A metà degli anni '80 c'erano ancora in giro produttori discografici, in Italia, capaci di sfidare le regole del mercato e di proporre prodotti di alta o altissima qualità, capaci di coniugare la sperimentazione con la musica vera.
A noi giornalisti musicali dell'epoca sembrò un vero azzardo, ai limiti dell'incoscenza, quando fummo convocati nella sede della Polydor a Roma, per la conferenza stampa di un nuovo disco di Angelo Branduardi, che costituiva una scommessa per il suo produttore David Zard, impresario e produttore di origini libiche, il quale negli anni '70 '80 e '90 dettò legge per l'organizzazione dei concerti in Italia.
David, insieme al fratello Dory (che era il produttore artistico di questo disco), nel giugno 1967 era stato costretto a lasciare la Libia per motivi razziali, in quanto di famiglia ebraica.
Trasferitosi a Roma con la famiglia, ai primi degli anni '70 aveva cominciato a lavorare nel mondo dello spettacolo, diventando promoter dei più grandi eventi che in quegli anni si svolsero in Italia, compresi i concerti di Aretha Franklin e dei Led Zeppelin.
Da sempre estimatore di Branduardi, Zard aveva stavolta deciso di produrgli (con la sua etichetta "Musiza" - ovvero "Musica - Zard") un album che non aveva nessuna velleità di vendite popolari, non contenendo nessun possibile hit, nessuna "Fiera dell'Est" o "Cogli la prima mela."
Branduardi, cresciuto nell'ambiente della musica colta, e grande conoscitore di poesia (anni prima aveva per esempio realizzato una versione fantastica di "Confessioni di un malandrino" di Sergej Esenin) e di letteratura, aveva con la moglie Luisa Zappa, trasformato in canzoni, adattandole in musica, alcune meravigliose poesie di William Butler Yeats.
Per l'esattezza: I cigni di Coole (The Wild Swans at Coole); Il cappello a sonagli (The Cap and Bells); La canzone di Aengus il vagabondo (The Song of Wandering Aengus); Il mantello, la barca e le scarpe (The Cloak, the Boat and the Shoes) A una bambina che danza nel vento (To a Child Dancing in the Wind); Il violinista di Dooney (The Fiddler of Dooney); Quando tu sarai... (When you are Old); Un aviatore irlandese prevede la sua morte (An Irish Airman Forsees his Death); Nel giardino dei salici (Down to the Salley Gardens) Innisfree, l'isola sul lago (The Lake Isle of Innisfree).
Si tratta di 10 veri gioielli, per un progetto che fu all'epoca approvato personalmente da Michael e Ann Yeats, i figli del grande poeta.
Il nono album di Branduardi uscì conquistandosi una ristretta cerchia di fedelissimi che ancora oggi tengono da parte e venerano questo piccolo capolavoro della musica italiana.
Tutte le musiche sono firmate dallo stesso Branduardi con l'eccezione di La canzone di Aengus il vagabondo, la cui musica è scritta da Donovan.
Angelo Branduardi, come sua abitudine, suonò quasi tutti gli strumenti da solo (chitarra, violino, violino baritono, voce, cori, flauto) insieme al fidato Maurizio Fabrizio e a Josè De Ribamar "Papete" alle percussioni.
Altri tempi, dunque, che hanno lasciato però tracce molto profonde.
Come per molti artisti, il padre ha avuto una notevole importanza nella formazione di Francesco De Gregori, che si scopre anche dall'ascolto di alcune sue (celebri) canzoni.
Francesco De Gregori è nato nel 1951, dal matrimonio fra il bibliotecario Giorgio e l'insegnante di lettere Rita Grechi, e come raccontano le cronache, il nuovo arrivato ricevette il nome di Francesco in memoria di suo zio, ufficiale degli Alpini e successivamente partigiano vicecomandante delle Brigate Osoppo, ucciso a Porzûs nel 1945 dai partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi.
E' a causa della professione del padre, che il giovane Francesco crebbe a Pescara fino circa ai dieci anni per poi tornare a Roma, dove frequentò il liceo classico Virgilio.
Il 1966 è un anno cruciale per il quindicenne Francesco: insieme a suo padre e a suo fratello Luigi, di sette anni più anziano, si reca a Firenze per prestare soccorso alla popolazione colpita dall'alluvione. E in quello stesso anno, decide di imparare a suonare la chitarra.
Ma chi era il padre di De Gregori? Certamente nella formazione di Francesco, hanno avuto la massima importanza le radici "umaniste" di lui e della moglie, Rita Grechi.
