20/09/23
L'attrazione di Elsa per gli omosessuali: un "vulnus" non risolto
04/07/22
Sembra incredibile, ma al funerale di Elsa Morante, la più grande scrittrice italiana, a Roma, non ci furono più di 20 persone.
Sembra davvero incredibile il disinteresse che il nostro paese dimostrò per gli ultimi anni vissuti da uno dei suoi più grandi scrittori, Elsa Morante, che a Roma morì, il 25 novembre 1985, a settantatré anni.
Come si sa, l'ultimo romanzo di Elsa Morante fu Aracoeli, pubblicato sempre da Einaudi nel 1982, per il quale, nel 1984, ottenne il Prix Médicis, uno dei più prestigiosi premi francesi.
Poco prima della fine della stesura del romanzo, la Morante, cadendo, si era procurata una frattura al femore, che la costrinse lungamente a letto.
Ma dopo l'uscita del libro scoprì anche di essere gravemente ammalata; tentò il suicidio nel 1983, ma fu salvata in extremis dalla sua governante, Lucia Mansi.
Ricoverata in clinica, fu sottoposta a una complessa operazione chirurgica, che però non le giovò molto. Morì nel 1985 a seguito di un infarto.
Come ricorda l'editore Livio Garzanti per i funerali, alla chiesa di piazza del Popolo, qualche giorno dopo, c’erano meno di venti persone. "Ultimo, sbarcò da un’automobile Moravia (che la Morante aveva spostato nel 1941, ndr.), elegante, accompagnato dalla nuova giovanissima Carmen Llera. Un tic nervoso gli scuoteva le spalle in controcampo con la sua zoppia."
Un funerale del tutto indegno, per una scrittrice e una intellettuale quale fu la Morante, che ha lasciato un segno indelebile nel Novecento italiano.
Di quel funerale nemmeno si trovano testimonianze fotografiche in rete. Nemmeno una.
Questo invece è il corsivo che scrisse Laura Laurenzi, giornalista di Repubblica, il giorno dopo:
Piangono tutti, gli amici più cari; gli altri invece, molti altri, sembrano essere venuti soltanto per guardare. Piange Lucia, spezzata dal dolore, la vecchia governante che due anni e mezzo fa strappò Elsa al suicidio, piange e si raccomanda che le belle piante di limone e di mandarino che ornano il feretro non vadano perdute. Piange la sorella Maria, dal viso forte e sereno, piange Carlo Cecchi, l' amico più caro, con gli occhi cerchiati e un' aria smarrita. Natalia Ginzburg è immobile nel dolore, cupa e severa, sottobraccio alla figlia Alessandra, anche lei commossa. Ed è commossa, il viso rigato di lacrime, l' infermiera di Villa Margherita che ha seguito giorno per giorno la lunga agonìa e racconta di sofferenze tremende, e di urla spaventose durante la notte.
A Makarousse, il bambino libico di nove anni vicino di stanza della Morante e condannato da un cancro, l' ultimo amico profondo della scrittrice, nessuno ha avuto il coraggio di spiegare che Elsa è morta, non c' è più. "Ci domanda continuamente di lei - racconta l' infermiera -. Per ora gli abbiamo detto che è stata trasferita in un' altra clinica".
Piange, mescolata ai colleghi, anche la fororeporter Antonia Cesareo, amica anni fa della Morante ("Fu Elsa, insistendo, a convincermi che dovevo assolutamente fare un figlio"), piange e non riesce a scattare fotografie. La chiesa è quella di Santa Maria del Popolo, parrocchia della Morante, la chiesa degli splendidi Caravaggio amata da tanti scrittori e dove furono celebrati anche i funerali di Gadda.
Più che un funerale Elsa Morante avrebbe voluto una festa: lo disse in una delle sue ultime interviste. Una festa, tutti felici, e musiche di Mozart, di Bach e del primo Bob Dylan. L' hanno accontentata soltanto su Bach: "Per gli altri autori era troppo complicato, bisognava forse usare dei dischi", spiega Dacia Maraini, venuta prima degli altri per curare le musiche del rito. L' organista suona dunque la Passione secondo Matteo, come aveva espressamente chiesto la Morante, e alcuni dei Preludi Corali, per primo "Cristo giaceva nelle catene della morte".
