Franco Gàbici, L'Avvenire, 16/7/2012
Tornano, dopo la fortunata stagione scorsa, dal prossimo 15 settembre 2024 le "Passeggiate Letterarie" con Fabrizio Falconi, alla Libreria Eli di Roma, in viale Somalia 50/a.
Quest'anno gli incontri non seguiranno un percorso cronologico, ma tematico, affrontando le meraviglie di Roma, per argomenti e cominciando, domenica 15 settembre con Le vie consolari che hanno reso Roma famosa nel mondo, che esistono ancora oggi e che permisero lo sviluppo sconfinato dell'impero.
Qui trovi tutte le info con il programma dettagliato sul ciclo di incontri, e la possibilità di prenotare direttamente per ogni data.
Qui invece trovi il libro con le 12 passeggiate della prima stagione, appena uscito da Palombi editore.
Nel clima degli anni '60, le imprese spaziali influenzarono prepotentemente il costume, il
cinema, la musica, la letteratura. Il
mondo sembrava sull’orlo di un cambiamento rapidissimo, che avrebbe portato
chissà quali imprevedibili sviluppi, perfino una veloce colonizzazione del
vicino spazio (poi dimostratasi ben più complessa di quanto si immaginava).
Space Oddity
fu pubblicato da David Bowie soltanto sette mesi dopo (luglio 1969); mentre
appena otto mesi prima della missione dell’Apollo 8, il 6 aprile del 1968
Stanley Kubrick aveva presentato alla stampa 2001: A Space Odyssey.
Quattro anni dopo l’impresa di Borman,
Anders e Collins – nel maggio del 1972 -
a simbolico suggello di quella prima epopea culminata con l’allunaggio
del 1969, un gruppo inglese, i Pink Floyd, si riuniva nelle sale di registrazione
londinesi di Abbey Road per il concepimento di un nuovo album che sarebbe stato
significativamente chiamato The
Dark Side of the Moon, destinato a diventare una
pietra miliare della musica contemporanea (28).
Fu quello un album estremamente innovativo
anche dal punto di vista dell’ingegneria del suono – come sanno bene i numerosi
appassionati dell’opera in tutto il mondo: sulla base di un concept che secondo le intenzioni del gruppo avrebbe
evocato temi impegnativi come la condizione dell’esistenza, la morte,
l’alienazione mentale, gli ingegneri del suono costruirono un suono compatto
che prevedeva – oltre alle eclettiche invenzioni dei quattro musicisti –
l’utilizzo dei materiali più disparati, come il rumore di una macchina
calcolatrice, il battito cardiaco – che ricorre all’inizio e alla fine – passi
di corsa in una stanza anecoica, orologi, macchine, frammenti di conversazione.
C’è una rara foto, delle molte che
raccontano l’epopea musicale dei Pink Floyd a cavallo tra gli anni ’60 e gli ’80,
che ritrae i componenti del gruppo in una sorta di foto di famiglia, ciascuno
con la compagna e con i figli al seguito. È stata scattata sulla spiaggia di
Saint-Tropez nell’estate del 1970. Poco prima dell’inizio della lavorazione di The Dark Side of The Moon. Insieme ai quattro musicisti ci sono anche i
più stretti roadies,
collaboratori tecnici che seguivano il gruppo in sala d’incisione e nei lunghi
tour.
Sorridente e seminudo, insieme a Waters, Mason, Gilmour e Wright, compare qui anche Peter Watts, in piedi insieme alla compagna che tiene in braccio una bambina di due anni: la piccola è la futura attrice Naomi Watts, mentre il padre, Peter è l’autore di quella risata che ritorna più volte in The Dark Side of The Moon, e che ne rappresenta quasi il marchio di fabbrica. Anche Peter fu infatti intervistato e registrato da Waters durante la lavorazione dell’album, con altri due roadies, Roger “The Hat” Manifolt e Chris Adamson, e addirittura l’usciere irlandese degli studi di Abbey Road, Gerry O’ Driscoll, il quale finì per essere coinvolto in quei giorni anche lui dal gioco creativo di Waters. Anche senza essere menzionato direttamente nei credits dell’album O’ Driscoll è riuscito a imprimere il suo nome definitivo sull’opera, visto che sua è la voce dell’ultimissima frase che si ascolta nel disco, al termine dell’ultimo brano, Eclipse, sullo sfondo del ritmo dello stesso battito cardiaco che apre l’album. Quasi all’ultimo solco, si sente la voce dell’uomo sussurrare:
«There is no dark side of the moon, really. Matter of fact it’s all dark. The only thing that makes it look alight is the sun».
E cioè: «In realtà non c’è un lato oscuro
della luna. Il fatto è che è tutta oscura. L’unica cosa che la fa sembrare
luminosa è il sole».
In realtà non sappiamo quale fosse la domanda esatta che gli fece a bruciapelo Waters con uno dei suoi bigliettini – la raccomandazione è che gli intervistati rispondessero senza pensarci – ma è sicuro che la risposta dell’anonimo usciere divenuto warholianamente famoso, è davvero interessante.
La litania finale, nei due minuti e mezzo di
Eclipse
(«Tutto ciò che tocchi/Tutto ciò che vedi/ Tutto ciò che assaggi/Tutto ciò che
senti/Tutto ciò che ami… Tutto ciò che distruggi/Tutto ciò che mangi/Chiunque
incontri/Tutto ciò che disprezzi/Tutto ciò che è adesso/Tutto ciò che è
passato/Tutto ciò che arriverà…») esprime le infinite sfumature della vita, tutto
quanto è sotto il sole sintonia, gli infiniti toni dei colori che si riuniscono
nel bianco fascio della luce, come nel celebre prisma della copertina del
disco.
Tutto è (sarebbe) riunito nella luce, tutto è in sintonia con il sole.
Se non ci fosse … la luna, appunto. Il sole eclissato dalla luna.
La luna è l’ombra
del sole. Perché la Luna, come dice
quell’ultimo sospiro – la voce di Gerry O’ Driscoll (29) – è tutta oscura.
E l’unica cosa che la fa sembrare (o diventare) luminosa – a tal punto di
rischiarare perfino la terra - è il sole.
Luce e ombra, pertanto, hanno bisogno una
dell’altra.
La follia dell’ombra permea la vita, la vita
– solo la vita – può dare un senso alla follia (cioè illuminarla).
Durante la cerimonia di inaugurazione della
XXXma edizione dei Giochi Olimpici, a Londra, organizzata e diretta da Danny
Boyle – succeduta di otto anni a quella di Atene – il 27 luglio del 2012,
proprio le note di Eclipse nella edizione originale del disco dei Pink
Floyd hanno accompagnato l’accensione dell’immenso braciere, in un grande gioco
di luci spettacolari.
Migliaia di fiammelle e di fuochi si sono
innalzati sul tempo del rullante di Nick Mason, illuminando a giorno lo stadio
olimpico di Stratford, immerso nella notte londinese, mentre sui mega schermi
si alternavano le immagini di un gigantesco occhio umano e della luna che
lentamente arrivava ad eclissare l’anello solare, rendendone i contorni ancora
più brillanti.
Subito dopo l’ultima esplosione, le parole
dell’uscire Gerry Driscoll sono risuonate in tutto lo stadio.
L’ombra non faceva paura.
I nuovi Giochi erano aperti.
Incuranti delle prossime, inevitabili
rovine.
estratto da: Fabrizio Falconi - Le rovine e l'ombra, Castelvecchi editore, Roma, 2017
Non è dato sapere se sia realmente accaduto o se si tratti di una leggenda, ma sta di fatto che gli studiosi hanno preso in considerazione la questione e alcuni sono andati alla ricerca di riferimenti astronomici che potrebbero giustificare la famosa visione che apparve all’imperatore Costantino 1700 anni fa, il 27 ottobre del 312, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio combattuta in località Saxa Rubra e nel corso della quale venne sconfitto Massenzio.
Secondo Lattanzio (250-327) la visione sarebbe avvenuta in sogno, mentre Eusebio di Cesarea (265-340) scrive che la croce luminosa sarebbe apparsa in pieno pomeriggio e fu osservata anche da tutti i soldati. Sulla croce campeggiava la scritta «Toutô nika», che più tardi Rufino tradusse Hoc signo victor eris» e che la tradizione trasformò nel più noto «In hoc signo vinces».
Tutti invece concordano sul fatto che Costantino, dopo la visione, fece incidere sui labari dei soldati la lettera greca «chi», il simbolo del Dio cristiano. Già Filostorgio (368-439) aveva proposto una interpretazione astronomica del «segno celeste» e in tempi più recenti Fritz Heiland del Planetario di Jena ha avanzato l’ipotesi che la visione potesse essere interpretata come una congiunzione planetaria. A differenza delle stelle, che vengono chiamate "fisse" perché su intervalli temporali abbastanza lunghi mantengono inalterate le loro reciproche posizioni, i pianeti non hanno posizioni immobili e in effetti il termine "pianeta" deriva da un termine greco che significa «astro errante».
Heiland, dunque, dopo aver ricostruito il cielo del 312 notò che nell’autunno di quell’anno Giove, Saturno e Marte, tre pianeti molto luminosi, si trovavano vicini e allineati fra le costellazioni del Capricorno e del Sagittario.
La configurazione planetaria insolita poteva essere interpretata dai soldati come un cattivo presagio e Costantino avrebbe addirittura inventato la storia della visione per trasformare il presagio in un segno di buon auspicio. Subito dopo il tramonto, inoltre, in mezzo alla volta celeste campeggiava il Cigno, una costellazione a forma di croce, tant’è che viene chiamata dagli astronomi la «Croce del Nord».
Una stella laterale, poi, le conferiva l’aspetto di uno «staurogramma», dove con questo termine si definisce il monogramma che si ottiene sovrapponendo le due lettere greche maiuscole tau (T) e rho (P).
Sotto il Cigno, inoltre, si trova la costellazione dell’Aquila, simbolo di Roma e dei suoi eserciti, e anche questa circostanza contribuì a rafforzare i significati simbolici della visione.
Interessante a questo proposito è l’affresco di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco di Arezzo intitolato «Il sogno di Costantino» nel quale l’artista, come ricordano Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi nel volume In hoc signo vinces (Edizioni Mediterranee), riproduce il cielo stellato relativo all’evento e un angelo dall’aspetto di cigno che porge una croce all’imperatore.
Va anche sottolineato che la posizione dell’angelo nell’affresco non è casuale, ma rispecchierebbe la posizione realmente occupata nel cielo dalla costellazione del Cigno.
Un altro segno della visione di Costantino si può ammirare all’interno del battistero paleocristiano di San Giovanni in Fonte di Napoli, fatto erigere dallo stesso imperatore. Sulla cupola, infatti, spicca un bellissimo mosaico che raffigura un grande staurogramma a ricordo della visione di Costantino. Legato a Costantino è anche il casale di Malborghetto, continua a leggere qui.
E' da oggi in libreria "LA FINE DEL SOGNO - BEATLES, MANSON, POLANSKI", il libro sui due anni - 1969/70 che hanno cambiato il nostro mondo.
Attraverso un meticoloso lavoro di ricerca, "La fine del sogno" racconta in modo appassionante una delle storie più belle (e inquietanti) di sempre, ricostruendo i fatti di due anni cruciali della nostra storia: 1969-1970, quelli che decretarono la fine della cosiddetta “Summer of Love”, l’Era dell’Acquario, di Woodstock, del Flower Power, della liberazione sessuale.
Il sogno si infranse nel modo più tragico con la strage di Sharon Tate e dei suoi amici a Cielo Drive, Los Angeles, da parte di Charlie Manson e della sua lugubre “Famiglia”, ma anche con lo scioglimento dei Beatles, un trauma mondiale, dopo il travaglio seguito al celebre soggiorno in India nell’ashram di Maharishi e la preveggenza dell’orrore nei film di Roman Polanski usciti in quegli anni (tra i quali “Rosemary’s Baby”), di cui Sharon Tate era moglie all’epoca.
Il libro racconta gli “inspiegabili” grovigli di casualità e circostanze che legano queste vicende biografiche (soprattutto quelle dei quattro Beatles) l’una all’altra, molto strettamente, da un punto di vista del tutto particolare: il breve e folgorante periodo in cui cade l’illusione di un “noi” creativo (e rivoluzionario) rapidamente scalzato dall’emersione di un “io” narcisista e distruttivo, passaggio cruciale del contemporaneo.
“La fine del sogno” è un incredibile intreccio di musica, cinema, esoterismo e cronaca nera, appassionante come un romanzo.
Puoi acquistare il libro in tutte le librerie o su Amazon e tutte le altre librerie Online.
Presto, la prima presentazione a Roma.
Qualche giorno fa, Franco Cordelli, intervistato sul Corriere della Sera, ha detto: "Le parole non contano più". Si riferiva ai libri, certo, ma più in generale alla scomparsa di un intero mondo che era fondato sulla trasmissione e sul valore della parola.
Considerazione realistica, più che apocalittica, a giudicare dai dati sulla lettura, di libri o riviste, anche online, ai minimi storici di sempre e in caduta libera inarrestabile (perfino i libri in concorso nello "Strega" hanno tirature risibili).
Allora la domanda è: "per chi scriviamo, oggi?" "Per chi si dovrebbe scrivere oggi, e perché?"
La risposta l'ha data già cento anni fa, Ludwig Wittgenstein e vale la pena ri-leggerla:
"La scomparsa delle arti non giustifica un giudizio di condanna per gli uomini del nostro tempo. Infatti, nature autentiche e forti proprio in quest'epoca si allontanano dal campo delle arti per indirizzarsi ad altro, e il valoro del singolo trova modo comunque di esprimersi. Io scrivo quindi per alcuni amici dispersi negli angoli del mondo."
Spike Lee è uno degli autori più importanti del cinema americano e da sempre un grande cinéphile, grande conoscitore del cinema.
Questa è la sua lista dei 100 migliori films della storia. Opinabile come tutte le selezioni, ma molto molto interessante.