Visualizzazione post con etichetta rock. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta rock. Mostra tutti i post

01/10/24

Bowie, Lennon, McCartney: da dove veniva il loro genio? E perché oggi non ce ne sono più in giro?


La cosa su cui meriterebbe riflettere (in omaggio alle teorie hillmaniane sul talento individuale) è che tutta quella generazione di poeti/musicisti inglesi e americani (in primis i Beatles) che tra il 1965 e il 1975 cambiarono per sempre la musica contemporanea, Bowie compreso, era formata da nati a ridosso - o durante - la fine della 2a guerra mondiale e provenienti quasi tutti dalla classe operaia o dalla piccola (o piccolissima) borghesia, da famiglie non di casta e che non avevano mai prodotto intellettuali. Provenivano quasi tutti dalla periferia estrema di Londra o di New York, o da sobborghi ancora più lontani, da famiglie mediamente povere.

Di dove costoro abbiano appreso a frequentare le alte vette della forma espressiva (e sostanziale) dell'arte, oltre che dalla strada, non è affatto facile dire (se non si ricorre per l'appunto alla "ghianda" di Hillman). Erano "angeli venuti da un altro mondo", come si diceva dello stesso Bowie o di Jim Morrison? Forse no. Erano semplicemente "antenne" che percepivano prima degli altri lo spirito del tempo, anche se il loro punto di partenza e di osservazione, inziale, era assai laterale o parziale. Eppure, furono artefici della loro stupefacente emancipazione.

E questo dovrebbe far pensare soprattutto noi italiani, essendo questo un paese dove la cultura e gli intellettuali sono spesso provenuti da eredità paterne, famiglie benestanti, insomma dalla famosa (esaltata e vituperata) borghesia italiana.

E ancora oggi succede spesso così. In Italia, per il gioco dei poteri e delle cricche, che sono ovunque, è ancora più difficile per il figlio di un operaio (ammesso che esistano ancora) o di un tassista notturno squattrinato, poter sognare un giorno di diventare non una vacua meteora da reality, ma un artista vero (un grande musicista o un vero scrittore), capace di riempire la propria anima di vita e spargerla poeticamente donandola al mondo. Per lui, le porte non si aprono.



26/09/24

Quando il sogno si spezzò: 1970, la dichiarazione di guerra di Lennon ai Beatles. Nel libro "La fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", presentato domenica prossima alla Libreria Eli

 



Qui di seguito un estratto (p. 162 e ss), de "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", libro che verrà presentato domenica prossima, 22 settembre alla Libreria Eli di Roma. E' uno dei momenti cruciali della storia, quando Lennon pubblica un album immediatamente dopo l'annuncio dello scioglimento della band che ha cambiato il mondo. E' un regolamento di conti durissimo, principalmente tra i due fautori - John e Paul - della grande rivoluzione musicale (e non solo) del Novecento, e la definitiva rottura del loro "patto di sangue" siglato quando avevano quindici anni e mai violato sino ad allora.



La prima bordata contro Paul, ma contro la storia stessa dei Beatles, è una iniziativa di John– che del resto non si è mai fatto problemi a “lavare i panni sporchi in pubblico” – ed è contenuta in John Lennon/Plastic Ono Band, uscito pochi mesi dopo lo scioglimento: God, penultima traccia del LP, ballata dai toni ultimativi (da resa dei conti appunto), rappresenta il più esplicito “manifesto programmatico” di Lennon, all’indomani del divorzio dei/dai Beatles.

                    John mette le cose in chiaro: vuole esprimere in modo essenziale e definitivo, quello in cui egli crede – quello cioè che lui sostanzialmente è ora – ora che l’incantamento dei dieci anni sull’Helter Skelter è finito. Quella giostra si è fermata. Lui è sceso. Cosa è rimasto? Cosa è adesso John, appena oltrepassata la linea d’ombra dei suoi primi trent’anni di vita?

                   God lo afferma esplicitamente, ma nel tipico stile di John, cominciando dall’enunciazione di ciò in cui lui non crede. Di ciò che lui non è o non è più.

                   Anche God, come Mother, viene scritta durante il periodo della Primal Therapy, nella casa di Nimes Road, a Bel-Air. John ne incide una prima versione acustica, suonata alla chitarra, oggi presente in diversi bootleg bramati dai collezionisti, nella quale fa ironicamente precedere al testo vero e proprio, un proclama nello stile dei predicatori americani: “Ho una missione dall'alto. E sono qui per dirvi che questo messaggio riguarda il nostro amore. Gli angeli devono avermi mandato per consegnarvi questo messaggio. Ora ascoltatemi, fratelli e sorelle.” L’iconoclasta Lennon usa questo espediente per lanciarsi così, di seguito, in un radicale peana contro-religioso, il manifesto di un ateismo che sembra radicale e che viene affermato con forza già a partire dai primi versi:

 

God is a concept
By which we measure our pain
I'll say it again
God is a concept
By which we measure our pain
Yeah
Pain
Yeah

                 Dio, dice Lennon, è semplicemente un concetto che gli uomini hanno inventato per dare un nome, o meglio, per misurare, il loro dolore. È una definizione filosofica lapidaria, che sembra provenire dal pensiero filosofico di Janov, dalle conversazioni fatte con il dottore, prima del rilascio delle urla del paziente, nella stanza insonorizzata.

                  A questo punto, sull’incalzare dello stesso tema, ribattuto in crescendo, ad ogni rima John elenca ciò in cui non crede, non ha mai creduto o non crede più. Anche questo è un elenco radicale, che non ammette discussioni, e che Lennon stila con tono perentorio, definitivo:


I don't believe in magic
I don't believe in I-Ching
I don't believe in Bible
I don't believe in Tarot
(cioè nei tarocchi)
I don't believe in Hitler
I don't believe in Jesus
I don't believe in Kennedy
I don't believe in Buddha
I don't believe in Mantra
I don't believe in Gita
I don't believe in Yoga
I don't believe in Kings
I don't believe in Elvis
I don't believe in Zimmerman
(cioè in Bob Dylan)

 

                  E qui, con un abile colpo di teatro, dopo una improvvisa pausa della sequenza, e un eloquente vuoto, arriva la voce dell’elenco più difficile da mandar giù, specie per le moltitudini di fans che avevano fatto del gruppo di Liverpool, i loro idoli:

 

I don't believe in Beatles

 

                  John, dunque, ha fatto finalmente a pezzi tutto: non solo non crede ad alcuna divinità – e Gesù e la Bibbia sono stati inseriti nell’elenco subito prima e dopo dei Tarocchi e di Hitler - ma non crede nemmeno in alcun idolo della musica, né Elvis (che pure fu un suo idolo giovanile), né in Dylan, né nei “suoi” Beatles, che sono, al pari delle altre voci in capitolo, puri idoli, simulacri, simboli rivestiti di un valore immaginario e inconsistente. Al dunque, inutili.

