29/01/23
Un film di puro godimento per le vostre serate: "Amsterdam" di David O. Russell
21/04/22
"L'uomo è un distruttore": La profezia della "Terra Desolata" di Eliot
23/06/21
"Chadzi-Murat" il capolavoro di Tolstoj sulla Guerra, che stregò Ludwig Wittgenstein
Adesso che l'ho finalmente letto - uno dei pochi Tolstoj che ancora mi mancavano - capisco pienamente perché Ludwig Wittgenstein, ai suoi studenti di Cambridge che partivano per la mattanza della Seconda Guerra Mondiale, raccomandava fortemente la lettura di questo breve romanzo e anche che lo portassero con loro in trincea.
14/06/21
Libro del Giorno: "Ludwig Wittgenstein e la Grande Guerra" a cura di Marco De Nicolò, Micaela Latini e Fausto Pellecchia
Che cosa indusse il grande Ludwig Wittgenstein, poco più che ventenne, ad arruolarsi volontario nell'esercito tedesco allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale quando avrebbe tranquillamente potuto evitare la leva considerando che veniva da un doppio intervento di ernia e che proveniva da una delle più potenti e aristocratiche famiglie viennesi dell'epoca? Cosa accadde in quei lunghissimi cinque anni, fino all'armistizio e la prigionia - per sette mesi - in un campo di lavoro nel sud dell'Italia?
Questo libro appena uscito dall'editore Mimesis indaga soprattutto la prigionia di Ludwig Wittgenstein (1889- 1951) a Cassino – catturato il 3 novembre 1918 e giunto nel campo di internamento di Caira nel gennaio 1919 – ma è lo spunto per ripensare le condizioni dei prigionieri di guerra durante il primo conflitto mondiale, ma soprattutto per rileggere quelle pagine che il filosofo austriaco portava con sé, ancora in forma di bozze e di appunti, nel suo zainetto personale e che sarebbero divenute il testo di un libro famoso in tutto il mondo: il Tractatus logico-philosophicus (pubblicato nel 1921), uno dei libri capitali della filosofia.
In questo volume, storici, germanisti e filosofi non solo ricostruiscono la vita di Wittgenstein durante il periodo della prigionia e della Guerra, ma colgono l’occasione per rivisitare un pensiero complesso, che indaga sul senso, sui limiti e sulle potenzialità del linguaggio e dell’esperienza in genere.
Un viaggio assai affascinato, con l'unico difetto di essere costellato di molti refusi ed errori di redazione.
Ludwig Wittgenstein e la grande guerra
Curatore: Marco De Nicolò, Micaela Latini, Fausto Pellecchia
07/06/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 27. "La Grande Guerra" di Mario Monicelli (1959)
Film straordinario, che ebbe e continua ad avere uno straordinario successo all'estero, rappresenta uno dei migliori esempi di sempre del felice connubio di tragedia e commedia che in Italia è stato genericamente chiamato "commedia all'italiana".
In realtà il film non può essere tecnicamente compreso sotto quella definizione: La Grande Guerra è infatti un affresco corale, ironico e struggente che consiste in un grande apologo contro la guerra, muovendo i passi dalla vita di trincea durante la prima guerra mondiale, con le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916, narrate con piglio neorealista e con una maniacale attenzione ai particolari storici.
Monicelli trasse lo spunto per il film da un'idea di Luciano Vincenzoni che si era a sua volta ispirato ad un racconto di Guy de Maupassant, Due amici, affidando la sceneggiatura allo stesso Vicenzoni e ad Age & Scarpelli.
I protagonisti del film sono due soldati, il romano Oreste Jacovacci (Alberto Sordi) e il milanese Giovanni Busacca (Vittorio Gassman) che si incontrano per la prima volta in un distretto militare durante la chiamata alle armi e finiscono sulla stessa tradotta per il fronte, diventando nonostante le rispettive differenze e diffidenze, amici.
Seppure di carattere completamente diverso, i due sempliciotti sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra.
Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti".
Una sera, dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li "trasporta" in territorio nemico.
Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione.
Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico.
Ma proprio quando stanno per concretizzare il loro tradimento, l'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani ridà forza alla loro dignità, portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico (il milanese Busacca) l'altro (Jacovacci), dopo la fucilazione del compagno, fingendo di non essere a conoscenza delle informazioni, finendo così per essere fucilato poco dopo l'amico.
