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10/11/24

"Now and Then" i Beatles tornano candidati ai Grammy Awards dopo 53 anni! La persistenza del Mito in un libro "La Fine della Storia", appena uscito

 


Incredibile e mai successo, ovviamente: i Beatles raggiungono un altro record, quello di avere una loro canzone candidata ai Grammy Award, i massimi premi per la musica, 54 DOPO IL LORO SCIOGLIMENTO, e con John Lennon e George Harrison morti, purtroppo da diversi anni. 

Tutto ciò grazie a ma "Now and then", l'inedito scritto da John Lennon e "restaurato" dai  Beatles grazie all'intelligenza artificiale.

Così, tra Beyoncè, Taylor Swift e le giovani star, ci saranno gli ultraottantenni McCartney, Starr.

"Now and Then" fu originariamente composta da John Lennon prima di morire, nel 1977, rielaborata nel 1995 con parti di chitarra da George Harrison e poi ultimata nel 2022 con il basso di McCartney e la batteria di Starr. 

Era dal 1971 che i Beatles non ottenevano una candidatura come "Record of the Year", tra le categorie principali dei Grammy Awards: l'ultima volta fu con "Let it be",

E questo spiega, meglio di ogni altro discorso l'unicità dei Beatles e del loro percorso "segnante" dal 1960 a oggi. 

Per comprendere meglio tutto questo, è in libreria, appena uscito, "La Fine della Storia" un libro che ricostruisce i fatti di due anni cruciali della nostra storia: 1969-1970, quelli che decretarono la fine della cosiddetta Summer of Love, l’Era dell’Acquario, di Woodstock, del Flower Power, della liberazione sessuale. 

Il sogno si infranse nel modo più tragico con la strage di Sharon Tate e dei suoi amici a Cielo Drive, Los Angeles, da parte di Charlie Manson e della sua lugubre Famiglia, ma anche con lo scioglimento dei Beatles, un trauma mondiale, dopo il travaglio seguito al celebre soggiorno in India nell’ashram di Maharishi e la preveggenza dell’orrore nei film di Roman Polanski usciti in quegli anni (tra i quali Rosemary’s Baby), di cui Sharon Tate era moglie all’epoca. 

Il libro racconta gli inspiegabili grovigli di casualità e circostanze che legano queste vicende biografiche (soprattutto quelle dei quattro Beatles) l’una all’altra, molto strettamente, da un punto di vista del tutto particolare: il breve e folgorante periodo in cui cade l’illusione di un “noi” creativo (e rivoluzionario) rapidamente scalzato dall’emersione di un “io” narcisista e distruttivo, passaggio cruciale del contemporaneo. La fine del sogno è un incredibile intreccio di musica, cinema, esoterismo e cronaca nera, appassionante come un romanzo.





16/10/24

La foto esoterica dei Beatles, dopo la morte di John

 


Guardate bene questa foto. 

Fu scattata nel 1996, quando i tre Beatles rimasti si riunirono per stare un po' insieme. 

Durante il servizio fotografico, si sentivano vuoti senza John Lennon. Poi, misteriosamente, un pavone bianco apparve dietro George per una delle foto. 

Quando lo videro, sentirono tutti la presenza di John e l'atmosfera si alleggerì.

Probabilmente erano al corrente di quanto aveva spesso riferito Julian Lennon, il figlio del leggendario membro dei Beatles, secondo cui suo padre, prima di morire, aveva promesso a lui e al resto della sua famiglia di ritornare proprio sotto forma di una piuma bianca. "Quando vedrete una piuma bianca, sappiate che sono io, vicino a voi", aveva detto John. 

Anche recentemente Julian ha raccontato di aver percepito la presenza dello spirito di suo padre, morto 25 anni fa. L’apparizione ha avuto luogo mentre Julian partecipava ad un’antica cerimonia di una tribù aborigena in Australia. Una fonte del Daily Express ha riferito che quando uno degli anziani gli ha dato una piuma bianca il figlio 44enne del cantante si è emozionato profondamente, ricordandosi di quello che gli aveva sempre detto il padre.  

Julian era in Australia per girare il documentario "Whaledreamers", vincitore di diversi premi nel 2006 e proiettato durante il Festival di Cannes quest’anno. 

