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22/04/24

Ma perché così tanti errori in "Ripley", la serie Netflix di Steven Zaillian ?


"Ripley" (su Netflix) va a diventare la serie dell'anno, ma perché tutti quegli errori?

Ho provato a capire perché in un prodotto di così grande qualità vi siano così tante inverosmiglianze, dettagli, ricostruzioni sbagliate, incoerenze dei luoghi, dei tempi e della sceneggiatura, e alla fine l'unica risposta che mi convice è quella che scherzando, ma non tanto, un amico mi ha dato: "Perché Zaillian (regista e sceneggiatore della serie, colosso del cinema americano, premio Oscar per Schindler's List, e sceneggiatore di molti film di Scorsese) si sente come il Cavaliere Nero, nella celebre barzelletta raccontata da Gigi Proietti, e a lui non puoi... "rompere le scatole" (eufemismo).
La fulminante battuta sembra in effetti l'unica spiegazione possibile: Zaillian è un maestro troppo esperto per mettere in scena questa sequela di piccoli e grandi errori/orrori senza averlo voluto. Probabilmente, dunque, trattasi di una ostentazione/provocazione voluta: "la storia la conoscete già, ora mi diverto a fare quello che voglio".
Il fatto è che sono talmente tante e alla fine - almeno a me- hanno un po' rovinato il gusto estetico di una grande serie che trova i suoi due punti di forza 1) nella magnifica interpretazione di Andrew Scott (un cupo misantropo, misogino, bugiardo, cinico, manipolatore che in fondo non ha nessuno scopo che quello di produrre il male - per tutta la serie non ha praticamente il conforto di un solo amico, di una persona che conosce, di una situazione relazionale (uomo o donna), il suo è un moto perpetuo fine a se stesso, che non è basato sull'appagamento); 2) nel grandioso bianco e nero di Rober Elswit, anche lui premio Oscar e fotografo di film importantissimi.
Ecco dunque in ordine sparso, le molte cose che - specialmente a un pubblico italiano (l'intera serie è ambientata in Italia tranne un brevissimo prologo newyorchese) - risultano incomprensibili e in alcuni casi veramente grottesche:
- La prima volta che Ripley passa per Napoli, Zillian ci mostra le consuete "cartoline", scorci della città. Il primo tipo che vediamo seduto al bar però legge chissà perché "La Stampa" di Torino.
- Quando Dickie propone a Tom di andare a Sanremo nessuno spiega il perché. Che cosa deve andare a fare Dickie a Sanremo e d'inverno, poi?
- Appena scesi a Sanremo, i due vanno a dormire in un albergo. La mattina dopo seguiamo Dickie che va a cercare un profumo per Margie. Tom lo aspetta fuori dal negozio. Subito ci accorgiamo che tutti gli scorci fotografati all'esterno, non sono di Sanremo ma di Roma, finché non compare addirittura e resta per parecchio, la facciata della Chiesa di Sant'Eustachio a Roma, con l'immancabile cervo e il suo campanile. Non possono essere nemmeno "ricordi" di Tom, perché lui fino a quel momento non è mai stato a Roma. Tutta Sanremo, chissà forse per questioni di budget, è stata filmata con scorci tutti riconoscibili di Roma.
- La scena dell'omicidio sulla barca (lunghissima, occupa quasi tutta la puntata) è una sequenza di assurdità: dopo aver ucciso Dickie, Tom cade in acqua come Fantozzi dopo aver acceso involontariamente il motore della barca. Come si è raccontato nelle puntate precedenti lui non sa nuotare bene e ha paura dell'acqua: eppure, da vero supereroe, resta a galla mentre per due o tre volte la barca gli passa sulla testa, riceve un colpo in testa dal blocco di cemento che fa da ancora, sviene, resuscita sempre in acqua, riesce a prendere al volo la corda che passa trainata dalla barca a tutta velocità, si issa a forza di mani, arriva a 1 centimetro dall'elica senza essere risucchiato, riesce a spegnere il motore e risale sopra.
Poi, quando torna a riva e dopo mille capriole in acqua, ha ancora tutti gli oggetti di Dickie nelle tasche e perfino l'accendino - che gli serve per incendiare la corda dell'ancora e tagliarla - funziona perfettamente al primo clic. E' tutto ben pettinato, non si cambia i vestiti, rimane con quelli inzuppati addosso, e sale sul treno con quelli.
- Anche l'omicidio di Freddy Miles è pieno di assurdità. Dopo averlo ucciso e avergli spaccato il cranio, lo porta a spalle a mezzanotte (non le cinque di mattina) giù in ascensore e per le scale del palazzo; naturalmente per tutto il tempo non incontra anima viva, imbratta di sangue tutto, ascensore che si blocca e lo costringe a uscire a metà delle rampe, scale, pianerottolo, ecc... si assenta per un sacco di tempo per arrivare fino all'Appia Antica, tornare a piedi e in taxi, quando torna nessuno l'ha scoperto e lui pulisce gli ettolitri di sangue lasciati in giro con una pezzetta di 10 cm. quadrati (la mattina dopo, l'imbranata portiera-Buy pensa che le chiazze di sangue siano quelle di un topo...)
