Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.
20/08/23
Perché c'è il male nel mondo? La domanda senza risposta. O forse no.
Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.
23/05/22
La Somiglianza del Divin Pittore - Raffaello - con Cristo
05/04/22
Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?
25/11/21
Quando arrivarono con esattezza i primi cristiani a Roma?
02/12/20
Uno degli angoli più suggestivi di Roma: San Giovanni in Oleo, duemila anni di storia
San Giovanni in Oleo, la memoria dell’apostolo amato da Gesù
A Roma, si sa, si parla sempre di Pietro e di
Paolo. Ma si ignora spesso l’importante passaggio di quelli che furono gli
altri apostoli di Gesù, a cominciare di quelli più importanti: gli Evangelisti.
Pochi romani saprebbero oggi rispondere alla domanda se risulta un
passaggio a Roma di San Giovanni, l’Evangelista, quello che i Vangeli
definiscono il prediletto da Gesù.
Eppure questa presenza non solo è documentata.
Ma è anche testimoniata da un culto bi-millenario, mai decaduto.
Di Giovanni si ricorda l’attività di predicatore
instancabile, dopo la morte di Gesù, e soprattutto della sua presenza a Patmos,
nell’Egeo, dove scriverà le terribili ed enigmatiche visioni contenute
nell’Apocalisse. Ma tra queste due fasi, Giovanni transitò anche a Roma.
E’ Tertulliano a raccontarci che nell’anno 89
d.C., mentre Giovanni si trovava ad Efeso, si scatenò una nuova ondata di
persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell'imperatore Domiziano.
Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi
torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte.
Di lì a poco questa pena però verrà commutata
in quella dell'esilio nell'isola di Patmos.
Sul luogo dove venne sottoposto alla tortura
dell’olio bollente venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo. Non si tratta anzi, di una vera
e propria chiesa, ma di un piccolissimo oratorio, un tempietto
a pianta ottagonale, che sorge nei pressi della Porta Latina. Nelle forme attuali fu costruito all’inizio
del ‘500 su commissione del vescovo francese Benoit Adam, su un precedente martiryum costruito in epoca
paleocristiana. Il piccolo edificio fu poi restaurato dal grande Borromini nel
1657 per incarico del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo
in una cappella per la sua potente famiglia.
E’ opportuno riflettere sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda.
Anche
in questo senso , egli
occupa dunque un posto a sé nella storia del Cristianesimo. Giovanni,
come abbiamo detto, è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore.
Dopo la resurrezione di Gesù è il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria
Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, ed è il primo a giungervi, entrandovi
poi dopo Pietro.
Dopo l’ascesa al cielo di Gesù, gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano
accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di
Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi
con Pietro incarcerato.
Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria.
Nell’anno 53 d.C. Giovanni si trova ancora a Gerusalemme:
Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle colonne della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a
Gerusalemme solo Giacomo il Minore:
dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso,
come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare,
per tutte, Ireneo (Contro le eresie,
III, 3, 4): La Chiesa di Efeso, che Paolo
fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera
della tradizione degli apostoli. La
permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma
ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla
persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente
verso l’anno 95. Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti
autori antichi, del
suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta
colma di olio bollente, dalla quale l’ormai vecchio apostolo uscì illeso, salvo
dalle bruciature, suscitando lo sconcerto dei suoi aguzzini.
E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200 d.C.: Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola (La prescrizione contro gli eretici, 36).
Un’altra testimonianza è quella di Girolamo, che alla fine del IV secolo
scrive: Giovanni terminò la sua propria vita con
una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che
anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio
bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito
dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il
coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a
quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il
persecutore non fece effondere il suo sangue (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20,
22).
Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può poi
aggiungere con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale
(inizi del II secolo), che, nella IV Satira,
critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per
decidere che fare di un enorme pesce,
venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto
in una profonda padella.
Come
nello stile delle Satire, il pesce
sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano. E' una ipotesi affascinante frutto dello studio
pubblicato recentemente da una
ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli.
Se la ipotesi fosse giusta, ci troveremmo di
fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga
tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana. Il
che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così
antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.
12/04/20
Poesia della Domenica di Pasqua: "Noli me tangere" di Yves Bonnefoy
Noli me tangere
Esita il fiocco per il cielo azzurro
ancora, l'ultimo fiocco della grande nevicata.
E così entrerebbe nel giardino colei che
aveva ben dovuto sognare ciò che potrebbe essere,
quello sguardo, quel dio semplice, senza ricordo
del sepolcro, senz'altro pensiero che la gioia,
senza futuro
se non il suo vanificarsi nell'azzurro mondo.
"No, non toccarmi," le direbbe
ma anche il dire no sarebbe luce.
Yves Bonnefoy (1923-2016)
in Poesia 45 (1991) p. 6
Traduzione di D. Bracaglia
A nouveau, le dernier flocon de la grande neige.
Et c’est comme entrerait au jardin celle qui
Avait bien du rêver ce qui pourrait être,
Ce regard, ce dieu simple, sans souvenir
Du tombeau, sans pensée que le bonheur,
Sans avenir
Que sa dissipation dans le bleu du monde.
