14/11/22
Il suicidio "più bello" del mondo: Empire State Building, New York, 1931
18/10/22
Fabrizio Falconi fotografato da Gabriele Pagnini a Cannes nel 1987
01/07/22
Qual è la vera storia di "Lunch atop a Skyscraper" - "Pranzo su un grattacielo", l'iconica foto degli operai sospesi nel vuoto nel 1930?
Questo ritratto di 11 operai del ferro che pranzano con disinvoltura seduti precariamente su una trave d'acciaio a 850 piedi d'altezza ha catturato l'immaginazione di milioni di persone quasi subito dopo la sua pubblicazione sul New York Herald-Tribune il 2 ottobre 1932, ma tutte le informazioni che un tempo si conoscevano sui soggetti e sul fotografo sono andate perse nel tempo. Sebbene sia più comunemente nota come "Pranzo in cima a un grattacielo", l'immagine è stata chiamata con nomi diversi nel corso degli anni, tra cui "Pranzo su una trave" e "Uomini su una trave".
Anche il luogo è stato oggetto di dibattito: Alcuni pensavano che si trattasse dell'Empire State Building, mentre in realtà si tratta di una foto pubblicitaria scattata durante la costruzione del 69° piano dell'RCA Building del Rock Center - oggi conosciuto come 30 Rock - ma grazie al lavoro investigativo di due registi irlandesi, questa e altre informazioni sulla foto sono venute alla luce.
Quasi 12 anni fa, nel 2010, Seán Ó Cualáín e suo fratello Éamonn ne hanno trovato una copia sulla parete di un piccolo pub di Shanaglish, a Galway, in Irlanda. "Accanto alla foto c'era un biglietto di un certo Pat Glynn, figlio di un emigrante locale, che sosteneva che suo padre e suo zio erano sulla trave", racconta Seán. "Sapevo ben poco della foto, se non che ero cresciuto con il mito che tutti gli uomini che vi comparivano erano irlandesi. Quindi eravamo incuriositi. Quando siamo usciti dal pub, il proprietario ci ha dato il numero di Pat e da lì siamo partiti". La loro ricerca per svelare il mistero della foto si è trasformata nel pluripremiato documentario del 2012, Men at Lunch.
La loro ricerca non è stata facile. "La sorpresa più grande è stata che, nonostante il richiamo mondiale della foto, nessuno aveva cercato di scoprire chi fossero gli uomini o il fotografo prima di noi", racconta Seán. "Stavamo letteralmente partendo da zero e senza l'assistenza e l'entusiasmo dell'archivista del Rockefeller Center, Christine Roussel, ci saremmo trovati in grossi guai". Dopo aver esaminato decine di fotografie dell'archivio scattate durante la costruzione del Centro, la Roussel è riuscita a identificare due degli uomini: Joe Curtis, il terzo da destra, e Joseph Eckner, il terzo da sinistra. (Purtroppo, a causa di limiti di programmazione e di budget, i registi non sono riusciti a sapere molto di più su di loro, a parte i nomi).
Per quanto riguarda Pat Glynn, i registi hanno incontrato lui e suo cugino, Patrick O'Shaughnessy, a Boston, dove hanno confrontato le foto di famiglia con gli uomini sulla trave. Entrambi sono convinti che l'uomo all'estremità destra con in mano una bottiglia sia il padre di Pat, Sonny Glynn, mentre l'uomo all'altra estremità sia il padre di Patrick, Matty O'Shaughnessy.
"Le somiglianze fisiche sono impressionanti, ma poiché non sono rimasti documenti di lavoro della costruzione Rockefeller, è molto difficile affermare con certezza al 100% che Sonny e Matty erano sulla trave", dice Seán. Dato che più di 40.000 persone sono state assunte per aiutare a costruire il Rockefeller Center - un'opportunità economica senza precedenti per una popolazione che stava lottando contro la Grande Depressione, molti dei quali stavano affrontando discriminazioni basate anche sulla loro provenienza - è piuttosto sorprendente che non esistano registri.
