14/12/21

Libro del Giorno: "Sedurre da dio" di Olga Cirillo

 


Non è soltanto una idea editoriale, come oggi purtroppo chiede tirannicamente il mercato editoriale editoriale: in questo libro c'è molto di più. 

Si tratta di un originale e interessantissimo saggio, scritto da Olga Cirillo, che vive e lavora a Napoli e si occupa principalmente di poesia elegiaca ed è stata cultrice della materia di Letteratura Latina all'Università Federico II, nel quale l'autrice esplora i miti classici, da Era e Afrodite e Apollo, a Giasone e Teseo, a Enea e Odisseo, a Pandora e Elena, fino a Narciso e Eros e Psiche. 

Un viaggio sorprendente attraverso il mito per scoprire quello che la psicologia analitica sa già molto bene, e cioè che le figurazioni antiche descrivono il campo delle emozioni umane - e di conseguenza delle relazioni - meglio di qualunque trattato specifico e con una chiarezza incredibilmente moderna.  Ciò è particolarmente interessante considerando la grande confusione che sembra regnare sopra le relazioni amorose umane, dove tutto sembra o sembrerebbe molto più complesso e complicato rispetto al passato. 

Non è così e il nostro è semplicemente un errore di prospettiva. Le dinamiche amorose infatti rispondono, per linee generali, ma anche nel particulare dei simbolismi, a quanto è descritto nel racconto mitologico dell'età antica.

Il viaggio attraverso la narrazione di alcuni tra i più noti miti erotici del mondo antico percorre i diversi volti della seduzione. Quando il desiderio interviene nella vita, provoca cambiamenti e conflitti, fino a che non si realizza. Nel racconto mitologico, a indurlo è sempre un’influenza divina, quella di Eros o di Afrodite, che contano su uno o più oggetti magici. In qualche caso, essi agiscono insieme, combinando le proprie strategie come complici perfetti, il che, tuttavia, non risparmia loro di soffrire delle stesse pene che riservano alle inconsapevoli vittime.

Nella interpretazione moderna, come insegnano Jung e Hillman, alle entità divine si possono sostituire, con pregnanza di senso, le figure archetipiche che sono alla base dei comportamenti e della storia umani. Figure che vivono dentro ciascuno di noi e che nomi come: "carattere", "destino", "predisposizione", "affinità", definiscono sinteticamente, in mancanza di meglio. Anche perché la natura umana - e l'eros rappresenta la natura umana alla sua massima potenzialità - si muove su basi ancestrali ancora del tutto inesplorate: chi si aspettasse di poter definire la dinamica amorosa in base a mere teorie psicologiche o psicanalitiche o peggio ancora, con motivazioni genetiche o neuronali, non ne capirebbe niente.  

Nell'amore c'è un quid potente che ci continua a sfuggire e che - per fortuna - sconvolge ogni nostro piano e ogni nostra previsione o controllo.

E' di questo quid che parlano - emozionandoci - questi miti, raccontandolo nel modo più sincero, più veritiero possibile.  E di questo quid è fatto quindi anche questo splendido libro.

Fabrizio Falconi 

Olga Cirillo
Sedurre da dio 

13/12/21

Quali sono i 10 libri più venduti di sempre al mondo?



In tempi di classifiche di libri e di classifiche natalizie, è interessante riflettere sul rapporto tra qualità e vendita. 

Oggi il mercato editoriale è così frammentato che è difficile fare valutazioni: basti pensare che in Italia si pubblicano qualcosa come 237 libri AL GIORNO, a fronte di un popolo di lettori piuttosto modesto, rispetto a molti altri paesi occidentali. 

Ogni anno dunque in Italia vengono messi sul mercato 86.505 libri nuovi. Una cifra spaventosa. Con l'evidente conseguenza - basta leggere le classifiche di vendita - che il 99,9% delle uscite librarie si spartisce le vendite del 30% dei libri venduti. Mentre il restante 70% viene invece venduto dalla ristrettissima minoranza (0,01%) di bestseller, o libri da classifica, che si dividono (in pochi) una torta ampia. 

Alla ragione di questo fenomeno ci sono molte e diverse cause su cui si è a lungo riflettuto, senza trovare via d'uscita, anzi: sembra piuttosto che la forbice tra i pochissimi libri "da classifica" e i - moltissimi - libri da poche copie vendute, si sia allargata sempre più.

Un altro dato da considerare però è la grande differenza tra i bestseller moderni e quelli che hanno fatto la storia. Oggi in Italia un libro viene considerato un buon successo quando supera le 10.000 copie vendute. Ottimo e abbondante, oltre le 100.000, traguardo riservato a pochissimi. 

Ma quando di libri (cartacei) se ne leggevano di più - e al contempo, se ne stampavano molti, molti di meno - le cifre erano ben altre.

Quali sono dunque i 10 libri che hanno venduto più copie nel corso della storia?

In certi casi del passato, il numero di copie di alcuni titoli si può solo stimare: come best seller dell'800 sono per esempio spesso citati Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre, o Il canto di Natale di Charles Dickens: ma quante copie avranno venduto? Impossibile saperlo.

Secondo il Guinness dei Primati - esso stesso uno dei volumi più venduti di sempre, 115 milioni di copie dalla prima edizione del 1955 - il libro più venduto di tutti i tempi è La Bibbia, con 5 miliardi di copie. Considerando che i cristiani nel mondo sono circa 2 miliardi e 400 milioni, vuol dire che ce ne sono due copie per ognuno. Agli antipodi, Le citazioni dalle opere del presidente Mao Tse Tung, meglio conosciuto come Libretto Rosso di Mao: stime variabili in un ampio range tra gli 800 milioni e i 6 miliardi e mezzo di copie stampate: ha però dalla sua il paese più popolato del mondo, e il carattere obbligatorio della pubblicazione. 

Ma escludendo subito da questa classifica i libri religiosi o ideologici e anche le pubblicazioni periodiche e costantemente aggiornate, come i dizionari e i manuali, ecco i libri più venduti di ogni tempo

1. Il Signore degli Anelli di  J.R.R. Tolkien. Per la saga di Tolkien ambientata nella Terra di mezzo, 150 milioni di copie in tutto il mondo dal 1954

2. L'alchimista di Paolo Coelho. A metà strada tra il racconto fantastico e l'iniziazione spirituale, il libro più venduto del bestsellerista brasiliano Paulo Coelho ha stregato 150 milioni di persone, dalla prima edizione del 1988. 

3. Il Piccolo Principe di Antoine de Saint Exupéry. Ancora oggi il capolavoro per grandi e piccoli scritto nel 1943, è in cima alle classifiche dei libri più venduti di ogni anno. 140 milioni di copie stimate, finora.

4. Harry Potter di J. K. Rowling. Il primo libro della saga del maghetto è anche il più venduto di tutti: 120 milioni di copie worldwide dalla prima uscita del 1997. I capitoli successivi hanno stracciato altri tipi di record: Harry Potter e i doni della morte, per esempio, è stato il libro che ha venduto più copie nelle prime 24 ore dall'uscita (15 milioni) e quello con il maggior numero di stampe in prima tiratura negli USA (12 milioni). 

