04/08/21
Mogol spiega L'Arcobaleno, la canzone "dettata" dall'aldilà da Lucio Battisti
28/01/16
Senso di colpa e peccato, Cristianesimo e Buddhismo.
11/10/14
Vita oltre la morte: un recente studio da Southampton University.
11/10/12
Il neurochirurgo si risveglia dopo 7 giorni dal coma e racconta "quello che ha visto."
10/08/12
A un filosofo americano 5 milioni di dollari per studiare l'immortalità.
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26/10/11
La morte secondo Steve Jobs. Una riflessione.
Decaduto il principio di fede, persi per strada i cammini iniziatici, disintegrati i dogmi di qualunque tipo, l'uomo occidentale si trova sempre più in bilico tra speranza (cuore) e disperazione (ragione). Tra voglia di affidarsi ad una speranza ultraterrena (Dio) e paura/terrore di un nulla profondo, tra annichilimento e permanenza di ciò che sei stato.
Il tasto on-off al quale si riferisce Jobs è quanto mai simbolico ed in effetti solo ora mi spiego perché le sue meravigliose diavolerie elettroniche non prevedano un tasto di spegnimento, ma solo un eterno stand-by.
Il tasto dell'i-pod switcha e... basterà sfiorare nuovamente l'apparecchio perché la musica desiderata, la storia meravigliosa, torni a srotolarsi nuovamente dal punto in cui era stata interrotta. Riporto qui un estratto dal libretto di istruzioni apple:
Spegnere iPod
Non esiste un vero e proprio tasto Stop (spegnimento) per iPod. iPod può essere messo in pausa e dopo qualche minuto di inattività si spegne da solo, entrando in una fase denominata Sleep, seguita dalla fase Deep Sleep (dopo 36 ore di inattività).
Metafora migliore, nessun mistico sarebbe riuscito a trovarla.
E forse non è un caso che a realizzarla sia stato il 'padrone dei sogni tecnologici', proprio lui.
12/01/11
Hereafter - Un capolavoro spirituale.
Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.
In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.
In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.
La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.
Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.
La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:
pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.
Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.
E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.
E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.
E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).
Ma davvero ?
Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.
Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.
Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.
Fabrizio Falconi
15/10/08
I nostri morti.
Avremmo voluto ancora dire loro qualcosa. Qualcosa che non siamo riusciti. E quella parola ci è rimasta dentro.
Immaginiamo i loro occhi che ci guardano di notte, ci sentiamo sfiorati quando meno ce lo aspettiamo. Li sentiamo mormorare parole indistinte, nella penombra.
I nostri morti si sono dileguati troppo presto. Hanno stabilito un vuoto nelle nostre vite. E qualche volta pensiamo di risolvere quel vuoto, non pensandoci. Invece, quel vuoto è sempre lì. E ogni giorno è sempre più vuoto, sempre più fondo. Nasconderlo, non serve.
I nostri morti ci chiedono di vivere. Hanno nostalgia della vita. Ci chiedono di essere la loro prosecuzione su questa terra che hanno lasciato a fatica. Non soltanto perchè portiamo in giro i loro geni, il loro stesso materiale biologico, che è il nostro. Padri, madri, sorelle, fratelli, figli. Vivono separati da un vetro.
Ci osservano. Ci chiedono di interrompere il nostro insensato incedere di tutti i giorni. Di fermarci ad osservare le nostre vite fatte spesso di niente. Ci chiedono di fare loro spazio. Di non annullarli, di non far finta di niente, di non dimenticarli. Ci chiedono di portarli in giro, di far vedere loro il mondo ancora, e sempre, con occhi nuovi.
Ci proteggono. Ci mandano segnali. Noi non li sentiamo, quando siamo troppo presi, troppo indaffarati o indifferenti. Allora ci chiamano di nuovo, e ci mandano altri segnali. E ci proteggono quando non vogliamo ascoltarli, e siamo in pericolo. Sperano che ci accorgiamo di loro. Sperano che gli parliamo, ancora, e sempre, nel buio, nella pioggia del giorno, nelle giornate che non finiscono mai.
Ci aspettano. Vogliono essere con noi, insieme, nella ultima speranza che contiene ogni mistero, e che ci attende, alla fine di questo viaggio finito.