                  E dunque, cosa resta? In cosa crede l’uomo John, al termine di questa distruzione di miti, divinità e simboli? John crede alla realtà. E la realtà si restringe, con un cambio di passo drastico della melodia, all’improvviso fattasi dolce e malinconica, a “me” e a “Yoko e me”:

                   

I just believe in me
Yoko and me
And that's reality

 

                  Ogni sogno è dunque tramontato, continua John. Anche i Beatles erano fatti di quel sogno. Adesso che egli è rinato, tutto è più chiaro: il sogno era “Ieri”, con una velenosa allusione alla canzone di Paul, Yesterday (sempre considerata, da John, la sua migliore), e ai tempi dei Beatles. Che vengono ripudiati con i versi seguenti, di facile interpretazione per tutti i fans del gruppo: John non è più The Walrus (il “tricheco”), nel chiaro riferimento a una delle canzoni più celebri e autobiografiche di John (scritta sotto acido e ispirata a una poesia di Lewis Carroll, I’m the Walrus, contenuta nel Doppio Bianco). The Walrus, cioè il John-nei-Beatles, il dreamweaver (cioè il “tessitore di sogni”) è diventato ora, soltanto John, il ri-nato.

 

The dream is over
What can I say?
The dream is over
Yesterday
I was the dreamweaver
But now I'm reborn
I was the walrus
But now I'm John
And so dear friends
You'll just have to carry on

The dream is over

 

                  Il sogno è finito: ed è piuttosto singolare che a decretarlo sia proprio John che - con le sue utopie pacifiste, i bed-in, le tirate contro i potenti e il loro cinismo - tutto il mondo identifica come il sognatore per eccellenza. E lui stesso, del resto, così si definisce nella sua più famosa canzone, Imagine: You may say, i’m a dreamer, but i’m not the only one. Tu puoi chiamarmi un sognatore. Lui non lo nega, risponde soltanto che di certo non è l’unico.

                 Questa canzone, God, è allora un proclama nel più caratteristico stile provocatorio di John. La sua identità – se ne esiste una – è ora ciò che risulta da una serie di negazioni: “non posso affermare ciò che sono, posso soltanto dire ciò che non sono.”

                 Di sicuro, la canzone è uno shock per molti fan dei Beatles, con effetti potenziali imprevedibili e violenti, come vedremo tra poco.

                 Ma ciò che sta a cuore a John, al di là dei toni, è smontare il mito dei Beatles e ridimensionarlo, nel momento in cui sta “imparando a nuotare”. I Beatles andavano bene, ma non il loro mito. E lo ribadisce con chiarezza nella famosa intervista del 1980: “Se i Beatles hanno un messaggio, era quello. Con i Beatles, il punto sono i dischi, non i Beatles come individui. Non hai bisogno del pacchetto, così come non hai bisogno del pacchetto cristiano o del pacchetto marxista per ricevere il messaggio… Se i Beatles o gli anni Sessanta hanno un messaggio, era imparare a nuotare. Punto. E una volta che impari a nuotare, nuoti. Le persone che sono attaccate al sogno dei Beatles e degli anni Sessanta hanno perso il punto, quando il sogno dei Beatles e degli anni Sessanta è diventato il punto. Portare in giro il sogno dei Beatles o degli anni Sessanta per tutta la vita è come portare in giro la Seconda Guerra Mondiale e Glenn Miller. Questo non vuol dire che non puoi goderti Glenn Miller o i Beatles, ma vivere in quel sogno è una zona crepuscolare. Non è vivere adesso. È un’illusione.” [1]

                   Sembra un discorso impeccabile, e in effetti lo è, ma c’è sicuramente di più, oltre a questo: la lunga intervista di Lennon – una sorta di bilancio, senza sapere che stava arrivando la sua morte – è in realtà una presa di distanza dalle biografie dei Beatles, non soltanto dal fenomeno musicale, culturale che essi hanno rappresentato. Perché ogni aspetto, in questa vicenda, parla prima di tutto di vite, traumi, mancanze, nevrosi, sogni, utopie, delusioni, malinconie, perdite, fallimenti. In primis, di John e Paul. Così, il mistero che resta – l’argomento che John scantona nell’intervista – è perché queste vicende personali, queste vite, si siano assemblate così stranamente e per quali cause – con potenza simbolica – esse abbiano collegato le anime di così tanta gente nel mondo, fino a oggi. Forse Lennon, morendo nel 1980, non ha fatto in tempo a constatare la durevolezza, la consistenza e l’autorevolezza nel tempo, del “mito” dei Beatles. E forse se fosse vivo ancora oggi, avrebbe una percezione parecchio diversa di quello che realizzò con i suoi compagni di allora.



[1] D. Sheff, Lennon Interview, op. cit.


Ogni diritto d'autore riservato. Testo tratto da: Fabrizio Falconi, La Fine del Sogno, Beatles, Manson, Polanski, Arcana Editore, Roma, 2024.

Presentazione del Libro: Domenica 29 settembre, con Noemi Serracini e l'autore, alla Libreria Eli di Roma, Viale Somalia 50/a (seguirà brindisi). 