Qui, nel 1995, è la prima volta in cui il compagno perduto si sarebbe manifestato, come rivelò Paul McCartney, anche ai suoi ex-compagni di band con le sembianze di un pavone bianco, perdipiù mentre erano in studio per completare le registrazioni del singolo "Free as a Bird", originariamente inciso dallo stesso Lennon nel 1977.



12/10/24

L'emozionante omaggio di Paul a John Lennon nel giorno del suo compleanno - Il Tributo



Mercoledì 9 ottobre John Lennon avrebbe compiuto 84 anni.
Due in più del suo amico Paul McCartney, che gli ha dedicato il toccante tributo sui social. 

Come ricorderanno bene i fan dei Beatles, i due non sono sempre stati amici. A un certo punto avevano proprio rotto. Ma Sir Paul ricorda che per fortuna, poi, come spesso capita a chi si vuole bene per davvero, hanno ricucito il loro rapporto. 

Per fortuna, ha sottolineato McCartney, perché altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato dopo la prematura scomparsa di Lennon. 

La foto pubblicata su Instagram, ritrae Paul in un'esibizione del 2022 mentre canta con alle spalle filmati di John che suona la chitarra. Si tratta di un frame preso dal documentario Disney+ di Peter Jackson “The Beatles: Get Back”, andato in onda a novembre 2021. Lennon fu ucciso la sera dell'8 dicembre 1980, mentre si accingeva a rincasare con la moglie a New York. 

Di fronte all'ingresso di casa lo aspettava un folle, Mark Chapman, che gli scaricò alle spalle 5 colpi di pistola, dei quali solo uno non andò a segno.


Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024 




07/10/24

La Magia Beatles continua: Paul Mc Cartney la notte scorsa incanta 70.000 persone allo stadio Monumental di Buenos Aires !


Grande successo, la notte scorsa a Buenos Aires, per Paul McCartney: l'ex Beatle ha incantato il pubblico con quasi tre ore di concerto e 33 canzoni,
facendo tremare di emozione lo Stadio monumentale, nell'ultimo dei suoi due show nella capitale argentina. 

L'artista di 82 anni non ha smesso un secondo di cantare, muoversi, intrattenere gli spettatori, lasciando di stucco per la sua incontenibile energia. 

Grazie anche ai miracoli della tecnologia, McCartney ha potuto utilizzare nuovi strumenti per visitare il catalogo dei Beatles e giocare un po' con la propria storia. Il cantante britannico e i suoi musicisti sono saliti sul palco con una standing ovation. Senza troppi preamboli, hanno iniziato con 'Can't buy me love', per poi proseguire con i principali successi dei Beatles alternati ai brani dei Wings.


Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024 





13/09/24

"La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski" presentazione a Roma, alla Libreria Eli, Domenica 29 Settembre

 


Un libro costato un lungo lavoro di documentazione e ricerca. Per raccontare la storia incredibile del Sogno degli anni '60 e della musica dei Beatles, che immaginava un nuovo mondo, una nuova Età dell'Acquario. 

Infrantosi sull'eco di uno dei più efferati crimini di sempre: la strage di Cielo Alto, a Los Angeles, la mattanza di vittime innocenti, tra cui Sharon Tate, moglie di Roman Polanski (al nono mese di gravidanza) e dei suoi amici, da parte di Charles Manson, transfigurazione del mito hippie di quegli anni nel suo esatto contrario (insieme ai suoi volenterosi carnefici adepti). 

La cronaca di due anni cruciali: dal ritiro spirituale dei quattro di Liverpool nell'ashram di Maharishi, ai piedi dell'Himalaya, allo scioglimento del gruppo che spezzò il sogno dei milioni di fans in tutto il mondo. I quattro che per un decennio erano stati una cosa sola e avevano cambiato (per sempre) la storia della musica e del costume, tornavano a essere quattro, uno contro l'altro. 

Una storia incredibile di intrecci, casualità, segni del destino, provocazioni, sogni e incubi, ricostruita minuziosamente e scritta come un romanzo. 

Si presenta alla Libreria Eli, con Noemi Sarracini e l'autore, e molte foto dell'epoca, rare o rarissime. 

Domenica 29 settembre ore 17,30
Libreria Eli
Viale Somalia 50/a Roma
ingresso libero 

02/09/24

Bowie, Kubrick, i Pink Floyd: come i viaggi spaziali nei '60 ispirarono i più grandi artisti

 

David Bowie nel videoclip di Life On Mars

Nel clima degli anni '60, le imprese spaziali influenzarono prepotentemente il costume, il cinema, la musica, la letteratura.  Il mondo sembrava sull’orlo di un cambiamento rapidissimo, che avrebbe portato chissà quali imprevedibili sviluppi, perfino una veloce colonizzazione del vicino spazio (poi dimostratasi ben più complessa di quanto si immaginava).

