22/01/23
La forza di un racconto: "Open" di Andre Agassi
12/09/22
E' morto il grande Javier Marìas. Il ricordo
Si è spento ieri sera, alla soglia dei 71 anni, il grande Javier Marìas, uno degli scrittori più importanti degli ultimi decenni.
04/07/22
Sembra incredibile, ma al funerale di Elsa Morante, la più grande scrittrice italiana, a Roma, non ci furono più di 20 persone.
Sembra davvero incredibile il disinteresse che il nostro paese dimostrò per gli ultimi anni vissuti da uno dei suoi più grandi scrittori, Elsa Morante, che a Roma morì, il 25 novembre 1985, a settantatré anni.
Come si sa, l'ultimo romanzo di Elsa Morante fu Aracoeli, pubblicato sempre da Einaudi nel 1982, per il quale, nel 1984, ottenne il Prix Médicis, uno dei più prestigiosi premi francesi.
Poco prima della fine della stesura del romanzo, la Morante, cadendo, si era procurata una frattura al femore, che la costrinse lungamente a letto.
Ma dopo l'uscita del libro scoprì anche di essere gravemente ammalata; tentò il suicidio nel 1983, ma fu salvata in extremis dalla sua governante, Lucia Mansi.
Ricoverata in clinica, fu sottoposta a una complessa operazione chirurgica, che però non le giovò molto. Morì nel 1985 a seguito di un infarto.
Come ricorda l'editore Livio Garzanti per i funerali, alla chiesa di piazza del Popolo, qualche giorno dopo, c’erano meno di venti persone. "Ultimo, sbarcò da un’automobile Moravia (che la Morante aveva spostato nel 1941, ndr.), elegante, accompagnato dalla nuova giovanissima Carmen Llera. Un tic nervoso gli scuoteva le spalle in controcampo con la sua zoppia."
Un funerale del tutto indegno, per una scrittrice e una intellettuale quale fu la Morante, che ha lasciato un segno indelebile nel Novecento italiano.
Di quel funerale nemmeno si trovano testimonianze fotografiche in rete. Nemmeno una.
Questo invece è il corsivo che scrisse Laura Laurenzi, giornalista di Repubblica, il giorno dopo:
Piangono tutti, gli amici più cari; gli altri invece, molti altri, sembrano essere venuti soltanto per guardare. Piange Lucia, spezzata dal dolore, la vecchia governante che due anni e mezzo fa strappò Elsa al suicidio, piange e si raccomanda che le belle piante di limone e di mandarino che ornano il feretro non vadano perdute. Piange la sorella Maria, dal viso forte e sereno, piange Carlo Cecchi, l' amico più caro, con gli occhi cerchiati e un' aria smarrita. Natalia Ginzburg è immobile nel dolore, cupa e severa, sottobraccio alla figlia Alessandra, anche lei commossa. Ed è commossa, il viso rigato di lacrime, l' infermiera di Villa Margherita che ha seguito giorno per giorno la lunga agonìa e racconta di sofferenze tremende, e di urla spaventose durante la notte.
A Makarousse, il bambino libico di nove anni vicino di stanza della Morante e condannato da un cancro, l' ultimo amico profondo della scrittrice, nessuno ha avuto il coraggio di spiegare che Elsa è morta, non c' è più. "Ci domanda continuamente di lei - racconta l' infermiera -. Per ora gli abbiamo detto che è stata trasferita in un' altra clinica".
Piange, mescolata ai colleghi, anche la fororeporter Antonia Cesareo, amica anni fa della Morante ("Fu Elsa, insistendo, a convincermi che dovevo assolutamente fare un figlio"), piange e non riesce a scattare fotografie. La chiesa è quella di Santa Maria del Popolo, parrocchia della Morante, la chiesa degli splendidi Caravaggio amata da tanti scrittori e dove furono celebrati anche i funerali di Gadda.
