Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.
20/08/23
Perché c'è il male nel mondo? La domanda senza risposta. O forse no.
Molti anni fa, quando nacqui, mio padre e mia madre mi battezzarono. Come avevano fatto i propri genitori con loro e risalendo indietro nel tempo, centinaia di generazioni prima di loro.
05/04/22
Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?
03/10/21
Franzen sul nuovo romanzo Crossroads: "I Vangeli sono un documento politico radicale che la sinistra americana ha completamente dimenticato"
Ci sono dei passaggi nella bella intervista a Jonathan Franzen pubblicata sul Corriere della Sera il 25 settembre scorso e realizzata da Cristina Taglietti a proposito del suo nuovo romanzo Crossroads (Einaudi) tra poco disponibile anche in Italia, nei quali ho trovato, espresso con molta chiarezza, uno dei temi (o dei fenomeni) fondamentali della società contemporanea (o post-contemporanea), che molti intellettuali, anche italiani, hanno finora ignorato.
Franzen spiega la genesi del suo lungo romanzo a partire dallo spunto iniziale: All’origine del romanzo - dice - c’è un gruppo giovanile cristiano, mondo che conoscevo bene. Io stesso ho frequentato la chiesa per 12 anni e come Perry, il figlio di mezzo degli Hildebrandt, conoscevo ogni angolo della chiesa, ogni porta segreta, ogni passaggio, tutti i ministri. Per me è importante partire da ciò che conosco bene, da un luogo in cui mi sento a casa.
Aggiunge poi Franzen:
Può sembrare sciocco, ma per me essere un romanziere non significa scrivere ciò che voglio, ma ciò che so scrivere. Non uso mai il materiale che potrei usare, ma quello che possiedo. Sono un grande fan di Dostoevskij, di Flannery O’Connor, amo l’arte religiosa, la scultura gotica italiana, l’architettura delle chiese romaniche. Per me tutto ciò è commovente anche se non sono credente. Anche questo è un mondo in cui mi sento a casa, non mi interessa tanto mettere al centro le grandi domande dell’esistenza. Diciamo che mi sento come un falegname che costruisce mobili e tutto ciò che ha a disposizione sono i pezzi di legno avanzati dal progetto precedente.
A Cristina Taglietti, che lo intervista, Franzen conferma che Crossroads, il nome del gruppo giovanile che dà il titolo al romanzo, ricorda molto Comunità, il gruppo che lo scrittore ha frequentato da ragazzo e di cui parla in «Zona disagio».
Sì, ne sono stato membro attivo per sei anni. A dire il vero ci andavo più per socializzare, come credo la maggior parte dei ragazzi, ma è stata un’esperienza intensa. Molti dei dettagli del romanzo vengono da lì.
Nel passaggio successivo, Franzen spiega cosa lo ha particolarmente interessato della questione, del fenomeno religioso, di come abbia influito assai diversamente, nel passato e nel presente, nella vita politica occidentale. Negli anni '70 infatti, all'epoca in cui Crossroads si riferisce, la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili.
In seguito le cose sono radicalmente cambiate.
Che cosa si è dimenticato nel tempo? chiede l'intervistatrice.
Che allora la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. Uno dei piaceri di scrivere Crossroads è stato tornare alla Bibbia. Sono andato in chiesa per 12 anni, ho frequentato il catechismo, le funzioni religiose e, anche se non la rileggo da quarant’anni, mi sono reso conto di conoscerla bene. Io non credo ai miracoli, alla trascendenza, ma ci sono storie molto potenti dentro la Bibbia. L’intertestualità, per usare un parolone, mi interessa sempre e scrivere un libro nuovo in qualche modo legato a uno così antico mi piaceva. Negli anni Settanta, nella mia chiesa e soprattutto nei gruppi giovanili, c’era molta attenzione a ciò che Gesù aveva detto, ci si chiedeva che cosa avrebbe pensato della guerra in Vietnam, della segregazione razziale. I Vangeli sono un documento politico molto radicale che rivela il paradosso del cristianesimo: per tutta la storia umana si è creduto che bisogna cercare di essere ricchi e potenti, il Vangelo dice che essere poveri e deboli è il modo di trovare Dio. Oggi questa componente si è quasi completamente persa nella sinistra americana (anche in quella italiana o europea, nota mia). Il primo atto è stato la legalizzazione dell’aborto che ha attivato gli elementi religiosi più conservatori: i cristiani evangelici sono diventati una potente forza politica, hanno sostenuto Reagan e ogni presidente conservatore fin dalla metà degli anni Settanta. E oggi sono così aggressivi che la cristianità si identifica con le loro posizioni aberranti: l’omofobia, l’adorazione per la ricchezza, l’ingerenza in ogni decisione personale delle donne. A Santa Cruz, in California, dove vivo, se dici a un liberal che vai in chiesa si ritrae terrorizzato, meglio dire che adori Satana nel seminterrato.
