Adesso che il film sta riuscendo nelle sale - nel bagliore del nuovo restauro - posso raccontare questo fatto davvero surreale, che mi accadde anni fa.
12/10/23
"Il Cielo Sopra Berlino" riesce al cinema - Un sorprendente ricordo personale
Adesso che il film sta riuscendo nelle sale - nel bagliore del nuovo restauro - posso raccontare questo fatto davvero surreale, che mi accadde anni fa.
14/03/22
E' morto William Hurt - Due film per ricordarlo
Nel giorno della morte di William Hurt, mi piace ricordarlo con due tra i suoi film meno celebrati (anch'io ho nel cuore Smoke e come tutti tanti altri, compreso Il Grande freddo):
07/02/22
Sam Shepard e Wim Wenders, i dialoghi dettati al telefono: come nacque il capolavoro di "Paris, Texas"
06/04/21
Wim Wenders: "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
Wim Wenders - "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
di Matteo Persivale
fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015
"Oggi, dopo la rivoluzione della tv, della pubblicità e infine del digitale," ammette Wenders, "puoi ancora avere fiducia nelle immagini. Ma le immagini hanno bisogno di un po' d'aiuto... Helmut Newton - una volta fece il mio ritratto: che uomo interessante, che uomo ossessionato! - diceva già vent'anni fa che ci sono troppe immagini intorno a noi. Aveva intravisto i primi segnali di quello che ci circonda oggi. Le immagini che si dissolvono nei loro stessi atomi."
"Da bambino credevo che del cinema ci si potesse fidare: i western, cowboy e indiani. Da ragazzo poi, mi sembrava che nel cinema ci fossero, in modo assoluto, verità e bellezza: i film di Bergman, di Fellini... Negli anni '70 però le immagini smisero di raccontarci il 100% di una storia. Pensavo che avrei fatto l'artista. Poi capii che le immagini, le parole, la musica - quello strano triumvirato - potevano ricostruire la verità e la bellezza che andavo cercando. Sono diventato regista per capire come mai il nostro sguardo non ci racconta tutto quello che vorremmo sapere."
Wenders non si rassegna e da giovane settantenne ha "ricominciato da zero con il 3-D, la tecnologia con la quale ha raccontato in "Pina" l'arte della coreografa Pina Bausch."
Liquida Quentin Tarantino così: "Dice che smetterà di fare film quando smetteranno di produrre pellicole perché disprezza il digitale, ma è già una discussione obsoleta. A non essere obsoleta è la questione del 3-D: quando serve a rappresentare la realtà e quando serve solo per gli effetti speciali? No, neanche la nostalgia è più quella di una volta."
27/03/21
Wim Wenders - "Non riuscire ad aiutare qualcuno che ami è la cosa più triste che possa accadere nella vita"
Wim Wenders - "Non riuscire ad aiutare qualcuno che ami è la cosa più triste che possa accadere nella vita"
di Matteo Persivale
fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015
Il regista de "Il cielo sopra Berlino" e la storia d'amore con Solveig, la trapezista del film. "Quando cadde dissi a me stesso: basta, le riprese finiscono qui. Ma lei non aveva paura di niente e mi stupì."
"Quasi tutti i miei film, a parte due o tre forse - che non sono poi così belli - sono ambientati in luogo preciso perché le storie che raccontano potevano succedere soltanto là. Ci sono registi che partono dallo stile, altri dai personaggi: io parto sempre dal posto in cui succederà l'azione."
Il cinema ha i suoi poeti e i suoi filosofi: in Wim Wenders ha trovato il suo geografo. Eppure il film più famoso del cineasta tedesco, "Il cielo sopra Berlino" (1987), racconta in bianco e nero le vite degli angeli della città che vegliano sulla città divisa dal Muro che sta per cadere, e anche se non poteva non essere ambientato a Berlino si regge non sulla città ma su uno sguardo, e su un sorriso. Il cuore di quel film batte grazie a Solveig Dommartin. trapezista di un circo piccolo e male in arnese. Un angelo, Bruno Ganz, si innamora, e per lei decide di diventare umano.
Dommartin è stata una delle donne più importanti della vita del regista - che ha avuto cinque mogli - anche se non sono mai stati sposati durante la loro lunga storia d'amore tra gli anni '80 e i primi anni '90. Lei era al suo fianco durante le riprese di "Tokyo-Ga" - di quel film curò il montaggio - e di tre film è stata musa, protagonista e di fatto coautrice: "Il cielo sopra Berlino", "Così lontano, così vicino" e "Fino alla fine del mondo".
La trapezista dal sorriso così dolce da far perdere le ali agli angeli non c'è più, scomparsa nel 2007 per un male improvviso e Wenders - gentilissimo ma altrettanto riservato - non ha mai parlato della sua morte. Ha fatto una eccezione, a sorpresa, in questa intervista con un monologo emozionante, pronunciato a fatica, con la voce molto basso e lo sguardo fisso su un punto indefinito della parete della sua grande stanza d'albergo milanese. Parlando piano. Con tristezza - e tenerezza - infinite.