Più che un funerale Elsa Morante avrebbe voluto una festa: lo disse in una delle sue ultime interviste. Una festa, tutti felici, e musiche di Mozart, di Bach e del primo Bob Dylan. L' hanno accontentata soltanto su Bach: "Per gli altri autori era troppo complicato, bisognava forse usare dei dischi", spiega Dacia Maraini, venuta prima degli altri per curare le musiche del rito. L' organista suona dunque la Passione secondo Matteo, come aveva espressamente chiesto la Morante, e alcuni dei Preludi Corali, per primo "Cristo giaceva nelle catene della morte".
Moravia, pallidissimo, il volto contratto, si fa strada fra una siepe di fotografi. Lui e la sua nuova compagna Carmen Lhera arrivano insieme ma entrano separati, e si fermano in fondo alla chiesa, al quart' ultimo banco, mentre tutti i parenti e gli amici più stretti, microcosmo quotidiano delle ultime sofferenze, sono accanto alla bara, nel primo banco di destra.
Soltanto due i cuscini di fiori. Uno dice "i cugini Morante", l' altro "il condominio di via dell' Oca". Una bimba depone un mazzo di margherite sulla bara. C' è anche Claudia Cardinale, un piccolo tailleur grigio, i capelli legati, senza trucco, quasi non riuscisse a togliersi di dosso il personaggio spoglio e sofferente di Ida Ramundo, la protagonista della Storia che sta interpretando sul set.
Ma Elsa Morante era religiosa? Avrebbe voluto tutto questo? "Sì, credeva in Dio - spiega la sorella -, anche se la sua religiosità non era certo chiesastica, ma tutta spirituale".
All' uscita del feretro sulla piazza un applauso, prima incerto, come imbarazzato, poi lungo e commosso, che suona come un grazie. Nella folla che riempie la chiesa e il sagrato, fra gli altri, l' anziano poeta Attilio Bertolucci ("Ci frequentammo tanto negli anni 50, fui io a presentarle Pierpaolo Pasolini"), Giorgio Bassani amico di quei tempi, Cesare Zavattini.
Nessun uomo politico, non un ministro.
Elsa Morante, per suo stesso volere, concluse le formalità burocratiche, sarà cremata.
03/12/21
Libro del Giorno: "Crossroads" di Jonathan Franzen
Appena terminata l'ultima pagina, con un finale così sospeso che non trova altra giustificazione che nel fatto dell'essere Crossroads, la prima parte di una trilogia, un fiume narrativo che continuerà nei prossimi due romanzi, ci si scopre ammirati e sollevati: Franzen è tornato. E' tornato, cioè, dopo il gran brutto inciampo di Purity, quello che conoscevamo e che aveva incantato con Correzioni, e con Libertà.
Ed è tornato ancora meglio, al punto che Crossroads, il suo sesto romanzo può forse essere considerato il suo migliore.
Pubblicato due mesi fa in America, Crossroads è una saga familiare ambientata negli anni '70 e incentrata sulla famiglia Hildebrandt nella piccola città immaginaria di New Prospect, nell'Illinois. Come detto, il romanzo è il primo volume di una trilogia progettata intitolata A Key to All Mythologies, che Franzen intende come l'abbraccio di tre generazioni e che ripercorre la vita interiore della nostra cultura fino ai giorni nostri".
Crossroads segue le vicende di Russ e Marion Hildebrandt, il cui matrimonio è vicino al collasso, e i loro quattro figli, Clem, Becky, Perry e Judson.
Ogni capitolo è raccontato dal punto di vista di uno degli Hildebrandt, e la maggior parte è ambientata nella fittizia New Prospect Township della periferia di Chicago.
La prima sezione, intitolata Avvento, si svolge nell'inverno del 1971. Russ, ministro associato della First Reformed Church, flirta con una giovane vedova, Frances Cottrell, odiando il carismatico Rick Ambrose. Russ è stato infatti costretto a lasciare Crossroads, il popolare gruppo giovanile che ha fondato nella sua Chiesa, a favore dello stile di leadership più popolare – e meno liturgico – di Rick.
I due figli di Russ, Perry e Becky si sono recentemente uniti a Crossroads, con molti problemi: . Perry ha deciso di smettere di spacciare erba e diventare una persona migliore. Becky, una popolare cheerleader, diffida di Perry, anche se è vicina a suo fratello maggiore, Clem. Si è anche scontrata con i suoi genitori per un'eredità di 13.000 dollari da sua zia Shirley.