- Il commissario romano Ravini, è il personaggio più divertente e assurdo: nei primi anni '60 è un romano poliglotta, che parla un inglese più fluido di quello di Carlo d'Inghilterra e anche il francese, perfetto, ma non sa pronunciare il cognome Miles (nome comunissimo) che invece di "Mails" pronuncia incomprensibilmente per tutta la serie "Milasi". Ravini è un brocco, e però un brocco simpatico. Uno a cui piace fare conversazioni, ma parlare lui. Le notizie sui crimini su cui sta indagando gli interessano poco o niente. Nonostante i sospetti evidenti, lascia Tom libero di andarsene a villeggiare a Palermo.
- Anche molti altri personaggi italiani della serie parlano un inglese fantastico, ma poi chissà perché il noleggiatore delle barche di Sanremo ha l'accento romano, come anche un antiquario di un negozio di Napoli.
- Dopo l'omicidio di Dickie, Tom va in giro per due giorni presentandosi in giro, anche nelle reception degli alberghi, con il passaporto di Dickie e la foto di Dickie. Ma nessuno, guardando la foto sembra capace accorgersi che con ogni evidenza, non è lui. E soltanto dopo il secondo giorno cambia la foto sovrapponendo la sua foto su quella di Dickie.
- La questione delle foto poi è assurda: l'omicidio di Miles, di cui Dickie/Tom viene ritenuto responsabile, va a finire su tutti i giornali italiani, tutti i giorni, ma nessuno mette mai una foto dello scomparso e ricercato Dickie, anche semplicemente quella del passaporto o una delle mille che potrebbe fornire Marge, che Ravini va a trovare fino ad Atrani e che fa la fotografa (una qualsiasi foto di Dickie, ovviamente metterebbe fine immediatamente al giallo, evidenziando che Tom si spaccia per lui). E naturalmente lo stesso Ravini non pensa neanche lontanamente a chiedere a Marge che gliene mostri qualcuna.
- Marge, la fidanzata di Dickie è poi una specie di bella addormentata nel bosco. Scompare (a Sanremo per fare cosa?) il suo fidanzato in compagnia di un uomo di cui lei subito diffida e che gli appare come un truffatore, e non fa nulla. Ci mette una vita a mettersi in moto, arriva a Roma e anziché aspettare Dickie sotto casa, si accontenta delle 3 cose in croce che gli dice Tom e se ne torna serenamente a casa.
- Il massimo dell'inverosimiglianza poi è quando, nell'ultima puntata, Ravini viene al corrente del fatto che Tom è vivo e che vive a Venezia. Naturalmente lo va ad incontrare, e alla prima occhiata dovrebbe accorgersi che è il falso Dickie (cioè la stessa persona che ha incontrato sotto le vesti di Dickie fino a quel momento e con cui si è incontrato e ha parlato tante volte) camuffato sotto un burlesco travestimento a metà tra diabolik e la commedia dell'arte, e invece non solo non lo riconosce (anche se perfino la voce è identica e inconfondibile, e poi il volto è praticamente lo stesso), ma ci conversa abilmente del più e del meno, gli stringe la mano da 2 cm. di distanza e se ne torna serenamente a casa.
A nota bisognerebbe poi aggiungere tutte le inesattezze/errori/assurdità a proposito di Caravaggio i cui quadri, a Roma, e poi a Napoli e Palermo diventano l'ossessione del fuggitivo Tom. Una per tutte, nella ricostruzione seicentesca all'inizio della 6a puntata, in costume, Ranuccio Tomassoni - l'uomo che fu assassinato da Caravaggio viene fatto morire sulla riconoscibilissima Salita dei Borgia, che non c'entra niente con i luoghi originari, visto che il ferimento a morte avvenne notoriamente nel campo della Pallacorda, in Campo Marzio. Quando poi le guardie pontificie fanno irruzione nella casa/studio del pittore, vi trovano la Crocefissione di San Pietro, il quadro che si trova oggi nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo e che Caravaggio ha dipinto parecchio tempo prima del fattaccio che lo costringe a lasciare Roma.
Vabbè, questo è soltanto una piccola selezione ed era un po' per puntualizzare un po' per divertimento. Onore comunque al merito di Zillian, Elswit, Andrew Scott e tutti i bravi attori (purtroppo Malkovich si vede per 30 secondi in tutto) stranieri e italiani, e pure del povero imbranato Ravini, per sei serate trascorse comunque nella beatitudine di immagini meravigliose.

