prendono cura delle vittime del dolore innocente mostrano che vi è qualcosa di più della semplice casualità naturale nel fenomeno uomo. E questa cura avviene, ogni giorno, senza retorica, poche parole, tanti fatti, nella completa gratuità, perché a volte non si ottiene nulla in cambio, talora gli interessati non sanno neppure sorridere. Il bene è l’evento più nobile a cui l’uomo può accedere. Tutte le grandi spiritualità e le grandi filosofie lo hanno riconosciuto. Ma perché l’uomo è capace di bene?

Eccoci all’ultimo punto. Il bene lo si comprende nella sua realtà ontologica come relazione ordinata. Il bene nasce sì dalla volontà, ma non è qualcosa che la volontà inventa. Se la volontà sceglie di attuarlo è perché prima l’ha riconosciuto, l’ha visto, l’ha sentito, e quindi si pone al servizio di un’oggettività che preesiste, che viene prima di lei. Se voglio fare del bene a una pianta, le devo dare la giusta quantità di acqua e la devo esporre alla giusta quantità di luce. Così è per ogni altra cosa.

Il bene è prima di tutto comprendere che cosa ha bisogno chi è di fronte a me, e poi farlo. Esiste un ordine oggettivo preesistente, che è l’origine di ogni essere, dentro cui ogni essere si inscrive. Questo ordine oggettivo è la relazione ordinata, la logica che costruisce il darsi dell’essere.Le nascite di bambini con malformazioni, come tanti altri eventi della natura e della storia, ci mostrano che l’essere del mondo non raggiunge l’ordine necessariamente, ma solo attraverso la libertà delle relazioni. Proprio perché l’essere è energia che costantemente si muove, la libertà è intrinseca al suo darsi. Questa libertà di cui gode l’essere il più delle volte è ordinata e fonda relazioni stabili e benefiche; alcune volte, invece, non lo è e fonda relazioni disordinate. Le malattie, congenite e non, sono descrivibili fisicamente come assenza di ordine. Questa possibilità che vi sia assenza di ordine è il prezzo che si paga per il darsi dell’essere, per la nascita della vita e la sua evoluzione, cioè, supremo paradosso, per la creazione di livelli superiori di organizzazione.

Alcuni più sfortunati pagano sul loro corpo il conto che occorre saldare per il darsi della libertà. Coloro che se ne prendono cura, fanno del bene a tutta l’umanità perché manifestano che il bene esiste, e se qui e ora esiste il bene è lecito inferire razionalmente l’esistenza di una dimensione dell’essere senza più la possibilità di disordine, dimensione che la mente umana di tutti i tempi ha chiamato “Dio”. L’ha riconosciuto anche uno dei più grandi logici del Novecento, Wittgenstein, in un pensiero del 1929: “Se qualcosa è buono, allora è anche divino” (“Pensieri diversi”, a cura di Michele Ranchetti, Adelphi, Milano 1980, pag. 21).

Il bene è la freccia che conduce verso la trascendenza. Per questo tutti coloro che vogliono negare la trascendenza negano con attenta determinazione la possibilità della purezza del bene e dell’amore, riconducendo tutto a istinto, a impulso, a interesse mascherato. Ma il bene puro esiste, e quando si manifesta, la natura compie la promessa che porta dentro di sé. E’ il regno della luce e della grazia, è il mondo divino. Se c’è il bene, c’è Dio. E il bene, c’è.

19/12/08

Noi siamo tutti bambini.


Gli insegnamenti di Cristo sono stati rivoluzionari, nella storia delle religioni e del mondo, sotto molti punti di vista, anche pratici.

Prima della venuta di Gesù Cristo, chi è - nel mondo antico - che valorizzò, quasi sacralizzandolo, il ruolo delle donne ? Prima della venuta di Gesù Cristo, chi è che parlo così tanto, con insistenza, con forza assoluta, mettendoli al centro di tutto, dei bambini ?