Nel frattempo, Marion sta frequentando di nascosto sessioni di terapia, in cui racconta episodi traumatici del suo passato, tra cui una relazione con un uomo sposato di nome Bradley e un crollo psichiatrico. Questi episodi sono avvenuti a Los Angeles poco prima che incontrasse Russ, e lei li ha nascosti alla sua famiglia, nonostante la sua preoccupazione per la stabilità mentale di Perry.
La seconda sezione, Pasqua, inizia nella primavera del 1972. Crossroads compie il suo viaggio di servizio annuale in Arizona , dove Russ ha legami con la comunità Navajo che risalgono al suo servizio alternativo in Arizona come obiettore di coscienza durante la seconda guerra mondiale.
Da qui si dipaneranno una serie di conseguenze impreviste e anche drammatiche.
Il libro termina nel marzo 1974, quando Clem torna a New Prospect per riunirsi con Becky.
Franzen ha iniziato a scrivere Crossroads all'inizio del 2018, e ha finito di scriverlo durante i primi quattro mesi della pandemia di COVID-19 nel 2020, dichiarando che durante la stesura di Crossroads ha deciso di abbracciare pienamente il suo ruolo di "romanziere di caratteri e di psicologia", limitandosi cioè "una rigorosa narrativa realista", e in questo senso il progetto differisce dai suoi romanzi precedenti.
Il progetto nasce dalla concezione di Franzen di un singolo personaggio, ispirato da una nuova conoscenza che – come Russ in Crossroads – aveva un background mennonita.
Il romanzo è anche molto autobiografico: da adolescente, Franzen apparteneva a un gruppo di giovani della chiesa chiamato Fellowship, che è l'oggetto del suo saggio "The Joy Breaks Through" contenuto in "Zona disagio" e che ricorda Crossroads.
Tuttavia, in Crossroads , Franzen ha affrontato la religione principalmente come "un'esperienza emotiva": Non era mia intenzione cosciente, ma penso di aver prodotto un libro che essenzialmente non contiene teologia... Penso che le domande per me siano: sono una brava persona? Cosa posso fare per essere una persona migliore? Non credo che le persone, in generale, dicano: "Voglio essere buono secondo uno standard esterno". Penso che stiano lottando con esso in un modo più personale e specifico.
Alla domanda sul motivo per cui ha scelto di ambientare Crossroads nei primi anni '70, Franzen ha sottolineato lo stretto legame tra religione e movimenti progressisti negli Stati Uniti in quel momento - un tempo, cioè, prima che il cristianesimo fosse decisamente associato alla politica di destra. Era anche interessato alle conseguenze dei diritti civili e dei movimenti contro la guerra e al fatto che "si iniziarono a vedere i primi giovani che erano in realtà più conservatori dei loro genitori".
Franzen ha anche affermato di aver trovato interessante scrivere sul passato, piuttosto che sul presente, durante gli anni dell'amministrazione Trump, a cui sentiva di "non riuscire a dare un senso in tempo reale".
Le mie impressioni di lettura del romanzo, sono confortate dal supplemento letterario del Times, secondo il quale Crossroads è largamente esente dai vizi da cui è stato dedito il lavoro precedente di Franzen: l'attualità consapevole; la raffinatezza dell'esibizione; la pesantezza formale. Conserva molte delle sue virtù familiari: la robusta caratterizzazione; l'escalation della commedia; la padronanza virtuosistica del ritmo narrativo.
I critici hanno particolarmente elogiato il personaggio di Marion, che è stato definito "uno dei gloriosi personaggi della recente narrativa americana".
Quel che è certo è che Crossroads tocca in profondità con le descrizioni di vite che sono (anche) le nostre e tempi che sono (stati) anche i nostri, con un artifizio da Lanterna Magica che li rende ancora più reali del vero.
