08/06/22

*Quando Charles Manson il guru killer di "Bel-Air" era convinto che le canzoni dei Beatles gli parlassero e il caso di "Sexy Sadie".*

 


Non solo "Helter Skelter", il titolo della canzone dei Beatles che fu trovato scritto con il sangue delle vittime, da Manson e dai suoi carnefici dopo uno dei loro massacri, in particolare sul frigorifero nella casa dei coniugi Leno & Rosemary LaBianca nell'agosto del 1969, il giorno dopo il massacro compiuto nella villa di Roman Polanski a Bel-Air, Hollywood in cui furono uccise Sharon Tate, la compagna di Polanski, in cinta al nono mese, e altre 4 persone che erano ospiti della casa al 10050 di Cielo Drive.
L'ossessione folle di Manson, musicista fallito, per le canzoni dei Beatles era cominciata già qualche tempo prima.
In particolare alla canzone "Sexy Sadie", tratta dal nono e omonimo album dei Beatles The Beatles, noto anche sotto la denominazione di White Album (album bianco) che era stata composta quasi esclusivamente dal solo Lennon.
Questa canzone aveva una origine molto particolare:
Il primo abbozzo del brano si fa risalire all'aprile 1968, nel giorno in cui George e John si trovavano, durante il famoso soggiorno in India, sulla via verso Delhi dopo avere abbandonato Rishikesh, dove il gruppo aveva seguito un corso di meditazione trascendentale tenuto dal guru indiano Maharishi Mahesh Yogi.
La scritta "Healter Skelter" (storpiata rispetto all'originale
sul frigorifero della casa di Leno e Rosemary LaBianca

La guida spirituale, presentata l'anno precedente ai Beatles dalla moglie di George Harrison Pattie Boyd in un periodo particolarmente delicato del loro percorso esistenziale, aveva suscitato dapprima curiosità e fiducia nei membri del gruppo, specialmente in Harrison e Lennon. Quest'ultimo sosteneva fermamente che nel guru risiedeva la risposta a tutti i suoi problemi, che magari gli sarebbe stata elargita con una semplice e risolutiva frase, foriera di una verità talmente profonda e paradossale da cambiare radicalmente in lui il modo di concepire difficoltà e avversità. Tuttavia questa frase tardava a venire, fintantoché il gruppo cominciò a nutrire seri dubbi sui metodi e sulla filosofia di vita del Maharishi.

Inoltre, il gruppo trovava alquanto inusuale come un sedicente santone potesse disporre di domestici, commercialisti e una dépendance di assoluto rispetto, oltre alla tenuta che vantava letti a baldacchino e centro benessere, alla ridondante presenza di belle donne e perfino alla piattaforma di decollo e atterraggio di un elicottero privato.
Così, uno dopo l'altro, cominciarono a nutrire un crescente scetticismo nei confronti del Mahesh Yogi. Il primo a collidere con la personalità del filosofo/santone fu senz'altro Lennon, che arrivò addirittura a comporre una canzone finalizzata a denunciare la presunta truffa della quale erano stati oggetto. La traccia assunse il titolo temporaneo di Maharishi, what have you done?.
Successivamente, anche per evitare querele, il titolo fu mutato in Sexy Sadie. Malgrado ciò, inequivocabili risultano le allusioni alla trascorsa esperienza insieme al guru indiano.
Per esempio, nel verso «Sexy Sadie, what have you done? / You made a fool of everyone» ("Cos'hai fatto? / Ti sei presa gioco di tutti"), Lennon fa trasparire il proprio astio verso l'effimera esperienza di felicità passata nella fastosa tenuta del maestro di meditazione trascendentale. Ma sono anche altri gli attacchi nei confronti dell'ambigua figura del Maharishi considerato un truffatore megalomane corroso dalla bramosia verso il denaro.
Ma cosa c'entra Charles Manson con tutto questo?
Nel suo delirio psicopatico, Charles Manson verso la fine del 1968 Manson si convinse che la canzone fosse dedicata a una sua seguace, Susan Atkins, da lui stesso ribattezzata "Sadie Mae Glutz".
La presenza nell'album di un brano intitolato Sexy Sadie, laddove Manson aveva dato a Susan il nome "Sadie" molto tempo prima della pubblicazione del disco, fortificò in lui la convinzione che i Beatles "gli parlassero", con messaggi nascosti nei solchi del 33 giri (principalmente nelle canzoni Helter Skelter, Honey Pie, Piggies, Blackbird, Revolution 9), e gli indicassero la via da seguire nella guerra razziale globale che di lì a poco si sarebbe scatenata, ispirando i suoi deliri omicidi.
Una follia distruttiva che comportò a Manson la condanna all'ergastolo comminata nel 1972, che scontò fino alla morte avvenuta nell'ospedale di Bakersfield, nel novembre del 2017.

