07/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Un Americano a Parigi ("An American in Paris") di Vincent Minnelli, 1951


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Un Americano a Parigi ("An American in  Paris") di Vincent Minnelli, 1951

Vincitore di 6 Oscar e di innumerevoli altri premi in tutto il mondo, nell'anno di grazia 1951, nella piena euforia del dopoguerra, Un americano a Parigi (An American in Paris), diretto da Vincente Minnelli, celebrò il trionfo del musical, che accordava la joie de vivre con la formale perfezione della tradizione del balletto e delle musiche americane.

Il film prende infatti nome dall'omonimo poema sinfonico di George Gershwin, contenuto nelle musiche dell'opera insieme al Concerto in fa, dello stesso Gershwin. 

La trama, esile quanto basta diede modo di esprimere il meglio al talento apollineo di Gene Kelly e a quello della sua partner, l'esordiente francese Leslie Caron. 

A Parigi, nel secondo dopoguerra, si ritrovano vicini di casa due americani: Jerry è un pittore mentre Adam suona il piano. Il duo, rinforzato da Henri, un cantante francese grande amico di Adam, esegue alcuni numeri nel caffè sottostante. Henri confessa felice all'amico di aver incontrato la donna della sua vita e di essere sul punto di sposarsi. 

Jerry, intanto, prepara una mostra dei suoi quadri, finanziato da Milo Roberts, una ricca americana. Incontra Lise, una giovane orfana francese, che non gli rivela niente di sé stessa. La ragazza è ingenua ma vitale e Jerry non può fare a meno di innamorarsene.

Lascia Milo e si ripromette di dichiarare il suo amore a Lise. Al ballo delle Belle Arti, annuale appuntamento durante il quale si dovrebbe coronare il sogno dei due giovani, Lise rivela a Jerry il suo segreto: durante la seconda guerra mondiale, poiché i suoi genitori erano nella resistenza, era stata affidata alle cure di un uomo che si è occupato di lei anche dopo. In pratica quest'uomo le ha salvato la vita rischiando la propria e con il tempo è nato un sentimento che dovrebbe portarli all'altare. Quell'uomo è Henri. Jerry e Lise perciò si lasciano. La notte d'incanto sta finendo. 

Dall'alto di una terrazza, Jerry la vede giù in strada che sta per andarsene su un taxi con l'amico. Ma Henri, resosi conto che la ragazza accetterebbe di sposarlo solo per gratitudine, la lascia libera. Dal balcone, Jerry vede finalmente Lise che corre su per le scale verso di lui.

In una trama così concatenata, Vincent Minnelli ebbe modo di intrecciare i temi fondamentali dell'epoca: la riscoperta dell'Europa, liberata finalmente dall'incubo nazista, le ferite della guerra dalla parte degli occupati e da quella dei liberatori; la rinascita della vita bohèmienne, della creatività artistica, dopo gli anni di buio, l'emancipazione del modello femminile che finalmente cominciava a uscire dai cliché (Nina Foch incarna il ruolo della ricca mecenate, Leslie Caron quello della giovane che riesce a liberarsi del suo passato). 

Minnelli regista e Kelly ballerino-cantante-attore-coreografo, costruiscono non solo un capolavoro del cinema, ma un'opera composita che figura benissimo nell'arte del Novecento. Naturalmente è determinante la musica di George Gershwin che compose forse la sua più importante sinfonia, fatta apposta per far brillare le prerogative del cinema. Tutte le canzoni (cantate oltre che da Kelly anche dallo "chansonnier" Paul Guétary, idolo parigino) sono classici indimenticabili.

Un Americano a Parigi 
(An American in Paris)
Regia di Vincente Minnelli. 
Usa 1951 
con Nina Foch, Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guétary, Mary Young. 
durata 105 minuti. 