Moravia, pallidissimo, il volto contratto, si fa strada fra una siepe di fotografi. Lui e la sua nuova compagna Carmen Lhera arrivano insieme ma entrano separati, e si fermano in fondo alla chiesa, al quart' ultimo banco, mentre tutti i parenti e gli amici più stretti, microcosmo quotidiano delle ultime sofferenze, sono accanto alla bara, nel primo banco di destra.
Soltanto due i cuscini di fiori. Uno dice "i cugini Morante", l' altro "il condominio di via dell' Oca". Una bimba depone un mazzo di margherite sulla bara. C' è anche Claudia Cardinale, un piccolo tailleur grigio, i capelli legati, senza trucco, quasi non riuscisse a togliersi di dosso il personaggio spoglio e sofferente di Ida Ramundo, la protagonista della Storia che sta interpretando sul set.
Ma Elsa Morante era religiosa? Avrebbe voluto tutto questo? "Sì, credeva in Dio - spiega la sorella -, anche se la sua religiosità non era certo chiesastica, ma tutta spirituale".
All' uscita del feretro sulla piazza un applauso, prima incerto, come imbarazzato, poi lungo e commosso, che suona come un grazie. Nella folla che riempie la chiesa e il sagrato, fra gli altri, l' anziano poeta Attilio Bertolucci ("Ci frequentammo tanto negli anni 50, fui io a presentarle Pierpaolo Pasolini"), Giorgio Bassani amico di quei tempi, Cesare Zavattini.
Nessun uomo politico, non un ministro.
Elsa Morante, per suo stesso volere, concluse le formalità burocratiche, sarà cremata.
15/05/22
Qual è il romanzo italiano più grande del Novecento? Una risposta, io l'avrei
07/09/21
I Quattro Libri che Cesare Pavese regalò a Fernanda Pivano da studentessa e che le cambiarono la vita
05/03/21
Libro del Giorno: "La pasqua rossa" di Alberto Bevilacqua
Alberto Bevilacqua scrisse questo romanzo, arrivato finalista al Campiello (che lo scrittore aveva già vinto nel 1966 con Questa specie d'amore), nel 2003.
Con La Pasqua Rossa Bevilacqua tornò ai temi e ai conflitti sociali del dopoguerra italiano, già esplorati in La Califfa e in altri romanzi.
Il libro ripercorre così i fatti dell'aprile 1946, quando nel carcere di San Vittore sono stipati piú di tremila detenuti, tra delinquenti senza bandiera, ex repubblichini ed ex partigiani condannati per reati comuni: un microcosmo impossibile, che rispecchia con paradossale fedeltà un'Italia che stenta a scrollarsi di dosso «il sentimento delle macerie».
È in questa polveriera che scoppia una delle rivolte più imponenti del sistema carcerario mondiale, architettata da Ezio Barbieri, eroe maledetto capace di amicizie e di amori intensi, dipinto dalle dicerie come un diavolo con fattezze angeliche, dal sorriso ambiguo, dall'intelligenza spiazzante.
Ma chi era davvero Ezio Barbieri?
Un uomo in grado di capire come nessun altro «i drammi in gabbia» e i destini futuri dell'Italia? Un profeta moderno? Un sognatore? È intorno alla personalità complessa, contraddittoria e carismatica di questo pifferaio magico che il libro di Bevilacqua si avvita a spirale: nella convinzione, profonda e contagiosa, che il destino di un uomo possa illuminare, a tratti, quello del mondo.
In questo racconto ravvicinato corale, dai toni onirici, Bevilacqua ritrae un ribelle, Ezio Barbieri, costretto da sempre a recitare se stesso, alla ricerca dell'impossibile rivalsa contro un destino fallimentare.
Un possibile punto di svolta, un momento cruciale per il futuro dell'Italia osservato dall'alto delle celle degli sconfitti, attraverso il risentimento di un uomo solo accerchiato dall'esercito e dal suo passato.
Per la cronaca Ezio Barbieri, che fu condannato all'ergastolo, e uscito dal carcere nel 1971, è morto quasi centenario, soltanto tre anni fa, nel 2018 a Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia.
Un romanzo che conferma la qualità letteraria e l'estro di uno dei migliori scrittori italiani del Novecento.
