31/03/10
Enzo Bianchi: La paura è anche degli immigrati.
21/03/10
Pedofilia e Chiesa: non basta dire 'così fan tutti'.
11/03/10
L'amore di una madre. Massimo Gramellini.
08/03/10
La poesia della Domenica - "M'è dato un corpo" di Osip Mandel'stam
di questo dono così unico e mio ?
Sommessa gioia di respirare, esistere:
a chi ne debbo essere grato? Ditemi.
Io sono giardiniere e sono fiore;
nel mondo-carcere io non languo solo.
Già sui vetri dell'eternità è posato
il mio respiro, il caldo del mio fiato.
L'impronta lasceranno di un disegno,
e più non si saprà che mi appartiene.
Scoli via la fanghiglia dell'istante:
rimarrà il caro disegno, intatto.
Osip Mandel'stam, 1909
da 'Cinquanta Poesie' a cura di Remo Faccani, Collezione di Poesia Einaudi, pag. 7.
05/03/10
Quel Celibato da Abolire - di Hans Kung
25/02/10
Ricominciare a dire Amen.
So tratta di una traslitterazione dall'ebraico biblico al greco del Nuovo Testamento, poi in latino ed in italiano e in molte altre lingue, così che è in pratica una parola universale.
È stata definita la parola più conosciuta nel parlare umano.
E' utile ricordare che l'avverbio ebraico אמן ámén significa soprattutto "certamente", "in verità", ma etimologicamente è connesso con il verbo אמן ámán, che significa (in forma base, cioè qal) "educare".
Da una parte, quindi, quando noi diciamo amen, ci riferiamo ad un "esser certo, sicuro", "esser veritiero, vero" - il sostantivo derivato אמת emet significa infatti "ciò che è stabile e fermo", quindi "verità" .
Può essere tradotta: così è, così sia, in verità.
Quando diciamo Amen diciamo due cose insieme: è la verità, è questa la verità. E poi (non meno importante, anzi): io mi affido a questa verità.
20/02/10
Una società senza modelli muore - Marco Guzzi.
06/02/10
Vito Mancuso sulla vicenda Boffo e sugli intrighi vaticani.
( "la Repubblica" del 4 febbraio 2010 )
fonte La Repubblica - http://www.repubblica.it
03/02/10
Mirjana, una delle veggenti di Medjugorje, ieri a Napoli. Il video.
02/02/10
La forza del 'piccolo' contro lo strapotere del mondo.
24/01/10
Tutti abbiamo nel cuore questo desiderio: che cresca il dialogo. Il Card. Carlo Maria Martini.
15/01/10
Haiti: la morte che fa dimenticare il resto.
11/01/10
IL DRAMMA DI ROSARNO.
Serve altro per spiegare e comprendere perché le popolazioni d'Africa sono spinte a raggiungere il nostro paese - e gli altri europei ?
Ciò che sta succedendo a Rosarno è una vergogna per tutti, per lo Stato Italiano, per gli abitanti della Calabria - quelli moderati e tiepidi che non muovono dito, e quelli onesti e volenterosi che non sanno come fermare il dramma che si consuma davanti a loro - e per gli stessi immigrati, che sono trattati da bestie, e non da esseri umani, nei lavori che vengono loro offerti; da bestie nello stesso uso delle parole - 'negri! -; e da bestie nel trasferimento coatto, verso altri lidi che non saranno maggiormente sicuri.
E' una sconfitta più grande di quello che appare. E' la NOSTRA sconfitta. E' la sconfitta della modernità. La sconfitta conseguente alle disuguaglianze del mondo - sempre più spaventose - e alla nostra incapacità non solo di fermarle, ma anche di porvi minimo rimedio.
E' la sconfitta dei nostri letti tiepidi, delle nostre camere confortevoli e sempre più in-animate, della nostra attenzione, persa in un sonno vagheggiato e inutile, che ci sta portando in una terra priva di carità, e quindi anche di speranza.
30/12/09
Capodanno 2010 - Che mondo verrà ?
23/12/09
Pavel Florenskij - Buon Natale dal Mantello di Bartimeo.
2. Non rattristatevi e non soffrite per me, se potete. Se sarete lieti e forti, con ciò mi darete la pace. Io sarò sempre con voi in spirito e, se il Signore me lo concederà, verrò spesso da voi e vi guarderò. Voi però confidate sempre nel Signore e nella sua Purissima Madre, e non rattristatevi.
3. Non dimenticate la vostra stirpe, il vostro passato, studiate quanto riguarda i vostri nonni e antenati, adoperatevi e rafforzatene la memoria.