Giorgio De Gregori era nato a Roma il 25 settembre 1913. Laureatosi in lettere, entrò in servizio come bibliotecario aggiunto nelle biblioteche governative nel 1937, a soli 24 anni, presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze.
Trasferito nel 1942 a Roma, ma chiamato alle armi dopo pochi mesi, sul fronte francese, rientrò in Italia dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e fu comandato a prestare servizio fino alla fine della guerra presso la Direzione generale delle accademie e biblioteche a Padova.
Dopo la Liberazione rientrò in servizio alla Biblioteca di archeologia e storia dell'arte di Roma, con la responsabilità anche della custodia del materiale delle biblioteche tedesche in Roma.
Dal 1952 in poi Giorgio De Gregori rivestì molti e importanti incarichi che lo portarono ai vertici dell'AIB, l'Associazione delle Biblioteche Italiane, di cui fu segretario per molti anni.
Giorgio De Gregori, che è morto a Roma il 30 giugno 2003, era dunque un vero studioso, un intellettuale ed è immaginabile l'importanza che i libri - e l'amore per i libri - abbiano rivestito nella stessa educazione del futuro cantautore.
Francesco, dal canto suo, ha ripetutamente omaggiato il padre con accenni presenti in diverse delle sue canzoni e soprattutto in una canzone che gli ha interamente dedicato: "Tutto più chiaro che qui", contenuta nell'album "Canzoni d'Amore" pubblicato nel 1992. A tal proposito il cantautore romano dirà:
"Non era un Grande Vecchio. Era mio padre, Era lui che faceva il bagno nel Tevere. Canottiere negli anni Venti; grande uomo. Aveva visto tutto".
Ed è una canzone sempre bellissima da riascoltare: qui sotto
Pioggia e sole Cambiano La faccia alle persone Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano E tornano E non la smettono mai Sempre e per sempre tu Ricordati Dovunque sei Se mi cercherai Sempre e per sempre Dalla stessa parte mi troverai
Ho visto gente andare, perdersi e tornare E perdersi ancora E tendere la mano a mani vuote E con le stesse scarpe camminare Per diverse strade O con diverse scarpe Su una strada sola
Tu non credere Se qualcuno ti dirà Che non sono più lo stesso ormai Pioggia e sole abbaiano e mordono Ma lasciano Lasciano il tempo che trovano E il vero amore può Nascondersi Confondersi Ma non può perdersi mai Sempre e per sempre Dalla stessa parte mi troverai
Sempre e per sempre Dalla stessa parte mi troverai
Fabrizio De Andre' in barca a
Carloforte insieme al fido Mauro Pagani per cercare il vero
genovese antico e trarre ispirazione e spunti per comporre il
suo capolavoro Creuza de ma'.
Una cartolina di una quarantina di
anni fa.
Un passato collegato con il presente.
Faber non c'e'
piu', ma a Pagani, suo stretto collaboratore, sara' consegnato il
premio Isole del cinema per la musica.
L'appuntamento e' per il
14 settembre a Carloforte, l'isola della fiction di Gianni
Morandi sulla costa sud occidentale della Sardegna, enclave
culturale e linguistica genovese, durante il Festival, ormai
giunto alla dodicesima edizione, che prende il nome da
quell'album che ha segnato una svolta nella musica italiana:
Creuza de má.
Proiezioni di film e documentari, concerti,
incontri, masterclass e tanto altro, tutto all'insegna della
musica per il cinema: saranno gli ingredienti dell'evento ideato
e diretto dal regista Gianfranco Cabiddu e organizzato
dall'associazione Backstage in programma a Carloforte dall'11 al
16 settembre.
Con una coda a Cagliari dall'1 al 4 novembre.
Molto
importante perche' sara' l'occasione per riaprire uno storico
teatro cittadino, il Nanni Loy.
Gli spazi degli spettacoli?
Cinema e parco. Ma anche una caletta in riva al mare alla quale
si accede proprio attraversando un "Creuza de má", un sentierino
che porta alla spiaggia. Molto Sessantotto e molte donne nel
programma.
In occasione del cinquantenario della rivolta
giovanile, il Festival vuole ricordare quegli anni attraverso il
ciclo di proiezioni intitolato '68 Memories, a cura di Enzo
Gentile, firma autorevole del giornalismo musicale, incentrato
su quei film e sulle musiche che hanno segnato un modo nuovo di
concepire la colonna sonora: da "Woodstock - Tre giorni di pace,
amore e musica" a "Easy Rider", da "Zabriskie point" a "Fragole
e sangue" a "Cinque pezzi facili".