   Space Oddity fu pubblicato da David Bowie soltanto sette mesi dopo (luglio 1969); mentre appena otto mesi prima della missione dell’Apollo 8, il 6 aprile del 1968 Stanley Kubrick aveva presentato alla stampa 2001: A Space Odyssey.

   Quattro anni dopo l’impresa di Borman, Anders e Collins – nel maggio del 1972 -  a simbolico suggello di quella prima epopea culminata con l’allunaggio del 1969, un gruppo inglese, i Pink Floyd, si riuniva nelle sale di registrazione londinesi di Abbey Road per il concepimento di un nuovo album che sarebbe stato significativamente chiamato The Dark Side of the Moon, destinato a diventare una pietra miliare della musica contemporanea (28).

   Fu quello un album estremamente innovativo anche dal punto di vista dell’ingegneria del suono – come sanno bene i numerosi appassionati dell’opera in tutto il mondo: sulla base di un concept  che secondo le intenzioni del gruppo avrebbe evocato temi impegnativi come la condizione dell’esistenza, la morte, l’alienazione mentale, gli ingegneri del suono costruirono un suono compatto che prevedeva – oltre alle eclettiche invenzioni dei quattro musicisti – l’utilizzo dei materiali più disparati, come il rumore di una macchina calcolatrice, il battito cardiaco – che ricorre all’inizio e alla fine – passi di corsa in una stanza anecoica, orologi, macchine, frammenti di conversazione.

  

2001: A space odissey di Stanley Kubrick, 1969

L’idea di usare la voce umana di anonimi, registrati fu di Roger Waters, il quale preparò dei bigliettini con domande come «quale colore ti piace?»,  oppure «quando sei stato violento ?» e fece poi registrare le risposte che venivano date d’istinto dalle persone che si trovavano a frequentare gli studi di Abbey Road. 
   Le voci con le risposte vennero poi mixate e disseminate lungo i diversi pezzi musicali e tra le interiezioni di questi, componendo un ulteriore mosaico di sottotesto, di lettura alternativa.

   C’è una rara foto, delle molte che raccontano l’epopea musicale dei Pink Floyd a cavallo tra gli anni ’60 e gli ’80, che ritrae i componenti del gruppo in una sorta di foto di famiglia, ciascuno con la compagna e con i figli al seguito. È stata scattata sulla spiaggia di Saint-Tropez nell’estate del 1970. Poco prima dell’inizio della lavorazione di The Dark Side of The Moon.  Insieme ai quattro musicisti ci sono anche i più stretti roadies, collaboratori tecnici che seguivano il gruppo in sala d’incisione e nei lunghi tour.

   Sorridente e seminudo, insieme a Waters, Mason, Gilmour e Wright, compare qui anche Peter Watts, in piedi insieme alla compagna che tiene in braccio una bambina di due anni: la piccola è la futura attrice Naomi Watts, mentre il padre, Peter è l’autore di quella risata che ritorna più volte in The Dark Side of The Moon, e che ne rappresenta quasi il marchio di fabbrica.  Anche Peter fu infatti intervistato e registrato da Waters durante la lavorazione dell’album, con altri due roadies, Roger “The Hat” Manifolt e Chris Adamson, e addirittura l’usciere irlandese degli studi di Abbey Road, Gerry O’ Driscoll, il quale finì per essere coinvolto in quei giorni anche lui dal gioco creativo di Waters. Anche senza essere menzionato direttamente nei credits dell’album O’ Driscoll è riuscito a imprimere il suo nome definitivo sull’opera, visto che sua è la voce dell’ultimissima frase che si ascolta nel disco, al termine dell’ultimo brano, Eclipse, sullo sfondo del ritmo dello stesso battito cardiaco che apre l’album.   Quasi all’ultimo solco, si sente la voce dell’uomo sussurrare:

   «There is no dark side of the moon, really. Matter of fact it’s all dark. The only thing that makes it look alight is the sun».

   E cioè: «In realtà non c’è un lato oscuro della luna. Il fatto è che è tutta oscura. L’unica cosa che la fa sembrare luminosa è il sole».