22/04/21
Libro del Giorno: "Racconti spirituali" - a cura di Armando Bonaiuto con uno scritto di Gabriella Caramore
05/08/20
Libro del Giorno: "Parlarne tra amici" di Sally Rooney
28/07/20
Libro del Giorno: "Padri e figli" di Ivan Turgenev
Introduzione a cura di Franco Cordelli
2014
ET Classici
pp. 264
€ 10,50
ISBN 9788806224134
05/07/20
Poesia della Domenica: "Labirinto" di José Saramago
Traduzione di Fernanda Toriello
da In quest’angolo del tempo,
in:
José Saramago, Le poesie
Einaudi, Torino, 2002
26/02/20
Libro del Giorno: "Sopruso: Istruzioni per l'uso" di Valerio Magrelli
30/06/19
Poesia della Domenica: "Io muto tu sorda" di Michele Mari
Io muto
tu sorda
entrambi ciechi.
Tangibile realtà
dev'essere il mio amore
se alla fine
ci hai sbattuto contro
e ti sei fatta male.
Michele Mari, da 100 poesie d'amore a LadyHawke, Einaudi Editore
10/08/18
Libro del Giorno: "La figlia del Capitano" di Aleksandr Puškin.
02/03/18
Libro del Giorno: "Atlante Occidentale" di Daniele Del Giudice, un grande romanzo da recuperare.
Atlante Occidentale, però, rimane un unicum nella produzione letteraria italiana degli ultimi decenni, qualcosa di completamente diverso rispetto alla medietà delle storie, delle ambientazioni e soprattutto dello stile abituale, soprattutto degli esordienti o post esordienti.
Del Giudice, dunque, nel pieno degli anni '80 dell'effimero italiano, dell'Italia da Bere, dell'edonismo e dei paninari, sfornò un'opera che obbediva sorprendentemente ai canoni delle Lezioni di Calvino: leggerezza (il romanzo si apre addirittura con una lunga scena di volo, durante la quale due aereoleggeri rischiano di scontrarsi), rapidità (soltanto 152 pagine), esattezza (una cura maniacale nella ricerca delle parole) visibilità (è il vero tema del libro, tutto giocato sulla differenza, sul contrasto tra visibile e invisibile), molteplicità (l'utilizzo di uno stile assolutamente originale che utilizza la narrazione al passato e al presente in un continuo alternarsi anche dentro lo stesso capoverso), coerenza (un'opera che si conclude e offre quel che ha da dire, senza perdersi in divagazioni o sviluppi incoerenti).
Una trama apparentemente poco accattivante per il pubblico (di allora come di quello di oggi) e altamente sofisticata: un fisico italiano - Pietro Brahe - impegnato a tempo pieno (notte e giorno) nei complessissimi lavori dell'acceleratore nucleare del CERN di Ginevra e un grande scrittore alla soglia del massimo riconoscimento - Ira Epstein - che ha deciso di non scrivere più ed è interessato alla realizzazione di un Atlante della Luce, l'atlante di una geografia diversa, dove si vede a grandezza naturale ed è legata non solo ai luoghi, ma alle persone.
Incrociatisi per caso sul campo di volo, Brahe e Epstein diventano conoscenti e poi amici sullo sfondo della asettica Svizzera di bianche villette e giardini e cielo bianco e azzurro estivo, e villaggi tranquilli e silenziosi, e lungolaghi eleganti e auto di lusso.
Il dialogo è soprattutto filosofico. Brahe è concentrato a trovare le cose che non si vedono: a trovare le tracce di sfuggentissime particelle subatomiche nel grande anello dell'acceleratore; Epstein è invece interessato a capire come si formano le cose che lui vede nella sua mente e che sono già vere, prima di divenire parole.
Lunghe dispute avvengono dunque su questo sfondo argomentativo, mentre si affiancano altri personaggi: l'assistente di Epstein, Gilda; il collega e sodale di Pietro, il tedesco Rudiger, il capoprogetto Mark.
E' un romanzo fatto di attesa e di tempi sospesi, dove nulla di reale sembra succedere veramente. Dove, come si rivela nelle ultime pagine, ciò che conta è l'esistenza di un sentimento che dà forma alle parole e che allo stesso tempo prende forma dalle parole stesse.
