La
morte di Steve Jobs, geniale creatore dei
sistemi Apple, morto prematuramente a 56 anni, sta avendo una eco mondiale fortissima.
E' il
giusto riconoscimento ad un grande imprenditore che ha saputo rivoluzionare le
abitudini di consumo e di fruizione (di musica, telefonia, informazione, cultura) planetaria, o quanto meno della porzione più evoluta e più ricca del pianeta.
Ciò che però si conferma in queste ore - ma se ne era avuta evidente riprova nei
Riots londinesi, per esempio - è che il culto di Jobs e di Apple nel mondo è diventato una specie di
religione pagana.
I seguaci della tecnologia Apple, e della filosofia industriale di Jobs si sentono, a torto o a ragione, facenti parte di una 'scuola' che
adora i suoi totem tecnologici, davvero
magici, sotto ogni aspetto. Fino a pochi anni o mesi fa tutto ciò che oggi mette a disposizione un semplice apparecchio, leggerissimo ultrapiatto, dal design semplice ed essenziale, era puramente
im-pensabile.
E' la dimostrazione di come la
τέχνη, la tecné, o meglio ancora la
tékhne-loghìa, la tecnologia goda la più alta considerazione tra le applicazioni umane.
E abbia sopravanzato, in fatto di considerazione o reputazione, anche e di gran lunga il pensiero filosofico (per non parlare di quello teo-logico)
Jobs, però, non era un semplice
homo technologicus. Era anzi, profondamente convinto che alla base di ogni lavoro, e quindi anche del lavoro tecnologico, vi dovessero essere dei riferimenti e solide basi etiche (anche se io non so francamente quanto questi principi fossero sempre coerenti con le politiche aziendali) come si evince dal
celebre discorso-lezione ai laureati di Stanford, che ha lasciato segni così profondi nella contemporaneità.
"La morte è con tutta probabilità la più grande invenzione della vita. Il vostro tempo è limitato per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun altro," disse quel giorno Jobs. E già
l'aver messo al centro della sua lezione la morte fu un atto di grande coraggio e immensa umanità.
Forse, proprio a partire da quella lezione, dovremmo tutti comprendere - proprio oggi che uno dei più grandi talenti creativi ci lascia - che
la tecnologia non è mai - e non dovrebbe mai essere - il fine delle nostre vite.
La tecnologia è strumento. E dietro ogni strumento
c'è, o ci dovrebbe essere un pensiero umano.
Ricordiamocelo.
Ricordiamoci di tributare gli stessi onori che stiamo tributando giustamente a Steve Jobs, anche a quegli altri grandi uomini, come
Raimon Panikkar, scomparso recentemente, che ci hanno lasciato una eredità di pensiero e di umanità altrettanto grande e importante, seppure non legata ad alcuna innovazione puramente tecnologica.
Fabrizio Falconi.