Prenotazione qui





20/07/22

"Paranoid Android" : come nacque il capolavoro dei Radiohead, sull'album "OK computer"


OK Computer dei Radiohead è stato pubblicato nel 1997 e rimane non solo uno degli album definitivi degli anni '90 ma anche "l'ultimo album che ha cambiato la storia del rock". Una miscela di rock ed elettronica, oggi il disco è considerato il ponte tra gli esordi chitarristici di Pablo Honey e The Bends e ciò che sarebbe avvenuto con dischi come Kid A e Amnesiac

Fondendo musica pionieristica e commenti sociali taglienti sulla diffusione della tecnologia e dell'economia neoliberale, l'LP è uno degli album più completi mai pubblicati. Grazie alla sua pertinenza, OK Computer è stato un successo trasversale ed è rimasto uno dei migliori della band. 

Sebbene il disco sia stellare dall'inizio alla fine, con brani come "Karma Police", "Exit Music (For a Film)" e "No Surprises", il pezzo forte è la seconda traccia, "Paranoid Android". Un'epopea rock di oltre sei minuti, che mette in mostra ogni aspetto della maestria dei Radiohead in quel momento, e non sorprenderà sapere che la band si è ispirata a "Happiness is a Warm Gun" dei Beatles, un brano costantemente locomotore di "Abbey Road", per il modo in cui ha fuso insieme due brani musicali contrastanti.

Un altro brano classico che li ha ispirati è stato "Bohemian Rhapsody" dei Queen e, a causa delle sue dinamiche sempre mutevoli, sarebbe stato etichettato come "La 'Bohemian Rhapsody' degli anni '90", cosa che la band avrebbe immancabilmente scrollato di dosso grazie alla sua modestia senza compromessi.

Sebbene potremmo parlare per ore della musica di "Paranoid Android", il brano si distingue anche per un altro motivo: i testi del frontman Thom Yorke. 

Come si addice a una canzone composta da giustapposizioni, le sue parole sono state ispirate da due cose completamente contrastanti.

La prima è avvenuta quando Yorke si trovava in un bar di Los Angeles e si è seduto accanto a un gruppo di amici strafatti di cocaina. Una delle donne del gruppo era stata accidentalmente ricoperta dal drink di un'altra persona e si era scatenata in una rabbia di proporzioni "disumane". "C'era uno sguardo negli occhi di questa donna che non avevo mai visto prima da nessuna parte", ha spiegato "Quella notte non sono riuscito a dormire per questo".

Anche se Yorke ha parodiato la donna con l'intramontabile battuta "scalciante porcellino di Gucci", ha voluto fare qualcosa di più con la sua esperienza che non semplicemente criticarla. Ha usato questa esperienza come mezzo per osservare la società nel suo complesso. Ha sfogato la sua rabbia su di noi come collettività, non solo sulla donna, poiché le sue azioni erano indicative di come ci troviamo nei tempi moderni; da qui il sarcasmo di "Dio ama i suoi figli, sì". 

Per il titolo, Yorke ha scelto "Paranoid Android" sia come riferimento a Marvin, l'originale androide paranoico del romanzo spaziale di Douglas Adams Guida galattica per gli autostoppisti, sia per fare del sarcasmo su come il pubblico lo vedeva. 

Il titolo "è stato scelto per scherzo", ha detto a Jam. "Era del tipo: "Oh, sono così depresso". E ho pensato: "È fantastico. È così che la gente vorrebbe che fossi".

Una canzone incredibilmente stratificata, non c'è da stupirsi che "Paranoid Android" sia uno dei brani ancora oggi più ascoltati e più discussi dei Radiohead. 

10/07/22

La lettera - intima - che Paul Mc Cartney scrisse a John Lennon e lesse nel 1994 per l'ingresso di John nella Rock'n Roll of Fame - Testo e video



Buona domenica!
Pubblico, a beneficio dei lettori di questo blog, il testo e il video (in fondo all'articolo) della bellissima lettera postuma scritta da Paul McCartney a John Lennon in occasione della cerimonia di introduzione nella Hall of Fame del 19 gennaio 1994, quando Lennon fu inserito nella leggendaria lista come artista solista.


Caro John,


Mi ricordo quando ci siamo incontrati per la prima volta, a Woolton, alla festa del paese. Era una bella giornata estiva, avevo camminato fin lì e ti ho visto sul palco. E tu stavi cantando "Come Go With Me", dai Vichinghi Dell, ma non sapevi le parole e così le inventavi. "Vieni con me al penitenziario." Non era nel testo.

Mi ricordo quando scrivevamo le nostre prime canzoni insieme. Andavamo a casa mia, a casa di mio padre, e fumavamo il Ty-Phoo the con la pipa di mio padre che conservava in un cassetto. Non ha fatto molto per noi, ma ci ha portato sulla strada.

Volevamo essere famosi.

Ricordo le visite alla casa di tua mamma. Julia era una donna molto alla mano, una donna molto bella. Aveva i capelli lunghi e rossi e suonava l'ukulele. Non avevo mai visto una donna che sapeva farlo. E mi ricordo di aver dovuto spiegarti gli accordi per la chitarra, perché avevi imparato a suonare gli accordi per l'ukulele.

E poi al tuo 21esimo compleanno hai ricevuto 100 sterline da uno dei tuoi parenti ricchi di Edimburgo, e quindi abbiamo deciso di andare in Spagna. Così abbiamo fatto l'autostop da Liverpool, fino a Parigi, e abbiamo deciso di fermarci lì, per una settimana. E alla fine ci siamo fatti fare il nostro taglio di capelli, da un tizio di nome Jurgen, che ha finito per essere il "taglio di capelli alla Beatle".

Ricordo quando ti presentai il mio amico George, il mio compagno di scuola, che tu facesti entrare nella band dopo che lui ebbe suonato "Raunchy" sull' autobus. Rimanesti colpito. E incontrammo Ringo che lavova tutta la stagione al campo Butlin - era un professionista esperto - ma la barba doveva sparire, e se la tagliò.

Più tardi abbiamo ottenuto di suonare ad un concerto al Cavern Club di Liverpool che era ufficialmente un club blues. Noi non sapevamo veramente tutti i numeri blues. Apprezzavamo molto il blues, ma non sapevamo i numeri del blues, così ci siamo presentati con un "Signore e signori, questo è un grande numero di Big Bill Broonzy chiamato" Wake Up Suzie Little " E il pubblico continuava a dire "Questo non è il blues, questo non è il blues. Questa canzone è pop." Ma abbiamo continuato a suonarla.