Gesù Cristo usa parlando dei bambini, di coloro che ne rapinano l'innocenza, le parole più dure di tutti i Vangeli. Gesù Cristo sembra amare più di tutti, loro. E' soltanto con loro, che nei racconti evangelici, sembra trovarsi veramente a Suo agio. E' solo con loro, in loro compagnia, che sembra poter distendersi, esprimere la Sua vera natura.

I bambini.

Noi, oggi, siamo abituati a pensare ai bambini, anche ai nostri bambini, e al bambino che eravamo, come una semplice fase di passaggio della nostra vita.

Ci dimentichiamo spesso quello che oggi anche le scienze cognitive ci dicono con certezza. "Datemi i primi 7 anni di vita di un bambino, e vi dirò tutto sulla sua vita di adulto, " scriveva Bruno Bettelheim, il più grande psicologo pedagogista di sempre.

Perchè è così importante quel che siamo stati nei primi anni della nostra vita ?

Semplice: perchè noi SIAMO quel bambino.

Tutto ciò che in noi conta ed è veramente importante è in QUEL bambino, che continua a vivere in noi, dentro lo scomodo involucro di un corpo adulto.

Ciascuno di noi si porta nella vita, il carattere, il destino, la determinazione, la passione, le ferite, la purezza, l'innocenza, le aspettative, le speranze, di quel bambino che fu. E gran parte dei guai e dei problemi di noi adulti, deriva da questa cancellazione, da questo ripudio o da questa rimozione di quel bambino che ABITA in noi.

Il nostro nucleo emotivo è, e resta lo stesso. Probabilmente noi ci siamo nati. E nessuno potrà cambiarlo profondamente: potremo crescere, che vuol dire dare forma al nostro carattere, adattarlo alle vicissitudini e alle necessità del momento, della società, dell'ambiente che ci circonda.

Ma noi, noi resteremo sempre quel che eravamo quando siamo venuti al mondo. E questa, è la nostra ricchezza più grande, se soltanto fossimo capaci di riscoprirlo, almeno una volta all'anno.




17/12/08

Il Vangelo della Domenica - Il Battista.


VANGELO (Gv 1,6-8.19-28)
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.


+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli

16/12/08

Benedetto XVI, i Diritti Umani, le Polemiche.


Negli ultimi giorni, e proprio in clima di Avvento, abbiamo assistito a tutta una serie di affermazioni di principio da parte di Benedetto XVI, riprese con molto clamore dai mass media e che hanno riguardato diversi argomenti, sui quali cercherò di aggiungere qualcosa.


L'oggetto di queste comunicazioni ( o "appelli" come ama definirli la stampa) avevano per oggetto: - l'applicazione da parte dell'ONU (su proposta francese) della cosiddetta 'moratoria' o depenalizzazione della omosessualità - il nuovo pronuciamento sull'aborto (queste le parole esatte del Papa: "Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà - scrive il Papa - costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani". "Sono in atto campagne di riduzione delle nascite condotte a livello internazionale con metodi non rispettosi nè della dignità della donna nè del diritto alla vita") - la distinzione e l'autonomia tra Chiesa e Stato (in occasione della visita alla ambasciata d'Italia presso la Santa Sede) - il ricorso alla educazione alla morale sessuale come mezzo per combattere l'AIDS nei paesi sottosviluppati (e non con il ricorso ai mezzi contraccettivi) - e infine un pronunciamento sui diritti umani, che racchiude un po' tutti gli argomenti precedenti e che nella sua estrema sintesi suona più o meno così: "l'essere umano NON è la risultante di tutti i suoi diritti."

Prima di scendere nella discussione, per chi vorrà intervenire, è necessario avere con precisione l'idea del pensiero del Papa, di questo Papa, che non è mai banale, mai superficiale, mai "tirato via", e quindi - considerata anche la sua statura teologica - va compiutamente misurato - e non soltanto attraverso gli slogan riportati dai tg, e poi valutato.