Tuttavia, quello che si sa è che tra questi lavoratori non c'erano solo irlandesi-americani e immigrati irlandesi, ma anche italiani, scandinavi, europei dell'Est, tedeschi e persino operai Mohawk del Canada. (Per oltre 100 anni, i membri della tribù Mohawk hanno contribuito alla costruzione di quasi tutti i grattacieli più importanti di New York, tra cui il Rockefeller Center, l'Empire State e il Chrysler). Di conseguenza, persone di ogni provenienza, provenienti da tutto il mondo, hanno dichiarato di conoscere gli uomini della foto.
Qual è l'opinione del regista? "Credo che su quella trave ci siano Matty e Sonny", dice Seán. "I documenti di famiglia collocano entrambi a New York all'epoca della foto. Inoltre, una frase detta da Patrick O'Shaughnessy alla fine del film mi è sempre rimasta impressa: 'Non si arriva all'età che ho io adesso senza sapere chi sei e chi è tuo padre'". Si spera che un giorno tutti gli uomini vengano identificati con certezza.
Mentre sono in corso ulteriori ricerche, ora sapete che potete festeggiare gli irlandesi a terra durante la parata o dal ponte di osservazione del Top of the Rock, vicino al luogo in cui questa foto iconica è stata scattata 85 anni fa (o anche sulla strada per l'ascensore sul tetto, dove potete entrare voi stessi nella foto).
25/03/22
La famosissima (e commovente) foto di Falcone e Borsellino: chi l'ha scattata? E come nacque?
Anche se non ci vediamo più da qualche anno, conservo un ricordo di stima incondizionata per Tony Gentile, uno dei migliori fotoreporter italiani, in assoluto.
Ho incrociato Tony per la prima volta molti anni fa nelle lunghe attese come cronista nelle aule dei processi più controversi che si sono tenuti in Italia. Ho apprezzato subito il suo sorriso, le sue parole parche, la pazienza, l'intelligenza che emanava e emana dal suo sguardo. Non eravamo propriamente amici, non avevamo questa confidenza, ma credo che ci stimassimo vicendevolmente e in quelle lunghe ore di attese, condividevamo opinioni, impressioni, idee. Mi sembrava che il suo cognome si adattasse magnificamente alla sua personalità.
Tony, nato a Parlermo nel '64, ha un curriculum notevole: fotoreporter e giornalista iniziò a fotografare nel 1989 collaborando con l'Agenzia fotografica Sintesi grazie alla quale pubblicò i suoi reportage dalla Sicilia sui maggiori quotidiani e periodici italiani e stranieri. E in questi anni raccontò con le sue immagini l'attacco stragista della mafia contro lo Stato, fotografando le stragi di Capaci e di via D'amelio. Dal 2003 si trasferisce a Roma dove entra a far parte dell'Agenzia di stampa internazionale Reuters per la quale ha coperto, fino al 2019, storie di attualità, cronaca, costume e sport di interesse internazionale viaggiando tanto in giro per il mondo e fotografando alcuni degli eventi che sono rimasti nella memoria collettiva.
Ma pochi sanno che Gentile è l'autore della fotografia dei magistrati Falcone e Borsellino che sorridono, diventata icona del riscatto di un popolo intero alla violenza della mafia.
Qualche tempo fa, Gentile ha raccontato a Francesca Marani de Il Fotografo, quando e come nacque quella magica fotografia, che oggi è nel cuore di tutti gli italiani
«Il giorno in cui ho realizzato quello scatto» dice Tony Gentile, «non avrei certo potuto prevedere il percorso che l’immagine avrebbe fatto, la vita che avrebbe avuto, anche indipendentemente da me. Mi trovavo a un convegno al quale erano presenti i due giudici come relatori, dovevo coprire l’evento su commissione di un giornale locale. A un certo punto Falcone si avvicina a Borsellino, i due si dicono qualcosa e poi scoppiano in una risata fragorosa che richiama l’attenzione degli astanti. È una frazione di secondo, salto davanti a loro e colgo l’attimo. È solo dopo la strage di Capaci del 23 maggio che recupero lo scatto e lo invio a vari giornali che prontamente l’archiviano in un cassetto e dopo quella di via D’Amelio del 19 luglio, la foto è pubblicata sulle prime pagine di tanti quotidiani italiani. Da quel giorno, sarà stampata sulle magliette, appesa ai muri, conosciuta da tutti. E questo è senza dubbio il lato positivo: aver creato una fotografia che ha il tempo dell’eternità, un’immagine che i ragazzi possono osservare sui libri di storia, un simbolo positivo per le future generazioni»
Tony all'epoca aveva solo 28 anni.