Fabrizio Falconi - 2022

07/06/22

* L'incredibile "esoterismo" dei Beatles: la storia di Eleanor Rigby, che fu inventata da Paul Mc Cartney, ma esisteva davvero.*

La lapide di Eleanor Rigby nel cimitero di St Peter’s, Liverpool

 

Gli appassionati di esoterismo sanno che non esiste forse terreno più fertile in materia, delle vicende, delle canzoni, delle musiche, della epopea del quartetto di Liverpool, i Beatles.

Personalmente ogni volta che scopro una nuova "coincidenza", mi stupisco di più, anche se storie e aneddoti sono ormai infiniti.

L'ultimo della serie è la celebre canzone "Eleanor Rigby", una delle più belle, intense, drammatiche, dei Beatles, seconda traccia dell'album "Revolver", pubblicato dai Beatles il 5 agosto del 1966.

Interrogato in proposito di questa donna, al centro della storia della canzone, una persona sola, che va in chiesa e condivide la sua solitudine con quella del "father" Mc Kenzie (il prete del villaggio),
McCartney, che aveva scritto il testo, dichiarò che l'idea di chiamare il suo personaggio "Eleanor" fu probabilmente dovuta a Eleanor Bron, l'attrice che ha recitato con i Beatles nel loro film del 1965 Help!

Per mischiare le carte, Mc Cartney inventò un cognome diverso: "Rigby", prendendolo dal nome di un negozio di Bristol, Rigby & Evens Ltd.

McCartney notò il negozio mentre faceva visita alla sua ragazza dell'epoca, l'attrice Jane Asher , durante la sua corsa al Bristol Old Vic's  produzione di The Happiest Days of Your Life nel gennaio 1966.

Ha ricordato Mc Cartney in una intervista rilasciata nel 1984: "Mi piaceva solo il nome. Stavo cercando un nome che suonasse naturale."

Qualche anno più tardi, in un articolo dell'ottobre 2021 sul New Yorker, scrisse che la sua ispirazione per "Eleanor Rigby" era venuta da un'anziana signora che viveva da sola e che Paul aveva conosciuto molto bene. Andava a fare la spesa per lei e si sedeva nella sua cucina ad ascoltare storie e la sua radio a transistor . McCartney ha detto: "il solo sentire le sue storie ha arricchito la mia anima e influenzato le canzoni che avrei scritto in seguito". In quella occasione confermò anche che il nome della donna era Daisy Hawkins, un nome e un cognome che non poteva funzionare nei testi.

Di recente però, "cacciatori di tracce beatlesiane" che come si sa, sono sparsi in ogni angolo del pianeta, hanno trovato una coincidenza impressionante.

Nel piccolo cimitero della chiesa di St. Peter, a Liverpool, infatti, esiste la TOMBA DI una FAMIGLIA Rigby ed Eleanor viene citata tra coloro che vi sono sepolti (purtroppo senza le date di nascita e di morte).

La circostanza ancora più sorprendente è che la chiesa si trova in una zona molto precisa di Woolton (Liverpool), esattamente dove avvenne IL PRIMO INCONTRO tra Paul e John il 6 luglio 1957 durante una festa parrocchiale!

John si stava esibendo con il suo gruppo "The Quarrymen" nei locali della parrocchia e Mc Cartney "casualmente" si trovò lì. I due si presentarono per la prima volta alla fine di quel concerto. 

E' molto probabile insomma, che senza quell'incontro "casuale" a pochi metri di distanza dalla tomba di questa Eleanor Rigby, i Beatles non sarebbero mai neppure esistiti.

Fabrizio Falconi -2022 

The Beatles 






06/06/22

L'equivoco di Casanova: "Io lo odio," diceva Fellini



Rivendo il Casanova di Fellini (1976), dopo parecchi anni, si scoprono nuove cose: è un film stupefacente, strano, cupo, mortuario, splendido. Esattamente nello stesso anno in cui Kubrick affrontava con Barry Lindon quello stesso secolo, il Settecento, disegnando geografie di spazi aperti, magnifiche quinte naturali, paesaggi che sembrano usciti dalla pittura fiamminga, Fellini si concentrava e si rinchiudeva nello spazio claustrale dello studio 5 di Cinecittà dove il film fu INTERAMENTE girato, ricostruendo lì Venezia, Parigi, Londra.

Si assiste inebetiti alla mostruosa capacità creativa dei tecnici e artigiani italiani di allora: Peppe Rotunno, Danilo Donati (premiato per questo film con l'Oscar), la sartoria Tirelli, i coreografi e ballerini che allestirono un poderoso mondo visionario, dove tutto è falso e tutto è più reale del reale.

Anche Donald Sutherland fu una scelta impeccabile, anche se Dino De Laurentiis che poi si ritirò dal produrre il costosissimo film, avrebbe voluto addirittura Robert Redford.