06/10/19

Poesia della Domenica: "Fasti" di René Char



Fasti


L'estate cantava sulla sua roccia preferita quando mi sei apparsa. L'estate cantava separata da noi che eravamo silenzio, simpatia, libertà triste, mare ancor più del mare, il cui lungo azzurro remo giocava ai nostri piedi.
L'estate cantava e il tuo cuore nuotava lontano da essa. Io capivo il tuo smarrimento e coprivo di baci il tuo coraggio. In rotta attraverso l'assoluto delle onde, verso quelle sommità schiumose ove s'incrociano virtù micidiali per le mani che portano le nostre case. Eravamo increduli. Eravamo accerchiati. 
Gli anni passarono. Le tempeste finirono. Il mondo se ne andò. Mi faceva male sentire che il tuo cuore non riusciva più a percepirmi esattamente. Ti amavo. In questa mia assenza di viso, in questa mia mancanza di felicità. Ti amavo, cambiando in tutto, fedele a te soltanto.


Fastes 

L'été chantait sur son roc préféré quand tu m'es apparue, l'été chantait à l'écart de nous qui étions silence, sympathie, liberté triste, mer plus encore que la mer dont la longue pelle bleue s'amusait à nos pieds.
L'été chantait et ton cœur nageait loin de lui. Je baisais ton courage, entendais ton désarroi. Route par l'absolu des vagues vers ces hauts pics d'écume où croisent des vertus meurtrières pour les mains qui portent nos maisons. Nous n'étions pas crédules. Nous étions entourés. 
Les ans passèrent. Les orages moururent. Le monde s'en alla. J'avais mal de sentir que ton cœur justement ne m'apercevait plus. Je t'aimais. En mon absence de visage et mon vide de bonheur. Je t'aimais, changeant en tout, fidèle à toi.

05/10/19

Sabato d'Arte: Il "Polittico Ferrer" di Giovanni Bellini a Venezia


In una delle meravigliose chiese di Venezia, quella dei Santi Giovanni e Paolo (per la quale fu realizzata e nella quale è da sempre), è custodita una delle opere più celebri e indimenticabili di Giovanni Bellini, Il Polittico di San Vincenzo Ferrer, dipinto a tempera su tavola e databile al 1464-1470. 

Il polittico è dedicato al santo spagnolo, domenicano, che era stato canonizzato nel 1455.  

Il polittico, dalla sfarzosa cornice dorata, è articolato su tre ordini per un totale di nove scomparti. Al centro si trovano tre santi a tutta grandezza, da sinistra san Cristoforo, san Vincenzo Ferrer e san Sebastiano. 



Il registro superiore mostra al centro un riquadro con la Pietà (Cristo morto sorretto da due angeli) e ai lati l'Arcangelo Gabriele (con un giglio, simbolo di purezza) e la Vergine annunciata; quest'ultima è in preghiera ed ha lo sguardo rivolto verso l'alto, dove anticamente esisteva la lunetta dipinta con il Padre Eterno, ricordata dal Boschini nel 1664 e poi dispersa.

La predella invece mostra i miracoli di Vincenzo Ferrer: le due tavole laterali sono divise in due scene ciascuna tramite una colonna dipinta, mentre quella centrale è una scena unica. 

I santi del registro centrale sono caratterizzati da un forte scatto plastico, sottolineato dal grandeggiare delle figure, le linee enfatiche delle anatomie e dei panneggi, l'uso geniale della luce radente dal basso per alcuni dettagli (come il volto di san Cristoforo).


Lo spazio è dominato da lontani paesaggi sullo sfondo e la profondità prospettica è suggerita da pochi elementi basilari, come le frecce in scorcio di san Sebastiano o il lungo bastone di san Cristoforo.

A parte alcuni accorgimenti, come l'uso di una medesima linea dell'orizzonte, i pannelli centrali non sono legati da particolari rapporti compositivi, con ambientazioni in paesaggi differenti.

Si tratta di un retaggio tradizionale, come la spessa cornice di divisione tra un pannello e l'altro, che vennero presto superati dal maestro veneziano.