Fabrizio Falconi - 2024

12/01/22

Quella volta che David Bowie cantò a Sanremo. Ma perché?

 


Pochi lo ricordano ma perfino il grande, immenso David Bowie cadde su Sanremo (oltre che Sulla Terra, come avveniva all'extraterrestre che impersonava, nel film diretto da Nicolas Roeg). 

E per l'esattezza, la cosa avvenne nella edizione del 1997. Era ovviamente la prima volta per lui e con la sua esibizione aprì la terza serata di quel Festival,  presentando una versione accorciata del brano Little Wonder, il singolo tratto dal suo album Earthling, appena uscito.

In quella occasione andò in scena anche un vero e proprio "corto circuito" che soltanto la televisione riesce ad assemblare.  A presentare David fu infatti il povero Mike Bongiorno (all'epoca già 73enne), che di fronte al Duca Bianco, che chiaramente non capiva una sola parola di italiano, disse:  “Non mi è mai successo di presentare uno spettacolo presentando un mito… Pensate, è un cantante così famoso da essere l’unico quotato in Borsa!”

L’ UNITA’ – Venerdì 21 febbraio 1997

Biondissimo, sorridente, felice. Se la categoria degli “splendidi cinquantenni” cercasse un rappresentante ideale, David Bowie sarebbe una scelta naturale. Di passaggio a Sanremo per promuovere il suo nuovo album, Earthling, il Duca Bianco si concede alla stampa. Per raccontare le nuove delizie del drum’n’bass che esplode dal suo disco. Parole chiave: spontaneità, arte e, naturalmente, money. Ecco l’ uomo che cadde su Sanremo. 

di Roberto Giallo

SANREMO. Cap Ferrat. Come un gioiello in uno scrigno, David Bowie se ne sta tranquillo in un albergone elegante della. Costa Azzurra, a Cap Ferrat, coccolato a vista da guardie del corpo e discografici, in attesa di suonare al Festival. Compare di colpo tutto di nero vestito, biondissimo, con quegli occhi uno azzurro e uno blu che gli danno (pure!) un’aria sorniona. Qualche anno fa si era definito “oscenamente felice”, e il suo sorriso dice subito che si sente ancora così. In più, sembra un ragazzino, segno inequivocabile che il rock mantiene giovani. Ghigna e scherza, disponibile finché una Erinni multinazionale fa cenno, burbera, che il tempo è finito, e se lo porta via.

Bowie, ha un’idea di dove capiterà questa sera, in che tipo di manifestazione canterà?

No, francamente non ho la minima idea di che show sarà, e altrettanto francamente non mi interessa. Tengo moltissimo a questo mio nuovo disco e voglio fare ogni sforzo per promuoverlo a dovere. La casa discografica mi ha assicurato un’audience altissima e questo va benissimo. Quello che mi interessa è far sentire la mia band, la migliore che ho mai avuto. Per noi 7.000 o 40.000 persone è la stessa cosa, stiamo bene ovunque, indipendentemente dal contesto.

Parla come se avesse trovato la sua via dopo un decennio non proprio azzeccatissimo…
Negli ultimi dieci anni ho fatto molte cose. L’avventura con i Tin Machine mi ha dato molto, mi ha dato energia e una musica che aveva quel “tiro” che volevo. Ritengo molto importante quel che ho fatto negli anni Novanta, per cui sarebbe riduttivo dire che solo adesso ho trovato la mia via… Il disco, però, risulta in certi tratti strepitoso.

C’è un segreto? 
Si, c’è: la velocità. E’ un disco pensato, scritto e suonato in due settimane e mezza. Eravamo alla fine del tour, io e la band eravamo al settimo cielo. Abbiamo detto: ingabbiamo subito questa energia spaventosa che abbiamo addosso e tre giorni dopo il tour ci siamo chiusi in sala. Volevo proprio questo: una fotografia dell’energia che il tour aveva tirato fuori. Questo spiega anche come mai i testi sono poco più che armature di contorno alla musica, quello che mi interessa è il suono. E questo suono è molto migliore di quello che c’è in dischi molto più meditati.

Jungle music, drum and bass, elettronica.. I giornali inglesi hanno già scritto: ecco Bowie che rincorre i giovani!
Ah, ma insomma! E quale sarebbe allora la mia musica? Anche tutti i giovani che oggi fanno questa musica un paio d’ anni fa sono entrati in un mondo non loro. è una critica che potrei forse accettare dai caraibici che vivono a Londra, ma credo che non sia importante dove uno prende la roba, ma quel che ne fa. Ecco, io ho preso molto da quei suoni, ma poi il risultato è inequivocabilmente Bowie…

Beh, non si può dire che sia il suo primo approccio alla dance.
No, non si può proprio dire. E nemmeno all’elettronica. Da quando sono andato per la prima volta in Usa ho esplorato quel terreno. E anche il periodo tedesco, i Tangerine Dream, i Kraftwerk… Tutto si mischia. Vedi, credo che il rock sia davvero la più importante svolta artistica del secolo. Nessun altro, forse solo il cinema, ha lo stesso impatto, la stessa forza comunicativa. Ecco: è una forma d’arte che è arrivata davvero a tutti.