Ma Fellini non voleva un Casanova bello e lucido. Voleva un Casanova da incubo, marcio dentro e con gli occhi acquosi come Venezia, decadente, finito, o forse mai entrato nella vita per davvero.

E' un film che fa bene rivedere per capire cosa fosse il cinema italiano di quei tempi e che fa male per lo stesso motivo.

La causa del notevole insuccesso al botteghino fu certamente l'equivoco alla base del film, che Fellini aveva ben presente e che aveva accettato.

I produttori, prima De Laurentiis, poi Rizzoli (che rinunciarono) infine Alberto Grimaldi, erano ovviamente allettati all'idea di vendere all'estero il "Casanova", trionfo della figura del latin lover ante litteram italiano, del mattatore sessuale latino, realizzato nientemeno che da Fellini.

Una accoppiata che si sarebbe venduta da sola, senza nemmeno bisogno di pubblicizzarla e che loro credevano avrebbe esaltato "fellinianamente" le leggendarie doti amatorie/sessuali del maschio italico.

Non avevano però fatto i conti con Fellini, che dopo aver scelto di girare il film, decise di metterlo in scena boicottando completamente la figura dell'avventuriero veneziano, facendola a pezzi, massacrandola, realizzando il suo film più cupo, mortuario, decadente, completamente respingente.

La libertà dell'artista, a quei tempi, poteva prevalere e prevaleva, sugli interessi del botteghino.

Bernardino Zapponi, co-sceneggiatore del film, racconta il feroce corpo a corpo che sin dall'inizio Fellini ingaggiò con il suo personaggio. Racconta Zapponi:

"Fellini lo odiava: “è un cavallo. Come posso raccontare la vita di un cavallo”. Normalmente lo chiamava “lo stronzone”. Effettivamente non esisteva personaggio più antitetico di Fellini che il famoso libertino settecentesco."

Più tardi, in uno special televisivo, intervistato da Gianfranco Angelucci e Liliana Betti, Fellini ci va giù ancora più duro, e impietosamente dice:

"Gli italiani che si sentono tutti 'in pectore' grandi seduttori, hanno anch'essi creato il proprio precursore in Casanova... Nella terribile frustrazione sessuale in cui gli italiani si dibattono, era quasi fatale che si generasse il mito di un campione che riscattasse tutti. In anni, in secoli di educazione misogina e sessuofobica, amministrata dalla Chiesa cattolica, il maschio latino ha accumulato nei confronti della donna una tale paralizzante bramosia che lo ha fatto restare un adolescente, un individuo cui è stata impedita la crescita... Conclusione? Casanova, io lo odio."

E nonostante questa lucidità totale, e l'evidenza del film - di cui basterebbe guardare un solo minuto - ancora c'è qualcuno che lega lo stesso Fellini al mito del Casanova e del seduttore seriale latino-italiano, un equivoco che perdura e forse ancora strappa, ovunque lui si trovi, un sorriso di scherno al genio riminese, che sempre ci manca.

Fabrizio Falconi - 2022

04/06/22

* La bellissima e infelice Assia Wevill, poetessa, musa e amante di Ted Hughes, il cui destino si intrecciò al suo e a quello di Sylvia Plath.*



