Mercoledì 9 ottobre John Lennon avrebbe compiuto 84 anni. Due in più del suo amico Paul McCartney, che gli ha dedicato il toccante tributo sui social.
12/10/24
L'emozionante omaggio di Paul a John Lennon nel giorno del suo compleanno - Il Tributo
Mercoledì 9 ottobre John Lennon avrebbe compiuto 84 anni. Due in più del suo amico Paul McCartney, che gli ha dedicato il toccante tributo sui social.
04/10/24
Un nuovo bellissimo "Docu" dedicato a John Lennon con molte immagini mai viste.
da: Vogue Italia
John Lennon e Yoko Ono, la storia d'amore di una delle coppie più discusse del '900. Un documentario svela nuovi dettagli
John Lennon e Yoko Ono. Due persone, una cosa sola. Bastano i loro nomi per suscitare, anche nelle generazioni che non li hanno vissuti realmente, qualcosa di unico. Lui, uno dei grandi (ex), leggendari, membri dei Beatles, lei, proveniente da una ricca famiglia di banchieri giapponesi, artista e musicista. Formarono, fino alla morte di Lennon, nel 1980, ucciso da Mark David Chapman, una delle coppie a cui guardare, che più hanno ispirato una forma di ribellione e resilienza creativa, musicale, culturale, di protesta.
Si erano conosciuti il 9 novembre del 1966 all'anteprima di un'esposizione proprio della Ono, all'Indica Gallery di Londra, nella quale lo stesso Lennon fu attratto da diverse opere esposte, una in particolare chiamata, ‘Celing painting’, che prevedeva si dovesse salire con una scala, per vedere attraverso un vetro (e degli specchietti) la parola YES che si ingrandiva. Fu la scintilla, il mix tra immaginazione, ironia e provocazione, a legarli. Si sposarono il 20 marzo 1969.
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Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024
26/09/24
Quando il sogno si spezzò: 1970, la dichiarazione di guerra di Lennon ai Beatles. Nel libro "La fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", presentato domenica prossima alla Libreria Eli
Qui di seguito un estratto (p. 162 e ss), de "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", libro che verrà presentato domenica prossima, 22 settembre alla Libreria Eli di Roma. E' uno dei momenti cruciali della storia, quando Lennon pubblica un album immediatamente dopo l'annuncio dello scioglimento della band che ha cambiato il mondo. E' un regolamento di conti durissimo, principalmente tra i due fautori - John e Paul - della grande rivoluzione musicale (e non solo) del Novecento, e la definitiva rottura del loro "patto di sangue" siglato quando avevano quindici anni e mai violato sino ad allora.
La prima bordata contro Paul, ma contro la storia stessa dei Beatles, è una iniziativa di John– che del resto non si è mai fatto problemi a “lavare i panni sporchi in pubblico” – ed è contenuta in John Lennon/Plastic Ono Band, uscito pochi mesi dopo lo scioglimento: God, penultima traccia del LP, ballata dai toni ultimativi (da resa dei conti appunto), rappresenta il più esplicito “manifesto programmatico” di Lennon, all’indomani del divorzio dei/dai Beatles.
John mette le cose in
chiaro: vuole esprimere in modo essenziale e definitivo, quello in cui egli
crede – quello cioè che lui sostanzialmente è ora – ora che
l’incantamento dei dieci anni sull’Helter Skelter è finito. Quella
giostra si è fermata. Lui è sceso. Cosa è rimasto? Cosa è adesso John, appena oltrepassata
la linea d’ombra dei suoi primi trent’anni di vita?
God lo afferma esplicitamente, ma nel tipico stile di John, cominciando
dall’enunciazione di ciò in cui lui non crede. Di ciò che lui non è o
non è più.
Anche God, come Mother,
viene scritta durante il periodo della Primal Therapy, nella casa di
Nimes Road, a Bel-Air. John ne incide una prima versione acustica, suonata alla
chitarra, oggi presente in diversi bootleg bramati dai collezionisti,
nella quale fa ironicamente precedere al testo vero e proprio, un proclama
nello stile dei predicatori americani: “Ho una missione
dall'alto. E sono qui per dirvi che questo messaggio riguarda il nostro amore.