E poi siamo finiti in tour. Era un tizio chiamato Larry Parnes che ci ha ingaggiati per il nostro primo tour. Ricordo che cambiammo tutti i nostri nomi per quell'occasione. Cambiai il mio in Paul Ramon, George Harrison diventò Carl Harrison e, anche se la gente pensa che in realtà non cambiasti veramente il tuo nome, mi sembra di ricordare che diventasti Long John Silver per tutta la durata del tour.

Viaggiavamo su un furgoncino durante il tour, e una notte il parabrezza si ruppe. Eravamo in autostrada e stavamo tornando a Liverpool. Si congelava e quindi abbiamo dovuto metterci uno sopra l'altro nella parte posteriore del furgone creando un sorta di panino-Beatle. Abbiamo avuto modo di conoscerci. Ci siamo conosciuti così.

Siamo arrivati ​​ad Amburgo e abbiamo incontrato personaggi del calibro di Little Richard, Gene Vincent ... Mi ricordo di Little Richard quando ci invitò al suo hotel. Stava guardando l'anello di Ringo e disse: "Amo questo anello. Ho un anello simile. Potrei darti un anello simile." Così siamo andati tutti in albergo con lui. (Non abbiamo mai avuto un anello.)

Siamo tornati con Gene Vincent nella sua camera d'albergo una volta. Era andato tutto bene finchè non si avvicinò ad un cassetto del comodino e ne tirò fuori una pistola. Dicemmo: "Ehm, dobbiamo proprio andare, Gene, dobbiamo andare ..." Uscimmo di corsa!

E poi arrivarono gli Stati Uniti - New York City - dove ci siamo incontrati con Phil Spector, le Ronettes, Supremes, i nostri eroi, le nostre eroine. E poi a Los Angeles, incontrammo Elvis Presley per una grande serata. Abbiamo visto il ragazzo sul suo territorio nazionale.  Ragazzi! Era un eroe.

E poi, Ed Sullivan. Volevamo essere famosi, e lo eravamo davvero diventati. Voglio dire, immaginate di incontrare Mitzi Gaynor a Miami!

Poi, la registrazione ad Abbey Road. Ricordo ancora mentre suonavamo "Love Me Do." Tu ufficialmente cantavi "Love me do", ma perché suonavi l'armonica. Poi George Martin disse all'improvviso nel mezzo della sessione: " Può Paul cantare il verso " Love me do? " , il pezzo cruciale.

Mi ricordo mentre cantavo "Kansas City" - beh, non riuscivo a farlo, perché è difficile da cantare quella roba. Sai, urlare nella parte superiore della testa (?). Sei sceso dalla sala di controllo e mi ha portato da una parte e mi hai detto: "Ce la puoi fare, devi solo urlare, si può fare." Così, grazie. Grazie per questo. Sono riuscito a farlo.

Mi ricordo mentre scrivavamo "A Day in the Life" insieme, e l'occhiata d'intesa che ci siamo lanciati quando abbiamo scritto il verso "I'd love to torn you on". Sapevamo quello che stavamo facendo, sai. Uno sguardo furtivo.

Dopo di che c'era questa ragazza di nome Yoko. Yoko Ono. Lei si presentò a casa mia un giorno. Era il compleanno di John Cage e lei disse che voleva entrare in possesso di alcuni manoscritti di diversi autori per consegnarglieli, e ne voleva uno mio e tuo. Così ho detto: "Beh per me va bene, ma dovrai andare da John ".

E lei lo ha fatto ...

Dopo di che avevo impostato un paio di macchine di registrazione Brennell, che eravamo soliti usare, e tu sei rimasto sveglio tutta la notte e hai registrato "Two Virgins". Ma lo hai fatto da solo - non aveva niente a che fare con me.

E poi, poi c'erano le telefonate con te. La gioia per 
me, dopo tutta la merda di business che avevamo attraversato, era che stavamo tornando insieme e comunicavamo ancora una volta.
E la gioia quando mi dicesti che stavi a letto ora. E che stavi giocando con il tuo piccolo bambino, Sean. E 'stato meraviglioso per me, perché mi ha dato qualcosa a cui aggrapparmi.

Così ora, anni dopo, eccoci qui. Tutte queste persone. Qui si sono riuniti per ringraziarti per tutto quello che hai significato per tutti noi.

Questa lettera viene dal cuore, dal tuo amico Paul.

John Lennon, ce l'hai fatta. Stasera sei entrato nella Rock Hall 'n' Roll of Fame.

Dio ti benedica.

Paul 



Originale: 

"Dear John,

I remember when we first met, at Woolton, at the village fete. It was a beautiful summer day and I walked in there and saw you on stage. And you were singing “Come Go With Me,” by the Dell Vikings, But you didn’t know the words so you made them up. “Come go with me to the penitentiary.” It’s not in the lyrics.

I remember writing our first songs together. We used to go to my house, my Dad’s home, and we used to smoke Ty-Phoo tea with the pipe my dad kept in a drawer. It didn’t do much for us but it got us on the road.

We wanted to be famous.

I remember the visits to your mum’s house. Julia was a very handsome woman, very beautiful woman. She had long, red hair and she played a ukulele. I’d never seen a woman that could do that. And I remember to having to tell you the guitar chords because you used to play the ukulele chords.

And then on your 21st birthday you got 100 pounds off one of your rich relatives up in Edinburgh, so we decided we’d go to Spain. So we hitch-hiked out of Liverpool, got as far as Paris, and decided to stop there, for a week. And eventually got our haircut, by a fellow named Jurgen, and that ended up being the “Beatle haircut.”

I remember introducing you to my mate George, my schoolmate, and getting him into the band by playing “Raunchy” on the top deck of a bus. You were impressed. And we met Ringo who’d been working the whole season at Butlin’s camp - he was a seasoned professional - but the beard had to go, and it did.

Later on we got a gig at the Cavern Club in Liverpool which was officially a blues club. We didn’t really know any blues numbers. We loved the blues but we didn’t know any blues numbers, so we had announcements like “Ladies and gentlemen, this is a great Big Bill Broonzy number called “Wake Up Little Suzie.” And they kept passing up little notes - “This is not the blues, this is not the blues. This is pop.” But we kept going.