Parole molto chiare e forti, che dovrebbero far molto riflettere, anche dalle nostre parti.
02/12/20
Uno degli angoli più suggestivi di Roma: San Giovanni in Oleo, duemila anni di storia
San Giovanni in Oleo, la memoria dell’apostolo amato da Gesù
A Roma, si sa, si parla sempre di Pietro e di
Paolo. Ma si ignora spesso l’importante passaggio di quelli che furono gli
altri apostoli di Gesù, a cominciare di quelli più importanti: gli Evangelisti.
Pochi romani saprebbero oggi rispondere alla domanda se risulta un
passaggio a Roma di San Giovanni, l’Evangelista, quello che i Vangeli
definiscono il prediletto da Gesù.
Eppure questa presenza non solo è documentata.
Ma è anche testimoniata da un culto bi-millenario, mai decaduto.
Di Giovanni si ricorda l’attività di predicatore
instancabile, dopo la morte di Gesù, e soprattutto della sua presenza a Patmos,
nell’Egeo, dove scriverà le terribili ed enigmatiche visioni contenute
nell’Apocalisse. Ma tra queste due fasi, Giovanni transitò anche a Roma.
E’ Tertulliano a raccontarci che nell’anno 89
d.C., mentre Giovanni si trovava ad Efeso, si scatenò una nuova ondata di
persecuzioni nei confronti dei cristiani ad opera dell'imperatore Domiziano.
Tertulliano racconta che Giovanni venne arrestato e condotto a Roma, quindi
torturato nei pressi di Porta Latina e infine condannato a morte.
Di lì a poco questa pena però verrà commutata
in quella dell'esilio nell'isola di Patmos.
Sul luogo dove venne sottoposto alla tortura
dell’olio bollente venne costruita la chiesa di San Giovanni in Oleo. Non si tratta anzi, di una vera
e propria chiesa, ma di un piccolissimo oratorio, un tempietto
a pianta ottagonale, che sorge nei pressi della Porta Latina. Nelle forme attuali fu costruito all’inizio
del ‘500 su commissione del vescovo francese Benoit Adam, su un precedente martiryum costruito in epoca
paleocristiana. Il piccolo edificio fu poi restaurato dal grande Borromini nel
1657 per incarico del cardinale Francesco Paolucci che intendeva trasformarlo
in una cappella per la sua potente famiglia.
E’ opportuno riflettere sul fatto che Giovanni, secondo quanto tramandatoci dalle scritture e le fonti antiche fu l’unico degli apostoli che non morì subendo il martirio, ma per morte naturale, in età veneranda.
Anche
in questo senso , egli
occupa dunque un posto a sé nella storia del Cristianesimo. Giovanni,
come abbiamo detto, è il prediletto di Gesù e fratello di Giacomo il Maggiore.
Dopo la resurrezione di Gesù è il primo, insieme a Pietro, a ricevere da Maria
Maddalena l’annuncio del sepolcro vuoto, ed è il primo a giungervi, entrandovi
poi dopo Pietro.
Dopo l’ascesa al cielo di Gesù, gli Atti degli Apostoli ce lo mostrano
accanto a Pietro in occasione della guarigione dello storpio al Tempio di
Gerusalemme e poi nel discorso al Sinedrio, dopo il quale fu catturato e poi
con Pietro incarcerato.
Sempre insieme a Pietro si reca in Samaria.
Nell’anno 53 d.C. Giovanni si trova ancora a Gerusalemme:
Paolo infatti lo nomina (Gal 2, 9) insieme a Pietro e a Giacomo come una delle colonne della Chiesa. Ma verso il 57 Paolo nomina a
Gerusalemme solo Giacomo il Minore:
dunque Giovanni non c’è più, trasferitosi a Efeso,
come concordemente testimoniano le fonti antiche, fra le quali basterà citare,
per tutte, Ireneo (Contro le eresie,
III, 3, 4): La Chiesa di Efeso, che Paolo
fondò e in cui Giovanni rimase fino all’epoca di Traiano, è testimone veritiera
della tradizione degli apostoli. La
permanenza di Giovanni a Efeso, dove scrive il Vangelo (secondo quanto afferma
ancora Ireneo), è interrotta, come le stesse fonti antiche ci dicono, dalla
persecuzione subita sotto Domiziano (imperatore dall’81 al 96), probabilmente
verso l’anno 95. Si innesta qui la tradizione, riportata anche da molti
autori antichi, del
suo viaggio a Roma e della sua condanna a morte in una giara di terracotta
colma di olio bollente, dalla quale l’ormai vecchio apostolo uscì illeso, salvo
dalle bruciature, suscitando lo sconcerto dei suoi aguzzini.