13/02/21
Libro del Giorno: "Due vite" di Emanuele Trevi
Un libro prezioso, di rara qualità. Emanuele Trevi ritorna con "Due vite", recentemente ristampato da Neri Pozza e già sicuro concorrente - e possibile o probabile vincitore - del premio Strega 2021. Un libro che, nello stile di Trevi, è in parte memoriale, in parte omaggio/tributo a due amici scrittori morti prematuramente, in parte saggio di critica letteraria, in parte pura narrazione (le biografie, cioè, qui diventano pura materia letteraria).
«L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità». Così scrive Emanuele Trevi in un brano di questo libro che, all’apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia.
Trevi ne delinea le differenti nature: incline a infliggere colpi quella di Rocco Carbone per le Furie che lo braccavano senza tregua; incline a riceverli quella di Pia Pera, per la sua anima prensile e sensibile, così propensa alle illusioni. Ne ridisegna i tratti: la fisionomia spigolosa, i lineamenti marcati del primo; l’aspetto da incantevole signorina inglese della seconda, così seducente da non suggerire alcun rimpianto per la bellezza che le mancava. Ne mostra anche le differenti condotte: l’ossessione della semplificazione di Rocco Carbone, impigliato nel groviglio di segni generato dalle sue Furie; la timida sfrontatezza di Pia Pera che, negli anni della malattia, si muta in coraggio e pulizia interiore.
Tuttavia, la distanza giusta, lo stile dell’unicità di questo libro non stanno nell’impossibile tentativo di restituire esistenze che gli anni trasformano in muri scrostati dal tempo e dalle intemperie. Stanno attorno a uno di quegli eventi ineffabili attorno a cui ruota la letteratura: l’amicizia.
Nutrendo ossessioni diverse e inconciliabili, Rocco Carbone e Pia Pera appaiono, in queste pagine, come uniti da un legame fino all’ultimo trasparente e felice, quel legame che accade quando «Eros, quell’ozioso infame, non ci mette lo zampino».
22/02/19
Spunta una crudissima lettera inedita di Primo Levi, scritta nel 1945, tornato da Auschwitz.
10/05/17
Un outsider troppo presto dimenticato - Alberto Lecco.
05/09/16
La poesia della domenica: "Quando io morirò, nessuno saprà dire" di Anna Maria Ortese.
Quando io morirò, nessuno saprà dire
Quando io morirò, nessuno saprà dire
nessuno ricorderà la tua dolce bellezza
quando, vestito di celeste e di rosso,
stendevi la tua giovinezza su un prato
e la luna splendeva sulla tua fronte, gli occhi
ridenti e azzurri, la bocca rosa.
... Sei come una fanciulla e un soldato
Sei tenero e sei grave, fiducioso e sconsolato,
hai collere e scherno, e un sorriso timido.
... Presso la porta, sembrava che il sole
avesse sbagliato la strada, invece che l'orizzonte
avesse salito le scale di casa.
.... Eri là, splendente.
... Non posso dirti come sono in ginocchio
davanti a te, caro,
mio caro, mio splendore.
...Oh non è bella la casa che visiti,
non è importante la donna che ti aspetta,
non è questo un palazzo di cristallo,
né questa una signora.
... Ma tu, mio caro, mio tenero amore,
mia nuvola dorata, mio canto del mattino,
mio uccellino celeste, mio mazzetto di ciliege,
e anche spina per pungere, coltello per ammazzare,
tu non ti accorgi se non sono una signora.
...Tu cerchi l'erba. Oh, stenditi a riposare.
Anna Maria Ortese, tratto da Il mio paese è la notte, Empirìa, 1996.
02/05/16
Da domani in libreria, "Un'assenza" di Natalia Ginzburg con i racconti brevi e tutti gli inediti.
13/06/14
Fabrizio Falconi alla Libreria Italiana di Lussemburgo (2007).
12/05/14
Lotta di classe al terzo piano - un romanzo coraggioso di Errico Buonanno.
Lui e la sua famiglia, che qui sono approdati nel 1852, hanno vissuto con gli esigui proventi della sua attività di pubblicista.
Abitano in uno dei peggiori quartieri di Londra, occupano due stanze con la moglie che lo ama profondamente e crede nelle sue idee, nonostante le gravissime difficoltà e la morte, in pochi anni, per denutrizione, di tre figli, Heinrich (1850), Franziska (1852) e Edgar (1855).
Nonostante ciò, Marx non smette di studiare, scrivere, riflettere: il mondo, l'Europa, sono in rivolta. E ovunque sembra di respirare soltanto un'attesa di qualcuno che sappia interpretare e definire questo sentimento.