And then we ended up touring. It was a bloke called Larry Parnes who gave us our first tour. I remember we all changed names for that tour. I changed mine to Paul Ramon, George became Carl Harrison and, although people think you didn’t really change your name, I seem to remember you were Long John Silver for the duration of that tour. (Bang goes another myth.)

We’d been on a van touring later and we’d have the kind of night where the windsceen would break. We would be on the motorway going back up to Liverpool. It was freezing so we had to lie on top of each other in the back of the van creating a Beatle sandwich. We got to know each other. These were the ways we got to know each other.

We got to Hamburg and met the likes of Little Richard, Gene Vincent…I remember Little Richard inviting us back to his hotel. He was looking at Ringo’s ring and said, “I love that ring.” He said, “I’ve got a ring like that. I could give you a ring like that.” So we all went back to the hotel with him. (We never got a ring.)

We went back with Gene Vincent to his hotel room once. It was all going fine until he reached in his bedside drawer and pulled out a gun. We’ said “Er, we’ve got to go, Gene, we’ve got to go…” We got out quick!

And then came the USA — New York City — where we met up with Phil Spector, the Ronettes, Supremes, our heroes, our heroines. And then later in L.A., we met up with Elvis Presley for one great evening. We saw the boy on his home territory. He was the first person I ever saw with a remote control on a TV. Boy! He was a hero, man.

And then later, Ed Sullivan. We’d wanted to be famous, now we were getting really famous. I mean imagine meeting Mitzi Gaynor in Miami!

Later, after that, recording at Abbey Road. I still remember doing “Love Me Do.” You officially had the vocal “love me do” but because you played the harmonica, George Martin suddenly said in the middle is the session, “Will Paul sing the line “love me do?”, the crucial line. I can still hear it to this day - you would go “Whaaa whaa,” and I’d go “loove me doo-oo.” Nerves, man.

I remember doing the vocal to “Kansas City” — well I couldn’t quite get it, because it’s hard to do that stuff. You know, screaming out the top of your head. You came down from the control room and took me to one side and said “You can do it, you’ve just got to scream, you can do it.” So, thank you. Thank you for that. I did it.

I remember writing “A Day in the Life” with you, and the little look we gave each other when we wrote the line “I’d love to turn you on.” We kinda knew what we were doing, you know. A sneaky little look.

After that there was this girl called Yoko. Yoko Ono. She showed up at my house one day. It was John Cage’s birthday and she said she wanted to get hold of manuscripts of various composers to give to him, and she wanted one from me and you. So I said,” Well it’s ok by me. but you’ll have to go to John.”

And she did…

After that I set up a couple of Brennell recording machines we used to have and you stayed up all night and recorded “Two Virgins.” But you took the cover yourselves — nothing to do with me.

And then, after that there were the phone calls to you. The joy for me after all the business shit that we’d gone through was that we were actually getting back together and communicating once again. And the joy as you told me about how you were baking bread now. And how you were playing with your little baby, Sean. That was great for me because it gave me something to hold on to.

So now, years on, here we are. All these people. Here we are, assembled, to thank you for everything that you mean to all of us.

This letter comes with love, from your friend Paul.
John Lennon, you’ve made it. Tonight you are in the Rock ‘n’ Roll Hall of Fame.

God bless you.

Paul


07/04/22

Le ultime foto di Kurt Cobain, a Roma, un mese prima di morire

 

Cobain all'uscita dall'Hotel Excelsior nel marzo del 1994 un mese prima di morire


Sono le utime, drammatiche immagini scattate a Roma che ritraggono Kurt Cobain, il frontman dei Nirvana, un mese prima della sua morte. 

Furono scattate probabilmente il 3 marzo del 1994 quando Kurt Cobain era a Roma, visto che i Nirvana avevano in programma un tour in Europa, con i concerti già ampiamente pubblicizzati, molti dei quali furono poi annullati, proprio per le condizioni di salute di Cobain. 

Kurt soffriva di una forte depressione e aveva iniziato a stare male già prima del suo arrivo in Italia. Pochi giorni prima del suo soggiorno romano, aveva tenuto il suo ultimo concerto con i Nirvana al Terminal 1 di Monaco, in Germania. 

Ma l'abuso di droghe, la relazione complicata con Courtney Love e i suoi fantasmi personali stavano già portando l’artista sull’orlo del precipizio. 

Lui e Courtney avevano pesantemente litigato e lei se n'era andata in Spagna a lavorare ai suoi progetti. 

Kurt la chiamò al telefono, in lacrime. 

Kurt Cobain nel suo primo viaggio a Roma in visita al Colosseo, nel 1989 

Stava sempre peggio. A Roma era sopraggiunto anche un fortissimo mal di gola, che gli impediva di cantare. 

Courtney Love decise così di raggiungere il marito. Ma nella notte tra il 3 e il 4 marzo del 1994 la situazione cominciò a precipitare: il cantante e la moglie alloggiavano all’Hotel Excelsior, in via Veneto. Con loro c’era anche la figlia, la piccola Frances Bean, di due anni. Nella foto qui sotto si vede Kurt proprio nei pressi dell'albergo, seduto in strada, in difficoltà.



La mattina seguente, quando Courtney si svegliò trovò Kurt sul pavimento privo di sensi e col sangue che gli colava dal naso. Come risultò dai rilievi, Cobain aveva assunto qualcosa come 50 compresse di Rohypnol, un forte farmaco con effetti ipnotici, ansiolitici e sedativi, usato per il trattamento dell’insonnia, in combinazione con alcol – champagne, nello specifico.

La cantante chiamò subito la reception dell’hotel che a sua volta chiamò un’ambulanza: Kurt fu portato di corsa al Policlinico Umberto I dove gli fu fatta una lavanda gastrica, per overdose. In seguito fu trasferito all’American Hospital dove riprese conoscenza qualche ora dopo. Dopo cinque giorni di ricovero Cobain fu dimesso e fece ritorno negli Stati Uniti, annullando il resto della tournée europea. Poco meno di un mese dopo, l’8 aprile 1994, il cadavere di Cobain fu ritrovato dall’elettricista Gary Smith – chiamato per installare un sistema d’allarme - presso la casa che il leader dei Nirvana occupava con la famiglia a Seattle.