5. Il Maestro e Margherita di Michael Bulgakov. Il capolavoro di Bulgakov mette d'accordo sia il pubblico che la critica: grandi numeri e letteratura di qualità. Satira politica e invenzione fantastica, profondità psicologica e realismo, c'è tutto. Scritto tra gli anni 20 e gli anni 40 in Unione Sovietica, ma pubblicato ufficialmente solo nel 1967 dopo la morte dell'autore, è comunque circolato molto anche come samizdat, copia clandestina. Stime di vendita attorno ai 100 milioni di copie

6. Alice nel Paese delle Meraviglia, scritto nel 1865 da Lewis Carroll, è un libro unico, divertente e terribile. Quasi incredibile che sia diventato un classico, con 100 milioni di copie vendute, ma ce lo teniamo stretto. 

7. Dieci piccoli indiani. Il più famoso giallo della regina incontrastata del genere: Agata Christie ne ha scritti tantissimi, e tanti sono noti bestseller. Ma questo del 1939, che forse è il più riuscito, è anche il più venduto, sempre sopra i 100 milioni

8.  Il sogno della Camera Rossa, di Ts'ao Hsüeh-ch'in. Ecco un titolo che non dirà molto a noi occidentali, ma questo libro del 1700 ha venduto e continua a vendere migliaia di copie, in Cina e non solo. Capolavoro della letteratura orientale, ma in generale uno dei libri più importanti dell'intera storia della letteratura. 

9. Piccoli Brividi. Se consideriamo le serie, ancora una volta è Harry Potter a fare da padrone, con 500 milioni di copie vendute in totale. Ma è seguito a ruota da Piccoli brividi, il format horror per ragazzi creato da R. L. Stine a partire dal 1992: 62 libri per 480 milioni di copie, questo è il primo in assoluto. 

10. Perry Mason. Notissimo investigatore delle serie TV, in realtà ispirato al personaggio letterario di Erle Stanley Gardner: 82 romanzi e 4 racconti in quarant'anni, dal 1933 al 1973, per più di 300 milioni di copie totali.

10/12/21

Qual è l'ultima foto scattata in assoluto che ritrae John Lennon e Paul Mc Cartney insieme?

 


La docu-serie Get back! di Peter Jackson realizzata per Disney+ che sta spopolando in tutto il mondo, ha riportato d'attualità il mito dei Beatles (del resto mai offuscato) e la loro travagliata storia artistica, durata dieci anni, che ha cambiato per sempre il mondo della musica. 

Rivedendo le immagini delle sessioni di registrazione del gennaio del 1969, precedenti di poco la separazione definitiva, viene da chiedersi quando vi furono gli ultimi contatti ufficiali tra i due leader del gruppo, John Lennon e Paul Mc Cartney: in particolare quale fu l'ultima volta che si videro, l'ultima volta che suonarono insieme, quale è l'ultima fotografia che li ritrae insieme.

Come è noto, i Beatles si separarono ufficialmente nell'aprile del 1970, anche se John era ormai già emotivamente lontano da tempo dal gruppo e non ne risentì minimamente.

I contatti fra Lennon e Mc Cartney si esaurirono definitivamente. 

E si rividero per la prima volta, dopo ben 4 anni. 

Lennon, insieme a Yoko Ono, cominciò a trascorrere molto più tempo negli Stati Uniti, che in Europa, impegnato nella sua attività solista. A New York c'era la sede della ABKCO Records, con l'ufficio di Allen Klein, che già dal 1970 gestiva gli interessi della Apple Records e di tre ex Beatles: Lennon, George Harrison, e Ringo Starr.


In questo periodo alla Pang, fu chiesto di aiutare Lennon e sua moglie Yoko Ono a curare i loro progetti artistici d'avanguardia, come i film sperimentali Up Your Legs Forever e Fly.

Successivamente divenne la segretaria personale e factotum della coppia sia a New York che in Inghilterra, il che la portò a diventare una collaboratrice fissa dei coniugi Lennon quando si trasferirono definitivamente da Londra a New York nel 1971.

Quando il rapporto di John con Yoko entrò in crisi, Lennon cadde in una profonda depressione, ma fu proprio la Pang che gli diede il coraggio necessario per affrontare i familiari (soprattutto il primo figlio Julian con il quale c'erano stati sempre rapporti molto complicati, difficili) e gli amici. 

E proprio durante il periodo della love story tra Lennon e May Pang, che durò 18 mesi, Paul McCartney e Lennon si incontrarono nuovamente per suonare insieme per la prima volta dalla separazione dei Beatles. 

Paul e Linda McCartney visitarono la coppia il 28 marzo 1974

Il 31 marzo, furono raggiunti da Stevie Wonder, Harry Nilsson, Jesse Ed Davis e Bobby Keys per una jam session rimasta leggendaria presso la casa al mare che Lennon aveva a Santa Monica, Los Angeles. 

Di queste estemporanee sessioni è rimasta testimonianza in un celebre bootleg (A Toot and a Snore in '74).

In questa occasione furono scattate le ultime foto che ritraggono Paul Mc Cartney insieme (quella che ho pubblicato in testa si ritiene sia l'ultima in assoluto di loro due vicini). 

Le foto vennero pubblicate molti anni dopo, nel 2008, da May Pang, nel libro fotografico Instamatic Karma.

In esso sono presenti numerose fotografie di May Pang e Lennon insieme e anche qualche scatto storicamente rilevante come Lennon mentre firma l'atto ufficiale di dissoluzione dei Beatles, e l'ultima fotografia conosciuta che ritrae insieme Lennon e Paul McCartney.

Questa, nel 1974, fu certamente l'ultima volta che Lennon suonò con Paul McCartney (quattro anni dopo lo scioglimento dei Beatles). 

Ma questa fu anche l'ultima volta in cui i due si videro? 

Secondo quanto affermato da Lennon in un'intervista rilasciata poco prima di morire, nel 1980, l'ultima volta che i due si videro fu due anni dopo, nel 1976, quando Paul si presentò improvvisamente a casa sua. 

In quell'occasione, mentre guardavano il Saturday Night Live alla televisione, il presentatore della trasmissione invitò in studio gli ex componenti dei Beatles in cambio di una somma di denaro. 

I due furono tentati di presentarsi allo studio, posto nelle vicinanze della casa di Lennon, ma desistettero per la stanchezza. 

Questo leggendario, ma vero, episodio è stato anche preso come spunto nel film Due di noi di Michael Lindsay-Hogg (già regista di Let It Be).

In quella occasione però, non furono scattate foto (o comunque non sono mai state rese note).
La fotografia scattata da Mary Pang, quindi, è a tutt'oggi l'ultima foto esistente che ritrae Paul Mc Cartney e John Lennon insieme. 


09/12/21

Quando Natalia Ginzburg, atea e ebrea disse: "Il crocefisso non genera nessuna discriminazione."


Oltre 30 anni fa Natalia Ginzburg, ebrea atea, scrisse per L’Unità un articolo sul crocefisso che merita, oggi - tempi in cui spopolano politically correct e cancel culture - di essere riletto.


Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. 
Tace. 
È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. 
La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo
Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo?
Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. 
O vogliamo smettere di dire così?
Il crocifisso è simbolo del dolore umano. 
La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. 
Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il Figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. 
Chi è ateo cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo.
Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. 
È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. 
Come mai li rappresenta tutti? 
Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini.
Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. 
A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero. 
Alcune parole di Cristo le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente.
Ha detto “ama il prossimo come te stesso”. 
Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. 
Sono la chiave di tutto. 
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.

Pubblicato sul quotidiano L’Unità del 22 marzo 1988

06/12/21

Il celebre incidente che rischiò di spezzare la carriera e la vita di Stephen King nel '99. Cosa accadde esattamente?

 


E' un incidente ormai quasi leggendario quello che rischiò di spezzare per sempre la carriera e la vita di Stephen King, uno degli autori più letti e più amati al mondo. 

Ma cosa accadde esattamente, quel giorno? 

Il 19 giugno 1999, verso le 16:30, Stephen King stava camminando sul ciglio della Maine State Route 5, a Lovell, nello stato del Maine. 

L'autista Bryan Edwin Smith, distratto da un cane sfrenato che si muoveva nel retro del suo minivan, colpì King, che atterrò in una depressione nel terreno a circa 14 piedi (quattro metri) dal marciapiede della Route 5. 

I primi rapporti all'epoca dal vicesceriffo della contea di Oxford Matt Baker, affermarono che King fu colpito alle spalle e alcuni testimoni affermarono che l'autista non stava accelerando, non guidava in modo spericolato e non stava bevendo. 

Tuttavia, Smith fu successivamente arrestato e accusato di guida pericolosa e aggressione aggravata

Smith all'epoca si dichiarò colpevole dell'accusa minore di guida pericolosa e fu condannato a sei mesi nel carcere della contea (pena sospesa) e gli fu sospesa la patente di guida per un anno. 

Nel suo libro Sulla scrittura, King afferma che si stava dirigendo a nord, camminando contro il traffico. 

Poco prima che avvenisse l'incidente, una donna a bordo di un'auto, anche lei in direzione nord, ha superato prima King e poi il furgone Dodge azzurro

Il furgone stava zigzagando da un lato all'altro della strada e la donna ha detto al suo passeggero che sperava "quel tizio nel furgone non lo colpisse". 

Appena colpito e soccorso, King fu abbastanza cosciente dal riuscire a dare alla polizia i numeri di telefono per contattare la sua famiglia, ma soffriva notevolmente. 

Fu trasportato al Northern Cumberland Hospital di Bridgton e poi trasportato in aeroambulanza al Central Maine Medical Center (CMMC) di Lewiston. 

Le sue ferite - un polmone destro collassato, fratture multiple della gamba destra, lacerazione del cuoio capelluto e un'anca rotta - lo hanno tenuto al CMMC fino al 9 luglio

Le sue ossa delle gambe erano così frantumate che i medici inizialmente hanno pensato di amputargli la gamba, ma hanno stabilizzato le ossa della gamba con fissatore esterno, come si vede nella foto in apertura, relativa alla convalescenza dello scrittore.  

Dopo cinque operazioni in 10 giorni e la terapia fisica, King riprese a lavorare su On Writing a luglio, anche se la sua anca era ancora in frantumi e poteva stare seduto solo per circa 40 minuti prima che il dolore diventasse insopportabile. 

Su disposizione dello stesso scrittore, l'avvocato di King e altri due soci acquistarono il furgone di Smith per 1.500 dollari, secondo quanto riferito per impedire che fosse rivenduto come reperto su eBay. 

Il furgone è stato poi schiacciato in una discarica, con disappunto di King, poiché aveva fantasticato di romperlo lui personalmente con l'uso di una mazza da baseball. 



05/12/21

La Poesia della Domenica: "Venite" di Gottfried Benn

 




Venite - Gottfried Benn

Venite, parliamo tra noi chi parla non è morto, già tanto lingueggiano fiamme intorno alla nostra miseria.

Venite, diciamo: gli azzurri, venite, diciamo: il rosso, si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda, chi parla non è morto.

Solo nel tuo deserto, nel tuo raccapriccio di sirti, tu il più solo, non petto, non dialogo, non donna,

è già così presso agli scogli sai la tua fragile barca - venite, disserrate le labbra, chi parla non è morto.

Gottfried Benn, 1950

04/12/21

Perché meravigliarsi che 3 milioni di italiani dichiarino di non credere all'esistenza del Covid? Ecco in cosa dichiarano di credere gli americani




In molti, in queste ore, hanno espresso sorpresa o scandalo per la notizia che, secondo un recente sondaggio, circa 3 milioni di italiani dichiarino di non credere all'esistenza del Covid. 

Un dato che rappresenta circa il 5% degli italiani e che però non dovrebbe più di tanto apparire incredibile, soprattutto se si paragona la nostra realtà con quella degli Stati Uniti, un altro paese dove il numero di coloro che non si sono vaccinati perché non credono nell'esistenza della malattia e credono invece a qualche tipo di complotto è molto alto. 

In generale poi, gli americani risultano molto molto più "creduloni" di noi, rispetto a questioni scientifiche molto serie. 

In un recente sondaggio su scala nazionale, effettuato nel 2018 infatti, è risultato che addirittura il numero di americani che credono nei miracoli è più alto di quelli che credono nelle teorie evoluzionistiche di Darwin.

Più in generale, la gran parte degli americani credono in Dio, negli angeli e nei miracoli mentre solo il 47 per cento crede nella teoria darwiniana dell'evoluzione, rivela il sondaggio realizzato dall'istituto della Harris Poll. 

L'80 per cento degli intervistati ha detto di credere in Dio mentre il 75 per cento crede nei miracoli e il 73 per cento nel paradiso. 

A credere negli angeli sono il 71 per cento degli americani, mentre al diavolo crede solo il 59 per cento. 

Leggermente piu' numerosi (sono il 62 per cento) coloro che credono nell'inferno. 

Una percentuale inferiore presta fede alla teoria evolutiva di Darwin (il 47 per cento). 

Il 44 per cento crede ai fantasmi, il 36 per cento alla esistenza degli Ufo, e addirittura 31 per cento alle streghe (!). 

Il sondaggio esamina anche le differenze tra Cattolici e Protestanti: i primi sono piu' propensi a credere a Darwin (52 contro 32 per cento), ai fantasmi (57 contro 41 per cento) e agli Ufo (43 contro 31 per cento).

Dunque... è proprio il caso di dire: nulla di cui meravigliarsi ! 

03/12/21

Libro del Giorno: "Crossroads" di Jonathan Franzen

 


Appena terminata l'ultima pagina, con un finale così sospeso che non trova altra giustificazione che nel  fatto dell'essere Crossroads, la prima parte di una trilogia, un fiume narrativo che continuerà nei prossimi due romanzi, ci si scopre ammirati e sollevati: Franzen è tornato. E' tornato, cioè, dopo il gran brutto inciampo di Purity, quello che conoscevamo e che aveva incantato con Correzioni, e con Libertà

Ed è tornato ancora meglio, al punto che Crossroads, il suo sesto romanzo può forse essere considerato il suo migliore. 

