13/05/24
Tornano gli attori di "Shtisel" in una nuova serie sull'Olocausto, "We Were The Lucky Ones", bella e commovente
29/04/24
"La Zona d'Interesse" NON è un film sulla "banalità del male", ma sulla "banalità di CHI COMPIE il male" !
A proposito de "La Zona di Interesse" di Jonathan Glazer, mi rammarica che ad esso sia stata appiccicato lo slogan stra-logoro e ormai insentibile (che di esso il film dovrebbe essere emblema) di "Banalità del male".
05/12/23
Il capolavoro di Martin Amis: "La storia da dentro", un libro che si vorrebbe non finisse mai
11/11/23
La questione ebraica: da cosa dipende il loro eccezionale talento (causa di discriminazione e odio razziale)? Martin Amis, Saul Bellow e Einstein
Martin Amis, nel suo meraviglioso La storia da dentro, che è anche in diversi aspetti, il suo testamento spirituale, riferisce in una nota nel capitolo su Saul Bellow che la percentuale di ebrei che ha vinto il Premio Nobel da quando è stato istituito, nel 1902 è più del 22%. Cioè più del 22% dei vincitori di un Nobel sono ebrei. Questo, se raffrontato alla percentuale della popolazione ebrea su scala mondiale - che dice lui è del 2% - è molto eloquente (e sorprendente).
16/11/22
Una caccia al tesoro negli archivi scopre l'incredibile storia di un pittore ebreo alla Corte dei Medici, nel '600 !
23/10/22
Muore a 98 anni, Zilli Schmidt, sopravvissuta ad Auschwitz, portavoce del riconoscimento del genocidio nazista di Sinti e Rom
29/08/22
Le incredibili circostanze che consentirono a Roman Polanski di salvarsi dall'Olocausto quando aveva 10 anni. L'emozionante incontro con i nipoti dei suoi salvatori
06/04/22
Libro del Giorno: "Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò" di Raoul Precht
E' di grande interesse, e anche di grande attualità, l'uscita in queste settimane del nuovo libro di Raoul Precht, edito da Bottega Errante, che si concentra sulla vicenda personale, umana e letteraria di Stefan Zweig, inquadrata in un anno cruciale della sua vita, il 1935.
Precht, studioso attento della letteratura europea e tedesca in particolare (lingua quest'ultima che egli conosce come la madre lingua italiana), dopo Kafka (Kafka e il digiunatore, Nutrimenti, 2014) e Sternheim (Carl Sternheim, Schulin, La Camera verde, 2015), si rivolge alla figura di Stefan Zweig, prolificissimo scrittore ebreo, nato a Vienna nel 1881, vissuto a cavallo tra i due secoli, profondo pacifista e umanista, travolto dagli eventi drammatici del Novecento, il quale abbandonò definitivamente il suo paese dopo l'Anschluss nazista, finì i suoi giorni nel lontano Sud America, suicidandosi, nel 1942, insieme alla sua seconda moglie Lotte.
Dal suo primo racconto pubblicato a 19 anni, Primavera al Prater, Zweig fu instancabile, pubblicando una mole incredibile di romanzi e racconti, poesie e testi teatrali, memorie e lettere, saggi e articoli, raccolte e antologie, e numerosissime biografie che vanno da Tolstoj a Fouché, da Maria Stuarda a Toscanini, da Magellano a Montaigne e tantissimi altri.
Il libro di Raoul Precht incrocia la vita di Zweig nel suo anno cruciale, da gennaio del 1935 al gennaio successivo, lo scrittore si trova ad attraversare le sliding doors che ne decideranno il destino: è l'anno in cui la moglie Friderike (che Zweig aveva sposato prendendo con sé anche le due figlie avute dalla donna dal suo precedente matrimonio) scopre la sua relazione con Lotte Altmann, la sua segretaria, alla quale lo scrittore si legherà definitivamente in seguito, sposandola, e condividendo con lei il gesto estremo del suicidio.
