02/08/21
Libro del Giorno: "Helgoland" di Carlo Rovelli
06/07/21
Libro del Giorno: "Quando abbiamo smesso di capire il mondo" di Benjamìn Labatut
Adelphi sceglie un'opera di Yves Klein del 1960 come felice copertina per un romanzo assai sui generis che è già diventato uno dei casi dell'anno, grazie al passa parola e alle positive (in alcuni casi entusiastiche) recensioni dei giornali.
L'opera di Klein richiama il suo famoso blu e si ricollega subito alla prima parte del libro intitolata appunta Blu di Prussia che racconta le vicende dell’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir. La scoperta finisce molto tempo dopo nelle mani di un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole e quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon, che verrà poi utilizzato dagli aguzzini nazisti per lo sterminio degli ebrei nei Lager.
La scelta di Adelphi è felice anche nel titolo: nella difficoltà di utilizzare quello originale (Un verdor terrible) si è scelto il titolo di uno dei capitoli, il più lungo, quello riferito alla figura del genio della fisica del Novecento, Heisenberg, il quale all'epoca ventitrenne, durante la tormentosa convalescenza per una forte allergia, sull'isola sperduta nel mare del Nord, di Helgoland, intuisce e scopre che bisogna smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare: è la nascita della meccanica quantistica, che ha cambiato la storia del mondo e che resta ancora oggi una teoria profondamente misteriosa anche se verificata un numero infinito di volte (basti pensare che gran parte della nostra moderna tecnologia, tra cui telefoni cellulari o internet funziona grazie ad essa), senza mai essere smentita nemmeno una volta.
Benjamín Labatut, l'autore, è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni. E in questo paese vive attualmente in un remoto villaggio sulla Cordigliera. Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti Después de la luz e Quando abbiamo smesso di capire il mondo, che è stato nominato per l'International Booker Prize 2021.
Con il suo stile lucido e disturbante, Labatut costruisce un libro strano e diverso dagli altri. L'assunto è forse proprio quello di esplorare il lato demoniaco/distruttivo della scienza che si esprime nelle stesse vicende biografiche ossessivo/compulsive dei geni, che da Heisenberg a Schrodinger, sono i protagonisti del libro.
La scelta di romanzare, cioè di inventare particolari biografici e non mano a mano che il racconto va avanti, è spiazzante per il lettore. E lo costringe ad andare ogni volta a verificare se quello che scrive Labatut è del tutto vero o no.
Poiché l'avvertenza sulla libertà presa dall'autore nel raccontare queste storie è messa alla fine e non all'inizio del libro, qualche lettore potrà anche sentirsi coinvolto in un gioco scomodo. Forse però è proprio quello che Labatut voleva, visto che il tema centrale del libro è proprio il dubbio relativo alla esistenza di quello che noi chiamiamo "reale", sulla consistenza del quale è proprio la scienza moderna a farci dubitare.
Cosa è vero, cosa no? Chi e cosa sono queste menti geniali che hanno scoperchiato abissi?
La cosa certa è che grazie a Labatut si imparano molte cose su argomenti su cui abbiamo letto tanto, senza mai finire di meravigliarsi di quanto il mistero in cui siamo calati sia spaventosamente fitto e infinitamente complicato.
La mancanza di qualsiasi parvenza di oggettività in quello che noi pensiamo/vediamo/ realizziamo, rispetto al piano di "realtà" - ammesso che esista poi, una realtà - è sconvolgente, dato che le cose nella fisica quantistica sembrano esserci, esistere soltanto se e quando qualcuno le osserva (influenzandolo fra l'altro).
È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
L'unica pecca per un libro così bello è la cura editoriale - assai strano per un editore come Adelphi - che scivola sul piano dei refusi e della impaginazione. Nella edizione cartacea c'è addirittura una intera riga completamente saltata a fondo pagina, più tanti altri piccoli errori piuttosto imbarazzanti.
