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20/07/24

Nasce "Palingenia", casa editrice per "lettori forti" che mira a fare "libri per una vita"

da Il Foglio

La selezione dei titoli è un processo di vecchia bottega. “Siamo convinti di poter finalmente accontentare quei lettori forti in cerca di qualità, nel contenuto e nella fattura, tra i 70-80 mila titoli sfornati ogni anno”, dice il direttore editoriale Giancarlo Maggiulli

Scommettiamo su Palingenia, casa editrice che se ne infischia delle ferie e si butta sul mercato adesso, con un Kafka della prima ora per la cui presentazione al pubblico, pochi giorni fa, si è aperto il cortile d’onore della Biblioteca Sormani di Milano. Con un nome che è la gioia di tutti quelli che hanno fatto il classico quando il ginnasio veniva ancora chiamato così, Palingenia è una boccata d’aria fresca nell’asfittico panorama editoriale nostrano: “Sì, siamo, credo, il cinquemileaeunesimo editore di questo paese, ma siamo convinti di poter finalmente accontentare quei lettori forti in cerca di qualità, nel contenuto e nella fattura, tra i 70-80 mila titoli sfornati ogni anno”, dice al Foglio Giancarlo Maggiulli, che di Palingenia è direttore editoriale.

 

Carriera ultratrentennale in Adelphi (da correttore di bozze a editor responsabile della germanistica) e una solida amicizia con Pontiggia, parla dalla scrivania della centrale operativa della casa editrice, un bel palazzo milanese dove lavora con una piccola ma super-skillata (direbbero in altri ambiti) redazione. Concepita idealmente a Venezia (“mentre passavo davanti alla casa di Aldo Manuzio” narra Maggiulli), Palingenia è nata sotto una buona stella: annovera l’economista Pierangelo Dacrema come a e Giorgio La Malfa alla presidenza. La società è sostenuta da un manipolo di imprenditori con l’uzzolo delle cose fatte per bene, capitanati da Luca Garavoglia (presidente Campari Group). L’idea, spiega Maggiulli, è di fare “libri per una vita”.
 

Per il debutto, si diceva, Palingenia ha scelto Contemplazione, l’esordio letterario di Franz Kafka, di cui ricorre il centenario della morte: è una raccolta di diciotto prose folgoranti, confezionate in cartonato telato con sovracoperta che non ci si stanca di accarezzare, con il segnalibro di raso, i Quattro Alberi di Egon Schiele in copertina, il testo originale tedesco a fronte e una nuova traduzione concepita da Margherita Belardetti (il tutto a soli 25 euro: che dire?). “Vogliamo pubblicare nel tempo tutta l’opera di Kafka, con nuove traduzioni: America avrà un nuovo titolo”, ci anticipa Maggiulli.
 

I grandi classici ritradotti, da un editore che si chiama Palingenia, ce li aspettavamo, ma poi l’occhio cade sulla libellula scelta come logo: “È tratta da una incisione di Albrecht Dürer intitolata ‘Sacra famiglia con libellula’ – dice Maggiulli: come questo insetto, anche noi saltabecchiamo e girovaghiamo tra i generi”. E quindi ok i classici, ma il catalogo che sfogliamo si dimostra un giacimento di letteratura e saggistica di ieri e di oggi, italiana e straniera (le collane sono diverse e tutte con nomi ispirati alla toponomastica di Venezia). Proprio in questi giorni, ad esempio, esce “Un libro che vorrei”, 186 pareri di lettura, tutti inediti, firmati da “Peppo” Pontiggia negli anni in cui era consulente editoriale sia in Mondadori che in Adelphi (“una bigamia strana, ma nota e accettata da tutti”, chiosa Maggiulli).
   

Il volume si dimostra un genere letterario a sé: Pontiggia è soavemente spietato nei giudizi e disinvolto nella lettura sia in italiano che in inglese e francese. “È un imprescindibile classico contemporaneo – continua Maggiulli – Da lui ho assorbito la maniacale attenzione al linguaggio e il valore della scrittura come ricerca della parola perfetta, che esiste sempre e va scovata”. Mentre parliamo, nella sala accanto alla redazione si lavora con gli occhi scrupolosamente vicini ai testi di carta perché nulla sfugga. Attorno, scampoli di fogli dalle grammature diverse, prove di rilegature, vari caratteri tipografici: in questo atelier del libro si coltiva il piacere della lettura con garbo artigianale. Anche la selezione dei titoli è un processo da vecchia bottega, tra letture condivise, dibattiti e confronti. Spesso si approda su lidi poco esplorati dal mass market (grande attesa per la giovane letteratura cinese: ne riparleremo in autunno) o su mete che sorprendo, come “Lo psicologo nel Palazzo”, in libreria a fine estate. È firmato da Luciano Mecacci, psicologo, storico, russista che ricostruisce un cold case in salsa moscovita ovvero la strana morte “per cibo avariato” di Vladimir Bechteerev, autorevole neurologo, psichiatra e psicologo, all’indomani di una sua visita a Stalin al Cremlino, nel dicembre del ‘27. È un documentato e godibile saggio sulla psicologia, la parapsicologia, la suggestione, il rapporto mai lineare tra psiche e potere. A proposito, Mecacci sarà tra i cento autori italiani invitati a ottobre alla Messe di Francoforte, e chissà se Saviano questo lo avrà notato.

Continua a leggerehttps://www.ilfoglio.it/cultura/2024/07/13/news/nasce-palingenia-la-casa-editrice-per-lettori-forti-che-punta-a-fare-libri-per-una-vita--6731932/ 

31/07/21

La morte di Roberto Calasso: I libri come residuo e metro del mondo


"Apollo è stato il primo invasore e usurpatore di un sapere che non gli apparteneva, un sapere liquido, fluido al quale il dio imporrà il suo metro". 