4. La cosa più importante che vi chiedo è di ricordarvi del Signore, e di vivere al suo cospetto. Con ciò è detto tutto ciò che voglio dirvi, il resto non sono che dettagli o cose secondarie, ma questo non dimenticatelo mai”.
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12/12/09
La Gioia che esiste, e che non vediamo.
Attraverso i mass media "il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci." Radio e televisioni sono 'colpevoli' di 'intossicare' i cuori, "perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono". I mass media, - ha insistito papa Benedetto XVI - "tendono a farci sentire sempre 'spettatori', come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti "attori" e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri". Un meccanismo che aggiunge all'inquinamento dell'aria nelle città, "che in certi luoghi è irrespirabile", e che richiede "l'impegno di tutti", un vero e proprio "inquinamento dello spirito".
Sono le durissime parole che Benedetto XVI ha pronunciato martedì scorso nel tradizionale omaggio alla Immacolata, in Piazza di Spagna a Roma. Parole sulle quali forse varrà la pena continuare a interrogarsi tutti.
Dov'è finita la gioia, nel nostro tempo ? Quella gioia che sappiamo esistere, che è un riflesso della creazione, che è bellezza, che è aprirsi all'altro. Quella gioia di cui nessuno - tantomeno chi detiene il bastone del comando - mai parla.
Quella gioia che Beethoven ha espresso invincibilmente nella sua musica. Quella gioia che così descrive Clive Staples Lewis:
Quanto a Dio, dobbiamo ricordare che l'anima è solo una cavità che egli riempie. Non è forse vero - domanda Lewis - che le vostre amicizie più durevoli sono nate nel momento in cui finalmente avete incontrato un altro essere umano che aveva almeno qualche sentore di quel qualcosa che desiderate fin dalla nascita e che cercate sempre di trovare, sotto il flusso di altri desideri e in tutti i temporanei silenzi tra le altre passioni più forti, notte e giorno, anno dopo anno, fino alla vecchiaia?... Se questa cosa dovesse finalmente manifestarsi - se mai dovesse sentirsi un'eco che non si spegnesse subito ma si espandesse nel suono stesso - voi lo sapreste. Al di là di ogni dubbio possibile direste: "Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato". Non possiamo parlarne gli uni agli altri. E’ la firma segreta di ogni anima, l'incomunicabile e implacabile bisogno”. Quello che voi agognate vi invita a uscire da voi stessi. Questa è la legge suprema - il seme muore per vivere
08/12/09
Ancora sulla Croce e sul Crocefisso - di Enzo Bianchi.
Non si sono ancora spenti gli echi della polemica sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche in Italia ed ecco irrompere il risultato del referendum popolare in Svizzera che vieta l’edificazione di minareti. Le due tematiche sono solo apparentemente affini, in quanto in un caso si tratta della presenza di un simbolo religioso in aule pubbliche non destinate al culto, nell’altro invece di un elemento caratterizzante un edificio in cui esercitare pubblicamente e omunitariamente il diritto alla libertà di culto.
Resta il fatto che si fa sempre più urgente una seria riflessione sugli aspetti concreti e quotidiani della presenza in un determinato paese di credenti appartenenti a religioni diverse e delle garanzie che uno stato democratico deve offrire per salvaguardare la libertà di culto. E questa riflessione dovrebbe nascere e fondarsi sulla nostra idea di civiltà e di convivenza, sul nostro tessuto storico, culturale e religioso, sul lungo e faticoso cammino compiuto verso la tolleranza e il rispetto reciproco: non dimentichiamo, per esempio, che la Svizzera – giunta al suffragio universale appena due anni prima – tolse solo nel 1973, a seguito di un referendum, il divieto per i gesuiti di risiedere nel territorio elvetico; né che, sempre in Svizzera, gli immigrati presi di mira dalla prima iniziativa popolare xenofoba del 1974 erano gli italiani e gli spagnoli, in maggioranza cattolici.
Né ha senso accampare la pretesa della reciprocità nel rispetto delle minoranze sancito dalle diverse legislazioni: quando una società riconosce e concede determinati diritti è perché lo ritiene eticamente giusto, non per avere una contropartita. Senza contare che la faccia deteriore della reciprocità si chiama ritorsione: l’atteggiamento che le società occidentali hanno verso i musulmani può comportare pesanti conseguenze per i cristiani che vivono in alcuni paesi islamici; come sorprenderci se la loro vita quotidiana si ritroverà ancor più circondata da diffidenza e ostilità o se qualche musulmano moderato si ritrova spinto tra le braccia dei fondamentalisti?