Pubblicato due mesi fa in America, Crossroads è una saga familiare ambientata negli anni '70 e incentrata sulla famiglia Hildebrandt nella piccola città immaginaria di New Prospect, nell'Illinois.  Come detto, il romanzo è il primo volume di una trilogia progettata intitolata A Key to All Mythologies, che Franzen intende come l'abbraccio di tre generazioni e che ripercorre la vita interiore della nostra cultura fino ai giorni nostri". 

Crossroads segue le vicende di Russ e Marion Hildebrandt, il cui matrimonio è vicino al collasso, e i loro quattro figli, Clem, Becky, Perry e Judson

Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di uno degli Hildebrandt, e la maggior parte è ambientata nella fittizia New Prospect Township della periferia di Chicago. 

La prima sezione, intitolata Avvento, si svolge nell'inverno del 1971. Russ, ministro associato della First Reformed Church, flirta con una giovane vedova, Frances Cottrell, odiando il carismatico Rick Ambrose. Russ è stato infatti costretto a lasciare Crossroads, il popolare gruppo giovanile che ha fondato nella sua Chiesa, a favore dello stile di leadership più popolare – e meno liturgico – di Rick. 

I due figli di Russ, Perry e Becky si sono recentemente uniti a Crossroads, con molti problemi: . Perry ha deciso di smettere di spacciare erba e diventare una persona migliore. Becky, una popolare cheerleader, diffida di Perry, anche se è vicina a suo fratello maggiore, Clem. Si è anche scontrata con i suoi genitori per un'eredità di 13.000 dollari da sua zia Shirley. 

Nel frattempo, Marion sta frequentando di nascosto sessioni di terapia, in cui racconta episodi traumatici del suo passato, tra cui una relazione con un uomo sposato di nome Bradley e un crollo psichiatrico. Questi episodi sono avvenuti a Los Angeles poco prima che incontrasse Russ, e lei li ha nascosti alla sua famiglia, nonostante la sua preoccupazione per la stabilità mentale di Perry.

La seconda sezione, Pasqua, inizia nella primavera del 1972. Crossroads compie il suo viaggio di servizio annuale in Arizona , dove Russ ha legami con la comunità Navajo che risalgono al suo servizio alternativo in Arizona come obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale.

Da qui si dipaneranno una serie di conseguenze impreviste e anche drammatiche. 

Il libro termina nel marzo 1974, quando Clem torna a New Prospect per riunirsi con Becky

Franzen ha iniziato a scrivere Crossroads all'inizio del 2018, e ha finito di scriverlo durante i primi quattro mesi della pandemia di COVID-19 nel 2020, dichiarando che durante la stesura di Crossroads ha deciso di abbracciare pienamente il suo ruolo di "romanziere di caratteri e di psicologia", limitandosi cioè "una rigorosa narrativa realista", e in questo senso il progetto differisce dai suoi romanzi precedenti. 

Il progetto nasce dalla concezione di Franzen di un singolo personaggio, ispirato da una nuova conoscenza che – come Russ in Crossroads – aveva un background mennonita

Il romanzo è anche molto autobiografico: da adolescente, Franzen apparteneva a un gruppo di giovani della chiesa chiamato Fellowship, che è l'oggetto del suo saggio "The Joy Breaks Through" contenuto in "Zona disagio" e che ricorda Crossroads. 

Tuttavia, in Crossroads , Franzen ha affrontato la religione principalmente come "un'esperienza emotiva": Non era mia intenzione cosciente, ma penso di aver prodotto un libro che essenzialmente non contiene teologia... Penso che le domande per me siano: sono una brava persona? Cosa posso fare per essere una persona migliore? Non credo che le persone, in generale, dicano: "Voglio essere buono secondo uno standard esterno". Penso che stiano lottando con esso in un modo più personale e specifico. 

Alla domanda sul motivo per cui ha scelto di ambientare Crossroads nei primi anni '70, Franzen ha sottolineato lo stretto legame tra religione e movimenti progressisti negli Stati Uniti in quel momento - un tempo, cioè, prima che il cristianesimo fosse decisamente associato alla politica di destra. Era anche interessato alle conseguenze dei diritti civili e dei movimenti contro la guerra e al fatto che "si iniziarono a vedere i primi giovani che erano in realtà più conservatori dei loro genitori". 

Franzen ha anche affermato di aver trovato interessante scrivere sul passato, piuttosto che sul presente, durante gli anni dell'amministrazione Trump, a cui sentiva di "non riuscire a dare un senso in tempo reale". 

Le mie impressioni di lettura del romanzo, sono confortate dal supplemento letterario del Times, secondo il quale Crossroads è largamente esente dai vizi da cui è stato dedito il lavoro precedente di Franzen: l'attualità consapevole; la raffinatezza dell'esibizione; la pesantezza formale. Conserva molte delle sue virtù familiari: la robusta caratterizzazione; l'escalation della commedia; la padronanza virtuosistica del ritmo narrativo. 

I critici hanno particolarmente elogiato il personaggio di Marion, che è stato definito "uno dei gloriosi personaggi della recente narrativa americana". 

 Quel che è certo è che Crossroads tocca in profondità con le descrizioni di vite che sono (anche) le nostre e tempi che sono (stati) anche i nostri, con un artifizio da Lanterna Magica che li rende ancora più reali del vero. 

Fabrizio Falconi 

Jonathan Franzen

Crossroads 

Traduzione di Silvia Pareschi 

Einaudi Supercoralli 2021 

Pagine: 600 p.,  Euro 22

30/11/21

Quante fotografie furono scattate sulla Luna durante la missione Apollo 11? E chi le scattò?

Neil Armstrong durante una simulazione con la EVA 

Nel 1969 a Göteborg, in Svezia, la società di Victor Hasselblad, la Hasselblad Aktiebolag, attendeva con preoccupazione un telegramma dagli Stati Uniti sullo sviluppo di 132 immagini in bianco e nero scattate da una macchina fotografica Hasselblad. Erano le prime immagini chiare e limpide della Luna, che Neil Armstrong e Buzz Aldrin avevano scattato una manciata di giorni prima. La Hasselblad, la macchina appositamente costruita per fotografare la spedizione lunare, invece era rimasta là, a 384.400 chilometri di distanza dalla Terra.

Le prime foto della Luna scattate sulla Luna erano state trasmesse dal lander sovietico Luna 9 nel 1966, ma erano sgranate e poco chiare. La NASA stava invece lavorando per avere immagini sempre più definite e nel 1962 aveva iniziato una collaborazione con Hasselblad, un’azienda svedese fondata dall’ingegnere Victor Hasselblad che negli anni Cinquanta e Sessanta fabbricava le macchine di medio formato più utilizzate dai fotografi professionisti: le Hasselblad stavano in una mano, avevano componenti intercambiabili ed erano costruite con lenti Zeiss, considerate eccellenti.

Fotografare la Luna sulla Luna sarebbe stato però un po’ più complicato. L’ottima risoluzione delle immagini che la Hasselblad era capace di scattare e la praticità con cui permetteva di cambiare rullino la rendevano pratica e funzionale, ma alla NASA serviva un corpo macchina capace di resistere a temperature molto rigide, perfettamente funzionante nonostante il vuoto e comodo da usare per un uomo coperto da capo a piedi da una tuta pesante 100 chilogrammi. Così i tecnici di Houston e gli ingegneri svedesi cominciarono a modificare minuziosamente ogni piccolo dettaglio.