‘Non, ne me touche pas’, lui dirait-il,
Mais même dire non serait de lumière.
Publisher: Mercure de France, Paris, 1988
29/02/20
Sabato d'Arte: "Autoritratto come Gesù sul Monte degli Ulivi" di Paul Gauguin, 1889
05/11/19
"E' tempo di un'insurrezione delle coscienze" - Una intervista a Enzo Bianchi
"Sopra una quercia c’ era un vecchio gufo. Più sapeva e più taceva, più taceva e più sapeva". Scolpita sulla pietra, la frase accoglie chi arriva a Bose, la comunità di monaci e monache di chiese cristiane diverse in provincia di Biella diventata un centro di spiritualità di livello internazionale. «Parole di saggezza popolare che ho scoperto in Puglia -in una casa abbandonata in mezzo alla campagna - e ho fatto copiare: è nel silenzio che la parola diviene autorevole e intelligente, sennò è chiacchiera» spiega Enzo Bianchi, che ha fondato il monastero nel 1965. Però ai nostri tempi si addice di più una presa di posizione. «È l’ ora di un ’insurrezione delle coscienze. Dobbiamo assumerci responsabilità, impegnarci in una concreta resistenza alla cattiveria, al disprezzo, altrimenti la barbarie andrà al potere. La storia ci insegna che la violenza verbale può diventare violenza fisica» spiega lui, che aggiunge: «Qui mi chiamano Enzo, in giro c’ è chi mi chiama fratel Enzo o padre Enzo... Dipende da cosa sentono in me». E certo non si sottrae, come dimostrano i suoi impegni pubblici di settembre , dove parlerà di umanità, di luce e tenebre...
06/09/13
Una bellissima intervista a Enrique Irazoqui, il "Gesù" di Pasolini - di Marco Cicala.
03/05/13
Nasce a Gerusalemme il Terra Sancta Museum .
21/09/11
Misericordia per tutti ?
La lettura dei brani evangelici è sempre frutto di scoperte, se soltanto si ha la pazienza e la disponibilità di ascolto. Sempre, scopriamo cose illuminanti su di noi, e sul nostro destino.
Come ognuno sa, le parole dei Vangeli sono poi anche le più abusate e le più equivocate.
Ciascuno, nel corso dei secoli le ha interpretate. E spesso anche per fini di comodo, come è ovvio.
E però ci sono cose che sono difficilmente interpretabili.
Le ultime due domeniche del tempo ordinario ci hanno sottoposto due parabole, enunciate da Gesù, che sono celebri e sono anche fonte di numerose intepretazioni.
Io credo però che certe volte basterebbe leggere con attenzione. Ascoltare e basta.
Quella di domenica scorsa è la parabola dei lavoratori della vigna. Quella che definisce l'assunto cristiano: gli ultimi saranno i primi.
Proviamo a rileggere.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi». (Mt 20,1-16)
Qui, la cosa che vorrei far notare è una, oltre al fatto indubitabile che Cristo indica un senso di giustizia molto diverso da quello degli uomini (chi arriva per ultimo ha le stesse chances di chi è arrivato per primo): e cioè che il presupposto per ottenere il denaro (la ricompensa) è LAVORARE PER LA VIGNA. Cioè, rispondere alla chiamata. Operare per aderirvi. Farlo sul serio. Poi, dice Cristo, se lo si fa per una vita intera, o se lo si capisce alla fine, poco conta. Ma non è che la porta è aperta a tutti, indistintamente. Se non si risponde alla chiamata, se non si PARTECIPA al lavoro, io credo sia molto chiaro, il denaro non arriverà. Questo è quel che dice la parabola, mi sembra.
La seconda lettura, sette giorni fa, presenta la parabola sulla restituzione del debito. Anche qui, rileggiamo.
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». (Mt 18,21-35)
Anche qui, la cosa che mi preme mettere in luce, è che il racconto di questa parabola, se dobbiamo far credito alle parole di Cristo nel loro senso letterale, ci dice molto chiaramente che il Regno non è aperto a tutti. Una questione che sembra contrastare molto nettamente con una versione del cristianesimo assai edulcorato che oggi sembra aver preso piede (anche in ambienti ecclesiastici, anche nelle omelie sempre più tirate via che capita di ascoltare): Cristo dice che se non si opera cristianamente, cioè come in questo caso, se si è duri di cuore, se nella vita ci si chiude avidamente agli altri, si è incapaci di perdonare il prossimo, di essere misericordiosi, NON CI SARA' NESSUNA misericordia. Il Signore della parabola, non accoglie il servo 'traditore' dicendogli: "non ti preoccupare, tutto a posto, verrai perdonato." Il padrone, quel padrone (che è il Signore) è invece durissimo: il servo ingrato viene mandato nientemeno agli aguzzini, che dovranno estirpargli il credito ricevuto. Se non fosse abbastanza chiaro, la parabola aggiunge a chiosa finale: Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello.
Ecco, questo è quel che dice Cristo. Poi, certo, oggi a noi fa molto comodo credere e pensare altro. Ma questo, a me non sembra affatto rispecchiare il fondamento stesso della vita cristiana così come è stato enunciato dal suo Fondatore.
Fabrizio Falconi