Si è molto discusso negli anni se l'episodio romano fu un tentativo di suicidio o un incidente. Courtney Love non ha dubbi, visto che in quella occasione il marito aveva lasciato anche un biglietto con su scritto: 

Ancora Cobain a Roma nel viaggio del 1989 mentre visita San Pietro con i suoi compagni di band

"Il Dottor Baker dice che dovrei scegliere tra la vita e la morte. Io scelgo la morte".  

Incredibilmente comunque, questo campanello d'allarme fu ignorato: si iniziò a valutare questa ipotesi solo dopo che Kurt si suicidò davvero, circa un mese dopo quella overdose, il 5 aprile. 

Di certo l'episodio fu sottovalutato o non affrontato con la giusta determinazione. Quel che è certo è che la morte di Cobain fu l'ennesima tragedia, riservata ad un giovane talento assoluto del rock, una tragedia di sicuro ... preannunciata. 

Fabrizio Falconi -2022 

Kurt Cobain saluta i giornalisti con una Fanta in mano il 3 marzo del 1994 



18/03/22

Il VIDEO più divertente (e intelligente) del mondo...

 

 


In questi tempi così cupi, c'è bisogno di leggerezza.

Costituiscono una ottima panacea questi 3 minuti del video di una allegra canzone, Toe Jam,  singolo di debutto della band elettronica britannica The Brighton Port Authority, pubblicato il 5 agosto 2008, tratta dal loro album di debutto I Think We're Gonna Need a Bigger Boat

La canzone è stata composta  insieme a David Byrne, che la canta insieme al rapper Dizzee Rascal . 

La canzone fu elencata al numero 14 nell'elenco delle 100 migliori canzoni del 2008 della rivista Rolling Stone. 

Ma brilla soprattutto il video musicale della canzone, diretto da Keith Schofield, che ricostruisce i colori e le atmosfere degli anni '70 con uomini e donne che ballano spiritosamente, spogliandosi nudi.

Le barre di censura poste sopra le loro aree genitali e i seni delle donne formano geniali figure geometriche sullo schermo. 

Il video musicale ha all'epoca spopolato su Internet. E forse oggi, per la sua ironia e la sua intelligenza creativa, merita di essere rivisto.

Fabrizio Falconi - 2022   





24/11/21

30 anni dalla morte di Freddie Mercury. Ma qual era il segreto della sua incredibile voce?



Nel giorno della ricorrenza della morte di Freddie Mercury, esattamente 30 anni fa (24 novembre 1991), all'età di 45 anni, si avverte il vuoto lasciato da questo grande artista dalla voce inconfondibile, che ancora oggi suscita grande curiosità. 

Come si sa, Mercury nacque con il nome di Farrokh Bulsara a Stone Town nel protettorato britannico di Zanzibar (ora parte della Tanzania ) il 5 settembre 1946.

I suoi genitori, Bomi (1908-2003) e Jer Bulsara (1922-2016), provenivano dalla comunità Parsi dell'India occidentale. I Bulsara avevano infatti origini nella città di Bulsar (oggi Valsad ) nel Gujarat .  La famiglia si era trasferita a Zanzibar in modo che Bomi potesse continuare il suo lavoro come cassiere presso il British Colonial Office. 
Come Parsi, i Bulsara praticavano lo zoroastrismo. 

Freddie Mercury nacque con quattro incisivi soprannumerari, ai quali lui stesso attribuiva la sua estensione vocale potenziata. 

Mercury ha trascorso gran parte della sua infanzia in India, dove ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte all'età di sette anni mentre viveva con i parenti. 

Nel 1954, all'età di otto anni, fu mandato a studiare alla St. Peter's School, un collegio in stile britannico per ragazzi, a Panchgani vicino a Bombay. 

All'età di 12 anni, formò una band scolastica, gli Hetics, che si cimentava in cover di artisti rock and roll come Cliff Richard e Little Richard . 

Un amico ricorda che aveva "una straordinaria capacità di ascoltare la radio e riprodurre ciò che sentiva al pianoforte". 

Nel febbraio 1963 tornò a Zanzibar dove raggiunse i suoi genitori nella loro casa.  

Nella primavera del 1964, Mercury e la sua famiglia fuggirono in Inghilterra da Zanzibar per scampare alla violenza della rivoluzione contro il Sultano di Zanzibar e il suo governo prevalentemente arabo, in cui furono uccisi migliaia di arabi e indiani di etnia. 

Si trasferirono al numero 19 di Hamilton Close, a Feltham, nel Middlesex , una città a 13 miglia (21 km) a ovest del centro di Londra.

 Dopo aver studiato arte all'Isleworth Polytechnic a West London, Mercury ha studiato arte grafica e design all'Ealing Art College, diplomandosi con un diploma nel 1969. In seguito utilizzò queste abilità per disegnare stemmi araldici per la sua band Queen. 

Dopo la laurea, Mercury si unì a una serie di band e vendette vestiti e sciarpe edoardiani di seconda mano al Kensington Market di Londra con Roger Taylor. Svolse anche un lavoro come addetto ai bagagli all'aeroporto di Heathrow. Altri amici dell'epoca lo ricordano come un giovane tranquillo e timido con un grande interesse per la musica. 

Nel 1969, si unì alla band di Liverpool Ibex, in seguito ribattezzata Wreckage, che suonava "blues molto in stile Hendrix". 

Nell'aprile 1970, Mercury si unì al chitarrista Brian May e al batterista Roger Taylor, per diventare il cantante principale della loro band Smile.  A loro si unì il bassista John Deacon nel 1971. Nonostante le riserve degli altri membri e dei Trident Studios , la gestione iniziale della band, Mercury scelse il nome "Queen" per la nuova band. In seguito ha detto: "Ovviamente è molto regale, e suona in modo splendido. È un nome forte, molto universale e immediato. Ero certamente consapevole delle connotazioni gay, ma quello era solo un aspetto". Più o meno nello stesso periodo, cambiò legalmente il suo cognome , Bulsara, in Mercury.

Ma qual era il segreto della sua inconfondibile voce? 