La paura esiste, è cattiva consigliera e porta a percezioni distorte dalle realtà – come dimostra anche il recente sondaggio sui timori degli italiani nei confronti degli immigrati – ma proprio per questo non deve essere lasciata alla sua vertigine, ma va oggettivata, misurata e ricondotta alla razionalità, se si vuole una umanizzazione della società. Altrimenti, dove arriverà, in nome di paure più fomentate che reali, la nostra regressione verso l’intolleranza e il razzismo spicciolo di chi non perde occasione per manifestare con sogghigni, battute, insulti, reazioni scomposte la propria ostilità nei confronti del diverso? Del resto è proprio l’essere “concittadini”, il conoscersi, il vivere fianco a fianco, condividendo preoccupazioni per il lavoro, la salute, la salvaguardia dell’ambiente, la qualità della vita, il futuro dei propri figli, porta a una diversa comprensione dell’altro, che aiuta a vedere le persone e le situazioni con un occhio diverso, più acuto e lungimirante.
Dirà pure qualcosa, per esempio, il fatto che tra i pochissimi cantoni svizzeri che hanno respinto la norma contro i minareti ci siano quelli di Ginevra e di Basilea, caratterizzati dalla più alta presenza di musulmani.
In Italia l’esito del referendum svizzero contro i minareti ha rinfocolato le polemiche, e non è mancato chi ha invocato misure analoghe anche nel nostro paese, impugnando di nuovo la croce come bandiera, se non come clava minacciosa per difendere un’identità culturale e marcare il territorio riducendo questo simbolo cristiano e una sorta di idolo tribale e localistico. Così, lo strumento del patibolo del giusto morto vittima degli ingiusti, di colui che ha speso la vita per gli altri in un servizio fino alla fine, senza difendersi e senza opporre vendetta, viene sfigurato e stravolto agli occhi dei credenti. La croce, questa “realtà” che dovrebbe essere “parola e azione” per il cristiano, è ormai ridotta a orecchino, a gioiello al collo delle donne, a portachiavi scaramantico, a tatuaggio su varie parti del corpo, a banale oggetto di arredo... Tutto questo senza che alcuno si scandalizzi o ne sottolinei lo svilimento se non il disprezzo, salvo poi trovare i cantori della croce come simbolo dell’italianità, all’ombra della quale si è pronti a lanciare guerre di religione.
Ma quando i cristiani perdono la memoria della “parola della croce” e assumono l’abito del “crociato”, rischiano di ricadere in forme rinnovate di antichi trionfalismi, di ridurre il vangelo a tatticismo politico: potenziali dominatori della storia umana e non servitori della fraternità e della convivenza nella giustizia e nella pace.
Va riconosciuto che la chiesa – dai vescovi svizzeri alla Conferenza episcopale italiana, all’Osservatore Romano – ha colto e denunciato quest’uso strumentale della religione da parte di chi nutre interessi ideologici e politici e non si cura del bene dell’insieme della collettività, ma resta vero che in questi ultimi anni abbiamo assistito a una progressiva erosione dei valori del dialogo, dell’accoglienza, dell’ascolto dell’altro: a forza di voler ribadire la propria identità senza gli altri, si finisce per usarla e ostentarla contro gli altri.
Se la croce è brandita come una spada, è Gesù a essere bestemmiato a causa di chi si fregia magari del suo nome ma contraddice il vangelo e il suo annuncio di amore. La vera forza del cristianesimo è invece il vissuto di uomini e donne che con la loro carità hanno umanizzato la società, mossi dall’invito di Gesù: “Chi vuol essere mio discepolo, abbracci la croce e mi segua” e dal suo annuncio: “Vi riconosceranno come miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri”. Quando i cristiani si mostrano capaci di solidarietà con i loro fratelli e sorelle in umanità, quando rinunciano a guerre sante e restano nel contempo saldi nel rendere testimonianza a Gesù, a parole e con i fatti, allora potranno essere riconosciuti discepoli del loro Signore mite e umile di cuore.
Sì, le dispute su crocifissi e minareti non dovrebbero farci dimenticare che la visibilità più eloquente non è quella di un elemento architettonico o di un oggetto simbolico, ma il comportamento quotidiano dettato dall’adesione concreta e fattiva ai principi fondamentali del proprio credo, sia esso religioso o laico.
Enzo Bianchi
30/11/09
La vecchiaia e la Sintesi di una Vita - Vito Mancuso rilegge Wittgenstein.