Assia Wevill era nata a Berlino nel 1927 da una famiglia di origine tedesca, russa ed ebrea.
Di bellezza straordinaria, mischiò il suo destino in maniera imprevedibile a quello di Ted Hughes, che all'epoca era il marito di Sylvia Plath. La poetessa americana aveva sposato Hughes nel 1956 e aveva avuto da lui due figli. Il matrimonio durò ben poco. Appena sette anni dopo, la Plath si tolse la vita, a soli trent'anni, infilando la testa nel forno del suo appartamento.
Sulla strada di un matrimonio già di per sé molto problematico, era infatti comparsa anche Assia.
Per sfuggire alla Shoah, Assia da bambina era emigrata a Tel Aviv, ma a sedici anni fuggì a Londra con un sergente della RAF, che divenne il suo primo marito. Il secondo marito era invece stato un intellettuale, professore alla London School of Economics, mentre il terzo, il poeta canadese David Wevill, di otto anni più giovane, l'aveva conosciuto quando lui era ancora studente a Cambridge.
Dal matrimonio, contratto nel 1960, non nacquero figli. David aprì ad Assia le porte dei circoli letterari di Londra, dove ella poté fare la conoscenza, tra gli altri, del poeta Nathaniel Tarn, che diventerà suo intimo confidente durante la frequentazione con Hughes, con cui intraprese una relazione.
Nel 1961 Ted Hughes e Sylvia Plath diedero in affitto il loro appartamento di Londra ad Assia e David e si stabilirono a North Tawton, nel Devon, in una casa chiamata Court Green.
Fu durante una visita agli Hughes, nel maggio 1962, che tra Assia e Ted scoccò la scintilla. Tramite un abbozzo di poesia, che rievoca quella visita, sappiamo che a fine serata Hughes era già succube del fascino della Wevill; il mattino dopo era innamorato.
Forse perché nella morale hughesiana la salvaguardia dell'istinto animale era un'azione etica, Ted si lanciò a capofitto in una nuova storia, e dal luglio di quell'anno, lasciata a Court Green una Plath a conoscenza di tutto e per questo distrutta, si trasferì a Londra, dove cominciò a frequentare Assia regolarmente, inaugurando una relazione di dominio pubblico, con David Wevill al corrente di loro ma per nulla intenzionato al divorzio. Al momento del suicidio di Sylvia, nel febbraio 1963, Assia era incinta di Ted, ma abortì poco dopo.
I primi mesi successivi alla disgrazia, che la videro a fianco del vedovo, le diedero la possibilità di leggere "de visu" gli scritti lasciati dalla Plath, che se la ipnotizzarono, la ferirono anche per una buona misura; la base di quell'ossessione nei confronti della poetessa morta, che in Assia si manifesterà in comportamenti emulatori e di invidia, fino all'ultima tragedia, ha origine in questo periodo.
Passata la tempesta, il 13 marzo 1965, Assia diede alla luce Alexandra Tatiana Elise, detta "Shura": anche se ricevette il cognome da David Wevill, il vero padre era Hughes, e verso la fine dell'anno Assia lasciò definitivamente il marito per Ted, con il quale non si sposò però mai.
Assia che si trovò a rivaleggiare dal punto di vista creativo con la Plath, sentiva che non avrebbe mai potuto prendere il suo posto nella considerazione artistica di Ted e cominciò a soffrirne. Inoltre, incapace di sopportare la disapprovazione di cui era oggetto a Court Green da parte dei genitori di Hughes, Assia traslocò a Clapham, Londra, con la figlia, nell'autunno 1967.
Fin dai primi mesi del 1969, Assia dimostrò i sintomi di "grave depressione" per i quali aveva cominciato a prendere psicofarmaci.
Il 23 marzo 1969, sola e depressa, decise di porre fine alla propria vita, trascinando con sé la figlioletta di quattro anni. Dopo una telefonata a Ted, durante la quale, ricorda lui, non si dissero nulla in più del solito, Assia somministrò del sonnifero alla figlia, ingerendone successivamente anche lei, aiutandosi con del Whisky; girato il rubinetto del gas si distese poi, su un materasso trasportato presso la stufa, abbracciando Shura.
A sei anni dalla morte della Plath, la tragedia per Hughes si ripeteva, con circostanze simili e ancora più gravi.

Fabrizio Falconi - 2022

03/06/22

*Krishnamurti e Maharishi si sono mai incontrati? Sì, una volta, e non andò molto bene...*



 