Gli angeli devono avermi mandato per consegnarvi questo messaggio. Ora
ascoltatemi, fratelli e sorelle.” L’iconoclasta Lennon usa questo espediente
per lanciarsi così, di seguito, in un radicale peana contro-religioso, il
manifesto di un ateismo che sembra radicale e che viene affermato con forza già
a partire dai primi versi:
God
is a concept
By which we measure our pain
I'll say it again
God is a concept
By which we measure our pain
Yeah
Pain
Yeah
Dio, dice Lennon, è
semplicemente un concetto che gli uomini hanno inventato per dare un
nome, o meglio, per misurare, il loro dolore. È una definizione filosofica
lapidaria, che sembra provenire dal pensiero filosofico di Janov, dalle
conversazioni fatte con il dottore, prima del rilascio delle urla del paziente,
nella stanza insonorizzata.
A questo punto, sull’incalzare dello stesso tema, ribattuto in
crescendo, ad ogni rima John elenca ciò in cui non crede, non ha mai creduto o
non crede più. Anche questo è un elenco radicale, che non ammette discussioni,
e che Lennon stila con tono perentorio, definitivo:
I don't believe in magic
I don't believe in I-Ching
I don't believe in Bible
I don't believe in Tarot (cioè nei tarocchi)
I don't believe in Hitler
I don't believe in Jesus
I don't believe in Kennedy
I don't believe in Buddha
I don't believe in Mantra
I don't believe in Gita
I don't believe in Yoga
I don't believe in Kings
I don't believe in Elvis
I don't believe in Zimmerman (cioè in Bob Dylan)
E qui, con un abile colpo di teatro, dopo una improvvisa pausa della
sequenza, e un eloquente vuoto, arriva la voce dell’elenco più difficile
da mandar giù, specie per le moltitudini di fans che avevano fatto del gruppo
di Liverpool, i loro idoli:
I
don't believe in Beatles
John, dunque, ha fatto finalmente a pezzi tutto: non solo non crede ad
alcuna divinità – e Gesù e la Bibbia sono stati inseriti nell’elenco subito
prima e dopo dei Tarocchi e di Hitler - ma non crede nemmeno in alcun idolo
della musica, né Elvis (che pure fu un suo idolo giovanile), né in Dylan, né
nei “suoi” Beatles, che sono, al pari delle altre voci in capitolo, puri idoli,
simulacri, simboli rivestiti di un valore immaginario e inconsistente. Al
dunque, inutili.
E dunque, cosa resta? In cosa crede l’uomo John, al termine di questa
distruzione di miti, divinità e simboli? John crede alla realtà. E la realtà si
restringe, con un cambio di passo drastico della melodia, all’improvviso fattasi
dolce e malinconica, a “me” e a “Yoko e me”:
I
just believe in me
Yoko and me
And that's reality
Ogni sogno è dunque
tramontato, continua John. Anche i Beatles erano fatti di quel sogno.
Adesso che egli è rinato, tutto è più chiaro: il sogno era “Ieri”, con una
velenosa allusione alla canzone di Paul, Yesterday (sempre considerata,
da John, la sua migliore), e ai tempi dei Beatles. Che vengono ripudiati con i
versi seguenti, di facile interpretazione per tutti i fans del gruppo: John non
è più The Walrus (il “tricheco”), nel chiaro riferimento a una delle
canzoni più celebri e autobiografiche di John (scritta sotto acido e ispirata a
una poesia di Lewis Carroll, I’m the Walrus, contenuta nel Doppio
Bianco). The Walrus, cioè il John-nei-Beatles, il dreamweaver (cioè
il “tessitore di sogni”) è diventato ora, soltanto John, il ri-nato.
The
dream is over
What can I say?