E vediamo qui quali sono le fonti: la fonte più antica che ce ne parla è Tertulliano, intorno all’anno 200 d.C.: Se poi vai in Italia, trovi Roma, da dove possiamo attingere anche noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella Chiesa, alla quale gli apostoli profusero tutta intera la dottrina insieme con il loro sangue, dove Pietro è configurato al Signore nella passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo Giovanni, immerso senza patirne offesa in olio bollente, è condannato all’esilio in un’isola (La prescrizione contro gli eretici, 36).
Un’altra testimonianza è quella di Girolamo, che alla fine del IV secolo
scrive: Giovanni terminò la sua propria vita con
una morte naturale. Ma se si leggono le storie ecclesiastiche apprendiamo che
anch’egli fu messo, a causa della sua testimonianza, in una caldaia d’olio
bollente, da cui uscì, quale atleta, per ricevere la corona di Cristo, e subito
dopo venne relegato nell’isola di Patmos. Vedremo allora che non gli mancò il
coraggio del martirio e che egli bevve il calice della testimonianza, uguale a
quello che bevvero i tre fanciulli nella fornace di fuoco, anche se il
persecutore non fece effondere il suo sangue (Commento al Vangelo secondo Matteo, 20,
22).
Alle antiche fonti cristiane sul martirio di Giovanni a Roma si può poi
aggiungere con buona attendibilità anche l’allusione del pagano Giovenale
(inizi del II secolo), che, nella IV Satira,
critica Domiziano raccontando l’episodio della convocazione del Senato per
decidere che fare di un enorme pesce,
venuto da lontano e portato all’imperatore, che viene destinato a essere cotto
in una profonda padella.
Come
nello stile delle Satire, il pesce
sarebbe appunto Giovanni, il povero pazzo cristiano. E' una ipotesi affascinante frutto dello studio
pubblicato recentemente da una
ricercatrice italiana, Ilaria Ramelli.
Se la ipotesi fosse giusta, ci troveremmo di
fronte alla clamorosa conferma da parte di una fonte pagana, di una lunga
tradizione prima orale e poi scritta, tutta cristiana. Il
che ancora una volta avvalorerebbe la tesi che alla base di testimonianze così
antiche ci sono sempre riscontri reali, storici, effettivi.
17/07/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 36. "Il Vangelo secondo Matteo" di Pierpaolo Pasolini (1964)
Ne rimane subito profondamente colpito, per due motivi principali: «Dal punto di vista religioso, per me, che ho sempre tentato di recuperare al mio laicismo i caratteri della religiosità, valgono due dati ingenuamente ontologici: l’umanità di cristo è spinta da una tale forza interiore, da una tale irriducibile sete di sapere e di verificare il sapere, senza timore per nessuno scandalo e nessuna contraddizione. Inoltre: per me la bellezza è sempre una “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentato nel Vangelo.»
C’è poi il Pasolini marxista che da quindi una lettura più politica del Cristo, ma mai dogmatica, sempre personalissima e aperta ai temi universali dell’uomo: «Seguendo le accelerazioni stilistiche di Matteo alla lettera, la funzionalità barbarico-pratica del suo racconto la figura di Cristo dovrebbe avere, alla fine, la stessa violenza di una resistenza: qualcosa che contraddica radicalmente la vita come si sta configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione.
Il Vangelo doveva essere secondo me un violento richiamo alla borghesia stupidamente lanciata verso un futuro che è la distruzione dell’uomo, degli elementi antropologicamente umani, classici e religiosi dell’uomo.»