Sono due personalità molto famose nella storia del pensiero orientale del Novecento, eppure non potrebbero essere più diversi. Jiddu Krishamurti, nato in India nel 1895, fu portato in Inghilterra da Charles Leadbeater. I membri della società teosofica inglese erano convinti che il ragazzo, allora 14enne, fosse nientemeno che la reincarnazione del Signore Maitreya, una delle più importanti divinità indu. Il giovane e illuminato Krishna tradì presto le loro aspettative, svincolandosi dai teosofi che lo adoravano e rifiutando perentoriamente il ruolo di guida spirituale e tantomeno di guru. Divenne uno dei più grandi pensatori del Novecento e morì a Ojai, in California (dove esiste ancora la sua bellissima casa/fondazione) nel 1986.
Maharishi Mahesh Yogi (il suo nome completo), indiano anche lui, divenne il più classico dei "guru", ottenendo tra gli anni '60 e gli anni '70 una enorme popolarità anche in occidente, fautore della Meditazione Trascendentale (che vanta ancora oggi milioni di persone seguaci di questo metodo nel mondo), e ancora di più dopo il famoso soggiorno indiano dei Beatles, nel 1967, nel suo madrash, che portò la notorietà di Maharishi ai massimi livelli.
C'è anche un celebre documentario, realizzato da un paio d'anni che racconta bene le settimane trascorse dai Beatles, e da altri famosi adepti, nella residenza di Maharishi.
I Quattro Beatles ebbero però, in merito a questa esperienza, e all'affidamento a una autorità spirituale, reazioni diverse:
I Beatles erano ancora scettici riguardo alle autorità. Se seguire la folla non è una buona idea, forse seguire i leader – esperti, guru, coloro che sono su un piano “più alto” – poteva essere un'idea.
L'idea dell'India e di Maharishi era stata di Harrison.
Ma Lennon divenne rapidamente disilluso e sospettava che il Maharishi fosse un imbroglione. Successivamente scrisse anche una canzone su di lui "Sadie sexy" su di lui, spiegando: "Mi sono sbarazzato di lui, anche se non avrei scritto 'Maharishi, cosa hai fatto, hai preso in giro tutti'".
A questo periodo risale anche l'aneddoto che riguarda l'unico incontro di cui si abbia traccia tra Krishnamurti e Maharishi.
Incontro che avvenne per puro caso: viaggiando a Delhi in aereo nel 1974, Krishnamurti si accorse che nella sala d'aspetto c'era il Maharishi. Questi, si precipitò a salutare Krishnamurti, stringendo un fiore e suggerendo una cooperazione tra i due.
Ma Krishnamurti si scusò rapidamente e se ne andò da solo, mentre la folla si radunava attorno al Maharishi.
L'aneddoto dice qualcosa di importante su Krishnamurti, che credo sia l'esempio più chiaro di maestro illuminato del nostro tempo e che insegna in modo puramente filosofico e rifuggiva come la peste l'idea di un guru e di poter essere lui stesso un guru.
L'atteggiamento scettico di Lennon è rivelato nel suo resoconto della partenza dei Beatles dall'ashram di Maharishi. Quando il Maharishi chiese ai Beatles perché se ne stessero andando, Lennon rispose con il suo eterno tono provocatorio: "'Beh, se sei così cosmico, saprai perché. Mi rivolse uno sguardo truce, e ho capito quando mi ha guardato, che era perché avevo capito bluff".
Probabilmente Lennon non avrebbe pensato la stessa cosa di Krishanmurti, che cercava semplicemente di rendere comune la sua "Sorgente" e il cui obiettivo era quello di evitare completamente il guru-centrismo.
Chiunque abbia lavorato con l'insegnamento di Krishnamurti può riconoscerlo. E in relazione alla filosofia, anche questo è interessante poiché l'insegnamento di Krishnamurti in questo modo segue la virtù centrale della filosofia che è questa: "pensa da solo!"
Infatti, il suo insegnamento è caratterizzato dall'uso della filosofia, invece della predicazione religiosa o della psicoterapia. Dunque, anche uno come Lennon, che aveva più di un problema con le autorità, qualunque esse fossero (in primis religiose), avrebbe potuto apprezzare, e trarre giovamento.

02/06/22

La Canzone più drammatica (e allo stesso tempo lieve e sublime) scritta dai Beatles: "She's Leaving Home*


Da quel capolavoro assoluto che è Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band, album del 1967, ho riscoperto con meraviglia una delle canzoni di quell'album, piuttosto dimenticata.

Si tratta della settima traccia: "She's Leaving Home".
Un pezzo di rara bellezza che si apre con le note di un'arpa (per la prima volta una donna suonò in un album dei Beatles) e prosegue punteggiata dagli archi e dalle voci di Paul e di John che si mescolano melodiosamente e si alternano.
Paul trasse l'ispirazione per questa canzone da un fenomeno che si andava diffondendo all'epoca: giovani ragazze che scappavano di casa, per non tornare più. La notizia era stata letta da Mc Cartney sulla prima pagina del Daily Mirror: una diciassettenne, Melanie Coe era fuggita di casa all'improvviso, mentre i suoi genitori erano al lavoro.
Mc Cartney cominciò a scrivere il testo, immaginando la ragazza che se ne va di notte, lasciando un biglietto e poi descrivendo il drammatico risveglio dei genitori.
Lennon, genialmente, inventò una sorta di "coro greco" che si alterna al racconto, dando voce al punto di vista dei genitori: "Le abbiamo dedicato tutta la nostra vita, le abbiamo dato tutto ciò che il denaro può comprare", ecc..
E' una delle pochissime canzoni nelle quali i 4 Beatles non suonano nessuno strumento, essendo la canzone arrangiata per archi (e l'arpa).
Riascoltandola non si può fare a meno di ammirare ancora una volta il prodigioso talento creativo di questi ragazzi che in meno di dieci anni cambiarono per sempre la storia della musica.
Ecco il Testo in inglese e in italiano