Sebbene la voce parlante cadesse naturalmente nella gamma del baritono, Mercury incise la maggior parte delle canzoni nella gamma del tenore. 

La sua nota estensione vocale si estendeva dal Fa basso basso ( Fa 2 ) al Fa alto soprano ( Fa 6 ). Poteva cintare fino al Fa alto tenore ( Fa 5 ). 

Il biografo David Bret descrisse la sua voce come "un'escalation in poche battute da un profondo e gutturale ringhio di roccia a un tenore tenero e vibrante, quindi a una coloratura acuta e perfetta , pura e cristallina nei tratti superiori".

Il soprano spagnolo Montserrat Caballé, con il quale Mercury ha registrato un album, ha espresso la sua opinione che "La sua tecnica era sorprendente. Nessun problema di tempo , ha cantato con un innato senso del ritmo, il suo posizionamento vocale era molto buono ed era in grado di scivolare senza sforzo da un registro all'altro. Aveva anche una grande musicalità. Il suo fraseggio era sottile, delicato e dolce o energico e sbattente. Era in grado di trovare la giusta colorazione o sfumatura espressiva per ogni parola."

Il cantante degli Who Roger Daltrey ha descritto Mercury come "il miglior cantante rock 'n' roll virtuoso di tutti i tempi. Potrebbe cantare qualsiasi cosa in qualsiasi stile. Potrebbe cambiare il suo stile da una linea all'altra e, Dio, questa è un'arte. E lui è stato brillante in questo". 

Nel 2016, un team di ricerca ha intrapreso uno studio per comprendere il fascino dietro la voce di Mercury. Guidati dal professor Christian Herbst, il team ha identificato il suo vibrato notevolmente più veloce e l'uso delle subarmoniche come caratteristiche uniche della voce di Mercury, in particolare rispetto ai cantanti d'opera.



20/09/21

L'incredibile storia del chitarrista dei Nirvana e dei Soundgarden diventato soldato in Afghanistan e Iraq e ora barista

 

Everman ai tempi dei Nirvana e nell'esercito qualche anno dopo

E' davvero incredibile la storia di Jason Everman, che già nel suo cognome custodiva forse il destino di una vita dalle mille vite, molto diverse l'una dall'altra.  Sembrerebbe l'ottima sceneggiatura per un film o per una serie televisiva. 

Ripercorriamola insieme. 

Jason Mark Everman è nato il 16 ottobre 1967 e in una intervista del 2013 al New York Times Magazine, quando gli è stato chiesto della sua nascita ha detto: "Il mio certificato di nascita dice che sono nato a Kodiak, ma sono abbastanza sicuro che fosse Ouzinkie, dove i miei genitori vivevano in una capanna di due stanze con un gattopardo domestico, chiamato Kia." I

In effetti i suoi genitori si erano allora trasferiti nella remota Spruce Island per "tornare alla natura", ma il loro matrimonio non "ha funzionato"

Sua madre partì con Jason quando era un bambino, si trasferì a Washington, risposandosi con un ex militare della Marina; la famiglia alla fine si stabilì a Poulsbo, a un'ora da Seattle.

Secondo la sorellastra di Everman, con la quale è cresciuto, la madre di Jason "era estremamente depressa, un genio artistico che era anche un'alcolizzata ingoia-pillole. Jason e io abbiamo imparato a camminare sui gusci d'uovo e abbiamo davvero imparato a prenderci cura di noi stessi"


Dopo un incidente in cui lui e un amico hanno fatto esplodere una toilette con un petardo M-80, la nonna è intervenuta perché affrontasse sessioni di terapia per affrontare i suoi problemi emotivi. 

Everman iniziò così  suonare la chitarra durante le sessioni di terapia; inizialmente utilizzò una delle chitarre che il terapeuta teneva nel suo ufficio, e il terapeuta poi decise di suonare con lui, sperando che lo aiutasse ad aprirsi. 

Ha continuato a suonare in diverse band durante gli anni del liceo. 

Inoltre, ristabilì un contatto con il padre biologico, che a quel tempo possedeva una barca da pesca in Alaska, e lavorò diverse stagioni sulla barca. 

Prima di unirsi ai Nirvana , suonò la chitarra in una band locale chiamata Stonecrow con il futuro batterista dei Nirvana Chad Channing . 

Jason Everman oggi

Everman si unì poi ai Nirvana nel febbraio 1989 come secondo chitarrista. È elencato come secondo chitarrista in Bleach dei Nirvana e appare sulla copertina, ma in realtà sembra che non abbia suonato in nessuna delle tracce. Nell'edizione rimasterizzata del 2009 di Bleach , Everman non è più accreditato ma gli viene dato un ringraziamento speciale nel libretto. 

Everman comunque andò in tour con i Nirvana nell'estate del 1989 per il lancio di Bleach. Ma la collaborazione con i Nirvana - Everman sostituì dal vivo Cobain quando ruppe  la sua chitarra la notte precedente del concerto - durò poco: i Nirvana licenziarono Everman dopo la fine del tour a causa dei suoi scatti d'umore. 

Everman si unì allora ai Soundgarden nel 1990 come successore temporaneo di Hiro Yamamoto al basso.

Ma anche qui durò poco: se ne andò subito dopo che i Soundgarden completarono il loro tour promozionale per Louder Than Love a metà del 1990. 

Nel settembre 1994, la svolta improvvisa della sua vita: influenzato dall'icona del Rinascimento italiano Benvenuto Cellini (che Everman dichiarò essere un uomo a tutto tondo: artista, guerriero e filosofo), lasciò il rock, per arruolarsi nell'esercito degli Stati Uniti, con le Forze Speciali, effettuando campagne militari in prima linea in Afghanistan e Iraq. 

Dopo aver completato il servizio, si prese una pausa dall'esercito e visse a New York, dove lavorò brevemente come fattorino in bicicletta. 

Ha poi viaggiato in Tibet e ha lavorato e studiato in un monastero buddista prima di tornare negli Stati Uniti. 

Dopo aver ricevuto un congedo con onore nel 2006 dall'esercito, Everman ha conseguito un Bachelor of Arts in filosofia presso la Columbia University School of General Studies il 20 maggio 2013.