Il Cristo in pietà, ancora una volta nella produzione belliniana, segue uno schema compositivo bizantino, naturalmente aggiornato al naturalismo allora in voga in Italia. L'Angelo e Maria sono caratterizzati da una pittura limpida e smaltata: soprattutto nella veste dell'angelo le campiture sono intrise di luci ed ombre quasi scultoree, mentre nel riquadro della Vergine, dal delicato profilo, la tenda rossa provoca una fiammata cromatica improvvisa.

notizie tratte da wikipedia.org

04/10/19

Bansky attacca ferocemente il Parlamento Britannico, popolato da scimmie. Asta Record da Sotheby's



Nove milioni di sterline, l'equivalente di 11,4 milioni di euro, per il "Devolved Parliament" dell'artista britannico Banksy: alla fine di una serrata gara tra una decina di collezionisti, 13 minuti di continui rilanci, la grande tela che raffigura i banchi della Camera dei Comuni occupati da scimpanze' e' stata venduta per una cifra record da Sotheby's

Lo riportano i media britannici, evidenziando che il prezzo di partenza era gia' esorbitante: 8,5 milioni di sterline.

"Peccato che non sia piu' di mia proprieta'", ha scritto Bansky su Instagram, replicando al critico d'arte Robert Hughes che metteva in questione il valore effettivo delle opere d'arte. 

Pochi giorni dopo le burrascose sedute alla Camera dei Comuni sulla Brexit, lo street artist Banksy aveva messo all'asta il "Parlamento involuto", la tela che raffigura scimpanze seduti sugli scranni verdi della House of Commons, al posto dei deputati britannici. 

Il lavoro presentato alla stampa è stato messo all'asta ieri 3 ottobre in un contesto molto speciale, a un mese dalla data prevista per la Brexit, il 31 ottobre, e in un Paese ancora molto diviso. Questa settimana, il Parlamento britannico e' stato teatro di scambi particolarmente accesi tra il Primo Ministro Boris Johnson e i parlamentari dell'opposizione, senza precedenti in 22 anni, secondo lo speaker dei Comuni. 



"Non ci poteva essere un momento migliore per vendere questo dipinto", ha dichiarato all'Afp Alex Branczik, capo del dipartimento di arte contemporanea di Sotheby in Europa, asserendo che da settimane si assiste in Parlamento a scene da "telenovele quotidiane".

Il dipinto di Banksy sottolinea, rappresenta "la regressione della piu' antica democrazia parlamentare al mondo ad un atteggiamento tribale e animale".

Il dipinto e' stato originariamente esposto nel 2009 al Bristol City Museum, citta' di origine Banksy.

Ma quest'anno l'artista, la cui vera identita' rimane un mistero, "ha nuovamente esposto l'opera in coincidenza con la data della Brexit, a 10 anni dalla sua prima mostra", ha spiegato Branczik. In questa occasione, il dipinto, precedentemente chiamato Tempo delle interrogazioni, e' stato re-intitolato.

Non e' la prima volta che il famoso artista di strada si inserisce nel dibattito sulla Brexit. A Dover, ha realizzato un affresco di un uomo che infierisce su una stella europea con uno scalpello, opera che puo' essere vista dalle migliaia di camionisti e visitatori che entrano nel Regno Unito ogni anno.

Fonte Askanews e Ansa 


02/10/19

Spuntano altri due scheletri dagli scavi vicino alla Piramide, a Roma - Trovati anche molti chiodi




Dopo il ritrovamento del primo scheletro il 20 settembre, sono venute alla luce altre due sepolture di eta' tardo antica durante gli approfondimenti effettuati dalla Soprintendenza Speciale di Roma nello scavo Acea di Piazzale Ostiense, proprio di fronte all'uscita della Metro Piramide.

 I lavori di archeologia preventiva hanno portato alla luce i resti di una donna e di un bambino, vicino alla prima sepoltura.

La presenza di numerosi chiodi porta a ipotizzare che la inumazione sia avvenuta in una cassa, il cui legno e' deperito nel corso dei secoli: il fanciullo era deposto all'altezza dell'anca della donna.