Per questo, QUI troverete il discorso del segretario Tarcisio Bertone pronunciato lo scorso 10 dicembre, che esprime e sintetizza l'opinione del Papa e della Chiesa su queste importanti questioni e sulla valutazione della questione sui diritti umani e

QUI potrete trovare un assai interessante articolo su L'Occidentale, che chiarisce ancora meglio la situazione nella quale ci troviamo ora, e le preoccupazioni attuali della Chiesa.

poi, se vorrete, ne parliamo insieme.


15/12/08

Giudizio e Pregiudizio


Credo che molti dei mali che ci affliggono quotidianamente, che alla lunga ci causano problemi nella nostra vita di tutti i giorni, dipendano anche dalla nostra incapacità di astenerci dal giudicare.

"Non giudicare e non sarai giudicato" dice la Parola evangelica. Ma quanti cristiani lo fanno ?

Non vorrei passare per pessimista, ma credo quasi nessuno.

Quasi nessuno resiste alla tentazione di giudicare le cose altrui. Spesso lo si fa in modo subdolo: si induce l'altro - magari proprio il 'puro' di cuore - ad aprirsi, a confidarsi. E lo si 'rapina', appropriandosi delle sue confidenze o delle sue debolezze per poi magari giudicarlo insieme a terze persone.

Lungi da me l'idea di fare del facile moralismo. Le relazioni umane e sociali si basano sulla condivisione delle idee, dei pareri, dei gusti e quindi anche dei giudizi.

E sarebbe semplicemente utopistico pensare ad un mondo nel quale ci si astiene da qualsiasi forma di giudizio riguardante il prossimo (forse soltanto i santi ci riescono).

Ma cosa bisogna dire quando addirittura al giudizio si sostituisce il pre-giudizio ? Quando il pregiudizio è così radicato che alberga dentro di noi, e tutto si muove, nei confronti di quella determinata persona, solo allo scopo di trovare la conferma che cerchiamo ?

Non è veramente anti-cristiano tutto questo ? Non dovremmo sempre, in ogni momento sforzarci di lasciare libero il cuore ? Di non ingabbiarlo dentro i nostri piccoli recinti di certezze (sempre precarie, ahimè) che ci fanno sentire 'al sicuro' ? E' sempre facile e comodo, e molto confortante giudicare: ci mette tranquilli, ci mette su un piccolo piedistallo, ci rassicura nella nostra pretesa di essere diversi, di essere, diciamolo pure, superiori.

Ma che cristianesimo potrà mai essere quello che nasce da questa premessa ?

11/12/08

Canto alla Bellezza.





Per tutta la vita cerchiamo bellezza.

E la mancanza di bellezza intorno, quando non la vediamo e non la sappiamo e non la viviamo, genera guasti irreparabili.

Abbiamo così bisogno di bellezza.

Hermann Broch, ne La morte di Virgilio, scriveva un meraviglioso canto alla bellezza:

Così in dolente tristezza
la bellezza si svela all'uomo,
gli si svela nella sua compiutezza, che è quella
del simbolo e dell'equilibrio,
affascinante e sospesa nell'opposizione
dell'io che guarda la bellezza del mondo colmo di
bellezza,
l'uno e l'altro nel proprio spazio, l'uno e l'altro limitato
in se stesso,
chiuso in se stesso nel proprio equilibrio, e proprio per
questo
entrimani in equilibrio reciproco, proprio per questo in
uno spazio comune
...
il gioco saturo di bellezza, che satura di bellezza e che,
innamorato della bellezza,
ha luogo ai confini della realtà e
ingannando il tempo senza annullarlo,
giocando col caso senza dominarlo,
infinitamente ripetibile, e tuttavia
fin da principio destinato a perdersi,
perchè solo l'umano è divino.

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10/12/08

Il Vangelo della Domenica - Il Precursore.


Mc 1,1-8
Dal Vangelo secondo Marco
Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel
profeta Isaia: "Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri", si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.

Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: "Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.

Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".