Creuza de má dedica poi una
particolare attenzione alle opere recenti di cinque registe
italiane. "Intendiamo cosi' esplorare il cinema, la musica e il
suono per il cinema, attraverso le sensibilita' e lo sguardo al
femminile, come 'altra sensibilita'', non in contrapposizione ma
in concorso con quello maschile", sottolinea il direttore
artistico Cabiddu.
"I film presentati ci aiuteranno a leggere la contemporaneita'
attraverso storie, narrazioni, e i suoni e le musiche,
ricollegandoci per assonanza e per omaggio al '68 dove tutto
ebbe idealmente inizio - sottolinea il regista - Un
appassionante viaggio: alla musica e al cinema, il compito di
esaltare la forza utopica e vivificante della poesia e
dell'immaginazione, la possibilita' di liberare il pensiero
creativo, di divulgarlo e di condividerlo con un pubblico sempre
piu' vasto ed esigente".
L'anello ideale di congiunzione musicale e tematica con il
'68 sara' proprio il film d'apertura, "Nico, 1988" di Susanna
Nicchiarelli (con le musiche del gruppo Gatto Ciliegia contro il
Grande Freddo), opera pluripremiata che racconta gli ultimi anni
di vita di Christa Päffgen, in arte Nico, cantante dei Velvet
Underground.
Il testo, nella sua disarmante semplicità, si presta ad essere interpretato - nonostante le reali intenzioni di De Gregori, note soltanto ai poeti - come un piccolo trattato teologico-poetico.
Se L'angelo degregorianonon è soltanto una persona in carne e ossa, metaforizzato sotto forma divina, questa creatura che compare nel testo e nelle note del brano ha tutte le fattispecie di un essere trascendente che nessuno può vedere.
Anche se nessuno può vedere, questo Angelo però fa segno di tacere. Dunque, pur essendo invisibile agli altri, è visibile al poeta, così come è a chiunque egli si manifesti, nello scorrere della vita quotidiana.
E' dunque una presenza-assenza. Ma cosa vuole, esattamente questo angelo ?
Il suo scopo - come la sua essenza - è misterioso. Egli infatti è venuto per sciogliere (e non per legare, né per spezzare). Se tra sciogliere e legare la differenza è evidente, molto più sottile è quella tra sciogliere e spezzare. Questo Angelo dunque non vuole legare (ricordiamo che legare è nell'etimo stesso della parola religione: re-ligo). Non vuole asservire sotto forma di dogmi, e non vuole spezzare, quindi creare fratture, dividere. Egli vuole semmai sciogliere. Lemma dolcissimo il cui significato è appunto quello di liberare, di togliere da impaccio, di rendere possibile il volo.
Questa creatura invisibile cioè, non si impone, non chiede e pretende ma lascia, scioglie: lascia passare. E fa segno di andare. Vuole quindi lasciare libero il cammino. Indica perfino la direzione, rassicura, sorveglia da lontano, guida.
L'angelo è dunque una presenza amica, che offre da bere, che è solidale e che intrattiene.
Poco più avanti però, il testo sembra suggerire che la presenza dell'Angelo non è soltanto esteriore, non vuole soltanto apparire e scomparire. Non è venuto soltanto per indicare o seguire. No, c'è qualcosa di più: l'Angelo è venuto anche a prendere qualcosa. Prendere, appunto. Non rubare. Non vuole prendere senza il tuo consenso, non vuole sottrarre come un ladro, non vuole approfittarsi. Vuole da te qualcosa e chiede di non spaventarti. Proprio perché non è un ladro egli non si approfitterà di te, e non vuole fare del male. Quello che prenderà da te, è per il tuo bene. E' in un certo senso, anzi, il migliore complemento di te. E questo Angelo, proprio come una presenza amica, andrà via con la parte migliore di te. Una parte santificata dalla generosità (dall'amore e dall'amicizia) e vivificata con il vino, la pianta che fermenta e che nutre e che rende degna la vita di essere vissuta.
Fabrizio Falconi
*
Passa l'angelo passa l'angelo
E nessuno può vedere
Passa l'angelo passa l'angelo
E fa segno di tacere.
E dice sono venuto a sciogliere
E non a legare
Sono venuto a sciogliere
E non a spezzare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti fa segno di andare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti lascia passare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E finisce il bicchiere
E dice sono venuto a prendere
E non a rubare
Sono venuto a prendere
E non a rubare
E dice non devi piangere
E non ti devi spaventare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E nessuno può vedere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E fa segno di tacere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
*