Il mare dei poeti non è solo quello delle Cinque Terre. In questo caso, è quello quasi giallognolo, nobilmente calmo del litorale laziale, a due passi dal luogo dove il Tevere, il fiume dove tutto ha avuto inizio, va a morire: Castelporziano 1979.
Basta un nome e una data per evocare un mondo. Per chi c'era e per chi non c'era.
Su quel pezzo di litorale, tra Fiumicino e Pomezia, dal 28 al 30 giugno del 1979, su un palco approntato per l'occasione, vennero chiamati a raccolta tra le dune di sabbia da Franco Cordelli, Simone Carella e Ulisse Benedetti, decine di poeti italiani e stranieri per il primo (e unico!) Festival Internazionale dei poeti.
Simbolo di una stagione non facilmente dimenticabile nella storia recente della Capitale, per merito dell'assessorato alla cultura del Comune di Roma, guidato allora da Renato Nicolini.
Vi parteciparono alcune tra le maggiori personalità poetiche del tempo, tra cui si ricordano in ordine sparso: Dario Bellezza, Milo De Angelis, Fernanda Pivano, Amelia Rosselli, Maria Luisa Spaziani, Valentino Zeichen, William Burroughs, Gregory Corso, Evgenij Evtušenko, Erich Fried, John Giorno, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e molti altri.
Il Festival divenne un vero "evento" (quando questa parola aveva ancora un significato), grazie alla partecipazione popolare che andò oltre ogni previsione e che trasformò il Festival in un happening di sapore "woodstockiano" (in Italia certamente il più vicino allo spirito di quello).
In quel mese di giugno del 1979, su quella spiaggia sulla quale è stato allestito un gigantesco e spoglio palco, proprio sulla riva del mare, si ritrova catapultato il protagonista di questo romanzo, il diciannovenne brillante studioso di letteratura germanica, il quale è chiamato a tradurre "in presa diretta" le poesie che in quella affollatissima tre-giorni di reading leggeranno quattro poeti tedeschi "laureati": Erich Fried, Gerald Bisinger, Volker von Törne e Johannes Schenk.
Il romanzo, scritto interamente in prima persona e in forma di memoriale "torrenziale", come un vero flusso di coscienza, ricostruisce la vita e la leggenda di quei tre giorni, mettendo in scena le aspettative, le ansie i dubbi e le scoperte del giovane se stesso osservate con "il senno di poi" alla luce di quello che Precht è diventato poi (scrittore e traduttore) e dei destini dei quattro poeti incontrati in quella piccola epopea (e tutti e quattro passati ormai a miglior vita), imbastendo un delicato e potente caleidoscopio che apre continue prospettive tra vissuto e presente, memoria personale, nostalgia, riflessioni di quell'ultima epoca - almeno finora - in cui la poesia è stata capace, in Italia, di muovere masse, coinvolgendole in un evento nuovo e singolare, espressione palpitante di una esperienza che già volgeva al termine: quella della parola condivisa, declamata - anche duramente contestata - comunque divenuta sostanza vitale.
Una esperienza iniziatica per il giovane scrittore di belle speranze, esperienza formativa accelerata, incontro destinico che chiede di essere rielaborato in nuova forma, quarantacinque anni dopo.
Un romanzo completamente atipico, sorprendente, che trasporta in un mondo di ieri che trasmette ancora lampi di energia, come una stella lontana, non ancora spenta. Perché la poesia ha vite insospettabili, anche quando la si crede e la si prega morta.
Fabrizio Falconi