In questo clima dickensiano, Buonanno costruisce un romanzo formidabile, che pagina dopo pagina diverte e commuove. Il segreto - l'espediente - è quello di introdurre la figura del padrone di casa, Alan John Huckabee, che sembra l'opposto di Marx: sfruttatore, cinico, invidioso, letterato fallito e vero e proprio capitalista.
Marx è un inquilino scomodo: moroso impenitente, pericolosa testa calda, frequentatore di brutti soggetti.
Tra i due opposti caratteri comincia una guerra che si stempererà, pagina dopo pagina, in una imprevista e imprevedibile empatia, una lotta solidale, dalla stessa parte, in nome dell'utopia: in fondo ogni uomo alla fine, desidera cambiare il mondo, e desidera che il mondo sia un posto migliore di quello che viviamo.
A corollario dei due, Buonanno dispone poi una serie di personaggi di contorno particolari che arricchiscono la narrazione - imbastita soprattutto sui dialoghi, che sono la vera arma in più di questo scrittore - come quello di Natasha Ivanova, che sembra uscita da un libro di Tolstoj e che con La promessa del Tamigi, "romanzo in presa diretta", regala al lettore momenti di divertimento puro.
E alla fine con quella frase così spontanea: "Huckabee, su: si guardi intorno! Non è bella la vita, anche qui fuori ? E non è bella la realtà? Il futuro, il progresso, quello vero!" concede al romanzo l'esito più appropriato.
Il futuro, il progresso, lontano dall'utopia, sono nel coraggio della vita ordinaria, nelle battaglie quotidiane, nel riso e nel pianto della vita. E questo, anche Karl Marx, prima ancora di comprenderlo forse, lo ha vissuto interamente con la sua esistenza.
Fabrizio Falconi
14/08/12
Elsa Morante - 100 anni dalla nascita.
Tra quattro giorni, il prossimo 18, si celebra il centenario della nascita di uno dei massimi scrittori italiani del novecento, Elsa Morante.
04/01/12
E' morto Pietro Zullino. Un ricordo.
09/11/11
La nostalgia del tempo presente. Goffredo Parise.
Un giorno di fine inverno in montagna un gruppo di persone che si conoscevano poco e si erano trovati per caso su una vetta gelida e piena di vento decisero di fare con gli sci una pista molto lunga e solitaria che portava a una valle lontana. Erano dieci, per una coincidenza felice nessuno di loro era veramente "adulto", anzi, erano tutti più o meno timidi e questo li rese subito fiduciosi uno dell'altro.
Credo che raramente una forma artistica abbia raggiunto la perfezione come è il caso di un piccolo racconto - appena una pagina e mezza - di Goffredo Parise contenuto nei Sillabari e che si intitola 'Amicizia'.
Ciascuno di noi conosce sin da quando è bambino - ed è una esperienza pienamente umana - quella sensazione del tempo vissuto insieme ad altri, che scorre e si materializza scorrendo, semplicemente perché quelle persone che abbiamo incontrato e che abbiamo amato anche fuggevolmente incontrare, in quel determinato tempo, sono già volate via, e forse mai più, anzi certamente mai più le incontreremo nelle stesse forme, nello stesso modo di quella volta lì, speciale, unica.
Il tempo è una freccia, scriveva Martin Amis, e lo sperimentiamo in ogni momento della vita. Sembrerebbe la più insostenibile delle crudeltà. Esser condannati a non poter tornare indietro mai.
Eppure quale fato, quale mistero, quale incanto si cela dietro questi grani di clessidra che scendono e non possono mai risalire da soli nella stessa ampolla.
Qualcuno, in una dimensione che non è la nostra, forse si diverte a girare l'ampolla.
Ma a noi, qui è concessa soltanto la distillazione di questo tempo che viviamo. E che, un po' per condanna un po' per libero godimento, siamo obbligati a vivere con altri.
La magia di quel giorno vissuto, di quelle risa e di quella luce, non tornerà.
Epperò noi saremo diversi da allora.
Il fiume non è mai lo stesso. E nemmeno noi mai lo saremo. Qualcosa di diverso, saremo. Forse fatti di un'anima diversa, che il tempo - il tempo che noi conosciamo - non riesce mai pienamente ad afferrare.
Un giorno di fine inverno in montagna....
qui si legge l'intero racconto di G.Parise.