Wednesday morning at five o'clock
As the day begins
Silently closing her bedroom door
Leaving the note that she hoped would say more
She goes down the stairs to the kitchen
Clutching her handkerchief
Quietly turning the backdoor key
Stepping outside, she is free
She, ... (we gave her most of our lives)
Is leaving (sacrified most of our lives)
Home (we gave her everything money could buy)
Father snores as his wife gets into her dressing gown
Picks up the letter that's lying there
Standing alone at the top of the stairs
She breaks down and cries to her husband
Daddy, our baby's gone.
Why would she treat us so thoughtlessly?
How could she do this to me?
She (we never thought of ourselves)
Is leaving (never a thought for ourselves)
Home (we struggled hard all our lives to get by)
She's leaving home, after living alone, for so many years
Friday morning, at nine o'clock
She is far away
Waiting to keep the appointment she made
Greeting a man from the Motortrade
She (what did we do that was wrong)
Is Having (we didn't know it was wrong)
Fun (fun is the one thing that money can't buy)
Something inside, that was always denied,
For so many years, .
She's leaving home
Lei se ne va di casa
Mercoledì mattina alle cinque quando inizia il giorno
Chiude silenziosamente la porta della sua camera
Lascia il biglietto che lei sperava avrebbe detto qualcosa in più
Lei scende le scale verso la cucina stringendo il suo fazzoletto
Gira in silenzio le chiavi della porta sul retro
Esce all’esterno, è libera
Lei (Le abbiamo dato la maggior parte delle nostre vite)
Se ne va (Abbiamo sacrificato molto delle nostre vite)
Di casa (Le abbiamo dato qualunque cosa i soldi potrebbero comprare)
Se ne va di casa dopo aver vissuto da sola (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Il padre russa mentre sua moglie s’infila nella vestaglia
Raccoglie la lettera che giace lì
Resta in piedi da sole in cima alle scale
Esplode in lacrime dal marito, Papà, la nostra piccola se n’è andata
Perché avrebbe dovuto essere così sconsiderata con noi
Come ha potuto farlo
Lei (Non abbiamo mai pensato a noi stessi)
Se ne va (Mai un pensiero per noi stessi)
Di casa (Abbiamo lottato duramente tutta la vita per tirare avanti)
Se ne va di casa dopo aver vissuto da sola (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Venerdì mattina alle nove lei è lontana
In attesa dell’appuntamento che aveva fissato
Incontra un uomo dell’industria automobilistica
Lei (Cosa abbiamo sbagliato)
Si sta (We didn’t know it was wrong)
Divertendo (Il divertimento è quella cosa che i soldi non possono comprare)
Qualcosa dentro che le è sempre stato negato (Ciao ciao)
Per così tanti anni
Lei se ne va di casa (Ciao ciao)

Ed ecco il video della Canzone:


31/05/22

Rivedere "A Midnight Cowboy" ("Un uomo da Marciapede"): perché è una pietra miliare


Ieri sera ho voluto rivedere, dopo tanto tempo A Midnight Cowboy ("Un uomo da marciapiede" era il non troppo felice titolo italiano).

Che dire, sono rimasto colmo di ammirazione. Un film realizzato nel 1969 che è ancora così incredibilmente moderno, nel modo di essere girato, raccontato, montato, recitato.
John Schlesinger era davvero un genio. Non ricordavo la pellicola così sgranata dei primi meravigliosi 20 minuti (il viaggio in pullman di Joe verso New York), che richiama il calore del Super 8.
Non ricordavo il montaggio psichedelico dei ricordi/sogni/allucinazioni di Joe che anticipa di una ventina d'anni i videoclip musicali.
Non ricordavo l'insistenza nell'uso della canzone di Harry Nilsson (in realtà scritta tre anni prima da Fred Neil e cantata da Nillson) - Everybody's Talking - scelta personalmente da Schlesinger e da lui usata come "marchio" sonoro per quasi tutto il film.
Non ricordavo la crudezza e la durezza nel rappresentare la povertà assoluta e l'ingiustizia sociale dei diseredati in anni nei quali si parlava solo di miracolo e di boom economico.
Non ricordavo la tristezza esistenziale, modello per tutto il nuovo cinema americano degli anni '70, dei Cassavetes, dei Penn, degli Aldrich e di tanti altri.
Non ricordavo il duello di bravura tra due scuole di recitazione così diverse: quella di Voight, più classica, legata alla tradizione hollywoodiana, e quella di Hoffman, stile Actor's studio, già totalmente innovativa, che insieme a una manciata di attori prodigio avrebbe rivoluzionato ancora una volta la storia del cinema americano.
Una pietra miliare.

Fabrizio Falconi

30/05/22

"Avvocato di difesa" ("The Lincoln Lawyer"), una serie tv interessante rovinata da un brutto (e incomprensibile) finale


Alla fine è deludente la serie CBS The Lincoln Lawyer (tradotta come al solito liberamente in italiano con il titolo "Avvocato di difesa", bruttissimo), legal drama basato sui romanzi di Michael Connelly.