Questa è la stampa dei provini di quel preziosissimo rullino, con le foto scattate quel giorno:
Nella medesima intervista a Il Fotografo, Tony Gentile ricorda i suoi anni giovani, le manifestazioni che frequentava assiduamente, che erano seguite da grandi fotografi come Letizia Battaglia e Franco Zecchin.
Racconta anche il suo veloce apprendistato, quando fin da subito si trovò calato all’interno di un universo di grandi conflitti e cambiamenti politici che investivano, in quegli anni la città di Palermo.
"L’idea di un giovane fotoreporter," dice, "solitamente, è quella di andare per il mondo, partire alla volta di un Paese lontano, ma io non avevo bisogno di andare da nessuna parte. La guerra era lì, di fronte a me. In casa, nella mia città. Essere un fotografo di cronaca in quegli anni in Sicilia significava scontrarsi inevitabilmente con i morti ammazzati per strada e doversi misurare con la documentazione di un fatto mafioso. Attendevo con ansia il momento in cui avrei dovuto fotografare un morto ammazzato perché non sapevo quale sarebbe stata la mia reazione. La mia memoria visiva tuttavia era già costellata di immagini di morte, ero cresciuto con quelle fotografie stampate sui giornali. Quando poi è successo sul serio, quando sono stato chiamato a fotografare il mio primo omicidio, nel maggio del 1990, la macchina fotografica, come spesso accade, ha fatto da filtro e, nonostante l’impressione iniziale, sono riuscito a portare a termine il mio compito. In fondo, un po’ cinicamente, ti concentri solo sul lavoro: portare a casa una buona fotografia. Forse, è un bene perché così non hai il tempo per lasciarti coinvolgere emotivamente".
Quel che è certo è che oggi, certamente non solo e non soltanto per la famosa foto a Falcone e Borsellino, Tony Gentile è uno dei migliori fotoreporter, uno di quelli che hanno fatto - consumando la suola delle scarpe e a prezzo delle cicatrici sul proprio cuore - la storia degli ultimi decenni in questo paese.
18/01/22
Il Mistero degli autoritratti africani di Rimbaud - Foto destinate a scomparire
17/01/22
Storia di una foto veramente incredibile. Gianni Minà racconta come fu possibile mettere seduti allo stesso tavolo Alì, Marquez, Leone e De Niro
30/11/21
Quante fotografie furono scattate sulla Luna durante la missione Apollo 11? E chi le scattò?
Neil Armstrong durante una simulazione con la EVA |
Le prime foto della Luna scattate sulla Luna erano state trasmesse dal lander sovietico Luna 9 nel 1966, ma erano sgranate e poco chiare. La NASA stava invece lavorando per avere immagini sempre più definite e nel 1962 aveva iniziato una collaborazione con Hasselblad, un’azienda svedese fondata dall’ingegnere Victor Hasselblad che negli anni Cinquanta e Sessanta fabbricava le macchine di medio formato più utilizzate dai fotografi professionisti: le Hasselblad stavano in una mano, avevano componenti intercambiabili ed erano costruite con lenti Zeiss, considerate eccellenti.
Fotografare la Luna sulla Luna sarebbe stato però un po’ più complicato. L’ottima risoluzione delle immagini che la Hasselblad era capace di scattare e la praticità con cui permetteva di cambiare rullino la rendevano pratica e funzionale, ma alla NASA serviva un corpo macchina capace di resistere a temperature molto rigide, perfettamente funzionante nonostante il vuoto e comodo da usare per un uomo coperto da capo a piedi da una tuta pesante 100 chilogrammi. Così i tecnici di Houston e gli ingegneri svedesi cominciarono a modificare minuziosamente ogni piccolo dettaglio.
Quando il 20 luglio 1969 il modulo Eagle toccò la superficie della Luna, Neil Armstrong e Buzz Aldrin impiegarono circa due ore e mezza per compiere la cosiddetta passeggiata lunare (Extra Vehicular Activities, EVA). Il programma delle operazioni di documentazione, rilevazione e raccolta degli oggetti considerati di interesse era stato dettagliatamente pianificato e gli scienziati di Houston avevano previsto che la documentazione fotografica dell’orbita e del suolo lunare avrebbe richiesto una strumentazione complessa.