Chi era questo folle che si ritirò nel deserto per ascoltare la voce di Dio ? Che cosa cercava ? Chi o cosa lo ispirava ? E perchè il deserto ?

Il deserto, perchè nel frastuono delle nostre vite non si ascolta nulla, non ascoltiamo nulla.

E' solo nel silenzio, nell'eremo di una ricerca voluta, interiore, sincera e austera, che possiamo ascoltare qualcosa. Quanta gente oggi si lamenta di non trovare Dio: ma dove, quando mai possiamo trovare Dio se le nostre orecchie sono piene di rumore, se i nostri occhi sono accecati da un continuo luccichìo senza posa e senza sostanza ?

Giovanni fu talmente bravo a fare silenzio, che la voce del Signore gli arrivò così netta e precisa, e quasi terribile, preannunciandogli la Sua presenza in mezzo a loro.

Probabilmente Giovanni non ne era neanche DEL TUTTO consapevole: del mistero che si preparava dopo di lui.

Il Battesimo, ha detto oggi Benedetto XVI, parlando nell'udienza generale del Mercoledì, nessuno può darselo da solo.

Il Battesimo è un atto che presuppone l'esistenza di un altro (e di un Altro). Che presuppone una RELAZIONE. Per questo mi sembra veramente eloquente che oggi la pratica dello 'sbattezzo' si cominci a diffondere nell'Occidente, sulla base di un puro atto ego-istico, ego-centrato (e non potrebbe essere diversamente): si può scegliere da soli di sbattezzarsi, ma NON si può scegliere da soli di essere battezzati (se non v'è un altro che ti battezza, che lo fa, in Quel nome).

E' questo il primo atto, quello che dovrebbe essere sempre il primo atto di una vita cristiana: ricevere questo atto impegnativo. Per il quale occorre: silenzio, prima di tutto, consapevolezza, e anche sottomissione. E che però può far nascere, ri-creare (per ricollegarci alla Maria Zambrano del post precedente) sempre qualcosa di nuovo in noi.
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08/12/08

La Ri-Creazione - Maria Zambrano.



Ma, nel fondo del nostro anelito, c'è qualcosa di più; palpita insopprimibile come un sospetto l'idea che tutto il vivente che vediamo e sentiamo dentro e fuori di noi dovrebbe essere ri-creato ancora una volta.

E che da qualche parte, occulto o visibile a tutti, esista un qualche elemento capace di vivificare gli altri, di fissare la vita in modo più imperituro. La verità, la semplice verità, è che le civiltà muoiono e rinascono; che tutto quanto è stato dimenticato, un giorno riappare; che la vita, la vita degli uomini si è sempre nutrita della speranza di essere ricreata o di essere creata completamente e per sempre.

Che l'uomo, finchè tale si può chiamare, è un animale che insegue la conoscenza creatrice.

Maria Zambrano, La Ri-creazione (in Le parole del ritorno, ediz.Città Aperta)
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05/12/08

La questione del Crocefisso nei luoghi pubblici.



Nella cittadina spagnola di Valladolid un giudice ha riaperto le polemiche sui crocefissi nelle aule delle scuole. La vicenda si trascina già da più di tre anni quando alcuni genitori del centro educativo Macías Picavea portarono la controversia nelle aule dei tribunali. Lo scopo: continuare la battaglia contro il consiglio d’istituto della scuola e ottenere la rimozione dei simboli religiosi. E alla fine, il tribunale del contenzioso amministrativo n.2 di Valladolid gli ha dato ragione ignorando la volontà della maggioranza dei genitori del centro che il crocefisso, invece, lo volevano.

E' solo l'ultimo capitolo di una battaglia sul simbolo del crocefisso che sta velocemente investendo il mondo della critianità occidentale, e quindi anche l'Italia.

Pochi giorni fa a Terni un professore della classe terza A dell'istituto professionale per il commercio Alessandro Casagrande ha pensato bene all'arrivo per le lezioni, di togliere l'immagine del crocefisso dal muro e di riporla nel cassetto della cattedra per poi ricollocarla al termine della sua docenza.