Nel luglio 2013, il New York Times ha pubblicato un ritratto su Everman, in cui si racconta come vada "ancora regolarmente all'estero, lavorando come consulente per l'esercito". 

Nel maggio 2017 Everman ha incontrato il collega veterano Brad Thomas a New York e i due hanno deciso di formare una band. A luglio la band, chiamata Silence & Light, aveva una formazione completa composta da veterani militari con Everman che suonava la chitarra. Hanno iniziato a registrare un album nel gennaio 2019 a Van Nuys in California. Una canzone è stata pubblicata nell'ottobre 2019 e l'album completo è stato pubblicato nel dicembre 2019. I profitti della band sono dedicati ad aiutare i membri della comunità delle operazioni speciali, i militari e i primi soccorritori. 

L'ultima attività riconosciuta di Everman è quella di barista in alcuni locali californiani. 


Fabrizio Falconi - 2021

13/11/20

I retroscena sulle morti di 50 rockstar in un nuovo libro - da John Lennon a Jim Morrison e tanti altri




Retroscena e misteri sulla morte di 50 rockstar che hanno segnato la storia della musica. È disponibile in libreria e negli store digitali "Amore, morte e Rock 'n' Roll" (Hoepli), il nuovo libro dello scrittore e giornalista musicale, Ezio Guaitamacchi, dedicato agli ultimi istanti di vita di diverse icone del rock. Arricchiscono il volume le prefazioni di Enrico Ruggeri e di Pamela Des Barres (una delle groupie piu' iconiche negli anni Sessanta e Settanta).


Decano del giornalismo musicale, autore e conduttore radio/tv, scrittore, docente e performer, direttore di due riviste specializzate e di varie collane di libri, nonche' autore di una ventina di titoli sulla storia del rock, amante del "dark side" del mondo della musica, Ezio Guaitamacchi ha voluto in questo nuovo libro spingersi oltre, raccontando come le ultime ore di vita di cinquanta rockstar siano spesso intrecciate con i loro grandi affetti e come la mancanza dei medesimi possa essere, a volte, un killer spietato

"Io credo che sia la vita sia la morte dei grandi del rock continui ad affascinare innanzitutto perche' e' abbastanza normale che nessuno di noi voglia pensare che i propri idoli siano finiti anche se, come ricordo spesso, ci resta la consolazione che le voci di questi grandi artisti non verranno mai dimenticate e che le loro opere vivranno per sempre. In secondo luogo, visto che e' umano non voler credere alla fine di un sogno, e' altrettanto normale che lo si alimentino con ipotesi alternative, false leggende. C'e' chi immagina ad esempio Jim Morrison rilassato su un'isola tropicale a sorseggiare un cocktail di frutti esotici. Tuttavia, la verita' e' piu' semplice: la morte cosi' come l'amore, come racconto nel libro, fa diventare i grandi artisti piu' simili a noi comuni mortali. Detto cio', molte delle loro vicende sono ancora avvolte dal mistero e la spiegazione sta nel fatto che a volte sono state fatte delle indagini poco accurate per non dire farraginose, cosa che ha giustamente alimentato dubbi e sospetti. Oltretutto le morti di questi grandi personaggi fanno scalpore, per cui c'e' una forte pressione mediatica anche da parte dell'opinione pubblica che vuole conoscerne il perche' e spesso non accetta dei perche' che, inducendo un sentimento di tristezza, spengano la luce folgorante di questi personaggi" spiega lo scrittore. 

Per questo l`opera, Illustrata da Francesco Barcella, raggruppa per tipologia di "crimine" gli ultimi momenti di diverse leggende della musica, corredando ogni storia con immagini d`archivio, box di approfondimento, citazioni e canzoni che fanno da "colonne sonore" ai racconti.

"Esiste una lunga tradizione nella storia musicale anglo-americana che e' quella delle "murder ballad", ossia delle ballate di omicidio nelle quali c'e' sempre stata una fortissima liason tra amore e morte. 

Nei casi che ho raccontato forse solo quello di Sid Vicius e Nancy Spungen potrebbe essere veramente assimilabili a una murder ballad. 

In realta' durante la scrittura del libro ho scoperto che in quasi tutte le storie c'era questo fortissimo legame spiega Guaitamacchi. 

Ecco perche' queste storie, piu' che misteriose o tragiche, finiscono per essere estremamente commoventi: penso a Leonard Cohen e Marianne ma anche a John e Yoko perche' sara' proprio lei, la donna piu' odiata della storia del rock, a tenere fra le braccia il marito morente. 

Diciamo che nel libro ho poi voluto sottolineare anche come l'assenza dell'amore abbia creato un abisso interiore in alcuni di questi artisti famosi, una specie di solitudine fortissima che ha contribuito alla loro morte.

La solitudine e' stata quindi non un vero e proprio killer ma sicuramente un complice di omicidi". 

Scritto in modo originale e appassionato, documentato con puntualita' e rigore giornalistici, "Amore, morte e Rock 'n' Roll" presenta retroscena, curiosita' e aneddoti come: il mistero dei tre testamenti di Aretha Franklin, l`ipotesi di uno scandalo di pedofilia dietro la morte di Chris Cornell, l`inquietante "faccia a faccia" tra James Taylor e l`assassino di John Lennon poche ore prima dell`agguato al Dakota Building, lo strano giro di medici e psichiatri che circondava Prince e molto altro. 

Sono tante le storie che mi hanno colpito, vorrei dire quasi tutte, perche' le vite straordinarie di questi personaggi hanno avuto degli epiloghi altrettanto straordinari. Accanto alle morti come quelle di Bowie, Lou Reed e Aretha Franklin ci sono le morti assurde che solo il mondo del rock puo' regalare. 

Mi riferisco alla vicenda del furto di cadavere di Gram Parsons che viene portato da due suoi amici nel deserto del Joshua Tree. 

Penso anche a vicende molto piu' intricate come alla morte di Brian Jones con un piu' o meno diretto coinvolgimento dell'entourage dei Rolling Stones; alle morti piu' recenti su cui non si e' investigato abbastanza come quella del giovane trapper della Florida XXXTentation e del dj svedese Avicii morto nel Sultanato dell'Oman" conclude lo scrittore.