Riesce a visitare suo
padre soltanto il giorno prima. Il giorno prima che sia troppo tardi.
Per tutta la settimana Nico ha vissuto
in una sorta di stagnazione, come sospeso.
Al reparto è diventato uno di casa.
Ci ha trascorso almeno sei, sette ore al giorno. Familiarizzando con altre facce e altre
storie così diverse dalle sue. Non ha potuto fare a meno di ascoltare i
racconti, le sofferenze, le speranze, i rancori sopiti di chi condivide con lui
il gelido limbo della sala d’aspetto.
Uomini e donne, ragazzi e vecchi appesi al filo di una notizia, di una
mezza parola detta o non detta, di un miglioramento intravisto, di un giorno
intero senza buone nuove. Non ha potuto
fare a meno di sentire vicino a lui il pianto sommesso, i risolini isterici di
sollievo, le domande senza risposta, ribattute come un rintocco di una
campana. C’è anche un ragazzo nel
reparto, un ragazzo di tredici anni, un kossovaro caduto dal cantiere abusivo
nel quale lavorava. I medici ottimisti
fanno fatica ad arginare il senso fatalistico della tragedia che incombe sulla
sterminata famiglia che si avvicenda al capezzale. Sono tutti immigrati senza passaporto, la
polizia ha fatto a meno di convocarli in commissariato, loro si danno il cambio
giorno e notte, interrogano i medici senza capire cosa gli viene
detto, si ingozzano di panini e caramelle, condividono il dolore dei parenti
degli altri ricoverati senza mai dare in escandescenze, senza farsi mai notare.
Fanno parte del piccolo universo
dolente al quale Nico era del tutto estraneo prima dell’incidente di Michele.
Anche lui vi appartiene adesso, separato dal resto del mondo dalla fragile
porta a vetri del reparto. Anche Nico,
e tutte le poche o tante persone con le quali la vita di Michele si è
intrecciata. Alcune di queste, ne è
convinto Nico, sono venute senza nemmeno farsi riconoscere, hanno spiato dai
vetri, forse hanno chiesto qualcosa al medico di turno, e se ne sono
andate. Altri sono apparsi soltanto una
volta, come l’avvocato Andò, che non si è più fatto vivo. (...)
Con il passare dei giorni, e l’assenza
di notizie significative, Nico è riuscito anche, durante le ore trascorse
all’ospedale, a studiare un po’. Ha
trovato un paio di libri giusti. Una nuova chiarezza gli si è fatta piano piano
spazio nella mente, riguardo alla sua tesi: ha deciso, scriverà soltanto a
riguardo del rapporto con Bruna, con la giovane poetessa. Partirà da lì. L’energia dell’amore che rimette in moto, per
l’ennesima volta – per l’ultima volta – il cuore del poeta. Tutte le lontananze, tutti i distacchi, tutta
la polvere, tutto ciò che è passato, è passato. L’esilio finisce con gli occhi
di Bruna. Gli occhi di Bruna, e i suoi
versi, il suo canto di poeta, il suo essere poeta, restituiscono la vita al
poeta.
Hai visto spegnersi negli occhi miei
L’accumularsi di tanti ricordi,
Ogni giorno più di struggitori,
E un unico ricordo
Formarsi d’improvviso.
Ha passato molte ore da
solo, Nico. Molte ore a leggere, ad
alzare gli occhi dal libro per sorvegliare il passaggio di medici e infermieri,
per accorgersi di un rumore, un segnale significativo.
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