Ora è pure quotato in Borsa…
Certo, la parola magica è una sola: money. Ma l’idea è stata dei miei avvocati. Arriva un momento in cui i musicisti vendono i diritti sul loro catalogo e non ne sono più padroni. L’azionariato, i Bowie Bonds, mi sembrano migliori perché io resto padrone del mio repertorio, del mio catalogo, della mia arte.

Suona ancora il sassofono?
Sì, ci provo ancora. è uno strumento che mi piace molto. Inutile dire che adoro Coltrane, ma anche certe sperimentazioni di Miles Davis quando introdusse le manipolazioni elettroniche sulla tromba.

I progetti futuri? Si era parlato anche del Pavarotti International…
Dopo la promozione partiamo con il tour, da marzo a dicembre. E’ vero, ero stato contattato per una partecipazione al Pavarotti International, ma ero sempre in giro a suonare e non ho potuto. Chissà forse ci sarà un’altra occasione.

Bowie, scusi la domanda. Come fa a essere così a cinquant’ anni?
Ma io non ci penso mai ai cinquant’anni! Tutti pensano che il talento degli artisti si affievolisce con l’età, ma non è vero. Non è il talento che va via, è l’entusiasmo. Per la vita, per la musica, per il lavoro. Però non è detto che succeda. Se penso a geni come Burroghs o Picasso… Io voglio lavorare fino alla fine…

e con il senno di poi, possiamo dire che così è stato. 

25/03/20

Mina compie oggi 80 anni - Storia di un mito italiano



Anna Maria Mazzini, in arte Mina, domani compie oggi ottant'anni. 

Che sono un traguardo importante per chiunque ma che per lei, la Tigre di Cremona, assumono una valenza particolare tenuto conto di che cosa rappresenta per la musica italiana e internazionale. Le sue canzoni hanno fatto da colonna sonora alla storia patria, pietre sulle quali molti italiani hanno costruito le proprie fantasie, ritornelli che sono entrati nella memoria collettiva e personale. 

Un repertorio sconfinato e raffinato, 'Le mille bolle blu', anno di grazia 1961, 'E se domani', 'Grande grande grande', 'Non credere' sono alcuni titoli dei brani che l'hanno resa famosa e irraggiungibile. 

Louis Armstrong defini' Mina "la cantante bianca piu' grande del mondo", stregato da quella voce potente e cristallina, invasiva per il cuore, incontenibile per l'anima. 

Ad alimentare la leggenda di Mina molto ha contribuito il buen retiro a Lugano. 

Il 6 novembre 1989 e' diventata cittadina elvetica, con tanto di passaporto, anche se in realta' in Svizzera viveva dal 1966

Poi la scelta nel 1978 di scomparire dalla scena, cioe' dalle televisioni e dai concerti, da qualsiasi evento pubblico. 

Nessuna immagine, solo qualche scatto rubato con il teleobiettivo da paparazzi coraggiosi o immagini postate dai familiari. 

L'ultima della figlia Benedetta, qualche tempo fa: piu' che altro la nuca con i capelli rossi raccolti nel consueto chignon. 

Una donna unica, Mina. Per il trucco cosi' mercato da diventare iconico, per gli abiti che la rendono particolarmente sensuale tra paillettes e spacchi, per la gestualita' da femme fatale. 

La contrapposizione con Milva, la Pantera di Goro, le scivola sulla pelle. E' oltre, Mina. Oltre tutto e tutti. Oltre il Festival di Sanremo, oltre Canzonissima, oltre Studio Uno. Oltre e basta

Anche la vita sentimentale della signora Anna Maria Mazzini e' stata particolare. 

Dalla relazione con Corrado Pani, nel 1963 e' nato il primogenito Massimiliano, dal matrimonio con il giornalista Virgilio Crocco e' nata Benedetta, nel 1971. 

Ultimo colpo di fulmine con Eugenio Quaini, con il quale si e' sposata nel 2006. 

Amori intensi e fugaci, tutti avvolti in quell'alone di mistero che oggi chiameremmo privacy estrema.

 Gli ottant'anni di Mina sono un punto ma nessuno si sogna di andare a capo. 

Il suo ultimo lavoro, il disco con Ivano Fossati, ha riscosso il solito, enorme successo. Si chiama 'Mina-Fossati'. Undici brani, il primo si intitola 'L'infinto di stelle': forse non e' un caso. E, comunque, auguri.