The dream is over
Yesterday
I was the dreamweaver
But now I'm reborn
I was the walrus
But now I'm John
And so dear friends
You'll just have to carry on
The dream is over
Il sogno è finito: ed è piuttosto singolare che a decretarlo sia proprio
John che - con le sue utopie pacifiste, i bed-in, le tirate contro i
potenti e il loro cinismo - tutto il mondo identifica come il sognatore
per eccellenza. E lui stesso, del resto, così si definisce nella sua più famosa
canzone, Imagine: You may say, i’m a dreamer, but i’m not the only
one. Tu puoi chiamarmi un sognatore. Lui non lo nega, risponde soltanto che
di certo non è l’unico.
Questa canzone, God, è allora un proclama nel più caratteristico
stile provocatorio di John. La sua identità – se ne esiste una – è ora ciò che
risulta da una serie di negazioni: “non posso affermare ciò che sono, posso
soltanto dire ciò che non sono.”
Di sicuro, la canzone è uno shock per molti fan dei Beatles, con effetti
potenziali imprevedibili e violenti, come vedremo tra poco.
Ma ciò che sta a cuore a John, al di là dei toni, è smontare il mito dei
Beatles e ridimensionarlo, nel momento in cui sta “imparando a nuotare”. I
Beatles andavano bene, ma non il loro mito. E lo ribadisce con chiarezza nella
famosa intervista del 1980: “Se i Beatles hanno un messaggio, era quello. Con i
Beatles, il punto sono i dischi, non i Beatles come individui. Non hai bisogno del
pacchetto, così come non hai bisogno del pacchetto cristiano o del pacchetto
marxista per ricevere il messaggio… Se i Beatles o gli anni Sessanta hanno un
messaggio, era imparare a nuotare. Punto. E una volta che impari a nuotare,
nuoti. Le persone che sono attaccate al sogno dei Beatles e degli anni Sessanta
hanno perso il punto, quando il sogno dei Beatles e degli anni Sessanta è
diventato il punto. Portare in giro il sogno dei Beatles o degli anni
Sessanta per tutta la vita è come portare in giro la Seconda Guerra Mondiale e
Glenn Miller. Questo non vuol dire che non puoi goderti Glenn Miller o i
Beatles, ma vivere in quel sogno è una zona crepuscolare. Non è vivere adesso. È
un’illusione.” [1]
Sembra un discorso impeccabile, e in effetti lo è, ma c’è sicuramente di
più, oltre a questo: la lunga intervista di Lennon – una sorta di bilancio,
senza sapere che stava arrivando la sua morte – è in realtà una presa di
distanza dalle biografie dei Beatles, non soltanto dal fenomeno musicale,
culturale che essi hanno rappresentato. Perché ogni aspetto, in questa vicenda,
parla prima di tutto di vite, traumi, mancanze, nevrosi, sogni, utopie,
delusioni, malinconie, perdite, fallimenti. In primis, di John e Paul. Così, il
mistero che resta – l’argomento che John scantona nell’intervista – è perché
queste vicende personali, queste vite, si siano assemblate così stranamente e
per quali cause – con potenza simbolica – esse abbiano collegato le anime di
così tanta gente nel mondo, fino a oggi. Forse Lennon, morendo nel 1980, non ha
fatto in tempo a constatare la durevolezza, la consistenza e l’autorevolezza
nel tempo, del “mito” dei Beatles. E forse se fosse vivo ancora oggi, avrebbe
una percezione parecchio diversa di quello che realizzò con i suoi compagni di
allora.
[1] D.
Sheff, Lennon Interview, op. cit.
Ogni diritto d'autore riservato. Testo tratto da: Fabrizio Falconi, La Fine del Sogno, Beatles, Manson, Polanski, Arcana Editore, Roma, 2024.
14/10/22
Beatles: "Love me Do" ha compiuto 60 anni !
09/10/22
L'ultimo giorno di vita di John Lennon e le sue ultime incredibili parole
Come trascorse l'ultima giornata di vita di John Lennon, uno dei più grandi musicisti della storia, assassinato da Mark David Chapman, lo squilibrato che gli sparò davanti al portone della sua casa di New York la sera dell'8 dicembre del 1980 ?