Le tre sepolture, prive di corredo, farebbero parte della necropoli Ostiense, sorta nel I secolo a.C. ai lati della via consolare e sopravvissuta per molti secoli.


Si tratta di tombe molto povere di eta' tardo antica (IV-VI secolo d. C.), già ampiamente compromesse da precedenti lavori per i sotto servizi (acqua, elettricita').

 Lo scavo archeologico fa parte di un cantiere di Acea per il rinnovamento dell'illuminazione della piazza, ha una lunghezza di 6 per una profondita' di 1,70 metri, e sara' ultimato nei prossimi giorni. 

Nei prossimi mesi la Soprintendenza promuovera' indagini scientifiche e antropologiche sugli scheletri per ottenere ulteriori informazioni sui defunti sepolti.

Fonte ANSA

01/10/19

La millenaria storia della Basilica di San Pancrazio a Roma


La Basilica di San Pancrazio

Le storie dei martiri del primo cristianesimo romano sono sempre molto interessanti, anche perché sono quasi sempre legate con i luoghi di Roma e raccontando la storia di queste figure si finisce per raccontare anche la storia dei luoghi. E’ così anche per San Pancrazio, cui è intitolata l’antica Basilica sul  colle gianicolense.

Pancrazio, come racconta l’agiografia, tratta dalle memorie dei martiri romani, nacque da ricchi genitori di una famiglia romana nell’anno 289 d.C. a Sinnada, una cittadina della Frigia, in Asia Minore. 

Rimasto orfano all’età di otto anni (la madre era morta al momento del parto) Pancrazio fu affidato allo zio  Dionisio, al seguito del quale si trasferì a Roma, dove andò ad abitare in una splendida villa sul Celio, una zona della Città dove erano già attive numerose comunità di cristiani

Anche Pancrazio e Dionisio dunque furono battezzati e ricevettero l’Eucaristia. 


I tempi però erano molto pericolosi, visto che era scoppiata nel frattempo la feroce persecuzione di Diocleziano. Nel 303 d.C. la repressione – che causò complessivamente quindicimila vittime – si estese dalle province dell’impero fino a Roma, abbattendosi su chi si rifiutava di sacrificare agli dèi.

Questa sorte toccò anche al giovane Pancrazio – appena quattordicenne – il quale chiamato a riconoscere l’autorità dell’imperatore e rifiutandosi fermamente, fu condotto dinnanzi a Diocleziano stesso per essere giudicato.

Diocleziano.  Il sovrano, colpito dalla bellezza e dalla nobiltà del giovane, cercò perfino di convincerlo, senza risultato. La costanza sua fede gli valsero dunque l’ammirazione dei cortigiani presenti e lo sdegno dell’imperatore il quale ordinò l’esecuzione pubblica per decapitazione. 

Condotto fuori dalle mura, lungo la via Aurelia, il 12 maggio del 304, Pancrazio fu giustiziato alla presenza della matrona romana, una delle più famose del tempo, Ottavilla, la quale, sconvolta dalla sorte del ragazzo, fece raccogliere il capo e il corpo e li fece deporre in un sepolcro nuovo, lì dove sorgevano le catacombe della sua famiglia. 

Sul luogo del martirio, che è lo stesso dove oggi sorge la Basilica di San Pancrazio, si legge l’iscrizione Hic decollatus fuit Sanctus Pancratius (Qui fu decollato San Pancrazio), non lontano dall’altare dove si conservano i resti del corpo del ragazzo.


Fin qui l’agiografia ufficiale. C’è da aggiungere che la vicenda di Pancrazio si basa sostanzialmente sugli Acta - Passio sancti Pancratii - che furono scritti quasi due secoli dopo, al tempo in cui Papa Simmaco ordinò l’edificazione della grande basilica e che alcuni particolari della sua vicenda hanno generato confusione con quella di Calepodio, sacerdote romano martirizzato nel 232 d.C.