25/09/19
Ogni cosa è correlata, nell'Universo. Tutto fa parte del Tutto. Le incredibili proprietà dell'Entanglement Quantistico
15/03/18
"I due più importanti incontri della mia vita: con Krishnamurti e con Albert Einstein". Una bellissima intervista a proposito del grande fisico David Bohm.
02/01/15
La meditazione e il Campo Unificato - una esperienza trascendente.
12/07/14
Il mistero del numero 137, Pauli, Jung e la matematica che è in noi (e fuori di noi).
In questi giorni sto leggendo un bel saggio di Arthur J. Miller, professore emerito di storia e filosofia della scienza presso l'University College di Londra: L'equazione dell'anima, pubblicato da Rizzoli nel 2009, che descrive e racconta l'ossessione per un numero nella vita di due geni, Carl Gustav Jung e il fisico Wolfgang Pauli.
Ed è proprio la sua doppia vita ad indurlo a rivolgersi a Carl Gustav Jung, il discepolo eretico di Freud, divenuto in quegli anni un punto di riferimento della ricerca psichica mondiale.
L'incontro tra questi due geni, tra ragione e misticismo, diviene una potente alleanza tra due giovani scienze, la psicoanalisi e la meccanica quantistica, all'insegna di quello che appare come un numero magico: il 137.
La suggestione è quella di trovare un numero alla base dell'universo, un numero primordiale, un numero da cui tutto dipende e dà conto di tutto.
E' un vecchio sogno umano, inseguito da astronomi, scienziati, alchimisti, mistici, filosofi, matematici.
Più andiamo avanti con le nostre conoscenze, più ci appare evidente che il mondo e l'universo che ci contengono si fondano su principi matematici. E la matematica è anche alla base della nostra vita biologica. Tutto sembra ridursi a questo: anche la nostra mente sembra essere predisposta per leggere secondo criteri matematici. Ma da dove deriva tutto questo, e perché esiste ?
29/03/14
La sapienza dell'Oriente e l'infelicità moderna.
Eppure, l'ammirazione per questa saggezza d'Oriente, capace di cogliere il senso profondo delle cose e la sostanza vera della realtà, suscita l'obiezione di cui dicevo all'inizio:
perché questi grandi sistemi filosofici e mistici e questa sapienza non hanno saputo tradursi nel concreto in una evoluzione umana (e di civiltà) più accettabile della nostra ?
Il prodotto di 3.000 anni di sapienza e di consapevolezza orientale sono i grandi paesi-continenti dell'oggi: la Cina, il Sud-est asiatico, l'India e da ultimo il Giappone.
Nessuno di questi paesi oggi mostra l'immagine di questa sapienza superiore, arcana, primordiale, maturata non soltanto nel chiuso di qualche antico monastero o nella mente di qualche filosofo, ma dispensata in norme religiose e di vita che sono state con-divise per secoli e secoli da intere popolazioni.
Il prodotto non è confortante: la Cina è oggi un paese terribilmente materialista, forse il paese meno spirituale al mondo, e non c'è democrazia, ma un regime autoritario e autocrate. L'India è un paese-continente colmo di spaventose disuguaglianze, ancora in gran parte edificato socialmente sul sistema delle caste. Sud-est asiatico e Giappone, pur avendo aderito (in forme parossistiche) al modello di vita occidentale, sono ancora pervasi da mentalità fondamentaliste, in alcuni casi medievali.
L'Occidente, pur con le sue distorsioni, le sue guerre spaventose, i suoi genocidi, ha creato - dalla grande tradizione dei padri romani e greci - i principi del diritto e della democrazia, oltreché dei principi fondamentali della persona umana (e quindi delle Costituzioni libere) che sono state adottate anche in molte parti d'Oriente.
Insomma: perché tanta sapienza, tanta profonda consapevolezza non si è tradotta, nel corso di così tanti secoli, in vita migliore, in principi migliori, in equità, in giustizia, tutto sommato, in felicità condivisa e diffusa ?
Resta per me un mistero.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata
14/03/12
Dove è andato quel che ho vissuto (e che non ricordo)?