E' una tipica frase che si puo' trovare nei libri di Roberto Calasso, in questo caso un piccolo e fulminante saggio intitolato "La follia che viene dalla ninfe". 

Ma e' anche un'immagine che, oggi che l'intellettuale che ha guidato la casa editrice Adelphi per 50 anni e che ha scritto una colossale "opera in corso" a partire dal 1983, e' morto a Milano a 80 anni, oggi quell'immagine dell'imposizione di un metro a un sapere fluido potremmo sceglierla per sintetizzare cio' che Calasso stesso ha fatto come editore e come autore

Partendo proprio da quella "Nube della non conoscenza" che ritorna sia nel catalogo Adelphi sia nelle sue pagine, e che ha preso la forma di un pensiero articolato, di una narrazione policentrica, di collane che continuano a fare la storia editoriale dell'Italia all'ombra di quello che in molti, senza troppa fantasia, ma con una certa esattezza, abbiamo chiamato spesso l'ultimo editore puro del nostro Paese. 

Sopravvissuto, anzi restio, alle grandi fusioni; ostinatamente legato a un'idea irraggiungibile, come le ninfe, come l'Oriente, ma capace, per citare l'amato Aby Warburg, di creare il "gesto vivo" della cultura.

Il riferimento mitologico e' inevitabile nella bibliografia di Calasso, che siano indu' o greci o perfino postmoderni, gli dei sono ovunque. 

Tanto presenti da farci ritenere che qualcosa di quella divinita' si fosse infusa anche in lui, il personaggio leggendario che nel suo studio trovava porte per altre dimensioni. 

Per un giornalista comune non era facile avvicinare Calasso per un'intervista a Milano, ma, per una serie di ragioni che ancora non mi si sono chiarite, alla Fiera di Francoforte tutto diventava possibile, tanto da sentirsi dire, dopo avere rifiutato con un certo sdegno ogni riferimento alla "politica culturale", una frase come, "ma perche' non parliamo di libri?".

E li' sembrava, quasi la Buchmesse diventasse un cielo del Tiepolo, che una luce divina fosse scesa accanto, nello stand sempre uguale della Adelphi. 

E alla luce divina, talvolta, capita di attribuire anche il carattere di immortalita'. Fino a prova contraria, per lo meno. Calasso era colui che, raccogliendo i propri risvolti di copertina in un unico volume, li definiva "cento lettere a uno sconosciuto", era l'editore che fin dall'inizio aveva cercato di pubblicare i "libri unici", quelli che "molto avevano rischiato di non diventare mai libri", perche' "l'opera perfetta e' quella che non lascia tracce".

E se in questi brevissimi accenni alla sua "impronta" di editore vedete, per esempio, la figura in controluce di un Franz Kafka, o quella di un Talleyrand, ecco, la risposta e' si', ci sono, esistono come prova di una possibilita' dell'esistenza stessa del mondo e della sua narrazione: letteraria, storica, politica. 

"Non c'e' sacrificio senza residuo - scriveva Calasso - e il mondo stesso e' un residuo. Percio' occorre che i libri esistano. Ma occorre anche ricordare che, se il sacrificio fosse riuscito a non lasciare un residuo, i libri non ci sarebbero mai stati". 

E insieme ai libri, ovviamente, non ci saremmo stati noi.

Nelle ultime settimane, fatto abbastanza inconsueto, sono usciti a distanza ravvicinata due libri di Roberto Calasso, "Allucinazioni americane", sul cinema di Hitchcock, ma anche su Kafka e la sua America, e "Bobi", dedicato a Roberto Balzen, che con lui fondo' la Adelphi. 

Un'urgenza di pubblicazione che, con il senno della cronaca del poi, fa pensare che non ci fosse piu' tempo da perdere. 

Ma forse e' anche solo la testimonianza tangibile, sotto forma di libri (quindi dell'Universo sotto forma di Biblioteca, come ci insegna Borges), di una passione totale e assoluta. 

"Come altrettanti dolmen in un vasto paesaggio selvatico e silenzioso". Nell'impossibilita' di circoscrivere e di riassumere in maniera anche solo decente la personalita' di Roberto Calasso, proviamo a chiudere arrivando all'oggi, al tempo del digitale, di cui ha scritto in uno dei suoi piu' importanti testi recenti: "L'innominabile attuale", che parla di terrorismo e di vita digitale, all'insegna della costante e irrisolvibile forma gordiana del Presente. 

"La trasposizione dell'universo in forma digitale e la sua disponibilita' al contatto con le dita - scriveva Calasso - sono un fatto senza precedenti nella vita di Homo Sapiens e toccano le regioni piu' remote e piu' oscure della sua vita mentale". 

Preciso, chiarissimo. Eppure quella strana nebbia che attraversa tutto il mondo della scrittura dell'editore, quella nebbia che e' generatrice di mitologie e di luce, seppure imperfetta, rifratta, quella strana nebbia arriva anche qui, ricordandoci che proprio in quelle regioni remote e oscure sono nati i capolavori della filosofia Vedica come di Roberto Bolaño, i saggi matematici di Kurt Gödel o le lettere di Marina Cvetaeva. 

Fino ad arrivare all'ombra wittgensteiniana che seguiva sempre Jacques Austerlitz nella sua ricerca di ricostruzione impossibile del mondo nel romanzo di W.G. Sebald. Ma adesso sembra sia l'ora di un'altra passeggiata. Magari capitera' di incrociare anche Robert Walser.