La storia mai raccontata
"Solveig non aveva mai paura di niente. E' la parola che la descrive meglio di tutte: era senza paura. Una volta avevamo appena cominciato le riprese di "Il cielo sopra Berlino", cadde da quel maledetto trapezio, cadde per terra in punto dove non c'erano protezioni, da sei metri di altezza. A volte vedi succedere qualcosa - un incidente d'auto per esempio - e le immagini rallentano tanto quanto i tuoi pensieri diventano veloci. Non aveva ancora toccato terra che avevo già pensato: basta è la fine del film, anche se per caso non è rimasta ferita, il film finisce qui. Niente "Cielo sopra Berlino". Sul set restiamo tutti paralizzati: lei è ancora a terra. Corriamo tutti da lei. Ecco un medico. Qualcuno chiama un'ambulanza. Ma Solveig si alza, piano, si appoggia al braccio del suo istruttore, un ungherese, un acrobata del circo molto esperto che in tre mesi gli aveva insegnato tutto, torna sulla scaletta, sale, riprende la scena daccapo. "Devi tornare subito su, altrimenti la paura ti paralizza", mi dice l'ungherese. E lei è già lassù. Devo dare di nuovo il ciak. Ecco: era senza paura.
Non ha avuto paura neanche alla fine; eravamo rimasti sempre in contatto, anche dopo la fine della nostra storia. Sono stato con lei fino alla fine, quando nessuno poteva più aiutarla. Sono già passati.. dieci anni? (otto ndr.) . E' una delle cose più tristi che ti succedono nella vita, non poter aiutare qualcuno che ami. Una cosa terribile succede davanti ai tuoi occhi e non puoi fare niente.
Fu spaventoso vederla deteriorarsi così velocemente, lei così piena di vita. Per lei ogni giorno era una festa. Solo lei poteva convincere il pubblico che un angelo avrebbe rinunciato a volare per darle una carezza. E alla fine vedere lei, sempre piena di energia, di sorrisi, perdere tutto...
Abbiamo fatto tre film insieme: alla fine la stampa le fece molto male, a Cannes ricevette per "Fino alla fine del mondo" delle pessime recensioni, fu trattata selvaggiamente dai critici francesi. Portai il film a Cannes in una versione sbagliata, almeno adesso qualcuno può vederlo in dvd nella versione in cui era stato pensato da me e Solveig, può vedere quanto era brava, quanto era speciale. Ma nella versione di Cannes, Solveig era troppo esposta, c'era troppo peso sulle sue spalle. E ha sofferto per quelle recensioni che le rovinarono la carriera. Non sono riuscito a proteggerla allora, e non sono riuscito a proteggerla quando si ammalò. E' un pensiero che non mi abbandonerà mai."
Il "Cielo sopra Berlino" è dedicato "a tre angeli del cinema, Yasuijr (Ozo ndr), Francois (Truffaut ndr) e Andrej (Tarkovskij ndr), tre eroi di Wenders. Non c'è bisogno di aggiungere un'altra dedica, a Solveig, non c'è bisogno di nostalgia: "Semplicemente quel film non esisterebbe nemmeno, senza di lei".
13/05/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 20. Il cielo sopra Berlino (Der Himmel über Berlin) di Wim Wenders (1987)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
L'opera di Wenders, tra i mille premi in tutto il mondo, conquistò la Palma d'Oro al Festival di Cannes del 1987.
IL CIELO SOPRA BERLINO
(Der Himmel über Berlin)
Germania, Francia, 1987,
Regia Wim Wenders
durata: 128 minuti
con Bruno Ganz, Solveig Dommartin, Peter Falk, Otto Sander, Curt Bois
26/02/19
Trovo estasi nell'atto di vivere. Tra Emily Dickinson e Wim Wenders.
L’anima è un luogo così nuovo che la notte di ieri sembra già antiquata.
16/02/19
E' morto Bruno Ganz - Un ricordo personale.
14/11/18
Libro del Giorno: "Una volta" di Wim Wenders.
27/05/17
Wenders: "In ogni sguardo che incroci c'è Dio."
03/07/15
Il dialogo tra due angeli - Il cielo sopra Berlino.
10/03/14
Wim Wenders - "La ragione smarrita".
La ragione smarrita.
Sono tante le cose
che non comprendo
di questa guerra
e così poche
quelle che afferro.
Una sola mi sembra
abbastanza certa:
ogni guerra
è una guerra.
Ogni guerra
finisce per mangiarsi
le sue ragioni
quand'anche fossero le migliori.
E continuo a pensare
che combattere il male
con altro male
non può, alla fine,
essere un bene.
Wim Wenders, 1999.
14/05/13
Cambiare rimanendo fedeli a se stessi.
27/09/11
La menzogna di una storia - Le recensioni di Wim Wenders critico. di F. Falconi
Chissà cosa direbbe oggi Wim Wenders a proposito di una frase che Hitchcock usava spesso per spiegare il suo modo di intendere il cinema. "L'essenziale è commuovere il pubblico", diceva il grande Hitch "e l'emozione nasce dal modo in cui si costruisce una storia, dal modo in cui si giustappongono le sequenze."