Il Martyrologium Romanum ancora oggi riporta in data 12 maggio la seguente commemorazione: A Roma, al secondo miglio lungo la Via Aurelia, memoria di S. Pancrazio, che ancora adolescente fu ucciso per la fede di Cristo; presso il luogo della sua sepoltura papa Simmaco innalzò la celebre basilica, e papa Gregorio Magno non perse occasione per invitare il popolo ad imitare un simile esempio di verace amore a Cristo. In questa data si commemora la deposizione delle sue spoglie.

Gli scavi archeologici operati nella zona hanno confermato che al di sotto dell’attuale Basilica esisteva un complesso di antiche origini, un porticato di una casa di una certa importanza, probabilmente la casa di Ottavilla, che doveva sorgere nei pressi del luogo dove fu eseguita la condanna a morte.

La fama di Pancrazio, specie dopo l’intitolazione della Basilica da parte di Simmaco, divenne enorme, si diffuse in molte parti d’Europa e a Roma condizionò i toponimi della zona al punto che anche l’antica Porta Aurelia, del circuito delle mura aureliane, cambiò il nome in Porta San Pancrazio, che mantiene anche oggi.

La Basilica fu nei secoli più volte rifatta, dapprima sotto il pontificato di Onorio I e poi nel 1609 dal cardinale Ludovico da Montereale che disseminò gli stemmi della sua casata un po’ ovunque. 

Un piccolo museo completa l’insieme della Basilica, con parte dei reperti provenienti dalle catacombe alle quali si può accedere nei pressi: vi è quella della matrona Ottavilla e quella di San Pancrazio (solo la seconda aperta al pubblico) ancora perfettamente conservate dopo duemila anni. 

30/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987)




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 41. "Arrivederci, Ragazzi" (Au revoir les enfants) di Louis Malle (1987) 

E' sublime il racconto autobiografico che diventa - con l'intervento decisivo dell'invenzione creativa - opera d'arte, come in Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants) il film che nel 1987 è valso a Louis Malle il Leone d'oro alla 44ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. 

Il maestro francese arrivò alla decisione di girare questo film - divenuto uno dei suoi più importanti - dopo diversi anni di riflessione e dopo aver scritto la prima bozza per una sceneggiatura in 14 giorni. basato sulla storia vera accaduta durante la sua infanzia nel 1944, quando, all'età di undici, entrò nel convitto Petit-Collège ad Avon vicino Fontainebleau. 

Tuttavia, Malle spiegò abbondantemente che il  film non ricalca fedelmente ciò che accadde, sovrapponendosi alla storia, elementi e aneddoti recuperati altrove o puramente immaginari. 

Il progetto era originariamente intitolato My little madeleine (riferimento alla Madeleine de Proust), prima di diventare con il titolo di Au revoir les enfants, un classico mondiale. 

Il film è dunque ambientato in Francia nel Collegio dei Carmelitani Scalzi di Fontainebleau nel gennaio del 1944, dove un ragazzo di nome Julien Quentin viene mandato insieme al fratello maggiore François, durante la Seconda guerra mondiale

Arrivato in quel collegio trova buona parte dei suoi compagni insopportabili ed egoisti e avverte fortemente la nostalgia della madre. 

La sua vita cambia radicalmente quando un coetaneo, Jean Bonnet, viene inserito nella classe. Julien inizialmente percepisce il ragazzo come un rivale, visto che ottiene buoni risultati a scuola e sa suonare bene il pianoforte. Ma con il tempo nota che è un ragazzo riservato e misterioso: non riceve mai posta, parla poco, non si mescola mai con i compagni. Frugando nel suo armadietto Julien scopre il suo segreto: Jean Bonnet è in realtà Jean Kippelstein, un ragazzo ebreo che ha trovato rifugio sotto falso nome nel collegio, per sfuggire alle persecuzioni razziali. 

L'ostilità di Julien si trasforma così in curiosità, poi in amicizia. 