Anche quel tragico 8 dicembre John, che ebbe una vita sempre movimentatissima, non si fermò un attimo. Come raccontò in seguito sua moglie Yoko Ono, quella fu una bellissima giornata a New York, il cielo era terso e l’aria era frizzante: la coppia aveva una marea di impegni in programma, tra i quali uno shooting fotografico, un’intervista e un’altra session di lavoro alla loro canzone Walking On Thin Ice presso gli studi Record Plant.
Dopo aver fatto colazione al Café La Fortuna insieme a Yoko, John Lennon andò al Viz-à-Viz per farsi dare una sistemata ai capelli: quando uscì fuori dal salone, l’artista aveva un nuovo taglio in stile retrò, che ricordava molto quello che aveva all’inizio della sua carriera. Subito dopo tornò nel suo appartamento, dove la fotografa Annie Leibovitz stava allestendo il set per lo shooting fotografico che avevano già iniziato la settimana precedente. Il produttore David Geffen aveva fatto in modo che John e Yoko ottenessero la prossima copertina di Rolling Stone, ma l’editore Jann Wenner cercò di realizzare una cover dedicata esclusivamente all’ex dei Beatles. In ogni caso, la fotografa che si occupò del servizio fotografico in seguito raccontò che non avrebbe mai dimenticato quella giornata: “John venne ad aprirmi indossando una giacca di pelle nera. Aveva i capelli pettinati all’indietro. Rimasi molto colpita perché aveva il suo vecchio look alla Beatles”.
Quella mattina Yoko Ono non posò per le foto insieme al marito: aveva deciso di farsi da parte per lasciare la copertina a lui, ma la fotografa era rimasta molto colpita dalla cover dell’album Double Fantasy dove i due coniugi erano stati ritratti mentre si scambiavano un tenero bacio e per questo desiderava fotografarli insieme. “Negli anni ’80 – spiegò – sembrava che il romanticismo fosse morto. Ma ricordai quanto fosse semplice e bellissimo quel loro bacio e mi lasciai ispirare. Inoltre, non era difficile immaginare John e Yoko senza vestiti perché stavano sempre così”. Alla fine John e Annie decisero di realizzare una foto con lui completamente nudo mentre abbracciava la moglie che invece era vestita, in posizione fetale. La fotografa così li immortalò in questa posa sul pavimento color crema del loro salotto.
La fotografa inizialmente fece una prova con una Polaroid e John ne fu entusiasta: “È proprio così, è esattamente questa la nostra relazione!”, disse il musicista. Annie quel giorno scattò un intero rullino, sia a John e Yoko insieme, sia a lui da solo, in varie stanze della sua casa. Una volta terminato il servizio fotografico, John scese al piano di sotto dove, nell’ufficio di Yoko Ono, lo attendava il team di RKO Radio per un’intervista con Dave Sholin. A lui raccontò la sua tipica giornata: “Mi alzo all’incirca alle 6, vado in cucina, bevo un caffè, tossisco un po’ e poi mi fumo una sigaretta, mentre guardo il programma Sesame Street con mio figlio Sean. Mi assicuro che guardi la PBS e non i cartoni con la pubblicità. Non mi interessano i cartoni animati, ma non voglio che lui guardi gli spot pubblicitari”.
Dave Sholin rimase affascinato da John e Yoko: “Il contatto visivo tra di loro era incredibile – disse in seguito di quell’incontro – non c’era bisogno di parlare. Loro si guardavano entrando intensamente in connessione”. Durante l’intervista, John parlò anche del suo quarantesimo compleanno, festeggiato da poco: “Spero di morire prima di Yoko – disse – perché se lei morisse io non saprei come sopravvivere. Non riuscirei ad andare avanti”.
A Sholin parlò poi della sua musica, spiegando di pensare alla sua carriera come un percorso continuo: “Ho sempre considerato il mio lavoro come un'opera unica – disse – sia con i Beatles, con David Bowie, con Elton John o con Yoko Ono. E penso anche che il mio lavoro non sarà finito fino a quando non sarò morto e sepolto, cosa che spero accada tra molto, molto tempo”. Queste parole oggi fanno un certo effetto, considerando che John Lennon morì poco dopo averle pronunciate. “Ci sono stati solo due artisti con i quali ho lavorato per più di una serata - proseguì – sto parlando di Paul McCartney e Yoko Ono. Penso sia davvero un’ottima scelta. Come talent scout, penso di aver fatto davvero un ottimo lavoro”.