    In realtà non sappiamo quale fosse la domanda esatta che gli fece a bruciapelo Waters con uno dei suoi bigliettini – la raccomandazione è che gli intervistati rispondessero senza pensarci – ma è sicuro che la risposta dell’anonimo usciere divenuto warholianamente famoso, è davvero interessante.

   La litania finale, nei due minuti e mezzo di Eclipse («Tutto ciò che tocchi/Tutto ciò che vedi/ Tutto ciò che assaggi/Tutto ciò che senti/Tutto ciò che ami… Tutto ciò che distruggi/Tutto ciò che mangi/Chiunque incontri/Tutto ciò che disprezzi/Tutto ciò che è adesso/Tutto ciò che è passato/Tutto ciò che arriverà…») esprime le infinite sfumature della vita, tutto quanto è sotto il sole sintonia, gli infiniti toni dei colori che si riuniscono nel bianco fascio della luce, come nel celebre prisma della copertina del disco.

  

La copertina di The Dark Side of The Moon dei Pink Floyd, 1973

Tutto è (sarebbe) riunito nella luce, tutto è in sintonia con il sole.

   Se non ci fosse … la luna, appunto. Il sole eclissato dalla luna.

   La luna è l’ombra del sole.  Perché la Luna, come dice quell’ultimo sospiro – la voce di Gerry O’ Driscoll (29) – è tutta oscura. E l’unica cosa che la fa sembrare (o diventare) luminosa – a tal punto di rischiarare perfino la terra - è il sole.

   Luce e ombra, pertanto, hanno bisogno una dell’altra.

   La follia dell’ombra permea la vita, la vita – solo la vita – può dare un senso alla follia (cioè illuminarla).

   Durante la cerimonia di inaugurazione della XXXma edizione dei Giochi Olimpici, a Londra, organizzata e diretta da Danny Boyle – succeduta di otto anni a quella di Atene – il 27 luglio del 2012, proprio le note di Eclipse  nella edizione originale del disco dei Pink Floyd hanno accompagnato l’accensione dell’immenso braciere, in un grande gioco di luci spettacolari.

   Migliaia di fiammelle e di fuochi si sono innalzati sul tempo del rullante di Nick Mason, illuminando a giorno lo stadio olimpico di Stratford, immerso nella notte londinese, mentre sui mega schermi si alternavano le immagini di un gigantesco occhio umano e della luna che lentamente arrivava ad eclissare l’anello solare, rendendone i contorni ancora più brillanti.

   Subito dopo l’ultima esplosione, le parole dell’uscire Gerry Driscoll sono risuonate in tutto lo stadio.

   L’ombra non faceva paura.

   I nuovi Giochi erano aperti.

   Incuranti delle prossime, inevitabili rovine.


estratto da: Fabrizio Falconi - Le rovine e l'ombra, Castelvecchi editore, Roma, 2017 

04/04/23

"Daisy Jones & The Six", una bella serie da non perdere


Daisy Jones & The Six
, è una serie tv che raccomando caldamente per diversi motivi.

In primis, é originale nei contenuti, nel tono e nella scrittura, in un momento non molto felice per le serie tv, che ultimamente sembrano a corto di idee e povere di qualità.
Daisy Jones & The Six - 10 puntate da 40-50 minuti l'una, su Amazon prime video - è stata scritta da Scott Neustadter e Michael H. Weber esperti sceneggiatori, già candidati ai premi Oscar (The Disaster Artist, 2018), tratto da un fortunato romanzo di Taylor Jenkins.
L'idea vincente è quella di scrivere la storia di una band immaginaria (che sembra a tratti più vera del vero), che - come molte in quel periodo - esplode nei primi anni '70 (quel periodo non-ripetibile e non-più-raggiungibile nella qualità della musica pop-rock) negli USA, che realizza un solo album di enorme successo e si scioglie inspiegabilmente alla fine della tournée di lancio, dopo un concerto a Chicago memorabile, davanti a migliaia di spettatori.
La Jenkins e gli sceneggiatori hanno pensato molto, durante la scrittura ai Fleetwood Mac e alle burrascose relazioni dentro quel gruppo, in particolare quella tra la cantante Stevie Nicks e Lindsey Buckingham, chitarrista e frontman.
Quindi la storia della serie è ispirata a quella, ma non esplicitamente, e procede sulla sua linea.
La maggiore qualità di "Daisy Jones" è il tono delicato e il gusto con cui viene narrata questa storia, senza precipitare negli stra-logori luoghi comuni del pernicioso menu sesso droga & rock'n roll.
Qui interessano molto di più i caratteri, le storie personali, le relazioni. Tutto quello che all'epoca rese grande - musicalmente e non - una generazione ancora non fagocitata dalla tecnologia digitale e dalla musica virtuale.
La scelta vincente è il cast: il fascinoso protagonista è l'inglese Sam Claflin. Le due donne che dividono in due il suo cuore sono Riley Keough che, oltre a impersonare Daisy Jones, nella vita è la nipote diretta di Elvis Presley (è la figlia di Lisa Marie Presley, figlia di Elvis) e l'argentina Camilla Morrone (Camilla Dunne), famosa alle cronache per essere la compagna di Leo Di Caprio.
Ma anche tutti i personaggi di contorno funzionano assai bene. Tutti sanno recitare, tutti sono convincenti, tutti lavorano in sottrazione, senza esagerazioni e senza gigionismi.
La serie si vede con vero, grande piacere fino all'ultima puntata che dura 70 minuti, e che ovviamente presenta il redde rationem della intera storia.
Applausi.