Ma è anche l'anno in cui, a seguito di un primo scontro con la polizia locale, Zweig decide di lasciare Salisburgo e l'Austria e di stabilirsi in Gran Bretagna. Il suo paese infatti, come la Germania, è irretito dalle sirene naziste e il clima per gli ebrei comincia a farsi irrespirabile.
Zweig inizia un inquieto pellegrinaggio che lo porta in dodici mesi a spostarsi tra Nizza e New York e poi Vienna, Zurigo e le alpi svizzere, Marienbad, Parigi, Londra e infine nuovamente Nizza.
In questo errare lo scrittore incontra, in giro per l'Europa, scrittori e artisti con i quali è in rapporti di amicizia, da Thomas Mann a Joseph Roth, da Sigmund Freud a Arturo Toscanini.
Precht sceglie la cifra stilistica di un romanzo biografico: né una vera biografia, né un vero romanzo. La ricostruzione accuratissima degli spostamenti, degli incontri, dei particolari anche apparentemente trascurabili, contribuiscono a ricostruire il clima di un tempo difficile, che lo spirito inquieto di Zweig attraversa come sotto effetto di una febbre cerebrale.
Si stringe la morsa intorno a lui e intorno ai suoi amici: si impone di abbandonare le scelte di una vita comoda, facile, colma - nel caso di Zweig - anche di riconoscimenti e onori. Si impone di predisporsi ad abbandonare ciò che è più caro e salpare verso l'ignoto.
Non solo: la vita di quei mesi obbliga anche a scegliere quale atteggiamento opporre di fronte all'avanzare dell'orrore, della discriminazione, dell'odio, incarnata dal tiranno Hitler, pronto a spaccare il mondo in due e a metterlo a ferro e fuoco.
Zweig, anche rischiando l'incomprensione o la censura dei suoi amici più cari - magari ebrei come lui, come è il caso di Roth - sceglie un atteggiamento riservato, di non aperta denuncia: non si schiera, non fa appelli, non dà la caccia al mostro.
Altri gli dicono che è ora, invece, di rompere gli indugi e chiamare il demonio con il suo nome. Ma Zweig temporeggia: la sua indole, il suo credo profondamente pacifista, gli impongono prudenza e desiderio di distacco. E' la natura umana a deluderlo, la triste evoluzione di un destino collettivo - e quindi anche personale - che distrugge il sogno della vita bella, della vita dedicata alla conoscenza, al sapere, alla consapevolezza.
Zweig si avvicina alla fine della sua vita, sentendo che le forze gli vengono meno, dopo anni di vagabondaggio e sa che il porto del ritorno per lui è precluso per sempre. Cerca rifugio dunque, nell'unica cosa che può dargli piacere e in fondo salvezza: il lavoro, il lavoro intellettuale.
Verrà un tempo - e verrà presto, di lì a sette anni - in cui anche questo non basterà più e Stefan abbraccerà il suo desiderio di dissoluzione in compagnia della donna che ha deciso di condividere con lui il suo destino.
Il libro di Raoul Precht, letto in questi tempi in cui i tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare così forte - e proprio nel cuore della vecchia Europa - si impone come una lettura non solo qualitativa, ma necessaria.
Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò
Fabrizio Falconi - aprile 2022
04/04/22
Perché la Shoah (l'Olocausto) è un "unicum" nella storia umana?
Specialmente in questi anni così confusi, di negazionismi sfrenati, benaltrismi, narcisismi piccoli e grandi che si esaltano nella confutazione spavalda dell'ovvio e del naturale, col pretestuoso e l'inaccettabile, vale la pena riportare qui la risposta forse più chiara ed esaustiva possibile alla domanda che spesso si sente ripetere, ovvero: per quali motivi la Shoah, l'Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra mondiale è un "unicum" nella storia umana, e perché è sbagliato concettualmente e materialmente equipararlo ad altri tipi di genocidi terrificanti che sono stati compiuti nella storia.