Oggi che il regista di Dusseldorf sta per doppiare il traguardo dei quarantacinque anni e molti dei suoi bellicosi giudizi giovanili sul "cinema dei maestri" sono stati rivisti, rimeditati, in qualche modo adattati ad una crescita artistica che ha portato Wenders stesso, appunto, nell'olimpo dei grandi.
Non che Hitchcock fosse stato un bersaglio privilegiato dei lapidari libelli che il ventiquattrenne Wenders pubblicava su Filmkritik, la più prestigiosa rivista cinematografica tedesca, equivalente dei francesi Cahiers, ma certo il Wenders di allora avrebbe avuto qualcosa da ridire a proposito di quel riferimento "all'emozione che nasce dalla storia", a cui si richiama esplicitamente Hitchcock. E' noto infatti come l'atteggiamento peculiare dell'intera generazione del Filmverlag der Autoren, la società autonoma di distribuzione e produzione dalla quale prese le mosse tutto il nuovo cinema tedesco, fosse ostile al concetto tradizionale di "storia" e proponesse invece nuovi modelli basati sull'abbattimento dell'intreccio narrativo.
A fornire nuovi lumi sull'attività critica di Wenders e sui temi fondamentali del suo cinema, ecco un volume (W.Wenders, "Stanotte vorrei parlare con l'angelo", Scritti, 1968/1988 a cura di Giovanni Spagnoletti e Michael Totemberg, Ubulibri) pubblicato con successo in Germania e Francia.
L'autore de Lo stato delle cose entrò a far parte della redazione di Filmkritik nel 1969, quando il mondo aveva conti urgenti da sbrigare e il cinema, quello che aveva cose da dire, era tutto "stelle e strisce". Ovvio dunque che nel libro, nella raccolta delle personalissime recensioni del futuro cineasta ci siano molti passaggi obbligati dell'epoca: l'esaltazione dell'underground, anche se Wenders si dimostra già abile nel saper discernere lo sperimentalismo dall'accademia; la fascinazione dell'on the road, esplicitata nella recensione di Easy Rider e nel plauso al suo eroe, Dennis Hopper che qualche anno dopo ritroverà Wenders ne L'amico americano; la stroncatura d'obbligo per lo spaghetti-western di Leone, accusato di vetero-realismo sacrilego, nei confronti del meraviglioso circo di cartapesta di John Ford e Howard Hawks.
Ma non mancano le sorprese in questa antologia del Wenders critico, esperienza peraltro brevissima, durata solo due anni, prima che nel '70 il giovane Wim passasse dietro la macchina da presa.
Sorprese che derivano soprattutto dal "modulo" della recensione che scavalcando i canoni classici, è qui tutta giocata sui toni e sulle pure emozioni, con infiltrazioni continue di rock'n roll e di citazioni poetiche studiate ad arte per spezzare anche, se possibile, la "storia" di una recensione.
Ma considerazioni inattese e sorprendenti arrivano specialmente nella seconda parte del libro, dove sono raccolti scritti eterogenei di Wenders, pescati un po' ovunque. Così si ha modo di scoprire l'entusiasmo del cineasta per i suoi colleghi Truffaut (Il ragazzo selvaggio), Altman (Nashville), fino ai maestri indiscussi Langa e Bergman che alla fine trovano pagine di vero tributo, di sincero riconoscimento. Rimane semmai nell'ombra, volutamente non illuminato, il rapporto con Fassbinder, grande amico-anniversario.
Nei capitoli conclusivi del libro il Wenders cineasta ricostruisce in lunghi scritti il suo metodo di lavoro basato su un originale e sofferto work in progress. Illuminante in tal senso è la descrizione minuziosa della vicenda creativa de Il cielo sopra Berlino, un film nato da un'intuizione, niente di più che un'emozione, quella di rivedere la scena di un precedente film, Paris Texas, dove Nastassja Kinski ritrova il figlio e lo abbraccia nella camera d'albergo. "Questo momento ha avuto su di me un effetto liberatorio," scrive Wenders, "era un'emozione di cui avrei sentito le conseguenze nel film successivo."
E così si procede: con l'accumulo di piccole sensazioni, con il "confronto sul niente" con Peter Handke, l'enfant terrible della letteratura tedesca, che manda al regista i suoi dialoghi scritti di getto, scollegati volutamente da una storia, frutto di rapide intuizioni.
Fino a che il film lentamente prende forma, si concretizza in uno svolgimento che assomiglia innegabilmente a una "storia". L'abdicazione ad uno sviluppo narrativo diviene inevitabile.
"Ritengo che le storie producano soltanto menzogne" scrive Wenders in un passo del libro, " e la menzogna più grande è che ci sia un contesto. Ma d'altra parte noi tutti abbiamo bisogno di queste menzogne e non ha nemmeno senso costruire una successione di immagini senza una menzogna, senza la menzogna di una storia."
Fabrizio Falconi, La menzogna di una storia - le recensioni di Wim Wenders critico, Paese Sera, 6 settembre 1989.