Mentre scorrono i giorni del 1944, la vita nel collegio procede in tutta tranquillità, finché Joseph, un ragazzo povero e zoppo che lavora come inserviente dai preti, viene licenziato. Infatti è stato scoperto a compiere furti di oggetti presenti nel collegio (in particolare cibo) per poi barattarli con oggetti personali degli scolari. 

Il ragazzo, senza un posto dove vivere e consumato dalla rabbia, si fa spia presso l'esercito tedesco, rivelando la presenza di ebrei nel collegio. 

Malgrado i mille sotterfugi inventati dai preti, e i disperati tentativi di salvarli, Jean e altri due ebrei, insieme al direttore del collegio, vengono portati via per intraprendere un viaggio che si concluderà solo con la morte. 

Julien lo guarda allontanarsi e nonostante il sacerdote li saluti dicendo «Arrivederci ragazzi, a presto!», capisce che non lo rivedrà mai più. Alla conclusione del film, il narratore - lo stesso protagonista adulto - informa che sia i suoi compagni ebrei che il sacerdote moriranno successivamente in un campo di sterminio nazista: i ragazzi ad Auschwitz, mentre il prete a Gusen I (Mauthausen). 

L'equilibrio della narrazione raggiunto da Malle in questo film è quello della piena maturità: tutta la vicenda viene raccontata con partecipata intensità, senza la minima sbavatura, trasportando lo spettatore tra le mura di quel lontano collegio in cui si sperimenta l'assurdità inaudita del male e la sua presenza inalienabile.  

Allo stesso tempo, Au revoir les enfants è un vero e potente inno all'amicizia, alla com-passione, alla partecipazione emotiva, alla memoria, alla solidarietà. Quelle doti umane che proprio nei momenti più bui della storia, tornano a riemergere, promettendo agli uomini di poter risorgere, ancora una volta, dal loro abisso. 

Fabrizio Falconi





29/09/19

Poesia della Domenica: "Sentimento oceanico" di Fabrizio Falconi




Sentimento oceanico


In forme nuove ho attraversato
gli anni, era il tempo delle viole
dell'infinita luce, come un dardo
colmo di sfide, una corsa piena
di fragole e memorie da scrivere
e tetti di paglia e scimmie, e lumi
nel traffico, sparatorie e dolci
notti con l'amore sul cuscino; cento
colori diversi nella trama, cento storie
e baci dalla sospesa esistenza.




Fabrizio Falconi
- inedito 2019 

28/09/19

L'origine della parola Simbolo: una pietra, che si divideva a metà.



L'origine della parola Simbolo

Il significato più antico della parola affonda le sue radici in terra greca, dove symbolon era quella tessera ospitale, quel coccio di pietra che, spezzato, testimoniava il legame tra due persone, due famiglie in procinto di separarsi.
Ognuno portava con sé il segno di una comunione, di un patto amichevole che la distanza non poteva annullare.

Se poi accadeva di ricongiungersi, allora si procedeva alla ricomposizione delle due metà, e l'unità così ottenuta attestava, dopo l'assenza, un'intimità ininterrotta, un legame che non era stato spezzato.
Il significato del termine successivamente si perse, ma non smarrì il suo senso originario.
Ancora più esattamente, la parola "simbolo" deriva dal greco "symbàllein" che significa "mettere insieme".
Nell'antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto, e darne una metà a un amico o a un ospite.
Queste metà, conservate dall'una e dall'altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti di riconoscersi. Questo segno di riconoscimento si chiamava simbolo.
Platone, riferendo il mito di "Zeus che, volendo castigare l'uomo senza distruggerlo, lo tagliò in due" conclude che da allora "Ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (Hékastos oun emon estin anthròpou symbolon), la metà che cerca l'altra metà, il simbolo corrispondente."
Il simbolo dunque, rinvia a qualcosa.
Evocando la sua parte corrispondente, rinvia a qualcosa che non è deciso dalla convenzione, ma o da una "eccedenza di senso" o dal tentativo di "ricomposizione di un intero".