Quando il 20 luglio 1969 il modulo Eagle toccò la superficie della Luna, Neil Armstrong e Buzz Aldrin impiegarono circa due ore e mezza per compiere la cosiddetta passeggiata lunare (Extra Vehicular Activities, EVA). Il programma delle operazioni di documentazione, rilevazione e raccolta degli oggetti considerati di interesse era stato dettagliatamente pianificato e gli scienziati di Houston avevano previsto che la documentazione fotografica dell’orbita e del suolo lunare avrebbe richiesto una strumentazione complessa. 

Per questo l’Apollo 11 era stato equipaggiato con trentatré rullini e sette macchine fotografiche differenti. C’erano anche la Kodak Close-up Stereoscopic Camera, commissionata solo sette mesi prima della missione, e ben quattro Hasselblad. 

Solo la Data Camera però era stata progettata per essere perfettamente funzionante anche fuori dalla Eagle: fu equipaggiata con un portapellicola con rullino a colori, si accendeva semplicemente premendo il grilletto montato sull’impugnatura ed era allacciata alla tuta di Neil Armstrong.

La praticità dei corpi macchina rese molto facile per gli astronauti cambiare i portapellicole e montarli di volta in volta su modelli diversi: per questo motivo – come ha ricostruito Eric M. Jones, fondatore dell’Apollo Lunar Surface Journal, un archivio online della NASA che raccoglie la documentazione delle operazioni lunari dal 1969 al 1972 – non è possibile ricostruire con precisione il corretto ordine di scatto delle fotografie. 

I rullini usati per fotografare la Luna sulla Luna sono stati tre (due a colori e uno in bianco e nero), mentre quelli caricati sulle Hasselblad sono stati in tutto nove e hanno scattato 1.407 fotogrammi. 

Tutte le macchine fotografiche usate durante la missione Apollo 11 sono rimaste sulla Luna, per liberare spazio sulla capsula lunare e portare sulla Terra ventidue chili di rocce lunari che gli scienziati della NASA avrebbero poi analizzato

I nove rullini usati, invece, arrivarono al centro di controllo di Houston a mezzogiorno del 25 luglio 1969. Restarono nel laboratorio per la decontamina​zione per 47 ore. Una volta sviluppate e duplicate, le fotografie scattate dalla missione Apollo 11 furono presentate alla stampa il 12 agosto 1969.

Ciò che è poco noto, è che la quasi totalità delle foto della missione Apollo 11 che ritraggano un astronauta hanno Buzz Aldrin come soggetto, poiché normalmente era Armstrong a usare la macchina fotografica. 

Neil Armstrong, il primo astronauta che ha messo piede sul suolo lunare, è ritratto in due foto di scarsa qualità e in un'altra, famosissima e assai suggestiva, in cui egli appare riflesso sulla visiera della tuta spaziale di Aldrin, che pubblico qui di seguito.

Fonte: Il Post - Wikipedia




29/11/21

La lettera di Saskia a suo padre Tiziano Terzani

 



Rileggendo i meravigliosi diari di Tiziano Terzani, che descrivono la sua vita avventurosa e incredibile, e i suoi moltissimi tormenti interiori, si scopre come il grande giornalista, sempre in giro per il mondo, accenni spesso alle lettere (spedite prima per fax, poi per email) della figlia Saskia. Terzani dalla moglie Angela Staude, ebbe due figli, Fosco e Saskia. Nelle pagine dei diari, Terzani racconta quanto gli facesse piacere ricevere quei messaggi, a volte risponde, a volte commenta le notizie ricevute. I testi, però, non sono riportati. 
In una intervista di qualche anno fa a Vanity Fair, Saskia ha ritrovato un fax, che inviò al padre da Hong Kong, in occasione della morte della nonna Lina, la madre di Tiziano. È datato 24 novembre 1996, all’epoca lei aveva 25 anni.
La Elvie di cui si parla nella lettera è l’amatissima filippina, che ha vissuto con la famiglia dal 1983 fino alla pensione, nel 2005.
E' assai interessante leggere questa lettera che descrive un frammento intimo della vita di Terzani, della piccola grande epopea della sua famiglia, profondamente radicata nella vita del borgo di Orsigna, in Toscana, nel quale Terzani si ritirò nell'ultimo periodo della sua esistenza, lasciando testimonianza nei suoi ultimi bellissimi libri.

Carissimo babbo, carissima mamma,
la Elvie mi ha appena telefonato per dirmi che la nonna si è spenta. Le emozioni di questo momento sono tante, forti, indescrivibili, quanto indecifrabili.
Un passaggio come il suo non lascia perplessità o sgomento profondo. La Nonna nella sua estrema fragilità fisica e apparente lontananza mentale, ha gestito la sua uscita di scena con la massima dignità e calibrazione. Non c’è stata una sbavatura.
Seduta eretta nel suo salotto a Firenze dove ha vissuto con l’uomo che ha amato, dove ha fatto nascere suo figlio, dove è diventata donna, e poi madre, nonna e saggia, si è presa il tempo che ha voluto e poi, nel momento giusto, lo ha lasciato andare.
Non ha mai manifestato né la sofferenza né la paura – conosceva i limiti di sopportazione del suo carattere – e così si è lasciata appassire per attutire il travaglio dell’ultima ora.

Con questo finale sereno ed elegante non solo dà un senso al lungo periodo di lento distanziamento, ma chiude in bellezza. Non più penseremo al suo indebolirsi come un segno della sua graduale perdita di controllo. Ci lascia invece un ricordo di una vita completa, non sfilaccicata in fondo.
La presenza della Elvie al suo fianco è stata fondamentale. Era la sua custode – dotata di tanta pazienza e soprattutto di un fiuto per i ritmi della vita che diventano i ritmi della morte.
Ha seguito la nonna passo passo, «sentendo» con lei le voci dei suoi parenti defunti lontani che la chiamavano, accudendo a ogni suo bisogno.

Non c’è miglior ultimo regalo che uno possa fare a un’altra persona. La nonna si è sicuramente sentita accompagnata lungo questo misteriosa e magica strada che è di tutti ma che nessuno conosce.
Per tutte queste ragioni la notizia di stasera mi ha trasmesso uno strano senso di tranquillità. Non sembra per niente la parola adatta, e comunque nessuna parola può comunicare la sensazione che mi sento aleggiare intorno e dentro.
Sento la pace ma anche un vuoto. È come essere in una grande stanza spoglia e sentire una porta che finora era socchiusa, chiudersi. Lascia l’eco, ma anche quella si affievolisce, e poi non sai più se la senti ancora o se è rimasta semplicemente sospesa nella tua mente.

La nonna se n’è andata e con lei sembrano di un tratto allontanarsi anche tutti i miei ricordi d’infanzia, delle estati che passavamo, felici, con lei e il nonno. Sembra allontanarsi tutta la mia infanzia italiana, quella che sognavamo dai Paesi lontani, e che era composta di poche cose – l’Orsigna, le passeggiate con lo zaino in paese, le polpettine, i letti a castello – e a ognuna di queste si ricollegavano il nonno e la nonna. Lei era rimasta come il recipiente tangibile di questi ricordi. Ne era stata la garante e così la sua presenza ce li manteneva vivi, anche attraverso le diverse età, e anche attraverso l’aggiungersi di nuovi ricordi. L’Orsigna sarà diversa senza la nonnina.