Ciò, nonostante il fatto che gli studenti abbiano chiesto di lasciare quel crocefisso al suo posto e sono la maggioranza.

Insomma, sentiamo da tempo già nell'aria i sintomi dell'intolleranza 'a rovescio' che pretende - e ci riuscirà - di cancellare ogni traccia di simbolo religioso cattolico nella vita pubblica laica.

Il problema però non è questo: la scristianizzazione in Italia, come nel resto d'Occidente procede ormai da decenni, e non è questa novità a farci scoprire quel che dovrebbe essere ormai sotto gli occhi veramente tutti.

E' un male ?

Può non esserlo. Mi piacerebbe infatti che i cristiani cattolici in questa, come in altre circostanze, dessero prova di maturità spirituale, di nobiltà, di purezza, senza lasciarsi contaminare da quello spirito ebbro pagano che ormai sembra voler pervadere ogni cosa, ogni comune sentire.

Che senso ha infatti irrigidirsi di fronte a questo procedere del tempo, invocare rispetto per i simboli sacri, quando ormai questo rispetto è - nella sostanza più che nella forma - sentito come irrilevante ? Che senso avrebbe pretendere il mantenimento della forma esteriore di una verità/realtà non avvertita più - dai fatti della maggioranza - come vera e reale ?

Si dice: " la maggioranza degli uomini ormai vive come se il problema dell'esistenza di Dio non esistesse. "

Ma se allora le cose stanno così, che senso ha pretendere il mantenimento di uno statu quo simbolico, soltanto per acquietare qualche coscienza, e per buona pace comune ?

Sì, certo, la tolleranza è sempre una buona cosa. Ma nel momento in cui un crocefisso appeso alla parete di una aula scolastica viene vissuto come atto intollerante, bisogna - io credo - ritrarsi.

I cristiani non devono aver paura. Non dovrebbero. Dovrebbero ricordarsi dei tempi, dei lunghi tempi ai primordi della Cristianità in cui quel simbolo - il Cristo appeso al suo martirio - era massimamente in-tollerato.

Non si poteva mostrare, il crocefisso. Non si poteva raffigurare, esporre. Non se ne poteva neanche parlare. E si rischiava di morire, per questo.

E allora ? Il cristianesimo fu forse annichilito da questo ? Il cristianesimo di quei cristiani fu forse spento o sradicato per via di questo ? Nient'affatto. Il cristianesimo, semmai, si consolidò, divenne ancora più puro ed essenziale.

Nel buio della catacombe, in quegli umidi anfratti, negli sguardi di quegli uomini spaventati, ma fieri della loro fede, consapevoli, il cristianesimo nacque. Trovò le forze per comunicare al mondo - e convincere il mondo - della Lieta Novella.

E' una occasione, forse, per ritornare a quello spirito. Per ritrovare il senso di una fede originaria, che non va certo fondata, ma forse, rin-novata nello spirito, negli spiriti.

A quel crocefisso, penzolante dal collo delle rockstars, o esibito come gadget o come orpello di consumo, avevamo finito tutti quasi per abituarci, per assuefarci.

Dimenticandocene lo scandalo. Lo scandalo che da esso deriva.

Forse se tornerà ad essere considerato, da una maggioranza sorda, simbolo da non tollerare, quel simbolo - il crocefisso - tornerà ad essere veramente il simbolo vero della fede di tutti i cristiani.
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03/12/08

Il Vangelo della Domenica - La Veglia


VANGELO (Mc 13,33-37)

+ Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Parola del Signore


Vegliate, perchè non sapete quando è il momento. E' il Cristo a dircelo, usando un racconto in parabola, che più chiaro di così non potrebbe essere.

Noi non siamo padroni. Il Padrone è un Altro. E' lui che può disporre della Casa, che può decidere quando e se tornare, e a che ora.

A noi spetta un altro compito, che è quello di vegliare.