Qualche anno fa, da un soggetto simile era stato tratto un film con Matthew Mc Conaughey nei panni dell'avvocato Mickey Haller.
10 puntate di quasi un'ora ciascuno sono invece evidentemente troppe per gli sceneggiatori che hanno rimpinzato la vicenda centrale - quello che cattura l'attenzione dello spettatore, la scena del crimine, e il particolare del drone, quello che Hitchcock chiamava MacGuffin - con una quantità eccessiva (e inutile) di intrecci paralleli che poco o niente c'entrano con il resto.
Peccato, perché il protagonista, l'attore messicano Manuel Garcia-Rulfo è una bella scoperta, è empatico e convincente. Altrettanto il deuteragonista, Christopher Gorham nei panni del genio ricco inventore informatico accusato di aver ucciso moglie e amante colti in flagrante nel talamo nuziale.
Accanto a loro una serie di personaggi che funzionano e un clima narrativo misurato, senza i soliti effettacci o cadute, a parte le lungaggini sugli altri casi ereditati da Micky dal suo collega Jerry, che è stato misteriosamente ammazzato.
Tutto bene fino al (riuscito) colpo di scena della nona puntata.
Ed ecco che invece nell'ultima, la decima, tutto si aggroviglia, si disperde, si rovina in una specie di delirio che sembra scritto da uno sceneggiatore che ha alzato il gomito.
Lo spettatore medio - e anche quello scafato in fatto di legal - resta a bocca asciutta: nulla viene spiegato veramente, tutto resta confuso e irrisolto o semplicemente incomprensibile, sicuramente a causa anche della preoccupazione di preparare i ganci per la prossima stagione.
Ne viene fuori un brutto pateracchio che spinge a cercare spiegazioni nei vari forum online, dove si sono rifugiati i molti spettatori delusi, senza peraltro capire nulla di cosa sia veramente successo.
Credo che tutto dipenda dal fatto che sono stati utilizzate parti di diversi libri di Connelly, shakerati insieme.
Scelta sciagurata: bastava restare saldamente sul caso centrale, quello della colpevolezza/innocenza di Elliot, il milionario internettiano, che è quello che interessava lo spettatore e tutto sarebbe andato a posto.

Fabrizio Falconi - 2022

29/05/22

Poesia della Domenica - "Sensazione" di Arthur Rimbaud


Sensazione

Le sere turchine d’estate andrò nei sentieri,
Punzecchiato dal grano, calpestando erba fina:
Sentirò, trasognato, quella frescura ai piedi.
E lascerò che il vento m’inondi il capo nudo.

Non dirò niente, non penserò niente: ma
L’amore infinito mi salirà nell’anima,
E andrò lontano, più lontano, come uno zingaro
Nella Natura, – felice come con una donna.

Arthur Rimbaud

marzo 1870


Par les soirs bleus d’été, j’irai dans les sentiers,
Picoté par les blés, fouler l’herbe menue:
Rêveur, j’en sentirai la fraîcheur à mes pieds.
Je laisserai le vent baigner ma tête nue.
 
Je ne parlerai pas, je ne penserai rien:
Mais l’amour infini me montera dans l’âme,
Et j’irai loin, bien loin, comme un bohémien,
Par la Nature, – heureux comme avec une femme.

da “Œuvres complètes”, a cura di Antoine Adam, “Bibliothèque de la Pléiade”, Paris, 1972

traduzione di Diana Grange Fiori



28/05/22

Quella volta che Gigi Proietti recitò insieme a Gassman in un film di Robert Altman

 


Ho sempre pensato che un attore come Gigi Proietti, sia stato largamente sottovalutato, soprattutto dal cinema. Le sue apparizioni sono state poche e sempre in prodotti di qualità media o bassa.

Hanno contato diversi fattori: il primo, quello generazionale. Se Proietti fosse nato vent'anni prima, sicuramente sarebbe diventato anche lui un "mattatore" della cosiddetta commedia all'italiana o del cinema neorealistico, come furono Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi. 

Il secondo fattore è stato quello della lingua: Proietti non parlava una parola di inglese, e questo sicuramente lo penalizzò, anche quando qualcuno, come vedremo, oltreoceano, si accorse del suo talento. 

Il terzo fattore era certamente la sua indole piuttosto pigra (da vero romano) e la ritrosia - autarchica - di staccarsi dal suo teatro e dagli spettacoli one-man-show nei quali poteva dare il meglio di se stesso. 

Una bellissima eccezione fu comunque il film "Un matrimonio", "A Wedding", diretto da Robert Altman nel 1978, in cui un giovane Proietti si ritrovò insieme all'amico complice, Vittorio Gassman, in un duetto tutto italiano. 

Fu lo stesso Proietti a raccontare parecchi anni più tardi quella strana esperienza.

«Il mio mio inglese era anche peggio di quello di adesso. E al cinema non avevo mai fatto granché. Quella mia partecipazione, una particina, rimane il mio più importante exploit su grande schermo». 

Autoironico come sempre, Gigi Proietti si prendeva in giro, diminuendo i suoi meriti, nell'evocare, durante quella intervista che gli fece Gianni Amelio, l'incontro con Robert Altman.

«È un film del 1978: puro medioevo», rincarava l'attore «È cominciato tutto per caso, quando Altman è venuto a Roma dove dirigevo il doppiaggio del suo film "Tre Donne". Con mia grande apprensione vi ha voluto assistere, ma poi mi ha invitato in trattoria dove mi ha chiesto che cosa ne pensassi. Mi dà l'impressione di un film sognato, era stata la mia risposta, di cui lui è stato molto contento, perché, mi ha poi spiegato, molti dei suoi film sono nati così: da un suo sogno». 

