SULLE DUNE
A me non piace il vano dizionario
delle frasi e vocaboli d'amore:
"Sei mio." "Son tua." "Io t'amo!" "Tuo per sempre.
A me non piace essere schiavo. Io guardo 
la donna bella in fondo alle pupille 
e le dico: "Stanotte. Sai, domani
è un altro giorno, nuovo e bello. Vieni.
Portami una follia nuova, trionfale.
All'alba me ne andrò via per cantare".
L'anima mia è semplice. Nutrita 
fu dal vento salmastro e dall'aroma' 
resinoso dei pini. Ella è segnata 
dalle impronte medesime che rigano 
la pelle segaligna del mio viso, 
che è bello della squallida bellezza 
delle fredde marine e delle dune.
Cosí pensavo lungo la frontiera
di Finlandia, la lingua decifrando 
strana nei verdi occhi dei Finni scialbi. 
C'era gran pace. Accanto alla banchina 
un treno pronto accese fuoco e fumo.
Pigra la russa guardia doganale
riposava su un cumulo di sabbia 
erto, dove finiva il terrapieno.
Là cominciava un'altra terra, e muta 
una chiesa ortodossa contemplava 
lo sconosciuto estraneo paese.
Cosí pensavo. Ed ella sopraggiunse, 
si fermò sulla china: erano gli occhi 
rossi di sabbia e sole. Ed i capelli, 
unti come la resina dei pini,
cadevan sulle spalle in flutti azzurri.
S'accostò. S'incrociò il suo ferino 
sguardo col mio sguardo ferino. Rise 
ad alta voce. E gettò contro a me
un ciuffo d'erba e un pugno d'aurea sabbia. 
Poi con un balzo risali. Scomparve, 
galoppando al di là del terrapieno.
La inseguii di lontano. Mi graffiavano 
le felci il volto. Insanguinai le dita, 
mi lacerai il vestito. Ma correvo 
urlando come belva e la chiamavo : 
e la mia voce era suon di corno. 
Ma lei, delineando un'orma lieve 
sulle dune friabili, scomparve 
fra le trame notturne degli abeti.
Ora io giaccio anelando sulla sabbia. 
Ma ancora nelle mie rosse pupille 
ella corre, ella ride: ed i capelli 
ridono ancora, ridono le gambe, 
ride al vento la veste nella corsa.
Io giaccio e penso: oggi sarà notte. 
Domani sarà notte. Rimarrò
qui finché non l'agguanti come fiera 
o col suono di corno della voce 
non le tagli la fuga. E non dirò: 
"Mia. Sei mia". Purché lei mi dica: 
"Son tua! son tua!".
Aleksandr Blok (1880-1921)