"Fate in modo che... non vi trovi addormentati. " E' questa la cosa che sembra preoccupare maggiormente il Padrone. Cosa significa essere 'addormentati' ? Come si è quando si è addormentati ? Si è insensibili, come morti, trasportati in un altro mondo, il mondo dei sogni, sostanzialmente paralizzati.

E il Padrone invece vorrebbe, vuole da noi esattamente l'opposto: vuole cioè che noi 'vegliamo'.

Come è l'attività di uno che veglia ? Sostanzialmente una attività frenetica, instancabile, comunque sempre attiva. Uno che veglia - pensiamo a quando si fa una veglia ad un ammalato grave, all'ospedale (a me è capitato) - non può permettersi di riposare, o se lo fa, deve essere sempre per metà vigile, comunque pronto. Deve essere attivo. Deve mettersi costantemente in gioco.

E' un richiamo che non smette di provocare questo di Gesù. Tanto più oggi, quando le coscienze, molte coscienze, sembrano come addormentate, narcotizzate, anestetizzate, con una emotività - e quindi una reattività conseguente - del tutto rimossa, o sopita.
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01/12/08

Eroi cristiani di oggi. Don Mario Perez.


Scrive Ryszard Kapuscinski: “La povertà non piange, la povertà non ha voce. La povertà soffre ma soffre in silenzio. La povertà non si ribella. Avrete situazioni di rivolta solo quando la gente povera nutre qualche speranza. Allora si ribella, perchè spera di migliorare qualcosa. Ma c’è gente a cui la speranza manca. Questa gente non si ribellerà mai. Così ha bisogno di qualcuno che parli per lei. Questo è uno degli obblighi morali che abbiamo, quando scriviamo di questa infelice parte della famiglia umana. Perchè sono tutti nostri fratelli e nostre sorelle. Ma sfortunatamente sono fratelli e sorelle poveri. Che non hanno voce”.

Queste parole sembrano come pietre. E voglio parlarvi oggi di uno di questi piccoli grandi uomini che danno un senso pieno alla Chiesa di oggi - anche se purtroppo i missionari cattolici nel mondo diminuiscono a vista d'occhio - che danno un senso pieno alla umanità cristiana nel mondo.

Don Mario Perez - lo vedete nella foto, con la maglietta nera - è un missionario venezuelano che da ventotto anni vive nel Congo. E' oggi il direttore del Centro Don Bosco Ngangi di Goma, dove - pensate - sono stati ospitati 4.000 bambini congolesi. A questi, si sono aggiunti in queste ore drammatiche familiari e sfollati, in fuga dalle violenze della guerra civile che incombe in quelle martoriate zone.

Don Mario mi ha colpito per la sua enorme semplicità. Per le sue parole dirette. Per il modo che ha di circondarsi, con naturalezza e sostanza, delle piccole anime di cui si è preso cura, e che vedete in questo breve qui sotto:

http://www.youtube.com/watch?v=bwVqoFnnWFU

" Noi non ce ne andiamo, " ha detto Don Mario ai giornalisti, " Al Centro Don Bosco di Ngangi Goma ci sono ancora 350 dei nostri bambini qui, di cui 70 hanno meno di 3 anni, e non hanno nessuno che si possa occupare di loro se non noi 3 religiosi, le 2 suore Salesiane e i 4 volontari del VIS. Impossibile anche portarli via dalla città. Restiamo e abbiamo fiducia che la situazione si calmi. Abbiamo aperto le porte del Centro a tutti gli sfollati che ci chiedono di essere accolti. Sino ad ora abbiamo 300 sfollati. Molti i sono bambini con problemi di dissenteria e malnutrizione.”

Dobbiamo fare qualcosa tutti.

Le coordinate, per chi vuole aiutare, appaiono in sovraimpressione alla fine del video. Per chi vuole più notizie, si può cliccare sul sito del volontariato italiano, dove ci sono pagine e video dedicate all'Emergenza Goma:

http://www.volint.it/
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