Ed ecco l' attore qualche mese dopo interpretare il fratello minore di Gassman a Milwaukee, sulle rive del Michigan («un mare più che un lago»), ultimo arrivato alla festa di nozze, sempre più lugubre, in cui il cineasta esercita con ferocia la critica impietosa della middle class Usa. 

«La mia fortuna è stata che Altman lasciava molta libertà d' improvvisazione, per me abituale in teatro. Tanto più che non ho mai visto la sceneggiatura, ma solo l' elenco dei vari "characters", tra cui il mio. Le battute ci venivano date giorno per giorno. Perciò il mio primo dialogo con Gassman è stato un guazzabuglio in italiano, poi rimasto tale e quale nel film: "E Angelina come sta? - L'ho messa incinta - Stai sempre a scopà...". E così di seguito». 

Girare con Altman ricorda a Proietti i primi film di Tinto Brass, tipo "Drop Out": «Tanta tanta improvvisazione». 

Ma il regista Usa curava al millimetro la tessitura musicale: «Sul set si circondava di musicisti. Anche in "A Wedding" la musica ha un' importanza fondamentale. Per questo il suono, che nel nostro cinema spesso lascia a desiderare, in lui comportava un' attenzione maniacale, al punto che nei totali faceva ripetere con i soli gesti la stessa scena dai personaggi, che potevano essere una cinquantina».




25/05/22

Nelle strade della città c'è il mio amore - Renè Char

 


Nelle strade della città c'è il mio amore. Poco importa dove va nel tempo della separazione. Non è più il mio amore, chiunque può parlargli. 

Non si ricorda più di chi nel modo giusto l'amò? 

Egli cerca un suo simile nella brama degli sguardi. Lo spazio che percorre è la mia fedeltà. Disegna la speranza e tenue la respinge. Io vivo in fondo a lui come un felice relitto. 

A sua insaputa, la mia solitudine è il suo tesoro. Nel gran meridiano ove s'inscrive il suo volo, la mia libertà lo disvela. 

Nelle strade della città c'è il mio amore. Poco importa dove va nel tempo della separazione. Non è più il mio amore, chiunque può parlargli. Non si ricorda più di chi nel modo giusto l'amò e da lontano lo illumina finché non cada ? 

 



24/05/22

Cosmateschi nel cuore di Londra: Una Meraviglia! Come e quando?

 




Nel cuore di Londra, alle spalle della minacciosa sede dell’MI5, la sede dei potenti servizi segreti britannici, c’è una via che risponde al nome di Thorney Street.

Andare alla ricerca di un tizio con quel nome sarebbe inutile perché Thorney era il nome dell’isola ormai dimenticata che anticamente ospitava quel lembo di terra. 

Fu su quest’isola, probabilmente per motivi di sicurezza, che negli anni quaranta dell’XI secolo Edoardo il Confessore decise di erigere il suo palazzo, vicino a un monastero benedettino fondato meno di un secolo prima da Re Edgar e San Dunstan, monastero che venne ampliato e dotato di una grande chiesa intitolata a San Pietro. 

La chiesa divenne nota come West Minster per distinguerla dall’East Minster cioè la cattedrale di St. Paul. 

La chiesa resistette per un paio di secoli finché Enrico III, contagiato dalla smania del nuovo stile gotico, decise di ricostruirla ex novo alla maniera moderna. 

Il 13 ottobre 1269 la nuova costruzione veniva consacrata con (è proprio il caso di dire) incastonato al suo interno un piccolo gioiello: uno dei rarissimi e per certo il più bello dei pavimenti cosmateschi in Inghilterra. 

A volere fortemente quei 7,5 mq di opus sectile fu l’abate Richard de Ware che li aveva ammirati durante il suo soggiorno ad Anagni presso papa Alessandro IV subito dopo la sua nomina nel 1258. 

Quei fantastici pavimenti italiani (il fascino del Made in Italy ha una storia insospettabilmente lunga) lo colpirono a tal punto che al suo ritorno in patria si portò dietro l’artigiano Odorico con la sua brava squadra di “piastrellisti” e una discreta quantità di pietre pregiate come porfido, serpentino, gabbro e altre pronte a trasformarsi nel suo piccolo sogno personale, reso ancora più unico dall’uso di materiali insoliti nella tradizione italiana come il vetro e dall’essere immerso e circondato dal cosiddetto “marmo di Purbeck”, un calcare scuro proveniente dal Dorset.

E oggi questo meraviglioso pavimento - italiano - fa bella mostra di sé nella Abbazia di Westminster, dove si celebrano le più importanti cerimonie dei reali di Inghilterra.