E’ interessante vedere come le scelte registiche del film prendano una direzione inaspettata per lo stesso Pasolini, come se la materia sacra lo avesse trascinato verso una direzione diversa da quella che si era prefissato di seguire:
Pasolini però, con grande pudore e rispetto, si ferma nel punto in cui il suo sguardo di ateo e il mezzo cinematografico stesso non possono arrivare: «Io avrei potuto demistificare la reale situazione storica, nei rapporti tra Pilato e Erode, avrei potuto demistificare quella figura di Cristo mitizzato dal romanticismo, dal cattolicesimo della Controriforma, avrei potuto demistificare tutte queste cose, ma poi come avrei potuto demistificare il problema della morte? Cioè il problema che non posso demistificare è quel tanto di profondamente irrazionale, e quindi in qualche modo religioso che è il mistero del mondo. Quello non è demistificabile».
Un film, il film, a mio avviso più straordinariamente fedele - nella sua infedeltà - al racconto dei Vangeli e alla inaudita vicenda della vita del Cristo.
27/06/18
Il più grande Programma politico che sia mai stato scritto.
sono passati 2.000 anni eppure non conosco programma politico più grande di questo.
(Discorso della Montagna, Mt, 5)
27/03/16
La Resurrezione di Grunewald, un quadro meraviglioso e misterioso.
Il mondo che Cristo rende presente attraverso la sua Risurrezione è il mondo della trasparenza, della piena coincidenza del corpo con lo spirito, della loro unità trasfigurata attraverso la vittoria sulla morte. Ciò che i Vangeli non dicono non è rimasto, tuttavia, nella zona dell’ineffabile e dell’invisibile, non era possibile. La storia del cristianesimo è anche una storia delle forme che riflettono significati che attribuiamo alla Risurrezione.
In questa prospettiva, tra i maestri dell’arte occidentale, Matthias Grünewald (1480-1528) trasmette in modo diverso il mistero della Risurrezione, con un’intensità e una profondità teologale mai raggiunte prima di lui.
Sull’altare di Isenheim la sua singolarità artistica si manifesta pienamente nella rappresentazione del Cristo risorto che non vediamo uscire vittorioso dal sepolcro mentre solleva il vessillo crociato come, per esempio, in Piero della Francesca o in tanti altri.
Sebbene la parte inferiore della tavola conservi la scena tradizionale delle guardie del sepolcro, sorprese dal sonno e terrorizzate da ciò che accade, Grünewald dipinge un Cristo trasfigurato che infilza il “velo” della notte cosmica del silenzio e dell’attesa.
Il suo corpo diffonde la luce interiore della natura divina; è, di fatto, una concentrazione di luce, un «riflesso della divinità», come diceva Gregorio Nazianzeno, che si fa visibile attraverso una creatura trasparente, di una mitezza infinita, la cui vittoria ha il volto eterno dell’amore.
Il potere di Cristo risorto è, nella visione di Grünewald, l’espressione del suo amore che si mostra ai nostri occhi attraverso la manifestazione riconciliata — sotto la forma di una croce che comprende tutto l’universo — dei segni della sofferenza divenuti sorgente di luce.
fonte Osservatore Romano, 4 aprile 2015.
La Resurrezione di Matthias Grünewald (1480-1528) - Trittico dell'altare di Issenheim, particolare
13/01/16
Guénon, Altheim, Evola: La vera rinascita è in inverno, non in primavera. Significato Alchemico del Solstizio d'Inverno.
Questo bellissimo articolo di Visonealchemica.com lo spiega in modo comprensibile ed esauriente.
Continua a leggere qui.
12/09/15
La Visitazione di Pontormo, un quadro assoluto.
Pura intensità.
Elisabetta era sposata con Zaccaria, sacerdote del tempio di Gerusalemme, e quindi della tribù di Levi.
Dopo l'annunciazione e ricevuto lo Spirito Santo, Maria si recò da Nazaret in Galilea a trovare Elisabetta in Giudea, in una città tradizionalmente ritenuta Ain-Karim situata 6 km ad occidente di Gerusalemme.
Quando Maria giunse nella casa di Zaccaria, Elisabetta ebbe la percezione di trovarsi di fronte alla donna che portava in grembo il Cristo, lodando Maria per essere stata degna e disponibile al progetto di Dio.
In risposta alla lode, la Vergine Maria espresse il ringraziamento a Dio attraverso quello che è conosciuto come il "Magnificat" riportato dall'evangelista Luca e denso di reminiscenze bibliche. Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi, cioè fino alla nascita di suo nipote Giovanni, il futuro Battista.
Pontormo ambienta questa scena in una anonima via oscura. In uno spazio imprecisato e metafisico, quattro donne sembrano quasi avvolte in un'unica figura. I loro drappi, di diversi colori, definiscono in primo piano l'incontro tra Maria ed Elisabetta, mentre altre due misteriose donne assistono sullo sfondo con lo sguardo rivolto fissamente all'osservatore del quadro.