Dopo l’intervista, John e Yoko uscirono e la strada sotto la loro casa era stranamente deserta: “Dove sono i miei fan?”, chiese infatti il musicista che, nel frattempo, era stato raggiunto dal fotografo e suo grande amico Paul Goresh che doveva fargli vedere alcuni scatti che aveva realizzato di recente. A quel punto si avvicinò un fan e gli chiese un autografo sulla copertina di una copia di Double Fantasy: questo momento fu immortalato da Goresh. Nessuno poteva immaginare che quel fan con gli occhiali e il cappotto stropicciato solo cinque ore più tardi avrebbe ucciso Lennon, sconvolgendo il mondo.
Ignaro del suo destino, l’ex dei Beatles salì in macchina e andò con sua moglie agli studi di registrazione Record Plant, dove il produttore Jack Douglas li stava aspettando per lavorare a Walking On Thin Ice, un brano composto da Yoko Ono al quale John collaborò, sia suonando l’assolo di chitarra che partecipando alla produzione. Alla fine del lavoro, il musicista era pienamente soddisfatto e molto entusiasta del risultato: “D’ora in avanti faremo solo cose come questa – disse alla moglie – è grandioso! Questa è la direzione che dobbiamo prendere! È meglio di qualsiasi pezzo di Double Fantasy, pubblichiamolo prima di Natale!”. In realtà i produttori gli suggerirono di pubblicarlo dopo le feste e di fare le cose per bene, considerando anche che Double Fantasy stava continuando a scalare le classifiche britanniche, cosa alla quale John Lennon teneva particolarmente. In quei giorni era molto felice anche perché finalmente Yoko Ono stava iniziando ad attirare l’interesse della stampa e della critica e di questo era molto orgoglioso.
Dopo aver completato il lavoro, la coppia e il produttore si diedero appuntamento al mattino seguente per gli ultimi ritocchi. John e Yoko erano esausti perché in quelle ultime settimane avevano lavorato senza sosta, così decisero di prendere qualcosa da mangiare sulla via del ritorno; poiché era tardi, però, alla fine preferirono tornare subito a casa per augurare la buonanotte al figlio Sean che era con la babysitter. Alla cena ci avrebbero pensato dopo: salirono così nella limousine che li riportò a casa e scesero davanti alla loro residenza, il Dakota. Yoko scese per prima e si avviò verso il portone, mentre John la seguiva, portando con sé delle cassette, tra le quali anche l’ultima registrazione di Walking On Thin Ice.
Erano le 10:45 di una serena notte newyorkese quando la quiete fu interrotta dallo sparo che uccise Lennon. A premere il grilletto fu proprio quel fan che poche ore prima gli aveva chiesto un autografo. Pochi minuti dopo il canale ABC diede la terribile notizia, interrompendo il big match di football tra i New England Patriots e i Miami Dolphins. John Lennon morì prima di arrivare in ospedale e ben presto la strada dove abitava si riempì di fan sconcertati.
Alcuni giorni dopo, il 14 dicembre, su richiesta di Yoko Ono alle 2 del pomeriggio fu organizzata una veglia di preghiera: la donna invitò tutti a partecipare e in tutto il mondo le radio osservarono dieci minuti di silenzio in onore del grande artista. A Liverpool si radunarono circa 30mila fan, mentre 50mila persone si riunirono a Central Park per ricordare quell’uomo che aveva definito New York come la sua casa. Quel giorno tutti i progetti di John Lennon andarono in frantumi e la storia della musica cambiò per sempre.