Qualche settimana fa mi è capitata una strana cosa.
Un mio parente ha ritrovato un vecchio super-8 di famiglia girato nel 1970. Lo ha trasformato in supporto digitale e messo a disposizione di noi, che all'epoca eravamo poco più che bambini, i cui volti sono rimasti impressi in quella vecchia pellicola.
E' una giornata normale, deve esserci stata qualche cerimonia, la famiglia si è riunita al mare. Non è inverno e non è estate. Deve essere una giornata come quelle che stiamo vivendo, di primavera prematura e già calda.
La 'pizza' del film dura 3 minuti, ma è un documento molto chiaro.
E però la particolarità è questa, e mi fa riflettere: riemerge dall'oblio una giornata della mia vita, che io non ricordo assolutamente di aver vissuto.
Fino al momento prima di vedere quel film, infatti, io non ho minimamente memoria di quella giornata, che pure ho vissuto, come dimostra incontrovertibilmente il filmato girato.
Sono io quel bambino che cammina, si gira, si tocca i capelli. Sono io quello che siede e ascolta i discorsi dei grandi. Sono io, certamente.
Eppure, se questo filmato non fosse riemerso dalle tenebre, io non avrei saputo nemmeno di aver vissuto quella giornata. Perché la mia memoria ha cancellato quella giornata, come ha cancellato la stragrande maggioranza delle singole giornate che io ho vissuto nella mia vita.
Eppure, come dimostra questo filmato, quelle giornate esistono. O meglio, sono esistite. Sono esistite ed esistono, a quanto pare, anche se io non le ricordo, e anche se nessuno le ricorda.
Esistono davvero ? Non appare in contraddizione questa esistenza, con la constatazione che spesso facciamo secondo cui qualcosa esiste solo finché c'è qualcuno o qualcosa che ne è testimone e che lo ricorda ?
Oppure i ricordi e le cose che abbiamo vissuto esistono indipendentemente dal fatto che io le ricordi e che qualcun altro le ricordi ?
Le moderne teorie quantistiche descrivono il tempo come una quarta dimensione della realtà che viene descritta come un foglio ripiegato in infinite (e inaccessibili) sottili piegature (stringhe) che sarebbero allineate una accanto all'altra (o dentro o attraverso l'altra).
Questo darebbe la possibilità - teorica - di srotolare quelle pieghe e di 'disporre' dei singoli momenti del tempo come singole entità TUTTE esistenti.
Dunque, quella giornata che io non ricordavo, esiste ancora, in qualche piega dell'universo ?
In quella piega ci sono ancora io bambino che ascolto i discorsi dei grandi seduti al tavolino ?
Il breve filmato dal ritmo sincopato che è tornato dal buio del passato, vuol forse dirmi questo ? Vuol dirmi che niente, in fondo, fino in fondo, è definitivamente perduto (anche se io non ne ho memoria, anche se io l'ho... dimenticato) ?
14/01/12
Festival delle Scienze di Roma - Julian Barbour: "Il tempo non esiste".
Sarà un meraviglioso viaggio nei gangli della condizione umana più misteriosa - quella del «tempo» - la settima edizione del Festival delle Scienze.
Tra pochi giorni, dal 19 al 22 gennaio, all' Auditorium Parco della Musica a Roma, prenderà vita uno straordinario itinerario attraverso quello che la fisica e l' astronomia, la musica, l' arte e la storia, hanno prodotto sul significato della quarta dimensione e cioè l'idea del tempo.
Il carnet degli ospiti è davvero d' eccezione: dall' antropologo statunitense Ian Tattersall (sabato 21, alle 16) che discute del «tempo profondo dell' evoluzione» al fisico britannico Julian Barbour (domenica 22, alle 21) autore di quel libro geniale che è «La fine del tempo», pubblicato da Einaudi che giunge ad un 'ripensamento' completo della nostra concezione del tempo alla luce delle cognizioni della meccanica quantistica.
Nel video qui sopra, una gustosa anticipazione del pensiero di Barbour.