L'incrocio delle braccia segue l'incrocio degli sguardi, di una intensità quasi insostenibile.
27/05/15
La Vita è un’Opera d’Arte - Decalogo per vivere.
Se non si vuole sprecare la propria vita terrestre – dal momento che per quel che ne sappiamo, è solo una, ed è anche breve – bisogna essere consapevoli del fatto che Vivere è un’opera d’arte.
E per vivere bene, per vivere una vita degna di essere vissuta – una vita umana – bisogna trattare la propria vita come il compimento di un’opera d’arte. ‘Opera d’arte’ non vuol dire necessariamente la Gioconda, o i fiori di ciliegio di Van Gogh.
L’opera d’arte non dipende dalle dimensioni: è un’opera d’arte il Giudizio Universale, ma lo è anche il centrino fatto ad uncinetto dalla vecchia.
E’ opera d’arte anche il buon vino del vignaio ed è opera d’arte anche la poesia notturna, nascosta in un cassetto.
Ciascuno è chiamato – con la sua vita – a offrire l’opera che può, a seconda del talento che gli è stato dispensato per mistero a noi in-conoscibile, come viene eloquentemente descritto nella celebre parabola evangelica.
Il valore non è nel talento, ma nell’uso che se ne fa. La vita è dunque secondo me un talento dato a tutti. E a tutti sta trasformare questo talento in un’opera d’arte.
Le dieci regole d’oro per trasformare una vita in Opera d’Arte e far sì che essa sia degna di essere vissuta, e sia perciò umana, sono quelle che regolano la creazione di ogni Opera d’Arte:
01/12/14
Il cammello e l'ago. Solo quello che passa, serve.
Un ago è la nostra vita.
Come aghi, siamo strumenti potenzialmente duttili.
La nostra cruna è sufficientemente ampia per lasciar passare qualcosa di sottile e flessibile, ma non abbastanza da accogliere qualcosa di s-misurato, di eccessivo.
La nostra punta ci permette di infilarci, di pungere, di far sanguinare.
Ma anche, meravigliosamente, di cucire, di tenere unito, di stringere in forma permanente.
Una abilità è quel che si richiede per fare dell'ago uno strumento utile. Un senso grossolano è quello che permette all'ago di diventare un oggetto scarno e pericoloso.
Un cammello non passerà mai dalla cruna dell'ago (Mt, 19-24), ma niente che serva veramente (di duraturo e creativo) potrà non passare attraverso quella fessura.
Conoscere i rischi, imparare, essere abili. E' il cammino quasi zen, che la nostra vita continuamente ci ri-chiede.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata
02/05/14
I tiepidi vanno all'inferno.
Vivere così può apparire triste, ma è sicuramente più vantaggioso sotto molti aspetti: si rischia di meno, o non si rischia affatto.
I tiepidi, però, visto che abbiamo parlato di mite disperazione, non vanno confusi con i miti. Una tipologia che si va facendo molto rara.
Per capire qualcosa della vera mitezza di cuore, bisognerebbe leggere il celebre racconto di Dostoevskij.
Il mite di cuore non è affatto un tiepido. Vive le passioni intensamente, spesso anche più intensamente degli altri, ma rinuncia a - egoisticamente - affermarle. A farne vanto. Preferisce che sia la vita ad aprire le porte, spesso - come nel caso del racconto dostoevskiano - pagandone il più crudele dei prezzi.
Essere miti, dunque, non significa affatto rinunciare a vivere. Soltanto i tiepidi lo fanno. Preferendo una vita a scartamento ridotto, piuttosto che una ondata di pienezza che potrebbe sommergere.
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
28/10/13
Il distacco (e il Senso).
Ieri sera ho sentito in televisione Eugenio Scalfari, che ormai da parecchio tempo, ama rivestire i panni del teologo (disquisisce di questioni cattoliche con la competenza di un vescovo), parlare della morte e del senso della vita. Senza molti problemi ha affermato che "il senso della vita è la vita". E che l'unica difficoltà, in fondo, è il distacco.
Anni fa ho letto uno straordinario libretto di Michel Serres, intitolato Distacco.
Cosa è esattamente il distacco ? E perché le diverse tradizioni mistiche fanno riferimento a questo ?
Il termine mistico deriva dal greco myo. Che significa letteralmente chiudere (le labbra, gli occhi, lo stesso chiudersi, ad esempio, delle ferite).