Però non c’è verso di dimenticarla. Me la ricorderò nell’immagine con la quale ha voluto lasciarci: A capotavola, con la sua pelle sempre morbida, i suoi bei capelli bianchi e vaporosi, e quell’espressione che di tanto in tanto s’illuminava di un sorriso e di una scherzosa strizzata d’occhio. Addio Nonna.



Una foto giovanile di Tiziano Terzani, in barca in Asia con i figli piccoli, Folco e Saskia


26/11/21

Ma davvero Mozart rideva in quel modo assurdo? La verità storica e le invenzioni di Forman per "Amadeus", il suo capolavoro immortale


E' un film senza tempo, che non si smette di guardare e riguardare e ammirare. 

Ma il capolavoro di Milos Forman, Amadeus, biografia cinematografica del grande Mozart, è fedele alla realtà storica? Soprattutto alla descrizione del 'vero' Mozart?

Una domanda che si fanno gli spettatori è sempre: "ma davvero Mozart rideva in quel modo equino, un po' ebete, come si vede nel film, nella grandiosa interpretazione di Tom Hulce? "

Beh, a riguardo bisogna dire che l'idea di una risata così speciale nacque dalle vere lettere dell'epoca, scritte a riguardo. 

In una la risata dell'artista è descritta come una sorta di “vertigine contagiosa”, in un'altra come “vetro graffiante di metallo”

Non molto lontano dunque da come l'ha descritta Forman. 

La cosa da premettere, però, è che questo film non va considerato come una biografia, ma come una finzione che si ispira liberamente alla storia di Mozart, il che spiega le poche differenze rispetto ai fatti. 

D'altra parte è vero che la recitazione dell'attore corrisponde ad alcuni tratti reali di Mozart: era basso (circa 1,62 m), "rimase un bambino" secondo la sorella, allegro e costantemente scherzante, piuttosto severo nei giudizi. , piccolo cortigiano e piccolo diplomatico secondo Grimm, accanito giocatore di biliardo, carte (tra cui il famoso gioco del faraone, gioco a soldi vicino al black-jack) e festaiolo.

Ciò premesso, non mancano le molte differenze con la realtà storica, che sono state trovate nel film. 

Ne citiamo qualcuna:

- Per tutto il film ci viene mostrato un Salieri (Murray Abraham) chiaramente più vecchio di almeno quindici anni rispetto a Mozart (i due attori hanno 14 anni di differenza), ma in realtà Salieri aveva solo 6 anni in più. 

- Nel film, Wolfgang e Constanze sembrano aver avuto un solo figlio quando in realtà hanno avuto sei figli su nove anni di matrimonio, l'ultimo dei quali nato a luglio 1791. Solo due ragazzi sono sopravvissuti alla loro infanzia. 

- Mozart e la sua famiglia sembrano vivere nello stesso appartamento per tutto il film, mentre Mozart si è trasferito più volte a Vienna (12 volte in dieci anni)

Nel film Mozart avrebbe perso la stima dell'imperatore Giuseppe II e della corte dopo il fallimento della sua opera Les Noces de Figaro durante la quale il sovrano sbadigliò. In realtà Giuseppe II fu molto soddisfatto dei servizi del compositore fino alla sua morte nel 1790. Alla morte di Gluck nel 1787, l'imperatore diede addirittura a Mozart l'incarico di Musicista della Camera Imperiale. E anche il suo successore, Leopoldo II , apprezzò Mozart poiché non solo lo consolidò in questo incarico ma, alla sua incoronazione, furono eseguite molte delle sue messe e concerti per pianoforte (diretti da Salieri del resto).

 - Nel film è Salieri che viene mostrato mentre commissiona il Requiem a Mozart. Sappiamo però che si tratta di un servitore inviato dal conte Franz de Walsegg

- La frase di Salieri alla fine del film "sei il più grande compositore che abbia mai conosciuto" ( "del nostro tempo" nella versione director's cut ) è stata infatti pronunciata. Tuttavia, non fu detto da Salieri a Wolfgang nel 1791, ma da Joseph Haydn a Leopold Mozart nel 1785. La vera frase è "Devo dirtelo davanti a Dio, e come un uomo onesto, tuo figlio è il più grande compositore che io conosca, di persona e nominativamente” . 

- Alla fine del film, Mozart muore nelle prime ore del mattino poco dopo il ritorno della moglie e del figlio. Morì infatti intorno alle cinque, cinque del mattino, secondo la diagnosi del medico, e circondato dalla moglie, dalla sorella di quest'ultimo e dai suoi due studenti, tutti al suo capezzale per diversi giorni

- Salieri non era presente al momento della morte di Mozart e non lo aiutò mai a scrivere la sua messa funebre; d'altronde fu molto presente al suo funerale, prova della sua ammirazione e stima per il giovane collega, di soli sei anni più giovane. 

- Durante il suo funerale: nel film, i becchini trascinano il corpo di Mozart fuori dalla sua bara nella fossa comune. Ma nella verità, l'intera bara è stata posta in questa stessa fossa. Inoltre, piove al funerale nel film mentre nella realtà nevicava.  

Durante lo stesso funerale, vediamo nel film persone che in realtà non c'erano: in particolare Constanze e sua madre non c'erano, e nemmeno la cameriera. Costanza quindi non presenziò alla cerimonia, essendo malata e completamente allo stremo... 

In conclusione, Mozart non è mai stato un concorrente molto serio per Salieri (tranne, forse, nel campo dell'opera italiana). In ogni caso, mai il successo di Mozart, importantissimo a Vienna dal 1783 al 1787, poté in alcun modo ostacolare Salieri nella sua carriera

Ciò che è vero, e che probabilmente ha creato la fantasia e la leggenda, è che Salieri si accusò, nella sua grande vecchiaia (morì nel 1825 all'età di 75 anni), di essere "responsabile" della morte di Mozart

Gli specialisti pensano che sia piuttosto un rammarico non aver accolto e riconosciuto abbastanza rapidamente il genio di Mozart (come molti altri a Vienna) e aver indirettamente precipitato la morte di Mozart non facendo di tutto perché avesse successo e conforto, degno del suo sovrumano talento.

Oltretutto, La morte di Mozart aveva sconvolto terribilmente il mondo musicale viennese. Quando il giovane Beethoven , 22 anni, arrivato a Vienna solo sei mesi dopo, fu accolto come un secondo Mozart e approfittò di tutte le agevolazioni che questi notabili avevano rifiutato a Mozart. 

La prova di questo capovolgimento di opinione è che proprio il famoso grande protettore di Beethoven, il principe Lichnowsky , nel 1791, aveva intentato e vinto una causa contro Mozart per debiti insoluti. 

25/11/21

Quando arrivarono con esattezza i primi cristiani a Roma?



