Il Giunco Ingegnoso, una bellissima poesia di René Char: per approfondire clicca QUI
Il lavoro del poeta
I.
I bei modi di essere con gli altri
Sull'erba calva d'estate
Sotto nuvole bianche
I bei modi di esser con le donne
In una casa grigia e calda
Sotto coltri trasparenti
I bei modi di essere con sé
Davanti al foglio bianco
Minacciati d'impotenza
Fra due tempi e due spazi
Fra noia e mania di vivere
Paul Eluard, tratto da Poesia Ininterrotta, a cura di Franco Fortini, Einaudi, 1976
Per l’amor dei poeti
Principessa dei sogni segreti
Nell’ali dei vivi pensieri ripeti ripeti
Principessa i tuoi canti:
O tu chiomata di muti canti
Pallido amor degli erranti
Soffoca gli inestinti pianti
Da tregua agli amori segreti
Chi le taciturne porte
Guarda che la Notte
Ha aperte sull’infinito?
Chinan l’ore: col sogno vanito
China la pallida Sorte . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Per l’amor dei poeti, porte
Aperte de la morte
Su l’infinito!
Per l’amor dei poeti
Principessa il mio sogno vanito
Nei gorghi de la Sorte!
Dino Campana
da “Canti Orfici ed altre liriche”, Introduzione e note di Neuro Bonifazi, Garzanti, 1989, pag. 26
All of That
All of that I made
And, making, lied.
And all of that I hid
Pretended dead.
But all of that I hid
Was always said,
But, hidden, spied
On others’ good.
And all of that I led
By nose to bed
And, bedding, said
Of what I did
To all of that that cried
Behind my head
And, crying, died
And is not dead.
(1970)
Venite - Gottfried Benn
Venite, parliamo tra noi
chi parla non è morto,
già tanto lingueggiano fiamme
intorno alla nostra miseria.
Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso,
si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda,
chi parla non è morto.
Solo nel tuo deserto,
nel tuo raccapriccio di sirti,
tu il più solo, non petto,
non dialogo, non donna,
è già così presso agli scogli
sai la tua fragile barca -
venite, disserrate le labbra,
chi parla non è morto.
Gottfried Benn, 1950
È l’amore (o Il minacciato)
Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura del suo carcere, come in un sogno atroce.
La bella maschera è ormai cambiata,
ma come sempre è l’unica.
A che mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
l’apprendimento delle parole che utilizzò l’aspro Nord
per cantare i suoi mari e le sue spade,
la serena amicizia,
le gallerie della Biblioteca,
le cose comuni,
le consuetudini,
l’amore giovane di mia madre,
l’ombra militare dei miei morti,
la notte intemporale,
il sapore del sogno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fonte,
già l’uomo s’alza al canto dell’uccello,
già si sono scuriti quelli che guardano dalla finestra,
ma l’ombra non ha portato la pace.
È, lo so, l’amore:
l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e il ricordo,
l’orrore di vivere successivamente.
È l’amore con tutte le sue mitologie,
con tutte le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo dove non oso passare.
Già mi accerchiano gli eserciti, le orde.
(Questa stanza è irreale, lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denunzia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.
Jorge Luis Borges
Mi hai dato due incarichi
LA PICCOLA STANZA
Ah, quando sei lontano e nessuno
più nomina il tuo nome –
quando ovunque mi rechi sento
cupo e gelido un vuoto –
comincio a credere che tu sia solo un sogno
nato dalle brame della mia mente,
e a questo sogno ho dato vita e nome
e in ultimo il tuo aspetto –
– ma quando poi ti vedo e posso
sentire ancora le tue forti parole,
e posarti ancora il capo sulla spalla –
ascoltare ancora il suono della tua voce –
allora so che il resto è solo notte,
malvagi sogni che presto scorderò,
so che tu mi porti nella luce
e che in te dimorano la vita e il giorno
Tratto da:
Mondadori, 2001 (traduzione B.Berni)