Fonte: VirginRadio.it
19/08/22
Quella volta che George Harrison fu aggredito e colpito da 40 coltellate, mentre si trovava a casa
10/07/22
La lettera - intima - che Paul Mc Cartney scrisse a John Lennon e lesse nel 1994 per l'ingresso di John nella Rock'n Roll of Fame - Testo e video
Caro John,
Mi ricordo quando ci siamo incontrati per la prima volta, a Woolton, alla festa del paese. Era una bella giornata estiva, avevo camminato fin lì e ti ho visto sul palco. E tu stavi cantando "Come Go With Me", dai Vichinghi Dell, ma non sapevi le parole e così le inventavi. "Vieni con me al penitenziario." Non era nel testo.
Mi ricordo quando scrivevamo le nostre prime canzoni insieme. Andavamo a casa mia, a casa di mio padre, e fumavamo il Ty-Phoo the con la pipa di mio padre che conservava in un cassetto. Non ha fatto molto per noi, ma ci ha portato sulla strada.
Volevamo essere famosi.
Ricordo le visite alla casa di tua mamma. Julia era una donna molto alla mano, una donna molto bella. Aveva i capelli lunghi e rossi e suonava l'ukulele. Non avevo mai visto una donna che sapeva farlo. E mi ricordo di aver dovuto spiegarti gli accordi per la chitarra, perché avevi imparato a suonare gli accordi per l'ukulele.
E poi al tuo 21esimo compleanno hai ricevuto 100 sterline da uno dei tuoi parenti ricchi di Edimburgo, e quindi abbiamo deciso di andare in Spagna. Così abbiamo fatto l'autostop da Liverpool, fino a Parigi, e abbiamo deciso di fermarci lì, per una settimana. E alla fine ci siamo fatti fare il nostro taglio di capelli, da un tizio di nome Jurgen, che ha finito per essere il "taglio di capelli alla Beatle".
Ricordo quando ti presentai il mio amico George, il mio compagno di scuola, che tu facesti entrare nella band dopo che lui ebbe suonato "Raunchy" sull' autobus. Rimanesti colpito. E incontrammo Ringo che lavova tutta la stagione al campo Butlin - era un professionista esperto - ma la barba doveva sparire, e se la tagliò.
Più tardi abbiamo ottenuto di suonare ad un concerto al Cavern Club di Liverpool che era ufficialmente un club blues. Noi non sapevamo veramente tutti i numeri blues. Apprezzavamo molto il blues, ma non sapevamo i numeri del blues, così ci siamo presentati con un "Signore e signori, questo è un grande numero di Big Bill Broonzy chiamato" Wake Up Suzie Little " E il pubblico continuava a dire "Questo non è il blues, questo non è il blues. Questa canzone è pop." Ma abbiamo continuato a suonarla.
E poi siamo finiti in tour. Era un tizio chiamato Larry Parnes che ci ha ingaggiati per il nostro primo tour. Ricordo che cambiammo tutti i nostri nomi per quell'occasione. Cambiai il mio in Paul Ramon, George Harrison diventò Carl Harrison e, anche se la gente pensa che in realtà non cambiasti veramente il tuo nome, mi sembra di ricordare che diventasti Long John Silver per tutta la durata del tour.
Viaggiavamo su un furgoncino durante il tour, e una notte il parabrezza si ruppe. Eravamo in autostrada e stavamo tornando a Liverpool. Si congelava e quindi abbiamo dovuto metterci uno sopra l'altro nella parte posteriore del furgone creando un sorta di panino-Beatle. Abbiamo avuto modo di conoscerci. Ci siamo conosciuti così.
Siamo arrivati ad Amburgo e abbiamo incontrato personaggi del calibro di Little Richard, Gene Vincent ... Mi ricordo di Little Richard quando ci invitò al suo hotel. Stava guardando l'anello di Ringo e disse: "Amo questo anello. Ho un anello simile. Potrei darti un anello simile." Così siamo andati tutti in albergo con lui. (Non abbiamo mai avuto un anello.)
Siamo tornati con Gene Vincent nella sua camera d'albergo una volta. Era andato tutto bene finchè non si avvicinò ad un cassetto del comodino e ne tirò fuori una pistola. Dicemmo: "Ehm, dobbiamo proprio andare, Gene, dobbiamo andare ..." Uscimmo di corsa!