Quando arrivarono a Roma i primi cristiani? Quanto tempo dopo la morte di Cristo a Gerusalemme? Per rispondere a queste domande, ci affidiamo a Timothy Verdon, storico dell'arte formatosi alla Yale University:

Come si sa, il cristianesimo è nato praticamente assieme all'antico impero romano

L'evangelista Luca, introducendo il racconto della nascita di Gesù, specifica infatti che "in quei giorni un decreto di Cesare Augusto - cioè del primo imperatore romano - ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra" (Luca, 2, 1); era per registrarsi in obbedienza a questo decreto che il falegname giudeo Giuseppe, con la moglie incinta, Maria, si recò nella sua cittadina d'origine, Betlemme, dove il bambino venne alla luce. 

Al primo degli imperatori, Augusto, morto nel 14, succede Tiberio, sotto la cui autorità Gesù è processato e condannato a essere crocifisso; i seguaci di Gesù, con Pietro per portavoce, incominciano ad annunciare pubblicamente la sua risurrezione meno di due mesi dopo (Atti, 2, 42). 

Alla morte di Tiberio nel 37, il trono passa a Gaio Caligola; nel medesimo anno si forma una comunità di credenti in Cristo ad Antiochia, la più importante città delle province orientali dell'impero, e "ad Antiochia per la prima volta i discepoli (di Gesù) erano chiamati cristiani" (Atti, 11, 26). 

La Chiesa, nata in Oriente e a tutti gli effetti ignorata dai primi tre imperatori, conosce la persecuzione sotto il quarto, Claudio, venuto al potere nel 41

Nel 49 Claudio espelle da Roma "i giudei che si agitano per istigazione di un certo Cresto (Cristo)", come racconta confusamente lo storico romano Svetonio: Judaeos impulsore aracol assidue tumultuantes Roma expulit (Vita di Claudio, 25); uno di questi profughi diventerà amico di san Paolo a Corinto: un certo Aquila, "arrivato poco prima dall'Italia con la moglie Priscilla, in seguito all'ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei" (Atti, 18, 2).

Il quinto imperatore, Nerone, succeduto a Claudio nel 54, intensifica la persecuzione, infliggendo punizioni crudeli sui cristiani, considerati "una setta che professava una nuova e sovversiva fede religiosa", come dice sempre Svetonio (Vita di Nerone, 16). 

Sarà Nerone a mettere a morte sia san Paolo sia san Pietro intorno all'anno 64: Paolo sulla via che portava da Roma a Ostia, Pietro nel circo costruito da Caligola e fatto ingrandire dallo stesso Nerone.

Non sappiamo quando la nuova fede sia approdata nella capitale, ma deve essere stata assai presto se già nel 49 il numero dei credenti fu tale da attirare l'attenzione dell'imperatore

Dalla frase di Svetonio, si capisce che i "tumulti" che preoccupavano Claudio erano interni alla comunità giudaica, primo alveo dei credenti in Cristo, e che facevano parte del sofferto processo di differenziazione di coloro che accettavano Gesù come "il Cristo", il Messia e redentore atteso dagli Ebrei, dagli altri che si rifiutarono di credere in lui. 

Dire "comunità giudaica" non implica tuttavia un gruppo chiuso: Aquila era oriundo di Ponto, sul Mar Nero (Atti, 18, 2), e san Paolo proveniva da Tarso sulla costa meridionale dell'odierna Turchia. 

Ciò fa pensare che, nel crogiuolo di etnie e razze che era Roma, la primitiva comunità cristiana doveva apparire quasi un microcosmo dell'impero che la perseguitava; del resto, san Paolo era fiero di essere nato cittadino romano (Atti, 22, 27-29), e fu proprio l'impero, con la sua superba rete viaria ed efficiente sistema postale, a rendere possibili i continui spostamenti e le epistole di Paolo e di altri missionari della nuova fede

 Nonostante l'espulsione decretata da Claudio, la comunità cristiana romana si è presto ricostituita, tanto che quando Paolo scrive loro la sua lettera, intorno al 57, può salutare - tra molti amici e conoscenti - anche Aquila e Priscilla (Prisca), apparentemente tornati nella patria adottiva (cfr. Romani, 16, 3). 

E quando, poco dopo, l'apostolo con due compagni sbarca in Italia alla volta di Roma, "i fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne" (Atti, 28, 15).

E Pietro? Un testo antico colloca il suo arrivo nella capitale nel 30, praticamente subito dopo la Pentecoste, ma ciò è improbabile. Lo storico Eusebio, scrivendo nel IV secolo, lo fa arrivare nel 42; in tal caso sarebbe stato uno degli "espulsi" sotto Claudio nel 49.

Un altro scrittore cristiano del IV secolo, Lattanzio, è forse più vicino alla verità, affermando che Pietro arrivò a Roma solo nel regno di Nerone, e quindi dopo, dal 54 in poi. 

In ogni caso, è quasi certo che Pietro come Paolo, al momento del suo arrivo nella capitale, abbia trovato una comunità credente già funzionante, forse numerosa, con le caratteristiche cosmopolite sopra accennate ma con anche una sua identità culturale specifica, che possiamo definire in termini di romanitas. 

Roma allora era diversa da quanto sarebbe diventata dopo l'incendio del 64. 

La maggior parte dei monumenti che oggi associamo con l'antica capitale non erano ancora realizzati: il Colosseo, ad esempio, sarebbe stato costruito solo sotto Vespasiano nel tardo I secolo mentre il Pantheon (nella forma attuale) sotto Adriano nel II secolo. 

Ma c'erano altre strutture, sufficientemente magnifiche per stupire visitatori provenienti anche da grandi centri provinciali, quale Antiochia: san Pietro, ad esempio, che giunse a Roma da quella città, dove era stato per più anni a capo della comunità cristiana. 

Oltre agli innumerevoli templi del culto ufficiale, alle basiliche civili, ai portici e all'antico foro con l'aula del Senato, Roma alla metà del I secolo abbondava di teatri e circhi. Il gusto dello spettacolo risaliva all'era della Repubblica, e il più grande dei circhi, denominato appunto circus maximus, funzionava già nel IV secolo prima dell'era cristiana

Numerose nuove strutture di intrattenimento pubblico vennero realizzate tra la fine della Repubblica e il regno del primo imperatore, Ottaviano Augusto, nella vasta pianura a nord dell'area urbana antica: il cosiddetto campus martius o "campo di Marte", che nell'epoca repubblicana era servito per le esercitazioni militari e di cavalleria. 

Questi teatri, assieme ad altri nuovi monumenti nel Campo di Marte - l'Altare della Pace, l'Orologio solare e il Mausoleo di Augusto - costituivano praticamente un nuovo quartiere monumentale, luccicante di marmo e adorno di statue. 

I teatri romani erano enormi. Il più antico, il Teatro di Pompeo - vicino all'attuale Campo dei Fiori - inaugurato nel 55 prima dell'era cristiana, aveva una cavea di circa 150 metri di diametro e una scena di 90. 

Il Teatro di Balbo (resti in Via Paganica), inaugurato nel 13 prima dell'era cristiana, aveva un diametro di 90 metri; il Teatro di Marcello, a nord del Colle Capitolino, inaugurato nel 13 o forse 11 prima dell'era cristiana, era alto 33 metri, con un diametro della cavea di 130 metri e una capienza di quindicimila spettatori. 