Ciò che Wittgenstein percepì a 27 anni di fronte al fuoco dell'esercito russo ogni uomo che prenda sul serio l' esistenza è destinato a sperimentarlo quando inizia a sentire arrivare il termine dei suoi giorni. Non è un caso quindi che il cardinale Carlo Maria Martini,riflettendo sulla preghiera dall' alto dei suoi 82 anni, abbia sentito anzitutto il richiamo di un grande vecchio della letteratura biblica quale Qohèlet ricordandone la celebre descrizione allegorica degli effetti fisici della vecchiaia, quando le mani («i custodi dellacasa»), le gambe («i gagliardi»), i denti («le donne che macinano»), gli occhi («quelle che guardano dalle finestre»), le orecchie («ibattenti sulla strada») non funzionano più come prima, preludio al momento in cui l' uomo se ne andrà "nella dimora eterna".
In questa prospettiva la preghiera di chi è anziano per Martini è anzitutto ricerca di consolazione interiore di fronte alla crescente fragilità che la vecchiaia comporta, è richiesta della ragione e del sentimento che un senso definitivo della vita ci sia e che a questo senso si possa personalmente partecipare. Il cardinal Martini però aggiunge un'ulteriore considerazione sulla preghiera di chi è anziano, rivolta ora non più al futuro ma al passato, e qui a mio avviso egli tocca il momento più alto del suo scritto.
Mi riferisco a quando egli parla degli anziani come di coloro che hanno raggiunto «una certa sintesi interiore» e che per questo possiedono «uno sguardo di carattere sintetico sulla propria vita ed esperienza». Aver compiuto un lungo cammino non significa solo vederne la fine, significa anche potersi voltare e vederne per intero il percorso. Da questa altezza può scaturire «una lettura sapienziale della storia e del mondo», per descrivere la quale Martini giunge a coniare in perfetto stile evangelico una vera e propria beatitudine, una nona beatitudine che non sfigurerebbe come prosieguo delle otto beatitudini proclamate da Gesù nel celebre Discorso della montagna: «Beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio, non lasciandosi andare a giudizi negativi sui tempi vissuti o anche sul tempo presente inconfronto con quelli passati!». Martini sa bene che il giudizio negativo sul presente è una delle tipiche malattie che affliggono lo spirito della vecchiaia, quando la consapevolezza che presto per sé sarà la fine conduce spesso a un rapporto amaro e risentito con ilpresente, valutato solo come progressiva decadenza rispetto "ai miei tempi".
Ma il cardinale aggiunge che a un uomo può capitare di peggio,cioè di guardare indietro alla propria esistenza e di vedere solo macerie (talora anche le ricchezze e gli onori ricevuti non sono altroche macerie perché costruiti con la frode e a prezzo dell' onestà personale). Ne viene che non solo il futuro ma anche il passato
risultano avvolti da un disperato senso di vuoto. Può capitare, e se capita è forse la più grande disgrazia per la vita di un uomo. Per questo «beati coloro che riescono a leggere il proprio vissuto come un dono di Dio», cioè come dotato di senso, di logicità, di sincerità, di rettitudine.
Pregare è pensare al senso della vita, scriveva Wittgenstein; pregare è pensare con riconoscenza e con gioia alla storia della propria vita, aggiunge il cardinal Martini. Felice quindi chi ha lavorato su di sé per essere in grado di coltivare questi sentimenti, essendo diventato così libero dal proprio ego da poter dire grazie alla vita anche al cospetto della fine cui il proprio ego inevitabilmente va incontro.
Per quanto concerne la modalità concreta della preghiera, Martini ne distingue due forme fondamentali, quella vocale fatta di recitazione di formule e di partecipazione alla liturgia comunitaria, e quella mentale, più personale, intima, colloquiale. Egli dice che generalmente col progredire dell' età «diminuisce la preghiera mentale per la minore capacità di concentrazione» e quindi aumenta la preghiera vocale, con la conseguenza che si ritorna a pregare quasi come si faceva da bambini,quando si ripetevano formule misteriose sentite dai grandi. Si trattadi una considerazione molto cattolica da cui emerge il valore dellacomunità. Nella trincea di fronte all' essere e al nulla non si è da soli, ma si può contare sulla relazione con altri, su ciò che ladottrina chiama "comunione dei santi", e che a me, e penso anche al cardinal Martini, piace allargare abbracciando santi per nulla canonici, tra cui il caporale Wittgenstein e tutti i giusti che primadi noi hanno lasciato questo mondo.
VITO MANCUSO