Per questo l’Apollo 11 era stato equipaggiato con trentatré rullini e sette macchine fotografiche differenti. C’erano anche la Kodak Close-up Stereoscopic Camera, commissionata solo sette mesi prima della missione, e ben quattro Hasselblad.
Solo la Data Camera però era stata progettata per essere perfettamente funzionante anche fuori dalla Eagle: fu equipaggiata con un portapellicola con rullino a colori, si accendeva semplicemente premendo il grilletto montato sull’impugnatura ed era allacciata alla tuta di Neil Armstrong.
La praticità dei corpi macchina rese molto facile per gli astronauti cambiare i portapellicole e montarli di volta in volta su modelli diversi: per questo motivo – come ha ricostruito Eric M. Jones, fondatore dell’Apollo Lunar Surface Journal, un archivio online della NASA che raccoglie la documentazione delle operazioni lunari dal 1969 al 1972 – non è possibile ricostruire con precisione il corretto ordine di scatto delle fotografie.
I rullini usati per fotografare la Luna sulla Luna sono stati tre (due a colori e uno in bianco e nero), mentre quelli caricati sulle Hasselblad sono stati in tutto nove e hanno scattato 1.407 fotogrammi.
Tutte le macchine fotografiche usate durante la missione Apollo 11 sono rimaste sulla Luna, per liberare spazio sulla capsula lunare e portare sulla Terra ventidue chili di rocce lunari che gli scienziati della NASA avrebbero poi analizzato.
I nove rullini usati, invece, arrivarono al centro di controllo di Houston a mezzogiorno del 25 luglio 1969. Restarono nel laboratorio per la decontaminazione per 47 ore. Una volta sviluppate e duplicate, le fotografie scattate dalla missione Apollo 11 furono presentate alla stampa il 12 agosto 1969.
Ciò che è poco noto, è che la quasi totalità delle foto della missione Apollo 11 che ritraggano un astronauta hanno Buzz Aldrin come soggetto, poiché normalmente era Armstrong a usare la macchina fotografica.
Neil Armstrong, il primo astronauta che ha messo piede sul suolo lunare, è ritratto in due foto di scarsa qualità e in un'altra, famosissima e assai suggestiva, in cui egli appare riflesso sulla visiera della tuta spaziale di Aldrin, che pubblico qui di seguito.
19/09/21
Storia di una foto bellissima: Le Tre Ragazze a Campo dei Miracoli nel 1946
C'è tutto in questa foto: la liberazione del popolo italiano dopo anni terribili, tragici. La nuova libertà conquistata, ma soprattutto la tenerezza, la dolcezza, la consapevolezza di poter tornare a meravigliarsi della bellezza del mondo. E nessun luogo forse è più simbolico di quel Campo dei Miracoli di Pisa, dove davvero ogni miracolo appare possibile, e dove le tre ragazze hanno scelto di godere il sole sdraiate tra l'erba alta.
06/04/21
Wim Wenders: "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
Wim Wenders - "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
di Matteo Persivale
fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015
"Oggi, dopo la rivoluzione della tv, della pubblicità e infine del digitale," ammette Wenders, "puoi ancora avere fiducia nelle immagini. Ma le immagini hanno bisogno di un po' d'aiuto... Helmut Newton - una volta fece il mio ritratto: che uomo interessante, che uomo ossessionato! - diceva già vent'anni fa che ci sono troppe immagini intorno a noi. Aveva intravisto i primi segnali di quello che ci circonda oggi. Le immagini che si dissolvono nei loro stessi atomi."
"Da bambino credevo che del cinema ci si potesse fidare: i western, cowboy e indiani. Da ragazzo poi, mi sembrava che nel cinema ci fossero, in modo assoluto, verità e bellezza: i film di Bergman, di Fellini... Negli anni '70 però le immagini smisero di raccontarci il 100% di una storia. Pensavo che avrei fatto l'artista. Poi capii che le immagini, le parole, la musica - quello strano triumvirato - potevano ricostruire la verità e la bellezza che andavo cercando. Sono diventato regista per capire come mai il nostro sguardo non ci racconta tutto quello che vorremmo sapere."