Più grandi ancora erano le strutture adibite alle corse di cavalli e di bighe: il Circus Flaminius, demolito sotto Augusto, misurava 400 metri per 260, e il Circo Massimo raggiungeva l'incredibile lunghezza di 600 metri, con una larghezza di 200! Fonti del IV secolo parlano di una capienza di 385.000 posti nel circo Massimo, e anche se riteniamo esagerata questa cifra, una stima sobria arriva comunque a un quarto di milione di persone

In confronto, il Circo di Caligola e Nerone sull'altra riva del Tevere, dove ci sono ora la Piazza e Basilica di San Pietro, era poca cosa: appena 323 metri per 74

Queste colossali strutture, che con incontrovertibile autorevolezza annunciavano il potere dell'impero e la sua capacità di convogliare folle oceaniche verso un determinato punto di coagulo, fanno parte dell'esperienza della primitiva Chiesa di Roma. 

Anche se i convertiti alla nuova fede non dovevano essere assidui frequentatori del teatro e del circo, non potevano certo ignorare il fascino che simili luoghi esercitavano sui loro contemporanei. Ciò significa che non solo l'idea di magnifici spazi di vita collettiva, ma anche quella dello spettacolo - di raduni per vedere insieme eventi che univano la moltitudine mediante l'emozione condivisa da migliaia e addirittura centinaia di migliaia di persone - faceva parte del bagaglio culturale e umano della primitiva Chiesa romana. 

(Fonte:  Timothy Verdon,  Il cristianesimo a Roma nel I secolo, da Augusto a Nerone, ©L'Osservatore Romano - 21-22 settembre 2009)

24/11/21

30 anni dalla morte di Freddie Mercury. Ma qual era il segreto della sua incredibile voce?



Nel giorno della ricorrenza della morte di Freddie Mercury, esattamente 30 anni fa (24 novembre 1991), all'età di 45 anni, si avverte il vuoto lasciato da questo grande artista dalla voce inconfondibile, che ancora oggi suscita grande curiosità. 

Come si sa, Mercury nacque con il nome di Farrokh Bulsara a Stone Town nel protettorato britannico di Zanzibar (ora parte della Tanzania ) il 5 settembre 1946.

I suoi genitori, Bomi (1908-2003) e Jer Bulsara (1922-2016), provenivano dalla comunità Parsi dell'India occidentale. I Bulsara avevano infatti origini nella città di Bulsar (oggi Valsad ) nel Gujarat .  La famiglia si era trasferita a Zanzibar in modo che Bomi potesse continuare il suo lavoro come cassiere presso il British Colonial Office. 
Come Parsi, i Bulsara praticavano lo zoroastrismo. 

Freddie Mercury nacque con quattro incisivi soprannumerari, ai quali lui stesso attribuiva la sua estensione vocale potenziata. 

Mercury ha trascorso gran parte della sua infanzia in India, dove ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte all'età di sette anni mentre viveva con i parenti. 

Nel 1954, all'età di otto anni, fu mandato a studiare alla St. Peter's School, un collegio in stile britannico per ragazzi, a Panchgani vicino a Bombay. 

All'età di 12 anni, formò una band scolastica, gli Hetics, che si cimentava in cover di artisti rock and roll come Cliff Richard e Little Richard . 

Un amico ricorda che aveva "una straordinaria capacità di ascoltare la radio e riprodurre ciò che sentiva al pianoforte". 

Nel febbraio 1963 tornò a Zanzibar dove raggiunse i suoi genitori nella loro casa.  

Nella primavera del 1964, Mercury e la sua famiglia fuggirono in Inghilterra da Zanzibar per scampare alla violenza della rivoluzione contro il Sultano di Zanzibar e il suo governo prevalentemente arabo, in cui furono uccisi migliaia di arabi e indiani di etnia. 

Si trasferirono al numero 19 di Hamilton Close, a Feltham, nel Middlesex , una città a 13 miglia (21 km) a ovest del centro di Londra.

 Dopo aver studiato arte all'Isleworth Polytechnic a West London, Mercury ha studiato arte grafica e design all'Ealing Art College, diplomandosi con un diploma nel 1969. In seguito utilizzò queste abilità per disegnare stemmi araldici per la sua band Queen. 

Dopo la laurea, Mercury si unì a una serie di band e vendette vestiti e sciarpe edoardiani di seconda mano al Kensington Market di Londra con Roger Taylor. Svolse anche un lavoro come addetto ai bagagli all'aeroporto di Heathrow. Altri amici dell'epoca lo ricordano come un giovane tranquillo e timido con un grande interesse per la musica. 

Nel 1969, si unì alla band di Liverpool Ibex, in seguito ribattezzata Wreckage, che suonava "blues molto in stile Hendrix". 

Nell'aprile 1970, Mercury si unì al chitarrista Brian May e al batterista Roger Taylor, per diventare il cantante principale della loro band Smile.  A loro si unì il bassista John Deacon nel 1971. Nonostante le riserve degli altri membri e dei Trident Studios , la gestione iniziale della band, Mercury scelse il nome "Queen" per la nuova band. In seguito ha detto: "Ovviamente è molto regale, e suona in modo splendido. È un nome forte, molto universale e immediato. Ero certamente consapevole delle connotazioni gay, ma quello era solo un aspetto". Più o meno nello stesso periodo, cambiò legalmente il suo cognome , Bulsara, in Mercury.

Ma qual era il segreto della sua inconfondibile voce? 

Sebbene la voce parlante cadesse naturalmente nella gamma del baritono, Mercury incise la maggior parte delle canzoni nella gamma del tenore. 

La sua nota estensione vocale si estendeva dal Fa basso basso ( Fa 2 ) al Fa alto soprano ( Fa 6 ). Poteva cintare fino al Fa alto tenore ( Fa 5 ). 

Il biografo David Bret descrisse la sua voce come "un'escalation in poche battute da un profondo e gutturale ringhio di roccia a un tenore tenero e vibrante, quindi a una coloratura acuta e perfetta , pura e cristallina nei tratti superiori".

Il soprano spagnolo Montserrat Caballé, con il quale Mercury ha registrato un album, ha espresso la sua opinione che "La sua tecnica era sorprendente. Nessun problema di tempo , ha cantato con un innato senso del ritmo, il suo posizionamento vocale era molto buono ed era in grado di scivolare senza sforzo da un registro all'altro. Aveva anche una grande musicalità. Il suo fraseggio era sottile, delicato e dolce o energico e sbattente. Era in grado di trovare la giusta colorazione o sfumatura espressiva per ogni parola."

Il cantante degli Who Roger Daltrey ha descritto Mercury come "il miglior cantante rock 'n' roll virtuoso di tutti i tempi. Potrebbe cantare qualsiasi cosa in qualsiasi stile. Potrebbe cambiare il suo stile da una linea all'altra e, Dio, questa è un'arte. E lui è stato brillante in questo". 

Nel 2016, un team di ricerca ha intrapreso uno studio per comprendere il fascino dietro la voce di Mercury. Guidati dal professor Christian Herbst, il team ha identificato il suo vibrato notevolmente più veloce e l'uso delle subarmoniche come caratteristiche uniche della voce di Mercury, in particolare rispetto ai cantanti d'opera.