Fabrizio Falconi - 2023

21/11/22

Una straordinaria foto d'epoca: i Pink Floyd a Saint-Tropez con una - neonata - Naomi Watts

 



E' davvero una splendida foto, che rievoca una intera epoca, quella delle summer love, del flower power, del movimento hippie, della meravigliosa creatività della musica rock inglese.

Fu scattata nell'estate 1970 in Francia, a Saint-Tropez, con i Pink Floyd al completo - seduti da sinistra si riconoscono David Gilmour, Nick Mason, Roger Waters (con gli occhiali scuri) e Richard Wright.

I Pink Floyd erano reduci dalla registrazione, negli Abbey Road Studios, di uno dei loro grandi capolavori, Atom heart Mother, che infatti uscirà il 2 ottobre di quell'anno.

Alla località francese, fra l'altro, i Pink Floyd dedicheranno un brano, così intitolato, attribuito al solo Roger Waters, nell'album seguente, Meddle, uscito nel 1971.

L'altra particolarità di questa foto è che vi figura anche una futura star, anche se ancora in fasce:

La bambina in braccio alla madre, ultima in piedi a sinistra è infatti l'attrice Naomi Watts a due anni. Di fianco è il padre dell'attrice, Peter Watts, per anni stretto collaboratore dei Pink Floyd, morto sei anni più tardi, nel 1976 a Notting Hill per overdose di eroina.

Fabrizio Falconi - 2022

14/10/22

Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !

 


Tanti auguri "Love Me Do". L'iconico brano dei Beatles, che segno' il debutto discografico dei quattro ragazzi inglese, ha appena compiuto 60 anni.

Fu infatti composto da Paul McCartney e John Lennon qualche anno prima e pubblicato nel 1962 (sul lato B del 45 giri P.S. I Love You). 

Nel mese di ottobre - esattamente il 5 - uscì quindi il primo 45 giri ufficiale. 

Quella armonica a bocca blues, suonata da Lennon, che divenne indimenticabile (e che si ispirava all'artista americano di rhythm and blues Bruce Channel in Hey! Baby). 

Il brano, che fu poi incluso nell'album di esordio dei Beatles Please Please Me del 1963, ebbe una gestazione complicata in fase di registrazione.

Furono infatti tre i batteristi che si alternarono in differenti occasioni. 

La prima registrazione è del 6 giugno 1962 agli Abbey Road Studios di Londra con Pete Best alla batteria; a meta' agosto, Best venne sostituito da Ringo Starr e il 4 settembre venne eseguita una nuova registrazione sempre agli Abbey Road Studios. 

Non soddisfatti, una settimana dopo, l'11 settembre, la band torno' in studio per una nuova sessione con il batterista Andy White e con Ringo al tamburello

La prima versione del 45 giri è comunque quella con Ringo Starr alla batteria e la stessa è stata inclusa anni dopo nella versione americana di Rarities e in Past Masters, volume uno. 

La versione con Andy White è quella presente nel primo album inglese dei Beatles, Please Please Me, nell'EP The Beatles' Hits (e in tutti gli album seguenti in cui e' presente la canzone) nonché nelle ristampe del singolo avvenute nel 1976 e nel 1982.