Wenders non si rassegna e da giovane settantenne ha "ricominciato da zero con il 3-D, la tecnologia con la quale ha raccontato in "Pina" l'arte della coreografa Pina Bausch."
Liquida Quentin Tarantino così: "Dice che smetterà di fare film quando smetteranno di produrre pellicole perché disprezza il digitale, ma è già una discussione obsoleta. A non essere obsoleta è la questione del 3-D: quando serve a rappresentare la realtà e quando serve solo per gli effetti speciali? No, neanche la nostalgia è più quella di una volta."
05/02/21
Una nuova mostra a Roma su Federico Fellini, nella sua Cinecittà
26/01/21
David Bowie, Sukita e la storia della iconica foto di copertina dell'album "Heroes"
19/11/20
La Bellezza incredibile dell'Italia: In tempo di Covid-19 Nasce un Museo Virtuale con le immagini più belle
Uno spazio virtuale che racconta e promuove la bellezza del Belpaese attraverso 20 gallerie fotografiche, una per ogni regione: e' 'Dua Foto Italia', un progetto pensato dal giovane programmatore Juljan Kaci nel suo laboratorio senese durante i giorni di isolamento imposti dal primo lockdown nazionale.
Si chiama Duafoto-Italia questo nuovo spazio espositivo virtuale, interamente dedicato alla fotografia contemporanea, che nasce per raccontare il Bel Paese (clicare sul sito https://www.duafotoitalia.it/).
Un viaggio nella bellezza che attraverso 20 gallerie, di regione in regione, propone luoghi, persone, tradizioni, stili di vita che hanno reso il “made in Italy” grande nel mondo.
Juljan ha iniziato con una galleria dedicata alla citta' di Siena e pubblicata sul suo sito web: non solo monumenti, ma anche paesaggi e frammenti di vita. Poi la decisione di coinvolgere l'intero territorio nazionale.
Il prodotto finale e' un museo virtuale in continuo allestimento, dove i fotografi, in maniera gratuita, possono pubblicare i loro scatti, aggiornando ogni volta un racconto contemporaneo del rapporto tra uomo e paesaggio. Cliccando su ogni singola fotografia e' possibile avere accesso alla scheda dell'autore e al suo profilo personale.
07/10/20
Storia di Una Foto - "Migrant Mother" di Dorothea Lange
08/07/20
Cartier-Bresson a Venezia . Una mostra imperdibile a Palazzo Grassi, la prima Post-Covid
19/03/19
Le Straordinarie Foto di Robert Mapplethorpe in mostra alla Galleria Corsini.
05/02/19
Dal 2 Marzo a Torino una meravigliosa mostra dedicata alla Lettura con le foto di Steve Mc Curry.
E' la mostra "Steve McCurry - Leggere", che si aprira' a Torino a Palazzo Madama il 2 marzo.
Le fotografie che rendono omaggio alla parola scritta sono accompagnate da una serie di brani letterari scelti da Roberto Cotroneo, in una sorta di percorso parallelo.
Un contrappunto di parole dedicate alla lettura che affiancano gli scatti di McCurry, coinvolgendo il visitatore in un rapporto intimo e diretto con la lettura e con le immagini.
Curata da Biba Giacchetti, la mostra e' costituita da una selezione di scatti realizzati da McCurry in oltre quarant'anni di carriera e comprende la serie di immagini che egli stesso ha riunito nel volume pubblicato come omaggio al grande fotografo ungherese Andre' Kerte'sz.
Arrivano dalla Turchia, dall'Italia, dall'Afghanistan, da Cuba e dagli Stati Uniti gli scatti che documentano momenti di quiete durante i quali le persone si immergono nei libri o nei giornali.
Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici: la lettura e' un atto trasversale, sembrano dirci le foto di McCurry.
La mostra, che si chiude il primo luglio, e' completata dalla sezione Leggere McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, insieme ai piu' recenti, tra cui il volume edito da Mondadori che ha ispirato la realizzazione di questa mostra.
Tutti i libri sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, che sono spesso le icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
Fonte: Askanews