E poi arrivarono gli Stati Uniti - New York City - dove ci siamo incontrati con Phil Spector, le Ronettes, Supremes, i nostri eroi, le nostre eroine. E poi a Los Angeles, incontrammo Elvis Presley per una grande serata. Abbiamo visto il ragazzo sul suo territorio nazionale. Ragazzi! Era un eroe.
E poi, Ed Sullivan. Volevamo essere famosi, e lo eravamo davvero diventati. Voglio dire, immaginate di incontrare Mitzi Gaynor a Miami!
Poi, la registrazione ad Abbey Road. Ricordo ancora mentre suonavamo "Love Me Do." Tu ufficialmente cantavi "Love me do", ma perché suonavi l'armonica. Poi George Martin disse all'improvviso nel mezzo della sessione: " Può Paul cantare il verso " Love me do? " , il pezzo cruciale.
Mi ricordo mentre cantavo "Kansas City" - beh, non riuscivo a farlo, perché è difficile da cantare quella roba. Sai, urlare nella parte superiore della testa (?). Sei sceso dalla sala di controllo e mi ha portato da una parte e mi hai detto: "Ce la puoi fare, devi solo urlare, si può fare." Così, grazie. Grazie per questo. Sono riuscito a farlo.
Mi ricordo mentre scrivavamo "A Day in the Life" insieme, e l'occhiata d'intesa che ci siamo lanciati quando abbiamo scritto il verso "I'd love to torn you on". Sapevamo quello che stavamo facendo, sai. Uno sguardo furtivo.
Dopo di che c'era questa ragazza di nome Yoko. Yoko Ono. Lei si presentò a casa mia un giorno. Era il compleanno di John Cage e lei disse che voleva entrare in possesso di alcuni manoscritti di diversi autori per consegnarglieli, e ne voleva uno mio e tuo. Così ho detto: "Beh per me va bene, ma dovrai andare da John ".
E lei lo ha fatto ...
Dopo di che avevo impostato un paio di macchine di registrazione Brennell, che eravamo soliti usare, e tu sei rimasto sveglio tutta la notte e hai registrato "Two Virgins". Ma lo hai fatto da solo - non aveva niente a che fare con me.
E poi, poi c'erano le telefonate con te. La gioia per me, dopo tutta la merda di business che avevamo attraversato, era che stavamo tornando insieme e comunicavamo ancora una volta.
Così ora, anni dopo, eccoci qui. Tutte queste persone. Qui si sono riuniti per ringraziarti per tutto quello che hai significato per tutti noi.
Questa lettera viene dal cuore, dal tuo amico Paul.
John Lennon, ce l'hai fatta. Stasera sei entrato nella Rock Hall 'n' Roll of Fame.
Dio ti benedica.
Paul
I remember when we first met, at Woolton, at the village fete. It was a beautiful summer day and I walked in there and saw you on stage. And you were singing “Come Go With Me,” by the Dell Vikings, But you didn’t know the words so you made them up. “Come go with me to the penitentiary.” It’s not in the lyrics.
I remember writing our first songs together. We used to go to my house, my Dad’s home, and we used to smoke Ty-Phoo tea with the pipe my dad kept in a drawer. It didn’t do much for us but it got us on the road.
We wanted to be famous.
I remember the visits to your mum’s house. Julia was a very handsome woman, very beautiful woman. She had long, red hair and she played a ukulele. I’d never seen a woman that could do that. And I remember to having to tell you the guitar chords because you used to play the ukulele chords.
And then on your 21st birthday you got 100 pounds off one of your rich relatives up in Edinburgh, so we decided we’d go to Spain. So we hitch-hiked out of Liverpool, got as far as Paris, and decided to stop there, for a week. And eventually got our haircut, by a fellow named Jurgen, and that ended up being the “Beatle haircut.”
I remember introducing you to my mate George, my schoolmate, and getting him into the band by playing “Raunchy” on the top deck of a bus. You were impressed. And we met Ringo who’d been working the whole season at Butlin’s camp - he was a seasoned professional - but the beard had to go, and it did.