29/03/22
Pochi lo sanno, ma sotto il Roseto comunale di Roma c'è il grande cimitero ebraico di Roma
Il Roseto comunale di Roma, noto per la bellezza e l’enorme varietà di
specie che ospita – circa millecento tipi di rose diverse – sorge oggi sul
declivio destro del Circo Massimo che sale verso l’Aventino, in un’area divisa
in due da Via di Villa Murcia. E per una specie di scherzo del destino, in
quest’area sorgeva nel III secolo avanti Cristo un tempio dedicato alla
divinità di Flora, dea romana delle piante.
La collocazione attuale del Roseto però è piuttosto recente. Esattamente risale al 1950 quando il Comune di Roma decise di spostare in questo luogo il Roseto comunale che dal 1931 sorgeva invece poco lontano, sul Colle Oppio dove era stato realizzato su incarico del Governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi.
La nuova sistemazione, nell’area attuale dell’Aventino ebbe una storia
piuttosto travagliata a causa della particolarità di questa area. Chi oggi
visita il Roseto comunale, infatti, non sa di trovarsi proprio sopra una enorme
distesa (si calcola siano decine di migliaia) di antiche tombe. Per l’esattezza tombe ebraiche. Le prime sepolture risalgono al 1645, quando venne istituito in quest’area un cimitero, il
cosiddetto Ortaccio degli ebrei. Più
anticamente, almeno dal Trecento, il cimitero ebraico di Roma si trovava
all’interno della vecchia Porta Portese, nel rione Trastevere. Poi, quando
furono costruite le nuove mura, nel 1587, il vecchio cimitero fu abbandonato e
spostato proprio nell’area dell’Aventino.
Al primo terreno, concesso da papa Innocenzo X agli israeliti, presto
seguirono, a causa del sovraffollamento, altri due lotti. In questi tre spazi contigui, per circa 250
anni gli ebrei seppellirono i loro morti.
L’area dell’Aventino, però cominciò, in tempi più recenti a fare gola alle
autorità comunali, per la sua vicinanza alla zona archeologica. Falliti i primi tentativi di esproprio, per
la opposizione della comunità israelitica, nel
Così il nuovo piano regolatore fascista ricoprì di terra una gran parte
dell’antico cimitero per realizzarvi una nuova arteria di collegamento tra Via
della Greca e Viale Aventino (l’attuale Via del Circo Massimo) per farvi
sfilare gli atleti in ricordo della Marcia su Roma.
Del vecchio cimitero si salvarono circa ottomila sepolture che furono in gran
fretta traslate al Verano.
I terreni dell’Aventino, quelli che non erano stato interessato
dall’asfalto per la costruzione di Via del Circo Massimo divennero, durante i
combattimenti della seconda guerra mondiale, orti di guerra. E soltanto nel 1950 il comune decise di
trasferirvi il Roseto comunale del Colle Oppio, che era stato distrutto dalle
bombe.
La nuova sistemazione fu decisa con il consenso della Comunità ebraica ed
il Comune, consapevole che il Roseto avrebbe fatto da copertura e da custodia a
tombe e sepolture secolari, decise di rendere omaggio e ricordo della
originaria funzione del luogo: così anche oggi si può osservare come i vialetti
che dividono le aiuole nel settore delle collezioni delle specie pregiate,
formino esattamente la trama visibile dall’alto, di una menorah, il celebre candelabro a sette braccio simbolo degli ebrei.
Ancora oggi, i kohanim, i
sacerdoti ebrei, non possono calpestare quelle aiuole e quel giardino, per il
divieto imposto dal capitolo XXI della Torah.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013
12/02/22
Quando i Neonazi manifestavano liberi nel 1962 a Londra, a Trafalgar Square
Una bella miniserie prodotta da BBC, "Ridley Road", in 4 puntate di 1 ora ciascuna, ancora in attesa di trovare un distributore in Italia, ha riportato alla memoria l'incredibile vicenda di un gruppo neonazista che in Gran Bretagna, ispirandosi direttamente ad Adolf Hitler, nel dopoguerra, riuscì a manifestare liberamente per le strade di Londra, come conferma questa foto storica scattata a Trafalgar Square, nel 1962.