Il virtuosismo di Del Giudice, mai fine a se stesso, è tale, che nell'epilogo del libro, si può mettere in bocca ad Epstein una descrizione di fuochi d'artificio (a cui assistono i due protagonisti) lunga 7 pagine.
Dopo molti anni, il romanzo di Del Giudice conferma la sua grande novità, mantenendo intatto il suo fascino enigmatico (in fondo anche profetico viste le incredibili sorprese che l'acceleratore Large Hadron Collider ha portato negli ultimi tempi con la scoperta del Bosone di Higgs) e accresce il rammarico che l'opera di questo autore non abbia potuto dispiegarsi completamente.
Un romanzo sui generis, in controtendenza rispetto al gusto comune e non facile, ma strettamente rigoroso, in termini, lingua e contenuti.
Che segna la distanza temporale dall'oggi se non altro per la constatazione che un romanzo come questo, nella Italia di oggi, non troverebbe mai un editore disposto a pubblicarlo.
Daniele Del Giudice
Atlante occidentale
1985-2009
Einaudi Scrittori
pp. 178 € 11,00
Fabrizio Falconi
- riproduzione riservata 2018.
14/03/17
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04/01/15
La poesia della domenica - "Anna Snegina" di Sergej Esenin.
Ed eccomi di nuovo in viaggio
nella notturna bruma di giugno.
Garrulo come il carro
non forte non piano, come una volta.
La strada è abbastanza buona,
placido è il tinnire della pianura.
La luna di nevischio dorato
ha cosparso la lontananza dei villaggi.
Balenano cappelle, pozzo,
recinti e siepi.
E il cuore batte come un tempo
come batteva nei giorni lontani.
Di nuovo sono al mulino...
L'abetaia
è cosparsa di candele di lucciole.
...
"Ora con molto piacere
ti consegnerò un dono"
"Un dono?"
"No...
semplicemente una letterina.
Ma non avere fretta, caro!
Quasi due mesi e più
l'ho portata con me dalla posta."
...
"Anch'io come lei sono viva.
Così spesso sogno il recinto,
il cancelletto e le sue parole.
Ora sono lontano da lei..
In Russia ora è l'aprile.
E di lanugine blu
la betulla è coperta e l'abete.
Con la pelliccia di montone
vado come un tempo al mio fienile.
Vado per il giardino lussureggiante,
il vaso sfiora il lillà.
Così cara ai miei sguardi accesi
la siepe incurvata.
Un tempo a quel cancelletto
avevo sedici anni.
E una fanciulla in bianca mantellina
mi disse dolcemente: "No!".
Lontani cari anni!...
Quell'immagine in me non s'è spenta.
Tutti noi in quegli anni abbiamo amato,
ma, certo,
hanno amato anche noi.
Sergej Esenin, estratto da Anna Snegina, gennaio 1925 Batùm, edizioni Einaudi collezione di poesia, Torino 1976, traduzione di Iginio De Luca.
31/08/14
Lettura della domenica: "Ogni storia d'amore è potenzialmente una storia di sofferenza" (Julian Barnes).
Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere coi piedi per terra, eppure - e perciò - aspiriamo a elevarci.
Da spettatori terragni quali siamo, qualche volta ci è dato di raggiungere gli dèi. Alcuni di noi lo fanno attraverso l'arte, altri con la religione; nove su dieci, con l'amore.
Ma se è vero che possiamo elevarci, allo stesso modo rischiamo di precipitare. Non sono molti gli atterraggi morbidi. Ci può succedere di rimbalzare sulla terra, trascinati da una violenza spaccaossa che abbatte lungo una linea ferroviaria straniera.
Ogni storia d'amore è potenzialmente una storia di sofferenza. Se non subito, in un secondo tempo. Se non per l'uno, per l'altro. Per tutti e due, qualche volta.
Ma allora perché non facciamo che ambire all'amore ? Perché l'amore è il punto di incontro fra verità e prodigio. Verità come nella fotografia; prodigio, come nel volo aerostatico.
Julian Barnes, Livelli di Vita, traduzione di Susanna Basso, Einaudi 2013, pag. 38 e 39.