Una versione blues piu' lenta di Love Me Do, presente in alcuni bootleg, e' stata suonata dai Beatles nel 1969, durante la session di Get Back per l'album Let It Be. 

Tra le storie che si narrano su Love Me do, quella che vuole che Lennon quell'armonica l'aveva rubata in un negozio di Arnhem nel 1960 e l'altra secondo cui il manager Brian Epstein tentò di far diventare Love me Do una hit nel Regno Unito comprando egli stesso diecimila copie del disco. 

09/10/22

L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole


Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ? 

Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.

Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.

Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.

La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.

Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti

A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.

Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.

Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.

Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.

Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.

Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.


Fonte: VirginRadio.it 

19/08/22

Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa


Ascoltava la musica con le cuffie per cacciare le voci che gli rimbombavano nel cervello

Un ex tossicodipendente da eroina e da metadone. Con una passione: la musica. E un'ossessione: che i Beatles fossero demoni. E prima di loro che lo fossero gli Oasis.

Così Lynda Abram descriveva la sofferenza di suo figlio Michael, l'uomo che quasi uccise George Harrison piantandogli un coltello a un centimetro dal cuore

Un miracolo che il chitarrista dei Beatles fosse sopravvissuto. 

Michael Abram 33 anni, viveva vicino a Liverpool. Quella notte entrò nella casa di Harrison a Henley on Thames, a 70 chilometri da Londra e lo accoltellò. 

La moglie dell'ex Beatle Olivia riuscì a colpirlo con una lampada e i due sono riuscirono a immobilizzarlo fino all'arrivo della polizia. 

Harrison fu ricoverato all'ospedale di Harefield, a ovest di Londra, specializzato in medicina toracica. In un primo tempo era stato portato, con la moglie, al Royal Berkshire Hospital di Reading.

Le sue condizioni comunque non erano gravi. 

"Ho visto mio figlio l'ultima volta ieri - raccontò la signora Abram ai cronisti di un giornale locale - e mi sembrava molto calmo, ma negli scorsi sei mesi è stato malissimo. Ho a lungo cercato di aiutarlo ma è stato come sbattere la testa contro un muro". 

La donna aggiunse che Michael aveva alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza, e dal mese di maggio aveva "smesso di usare eroina e anche il metadone", si era rivolto a consulenti psichiatrici che - a suo dire - "non l'hanno aiutato". 

Per la signora Abram "se il servizio sanitario avesse dato retta a Michael, questo (l'attacco agli Harrison) non sarebbe successo". 

"Era solito urlare molto - ha proseguito la 52/enne Lynda - ma non è mai stato violento o aggressivo. Era ossessionato da tanti tipi musica. Diceva di ascoltarla con le cuffie per cacciare le voci dal suo cervello. Settimane fa era fissato con gli Oasis, ora coi Beatles che considerava dei demoni". 

 Secondo la polizia tutto faceva pensare che l'aggressione fosse preparata, e che non si trattò di un tentativo di furto andato male. 

Impressione in qualche modo confermata dalla madre. 



Uno squilibrato, insomma, proprio come quello che l'8 dicembre del 1980, a New York, uccise John Lennon. 

Abram fu subito ricoverato in ospedale per una lesione cranica, con la porta piantonata dai poliziotti che temono possa tentare il suicidio. 

L'episodio fu  subito commentato da Paul McCartney che si disse sconvolto per l'accaduto, rivolgendo o gli auguri all'ex compagno. "Grazie a Dio - ha detto - George e Olivia stanno bene e mando loro tutto il mio affetto". 

Ma già allora restò nell'ombra la maledizione del quartetto di Liverpool e le analogie con la morte di John Lennon. Mark David Chapman, l'assassino del leader dei Betles, che si era appostato in strada, in attesa che lui e Yoko Ono, rientrassero nel loro appartamento, nel "Dakota Building" che si affaccia su Central Park a Manhattan. 

"Hey Mr Lennon" gli disse quella mattina di dicembre del 1980. John si voltò, giusto il tempo di vedere il volto del suo assassino, e cinque colpi di pistola misero fine alla sua vita. Aveva 40 anni. Condannato a 20 anni, Chapman, uno squilibrato ossessionato dal "Giovane Holden" di Salinger ha confessato di aver ucciso John Lennon per "piantare l'ultimo chiodo nella bara degli anni Sessanta".

20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead.