E' un piccolo grande caso letterario, che bisognerebbe recuperare. Un breve romanzo di cento pagine, che in Italia è attualmente possibile trovare solo in una scarna edizione di Baldini Dalai.
06/09/21
Libro del Giorno: "Olivia" di Dorothy Strachey
E' un piccolo grande caso letterario, che bisognerebbe recuperare. Un breve romanzo di cento pagine, che in Italia è attualmente possibile trovare solo in una scarna edizione di Baldini Dalai.
05/09/21
Poesia della Domenica - "E' l'amore (o Il Minacciato)" di Jorge Luis Borges
È l’amore (o Il minacciato)
Dovrò nascondermi o fuggire.
Crescono le mura del suo carcere, come in un sogno atroce.
La bella maschera è ormai cambiata,
ma come sempre è l’unica.
A che mi serviranno i miei talismani:
l’esercizio delle lettere, la vaga erudizione,
l’apprendimento delle parole che utilizzò l’aspro Nord
per cantare i suoi mari e le sue spade,
la serena amicizia,
le gallerie della Biblioteca,
le cose comuni,
le consuetudini,
l’amore giovane di mia madre,
l’ombra militare dei miei morti,
la notte intemporale,
il sapore del sogno?
Stare con te o non stare con te è la misura del mio tempo.
Già la brocca si rompe sulla fonte,
già l’uomo s’alza al canto dell’uccello,
già si sono scuriti quelli che guardano dalla finestra,
ma l’ombra non ha portato la pace.
È, lo so, l’amore:
l’ansia e il sollievo di sentire la tua voce,
l’attesa e il ricordo,
l’orrore di vivere successivamente.
È l’amore con tutte le sue mitologie,
con tutte le sue piccole magie inutili.
C’è un angolo dove non oso passare.
Già mi accerchiano gli eserciti, le orde.
(Questa stanza è irreale, lei non l’ha vista).
Il nome di una donna mi denunzia.
Mi fa male una donna in tutto il corpo.
Jorge Luis Borges
03/09/21
Un Luogo Magico: La Cava Abbandonata "Le Tagliate" o "Henraux" in Toscana - LE FOTO
01/09/21
Le Meraviglie della Toscana e "Good Morning Babilonia" dei Taviani. Essere "i figli dei figli dei figli" di Leonardo e Michelangelo
In quell'anno, 40mo anniversario del Festival, ero tra i giornalisti accreditati durante la proiezione ufficiale (la Palma d'Oro, in ossequio al solito sciovinismo francese andò a un brutto e dimenticato film, "Sous le soleil de Satan", di Maurice Pialat, a fronte di una rappresentanza italiana sontuosa - a parte i Taviani, Fellini con "Intervista", "Cronaca di una morte annunciata" di Francesco Rosi e "La Famiglia" di Ettore Scola).
Il film dei Taviani raccontava la storia (vera ma romanzata) di una famiglia di scalpellini restauratori toscani (il padre Omero Antonutti, i figli Vincent Spano e Joaquim de Almeida) emigrati in America negli anni '10 in cerca di fortuna e finiti a lavorare nel cinema addirittura per il grande David W. Griffith.
Il film comincia con il padre e i figli al lavoro sulla facciata di uno dei sublimi duomi toscani - che io ricordavo fosse Lucca e come si può controllare dalla foto sopra, era invece il Duomo di Piazza dei Miracoli a Pisa. Scena bellissima.
31/08/21
Le teorie negazioniste e cospirazioniste sul Covid? Arrivano da molto lontano, dall'11 settembre
Dalle elezioni al COVID, le cospirazioni dell'11 settembre gettano una lunga ombra
30/08/21
Il Libro del Giorno: "Grande Sertao" di Joao Guimaraes Rosa
Da tempo giravo intorno a quello che viene unanimemente considerato il capolavoro probabilmente massimo della letteratura sudamericana, un po' intimorito.
Il paragone con l'Ulisse di Joyce - di cui Grande Sertao viene considerato a maglie larghe l'equivalente latino - comportava il misurarsi con una lettura impegnativa.
Lo è stato.
Grande Sertao è un libro mirabile ma difficile, nel quale bisogna entrare gradatamente, lasciandosi coinvolgere dal suo flusso narrativo ininterrotto, che si sviluppa nel corso di 500 densissime pagine, nelle quali manca del tutto un qualsiasi riferimento a paragrafi, capitoli o parti. In cui perfino i capoversi sono assai rari. In cui anche i dialoghi sono quasi sempre inseriti direttamente dentro il magma del racconto, il quale ha una unica voce recitante in un tempo sospeso e non definito storicamente: quella dell'avventuriero Riobaldo, conosciuto anche come Tataranà nella prima parte del libro e come Urutù Bianco nella seconda parte, il quale si rivolge ad una non definita 'vossignoria', la cui identità fino all'ultima pagina, non verrà mai svelata.
João Guimarães Rosa, nato nello stato brasiliano del Minas Gerais, nel 1908 e morto a Rio de Janeiro, nel 1967, lavorò incessantemente a Grande Sertao per un decennio, che costituisce una opera-mondo: narra la storia di due personaggi Riobaldo, appunto, il narratore, e Reinaldo detto Diadorim.
Diadorim amico d'infanzia di Riobaldo è il figlio di Joca Ramiro, un capobanda di jagunços, avventurieri che si spostano continuamente lungo le immensità del territorio brasiliano, guerreggiando contro bande nemiche, innamorandosi, tra continue avventure e sparatorie.
Riobaldo tesse la storia della sua vita in un discorso di scoperta e autoconoscenza, scoprendo il mondo del sertão; si rivela come se dicesse il sertão sono io per identificarsi. In queste pericolose traversie, Riobaldo confronta le forze del bene e del male, incorporando nel flusso della memoria il filo della sua vita che non segue un racconto lineare.
Il rapporto con Diadorim, alter-ego conturbante del protagonista, con i capi sotto i quali gli tocca combattere, quello con Otacilia, una lontana innamorata, con i fazenderos, esasperati dalle tirannie dei capibanda locali, ma soprattutto con il Sertao, vera anima vivente del racconto. Il Sertao, con la sua natura selvaggia e senza freni, con i suoi animali, i silenzi, le imboscate, le piogge torrenziali, il sole che spacca le pietre, è il grande teatro sul quale si agita la vita convulsa e scellerata di Riobaldo, all'insegna della ricerca della propria vera identità.
Un'opera magna e stupefacente che stordisce e lega il lettore pagina dopo pagina, trasportandolo in un mondo surreale e lontano, senza tempo.
Più che a Joyce, in realtà, si pensa spesso a Cervantes.
Un grande libro, che resta.
Fabrizio Falconi
Feltrinelli Universale economica Edizione: 14 Anno edizione: 2017
18/08/21
Quando Bruce Chatwin viaggiò in Afghanistan e la sua profezia oggi
17/08/21
A Pompei la scoperta di una tomba mummificata è un vero giallo !
16/08/21
Uno dei caffè più famosi di Roma, "Il Cigno" di Viale Parioli, in una memorabile scena de "I Mostri" di Dino Risi
15/08/21
Ferragosto del 1503 a Roma: la macabra inumazione di Papa Borgia
In una collezione di personaggi famosi maledetti a Roma – intorno ai quali sono
sorti racconti di apparizioni post-mortem – non potevano e non possono mancare i
rappresentanti della famiglia Borgia, o meglio Borja come sarebbe più corretto chiamarli visto che Rodrigo de
Borja (quarto papa spagnolo della storia) eletto al soglio pontificio col nome
di Alessandro VI, apparteneva come lo zio, Callisto III (al secolo Alonso de
Borja) ad una potente famiglia originaria di Xàtiva, a
Non è certo questa la sede per
approfondire i contorni di una vicenda umana e politico/ecclesiastica – quella
di Alessandro VI destinata a segnare,
insieme ai figli, Cesare e Lucrezia, nel
bene e nel male – ma soprattutto nel male, anche se oggi non mancano tentativi
di riabilitazione del personaggio – la storia della Chiesa di Roma.
Ci limiteremo quindi a qualche breve
cenno, soffermandoci soprattutto sui particolari misteriosi della morte e su
quel che avvenne dopo.
Eletto cardinale giovanissimo, a
venticinque anni, grazie ai potenti influssi dello zio, Papa Callisto III,
Rodrigo fu eletto papa nella notte tra il 10 e l’11 agosto del 1492 (due mesi
esatti prima della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo) ,
quando aveva già 61 anni.
All’epoca della sua elezione, Rodrigo era
già un personaggio leggendario, a Roma. Dissoluto e libertino, asservito in
ogni modo ai piaceri della carne, il futuro Papa aveva già messo al mondo una
schiera di figli, tutti illegittimi, e – cosa ancora più grave per un
ecclesiastico, ma certamente non rara all’epoca – si era disinvoltamente
prestato alla simonia, cioè alla compravendita di cariche ecclesiastiche e
della pratica delle indulgenze e delle assoluzioni. Queste cattive
abitudini peggiorarono, anziché migliorare, una volta ottenuta la nomina
papale. Ebbe altri due figli illegittimi
dall’amante, ed esercitò uno spietato nepotismo per garantire ogni sorta di
immunità e di potere per il figlio Cesare, detto Il Valentino, uomo
particolarmente avido, violento e senza scrupoli, al quale il padre costruì un
regno su misura, permettendogli la conquista di città e signorie in Italia, con
l’aiuto perfino del nemico storico
del papato, l’imperatore Carlo VIII
di Francia.
In questo modo Rodrigo-Alessandro VI
riuscì nell’intento di farsi odiare dal popolo di Roma – arringato dalle piazzate del frate domenicano Girolamo
Savonarola, che per la sua pubblica denuncia
finì per essere arso vivo a Firenze nel 1498 - e dalla corte dei nobili che non vedevano
l’ora di sbarazzarsi di un despota di tali dimensioni, sfacciatamente arrogante
nella esibizione del lusso e della corruzione, adottata come lingua ufficiale
dello Stato, e usata soprattutto per favorire la parte spagnola della corte
papale.
Odio e maldicenza nei confronti del Papa
si trasmettevano inevitabilmente anche ai suoi figli, soprattutto a Cesare e a
Lucrezia, sul conto della quale – nata a Subiaco nel 1480 dalla relazione
clandestina di Rodrigo con Vannozza
Cattanei – cominciò a circolare ogni sorta di leggenda nera, compresa
quella che la vedeva protagonista di vere e proprie orge incestuose,
insieme al padre e al fratello.
In realtà molti testi recenti hanno
riabilitato la figura di Lucrezia, delineando la figura di una donna più
vittima degli eventi che realmente depravata: andata in matrimonio a soli
tredici anni a un Conte, e dichiarato il
matrimonio nullo, Lucrezia si sposò a diciotto con Alfonso, figlio del re di
Napoli. Alfonso fu brutalmente ucciso per ordine di Cesare Borgia, forse geloso
della sorella, o forse semplicemente desideroso di utilizzare nuovamente
Lucrezia come pedina di scambio per i suoi desideri di conquista: cosa che
puntualmente avvenne con un terzo matrimonio, stavolta con Alfonso I d’Este. Il
terzo matrimonio fu anche l’ultimo: Lucrezia morì a Ferrara, a soli 39 anni di
età, per una febbre infettiva.
Il grande caos messo in piedi da
Alessandro VI, e dalla sua dissoluta famiglia, come si vede, autorizzava
pienamente i nemici a tentare di escogitare ogni mezzo possibile per liberarsi
del papa-tiranno.
Ciò che alimentò per molto tempo, e per i
secoli a venire – anche se oggi la circostanza è oggetto di forte discussione
tra gli storici - la voce che la fine stessa del Papa fosse dovuta ad un
avvelenamento. Un avvelenamento che in realtà era stato, secondo il racconto,
organizzato dallo stesso Alessandro VI ai danni di un cardinale nemico, durante
un convivio, ma che per errore aveva finito per ritorcersi contro lo stesso
Papa, e contro il figlio Cesare (miracolosamente sopravvissuto) per un banale
scambio di calici.
Avvelenamento che fosse – o semplice
malaria come si sospetta oggi – il Papa cadde malato l’11 agosto del 1503. L’11 doveva essere il suo numero fatale: l’11
agosto, infatti era stato eletto, 11 agosto il giorno della malattia letale, e
11 anni esatti, dunque, la durata del suo Regno pontificio.
La
malattia del Papa tiranno, come raccontano le cronache dell’epoca, assunse da
subito contorni macabri: vi fu chi
affermò recisamente di aver visto distintamente sette dèmoni in guisa di
scimmie nere appollaiate di guardia nel
soffitto della camera dove Alessandro moriva, mentre nel delirio invocava
proprio il Principe delle Tenebre, il Maligno, affinché – in ossequio al patto
maledetto contratto all’epoca della sua elezione - gli consentisse di regnare ancora per qualche
anno, e di sopravvivere alla terribile congestione. L’appello, a quanto pare
non venne ascoltato, non solo: i servitori del Papa, i funzionari di curia,
perfino le suore che lo accudivano – secondo il racconto del cronachista Jacopo
da Volterra – abbandonarono in fretta e furia il papa agonizzante, nel terrore
certo che i dèmoni sarebbero presto giunti a impossessarsi dell’anima del
defunto.
Il corpo di Alessandro VI andò così in
fretta incontro ad una spaventosa putrefazione, al punto tale che i falegnami
dovettero incassarlo a calci e martellate per come e quanto si era gonfiato, si
trattava insomma del « più orribile e mostruoso corpo di defunto mai visto. Un
cadavere talmente deforme che non aveva più figura umana » come annotò il
diplomatico veneziano Antonio Giustiniani nel suo resoconto ufficiale (1) .
Ora, se è pur certo che molti di questi
particolari furono alimentati necessariamente dall’alone macabro che circondava
la figura di Alessandro, resta il fatto che le circostanze della sua inumazione
furono particolari, se non altro per il fatto che si svolsero nel caldo torrido
di ferragosto: il cadavere del Papa, esposto parzialmente (soltanto i piedi,
per l’adorazione dei fedeli) dietro l’inferriata del coro, cominciò ben presto
a puzzare orribilmente. Cosa che
consigliò l’immediata inumazione che fu celebrata a mezzanotte (!) nella
Rotonda degli Spagnoli (l’antica cappella che fiancheggiava la vecchia Basilica
di San Pietro, che venne distrutta nei lavori di riedificazione della
Cupola).
Narrare le peripezie del sepolcro dei
Borgia – di quello di Alessandro che poi divenne anche quello di suo figlio,
Cesare – sarebbe impresa ardua: basti dire che per quattro secoli queste
spoglie non trovarono mai pace, più volte violate, riassemblate in casse
comuni, trasportate da un luogo all’altro fino all’ultima destinazione, la
chiesa di Santa Maria di Via Monserrato, alle spalle di Via Giulia, dove furono
inumate nel 1881 e dove ancora si trovano, nella prima cappella dal lato
dell’Epistola.
E proprio questo luogo, o meglio questa
antica zona di Roma è teatro delle apparizioni del fantasma di Rodrigo de
Borja: per molti anni, le spoglie dei
Borgia giacquero nella chiesa del tutto dimenticate, ragione per cui non fu
facile mettere in relazione quella misteriosa apparizione di un uomo avvolto da
una tunica rossa e dal viso deforme più volte segnalata da terrorizzati
passanti che ne riferivano l’incontro a notte fonda nei vicoli intorno a Piazza
Farnese, in Via Giulia o lungo il Ponte Sisto.
Quando dei Borja si ricominciò a parlare
- anche per via della riabilitazione
storica che qualche studioso ne tentò, e per l’interesse suscitato dagli
spagnoli che vivevano a Roma, e che erano desiderosi di visitare quelle spoglie
di cui nemmeno i diretti discendenti (i conti di Gandìa) avevano voluto
occuparsi – fu naturale mettere in relazione la leggenda del terrorizzante
fantasma che agitava le notti romane con il Papa dissoluto le cui ossa più
volte profanate giacevano nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato, denominata degli Spagnoli.
La leggenda nera dei Borja o dei Borgia,
non poteva poi coinvolgere anche la bella Lucrezia. Anche il fantasma di colei
che aveva soggiogato principi e regnanti, e che così infelicemente si era
prestata alle oscure trame famigliari, infatti ha trovato il modo di
manifestarsi più volte nella storia: in
particolare un pianto accorato sembra che sia il segnale che del fantasma di
Lucrezia Borgia è possibile ascoltare passando sotto il vecchio Forte di Nepi,
una cittadina non lontano da Roma, in provincia di Viterbo. Di Nepi, Lucrezia divenne in vita Signora
grazie ad una solenne cerimonia che si svolse nel 1499, e durante le quali le
furono affidate le chiavi della città.
Per Lucrezia, il padre Rodrigo fece costruire, alla confluenza di due torrenti,
quella grandiosa Rocca, negli appartamenti della quale, la ragazza riuscì a
vivere però – insieme allo sposo Alfonso – soltanto per un anno, prima che come
abbiamo detto i sicari di Cesare non la resero vedova.
Ed è nelle sale e nei giardini di questo
castello, a quanto pare, che il fantasma di Lucrezia ancora non ha smesso di
cercare pace.
12/08/21
Quando David Bowie si innamorò della voce di Nina Simone e trasformò "Wild is the Wind" in un capolavoro
La grande, impareggiabile Nina Simone dovette aspettare tre anni dall'uscita del suo album di debutto, Little Girl Blue nel 1958, per apparire per la prima volta in una classifica LP negli Stati Uniti grazie al Live Nina At Newport.
Dopo essere entrata in classifica con un altro disco dal vivo, Nina Simone In Concert del 1964, fu inserita due volte nella classifica dei migliori album pop di Billboard nello stesso anno seguente, il 1965, con I Put A Spell On You a giugno e con Pastel Blues meno di quattro mesi dopo.
Il primo di questi album non è entrato nella classifica R&B, che Billboard ha introdotto all'inizio di quell'anno, ma il secondo è diventato una top ten, al n.8.
Il suo picco al numero 139 sul lato pop sottolinea che il pubblico principale di Simone in quei giorni era nel mercato del rhythm and blues.
Col senno di poi, il vero shock è notare che Simone non ha mai avuto un altro Top 10 LP nella classifica soul.
Tuttavia, altre quattro voci seguirono quel conto alla rovescia per un periodo di 14 mesi, a partire dal 10 settembre 1966, quando Wild Is The Wind oltrepassò la soglia delle migliori 25 posizioni salendo al numero 23.
L'LP di 11 tracce di Simone, prodotto come al solito dal compositore e arrangiatore newyorkese Hal Mooney, conteneva una delle sue composizioni, il commento sociale tipicamente coraggioso "Four Women".
Ma l'album prendeva il nome dalla composizione di Dimitri Tiomkin e Ned Washington, che era stata introdotta in una versione nominata all'Oscar da Johnny Mathis, nell'omonimo film del 1957: Wild is the Wind.
David Bowie era tra i tanti devoti della canzone, come ha dimostrato la sua cover contenuta nell'album Station To Station del 1976.
“La sua voce era usata principalmente come strumento” disse in proposito Bowie.
Quando Simone ha suonato allo Square East di New York a marzo, ha aperto con "Wild Is The Wind", facendo una grande impressione sul suo pubblico, come ha osservò il recensore di Billboard Claude Hall.
"Era una produzione martellante con un ritmo crescente e un finale crescente", ha scritto. “La sua esibizione al pianoforte è stata grandiosa; la sua voce è stata usata principalmente come strumento, aggiungendo all'effetto totale.
Quella canzone inquietante divenne in seguito ben nota, in particolare al pubblico britannico, in una registrazione di successo di Elkie Brooks. Fu registrata anche da Jeff Buckley nel suo album di riferimento del 1994, Grace.
Wild Is The Wind ha raggiunto il n.12 nella classifica R&B e il n.110 nel mercato pop. Negli anni successivi sarebbero arrivati consensi ben maggiori e più diffusi. Grazie anche alla versione live di Bowie per la BBC che resta ancora oggi una pietra miliare e che qui riproponiamo.
Fonte: Paul Sexton per Udiscovermusic.com
11/08/21
Cinema: Apre a Rimini il "Fellini Museum", il polo museale più grande al mondo, dedicato a Fellini
10/08/21
A Capalbio stasera Poesia e Stelle Cadenti !
09/08/21
Le anticipazioni del nuovo rapporto ONU sul clima: "innalzamento del livello del mare fenomeno irreversibile in centinaia o migliaia di anni
08/08/21
200 anni dalla Morte di Napoleone: Tutte le iniziative dell'estate all'Isola d'Elba
Napoleone e l'Elba. Un rapporto che, oltre due secoli dopo l'esilio dell'imperatore nell'isola dell'Arcipelago toscano, e' ancora forte e indissolubile.