La battaglia si conclude poco tempo dopo, con la vittoria dell'esercito italiano e la riconquista della postazione caduta in mano agli Austriaci, ignorando il sacrificio nobile di Busacca e Iacovacci, ritenuti fuggiaschi, i quali hanno optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali.
Tra i molti film contro la Guerra, questo di Monicelli è probabilmente l'unico ad aver mescolato così sapientemente i toni della tragedia a quelli della farsa: una sorta di Orizzonti di Gloria senza il cinismo, la brutalità e la ferocia morale di Kubrick, e con la levità invece, tutta italiana e universale, di Monicelli, virata ad un atavico pessimismo, al quale fornisce una parziale compensazione solo la scelta di restare umani, con tutte le proprie bassezze o debolezze.
Il film vinse il Leone d'Oro alla Mostra del Cinema di Venezia (ex aequo con il Generale della Rovere di Rossellini) e ottenne la nomination al Miglior Film Straniero, sia al Globo d'Oro sia agli Oscar.
Fabrizio Falconi
La Grande Guerra
di Mario Monicelli
Italia, 1959
Durata: 129 minuti
Con: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Romolo Valli.
10/01/19
L'altare della Patria, tempio massonico.
L’idea di Sacconi infatti fu quella di realizzare una allegoria dell’Italia, per mezzo di una galleria di sculture, bassorilievi, fontane, esedre, mosaici, statue e quadrighe armonizzati in un unico disegno complessivo.
Gran parte del lavoro però fu effettuato sotto la sua guida di Saconi: la prima pietra del futuro monumento fu posta nel 1885. Poi, lentamente, si cominciarono a distruggere e demolire le case della zona adiacente al Campidoglio, abbattendo la torre medievale di papa Paolo iii (1468-1549), Farnese, l’ispiratore del Concilio di Trento, l’Arco di San Marco, un ponte sospeso che metteva in comunicazione Palazzo Venezia con il Campidoglio e i tre meravigliosi chiostri del convento francescano dell’Ara Coeli che furono sacrificati al nuovo monumento.
Durante gli scavi, poi, venne fuori di tutto, come era scontato in quella zona nevralgica dove sorgevano molte delle più rilevanti rovine della Roma antica: gallerie, sotterranei, porzioni di mura serviane, reperti di ogni genere, perfino lo scheletro di un elefante, conservato da chissà quanto tempo.
Tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2017
02/11/18
La strana tribù degli Hemingway, segnata dalla depressione. Un libro.
John Hemingway, nipote del grande scrittore, ricorda cosi' in modo toccante un momento difficile della sua famiglia, riportato nel libro "Unastrana tribu'" (Marlin), presentato giorni fa al Caffe' degli Specchi, 70 anni dopo la visita del nonno in quella città e in quel luogo.
Il libro, pubblicato nel 2007 negli Stati Uniti e da allora uscito in tanti Paesi e in Italia soltanto da pochi mesi, e' un ritratto affettuoso ma impietoso della famiglia Hemingway, segnata da un tratto depressivo che "avrebbe portato mio nonno a subire l'elettrochoc, cosi' come mio padre Gregory, piu' volte - racconta John - Mio padre era bipolare, poi all'eta' di 65 anni circa, ha cambiato sesso. Mia madre era schizofrenica, un mio bisnonno si e' suicidato", precisa ancora.
Insomma, come scrive nell'introduzione del libro Roberto Vitale, "John riesce a mostrare il lato umano e vero di un uomo che ha usato la propria immagine come corazza per proteggersi dalle difficolta' e da quella quotidianita' difficile da affrontare".
Ha avuto il coraggio di "aprire l'armadio di famiglia", come ha detto alla presentazione. Hemingway, uno scrittore che, come ha indicato il docente di Letteratura angloamericana all'Universita' di Trieste Leonardo Buonomo, "con la sua modernita', lo stile monastico e la precisione" ha influenzato "non soltanto la letteratura alta ma anche quella popolare, si pensi ad esempio al noir americano, alla figura del detective di poche parole. E in Italia ancora di piu'".
John oggi vive a Montreal (Canada), ma e' stato a lungo a Milano e conosce bene i luoghi che contribuirono a fare di Ernest uno dei principali scrittori al mondo.
"La guerra combattuta in Italia dove rimase ferito rimanendo miracolosamente vivo, e l'Italia stessa hanno forgiato mio nonno", racconta oggi.
Fonte ANSA