Il gruppo era capitanato dal politico Colin Jordan, e dalla moglie francese, Francoise Dior, che oltre ad essere la dama nera del movimento inglese, era anche la nipote (figlia del fratello) di Christian Dior.
Ero piuttosto curioso, dopo aver visto la serie, di scoprire quanto nella fiction ci fosse di vero. E sembra proprio che la ricostruzione sia molto fedele ai fatti.
Nell'Inghilterra del dopoguerra Colin Jordan, figlio di un impiegato postale scozzese, cavalcò la frustrazione di un popolo che molto aveva sofferto durante la Seconda Guerra Mondiale, con un inaudito numero di perdite umane; lanciando lo slogan che tutto questo era stato fatto "per salvare gli ebrei" e quindi, tutto sommato, per colpa loro.
Cominciò così una campagna dai toni sempre più aggressivi nei confronti degli ebrei inglesi, fino a quando Jordan non fu arrestato con l'accusa - e le prove - di aver organizzato una forza paramilitare sul modello delle SA naziste.
Ridley Road ripercorre con tocco lieve ma efficace, la storia di due infiltrati - ebrei - che riuscirono a sabotare l'organizzazione di Jordan, fornendo a Scotland Yard, le prove della loro attività criminale.
Come sempre, quando si tratta di serie inglesi, la ricostruzione è perfetta negli ambienti, nel clima, e nei personaggi.
Tra tutti i (bravi) attori, menzione particolare per Rory Kinnear, attore shakespeariano che incarna magistralmente il nevrotico represso Jordan.
Fabrizio Falconi - 2022
07/08/21
Ritrovati in Francia gli archivi perduti di Céline
C'e' chi la ritiene tra le più grandi scoperte letterarie degli ultimi decenni. Sono stati rinvenuti in Francia gli archivi perduti di Louis-Ferdinand Celine, l'autore del 'Viaggio al termine della notte', nato a Courbevoie, vicino Parigi, il 27 maggio 1894 e morto a Meudon il primo di luglio del 1961.
30/09/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)
22/02/19
Spunta una crudissima lettera inedita di Primo Levi, scritta nel 1945, tornato da Auschwitz.
20/01/17
"Al di là della filosofia" di Emil M. Cioran (Recensione).
Ma il sodalizio avrò breve durata: nel marzo del 1944, infatti, l’“ebreo errante” Fondane, arrestato dalla polizia del regime collaborazionista di Vichy, viene prima internato a Drancy, poi deportato ad Auschwitz (con il penultimo convoglio partito per quel campo), dove troverà la morte tra il 2 e il 3 ottobre dello stesso anno.
Cioran inutilmente tenta dapprima di sottrarre l’amico all’arresto, e poi, una volta a Drancy riesce a ottenere una promessa di liberazione, ma soltanto per lui. La sorella dello scrittore dovrà comunque partire per i campi. Fondane non accetta di separarsi dalla sorella, abbandonandola al suo destino. Preferisce rinunciare alla liberazione - e anche alla moglie che lo aspetta - e va incontro insieme alla sorella, al suo tragico destino.
Cioran omaggia Fondane con un toccante ritratto, pubblicato sulla rivista Non Lieu (1978) e successivamente negli Exercices d’admiration (1986).
Le tre interviste raccolte in questo volume (in compagnia di Leonard Schwartz (1986), Ricardo Nirenberg (1988) e Arta Lucesco Boutcher (1992) ) , incentrate sul ricordo personale di Cioran della figura e dell’opera di Benjamin Fondane, restituiscono l’immagine di un uomo di grande integrità morale, visionario e pessimista, cultore del dubbio e in cerca di fede, autore di primissimo piano sulla scena culturale europea del primo Novecento.
Al di là della Filosofia
a cura di Antonio Di Gennaro
Traduzione Irma Carannante
Mimesis Edizioni, Collana Minima Volti, Milano 2014
pag. 112