Later on we got a gig at the Cavern Club in Liverpool which was officially a blues club. We didn’t really know any blues numbers. We loved the blues but we didn’t know any blues numbers, so we had announcements like “Ladies and gentlemen, this is a great Big Bill Broonzy number called “Wake Up Little Suzie.” And they kept passing up little notes - “This is not the blues, this is not the blues. This is pop.” But we kept going.
And then we ended up touring. It was a bloke called Larry Parnes who gave us our first tour. I remember we all changed names for that tour. I changed mine to Paul Ramon, George became Carl Harrison and, although people think you didn’t really change your name, I seem to remember you were Long John Silver for the duration of that tour. (Bang goes another myth.)
We’d been on a van touring later and we’d have the kind of night where the windsceen would break. We would be on the motorway going back up to Liverpool. It was freezing so we had to lie on top of each other in the back of the van creating a Beatle sandwich. We got to know each other. These were the ways we got to know each other.
We got to Hamburg and met the likes of Little Richard, Gene Vincent…I remember Little Richard inviting us back to his hotel. He was looking at Ringo’s ring and said, “I love that ring.” He said, “I’ve got a ring like that. I could give you a ring like that.” So we all went back to the hotel with him. (We never got a ring.)
We went back with Gene Vincent to his hotel room once. It was all going fine until he reached in his bedside drawer and pulled out a gun. We’ said “Er, we’ve got to go, Gene, we’ve got to go…” We got out quick!
And then came the USA — New York City — where we met up with Phil Spector, the Ronettes, Supremes, our heroes, our heroines. And then later in L.A., we met up with Elvis Presley for one great evening. We saw the boy on his home territory. He was the first person I ever saw with a remote control on a TV. Boy! He was a hero, man.
And then later, Ed Sullivan. We’d wanted to be famous, now we were getting really famous. I mean imagine meeting Mitzi Gaynor in Miami!
Later, after that, recording at Abbey Road. I still remember doing “Love Me Do.” You officially had the vocal “love me do” but because you played the harmonica, George Martin suddenly said in the middle is the session, “Will Paul sing the line “love me do?”, the crucial line. I can still hear it to this day - you would go “Whaaa whaa,” and I’d go “loove me doo-oo.” Nerves, man.
I remember doing the vocal to “Kansas City” — well I couldn’t quite get it, because it’s hard to do that stuff. You know, screaming out the top of your head. You came down from the control room and took me to one side and said “You can do it, you’ve just got to scream, you can do it.” So, thank you. Thank you for that. I did it.
I remember writing “A Day in the Life” with you, and the little look we gave each other when we wrote the line “I’d love to turn you on.” We kinda knew what we were doing, you know. A sneaky little look.
After that there was this girl called Yoko. Yoko Ono. She showed up at my house one day. It was John Cage’s birthday and she said she wanted to get hold of manuscripts of various composers to give to him, and she wanted one from me and you. So I said,” Well it’s ok by me. but you’ll have to go to John.”
And she did…
After that I set up a couple of Brennell recording machines we used to have and you stayed up all night and recorded “Two Virgins.” But you took the cover yourselves — nothing to do with me.
And then, after that there were the phone calls to you. The joy for me after all the business shit that we’d gone through was that we were actually getting back together and communicating once again. And the joy as you told me about how you were baking bread now. And how you were playing with your little baby, Sean. That was great for me because it gave me something to hold on to.
So now, years on, here we are. All these people. Here we are, assembled, to thank you for everything that you mean to all of us.
This letter comes with love, from your friend Paul.
John Lennon, you’ve made it. Tonight you are in the Rock ‘n’ Roll Hall of Fame.
God bless you.
Paul
09/07/22
L'incredibile vicenda delle foto perdute dei Beatles in India, in un documentario da non perdere
"I Beatles in India" è un documentario realizzato nel 2021, vincitore di molti premi, realizzato in stile quasi naif, eppure assai godibile, visibile su Amazon Prime Video a costo di noleggio di 1,99 euro.