LETTERA A SIMONE WEIL SULLA PRIMAVERA, L'ATTENZIONE E LA GRAZIA
di Roberta De Monticelli
Premessa. Molti ricordano la bellissima apertura della poesia La porta :
Ouvrez donc la porte, et nous verrons les vergers
Io ho immaginato che quella porta sbarrata – il mondo stesso, secondo una pagina
weiliana – si trovasse qui, e che qui avvenisse il nostro incontro.
Solo, lei oltre quella
porta, oltre il muro che ho sognato correre tutto intorno a questo giardino – e io al di
qua della porta e del muro.
E mentre mi studiavo invano di articolare in poche frasi le
mille domande che ora, in sogno, finalmente mi era dato farle, un ritmo che non ha la
luce del suo verso ma forse appena un po’ dell’aria di questa primavera, mi ha presa
per mano, e mi ha aiutato a rompere il ghiaccio, cominciando con una piccola
canzone.
Quando il verde nuovissimo respira
e primavera oscilla alta sui muri
che cingono il giardino,
e l’aria è pura
luce di vento,
amica
ardua di grazia,
noi
parliamo camminando
lungo il muro
dalla curva dolcissima,
che gira
cerchia su cerchia, intorno a dove sei :
tu – dentro, oltre la porta, io
qui fuori,
lungo questo marciapiede
dove i miei passi
hanno un suono d’argento
come le tue parole, anima viva :
tu – già fuori dal tempo,
io camminando ancora ;
di qua e di là dal muro,
fianco a fianco
eppure tu nel vero
e io nel mezzo, la faccia al futuro.
Tu, amica, fosti accolta
oltre la porta chiusa
del mondo.
Antica Kore
rapita a primavera, tu sei morta :
eppure batte così forte il cuore
oltre la porta chiusa,
così alta si leva la parola
ch’io non so più
chi sia
il dio rapace e l’anima rapita
- così alta si leva e così nera
che più non so
se sia
orma, ombra, o ala.
Ascolto, e non so quanto mi separa
dal tuo profilo bruno :
sette cerchia di mura
o questa lama
questa ferita tua vicina al sole.[1]
Quando il verde nuovissimo respira
e primavera oscilla alta sui muri
che circondano dio
ascolto
e attendo anch’io, signora,
maestra d’armi, pulzella e guerriera :
attendo fuori dalla porta chiusa
l’ultima fioritura
- la grazia del tuo riso di ragazza.
Non è per nulla facile, Simone, « far buon uso » - come diresti tu – di questo po’ di
carta bianca che mi è concessa per discorrere con te.
In questa sorta di piccolo Eliso
dove ti immagino ospite, almeno a primavera – se anche l’eternità, come spero, ha le
sue stagioni.
Non è facile, ancora meno che «far buon uso » del silenzio, al quale per sua
vocazione la tua parola ci affida, al quale anzi la tua lingua mirabile ci apre,
letteralmente, fendendoci la mente come una spada affilatissima.
Non è facile parlare
di te, ma soprattutto non è facile parlarti. Non solo perché si preferirebbe continuare
ad ascoltarti, con larghe orecchie bianche come pagine. Ma perché con le tue parole è
come se sprofondasse in noi, tratto a fondo da loro, quell’io che viene in superficie
precisamente nell’atto presente di enunciarsi, nell’atto di parola.
In questo senso è
come se le tue parole non ammettessero replica o risposta, perché tu subito scompari
da loro e inviti a scomparire l’io che le accoglie.
Parlare è voler dire, dunque volere, e
agire : rinunciare all’attesa e all’attenzione. Parlare è apparire. E’ ricrearsi, non «
decrearsi ».
Di più. Conversare è forse per sua essenza cercare un legame – fra il tu e l’io, fra l’io
e il fondo, fra il presente e il vero, fra il tempo e l’eterno. Conversare è cercare una
connivenza fra tutte queste cose…. Ma a me pare che la tua parola sia venuta per
dividere, come una spada, tutte queste cose.
L’io penso e il fondo, il presente e il
vero, il tempo e l’eterno. Più in generale, a me pare, la tua parola è una spada che
divide l’apparenza dall’essenza, il fenomeno dalla realtà.
Tu stessa lo dici da qualche parte. E’ questa, in definitiva, l’opera di verità propria di
quello che tu chiami malheur. La cognizione del dolore – non trovo approssimazione
migliore al senso di quella parola – consiste in questo acquisto di realtà a spese
dell’apparenza, che ne viene strappata via, pura illusione.
« L’apparence colle à l’être
et seule la douleur peut les arracher l’une de l’autre », dici.
Ecco, la tua parola in
questo imita il dolore. E’ in qualche modo dolore che parla, pure splendendo come fa
una spada. E’ tranchante, taglia il fiato a ogni risposta – e anche solo alla speranza
che si fa domanda. E’ l’arma prima del distacco : divide l’anima dalla sua voce, e
invita all’esercizio del silenzio.
Perciò è così difficile, Simone, replicare a quello che tu dici. Eppure.
Questo testo è stato pubblicato per la prima volta da : Lorenzo Gobbi. PUBBLICATO DA LORENZO GOBBIWWW.LATTENZIONE.BLOG.COM