27/09/19

Libro del Giorno: "La ragazza del Kyushu" di Matsumoto Seicho


Seichō Matsumoto nato a Kokura nel 1909 e morto il 4 agosto 1992 è stato uno degli scrittori giapponesi più popolari e ammirati del Novecento. 

Abbandonati gli studi, ancora giovanissimo cominciò a lavorare in una tipografia, iniziando a collaborare per la rivista Asahi, dove pubblicò i suoi primi racconti storici. 

Dal 1953, quando vince il prestigioso premio Akutagawa, inizia a dedicarsi a tempo pieno all'attività di scrittore, con racconti gialli di stampo prettamente realistico, in netto contrasto con l'allora vigente letteratura gialla giapponese, impregnata di elementi spesso fantastici. 

Si susseguono i premi e sale la sua popolarità, anche in Occidente dove cominciano a definirlo il Simenon giapponese. A Simenon lo accompagna anche la vastissima produzione - più di 300 romanzi e molti racconti, che hanno riscosso successo in tutto il mondo. 

Ma non solo: al contraltare francese lo accomuna anche il gusto per uno scarno realismo - ancora più minimalista di quello di Simenon - e una precisa, definitissima analisi delle psicologie dei personaggi, specie di quelli femminili.

E' il caso anche di questo La Ragazza del Kyūshū, pubblicato per la prima volta nel 1961, pubblicato in Italia da Einaudi, al centro del quale c'è appunto una giovane donna, che in un mattino di primavera si presenta nello studio di un illustre penalista di Tokyo. È Kiriko. Ha appena vent’anni, il volto pallido dai tratti ancora infantili, ma qualcosa di inflessibile nello sguardo, «come fosse stata forgiata nell’acciaio».

Non ha un soldo e ha attraversato il Giappone dal lontano  per arrivare fin lì, a implorare il suo aiuto. Il fratello, accusato di omicidio, è infatti appena stato arrestato, e Kiriko è la sola a crederlo innocente. 

L’avvocato rifiuta il caso: non ha tempo da perdere, tanto meno per una difesa che dovrebbe assumersi senza essere retribuito. Kiriko si scusa con un piccolo inchino, esce dallo studio e così come è arrivata scompare. 

Il fratello verrà condannato e morirà in carcere qualche mese dopo, poco prima che l’esecuzione abbia luogo. 

È solo l’antefatto da cui prende il via questo gelido noir. Dove un caso-fantasma, ripercorso nei minimi dettagli, lascia spazio a una vendetta esemplare che si fa strada da lontano. E mentre ogni colpa – consapevole o inconsapevole – viene pesata accuratamente, come su una bilancia cosmica, una tensione impalpabile, un «rumore di nebbia» accompagnano questa storia da cima a fondo. 

Finché lei, Kiriko, la ragazza del Kyūshū, non otterrà ciò che vuole.

L'intricato e sottilissimo legame che si instaura tra l'avvocato e Kiriko (vittima e carnefice l'uno dell'altro), sono sul palcoscenico dietro il quale si agitano le figure di un mondo rarefatto, elegante e silenzioso, pieno di segreti e di piccoli misteri. 

Fabrizio Falconi





26/09/19

Il carattere proprio dell'amore: il Simbolo di Platone.



Il simbolo come azione che compone i distanti

Nel Simposio di Platone ritroviamo la parola Simbolo per designare il carattere proprio dell'amore: che è, appunto, Simbolo di quell'unità che lega gli uomini in quanto provenienti da una stessa origine e in quanto alla ricerca, con il consenso pietoso degli dèi, di quell'unità che, proprio a causa degli dèi, è stata spezzata.
Per questo ogni uomo è simbolo, tessera dell'uomo totale: Hékastos oun emon anthropou symbolon.

Simbolo è dunque espressione che dice unità da remote distanze, tensione verso una totalità assente richiamata dall'incompiutezza di senso della situazione presente.
In termini junghiani: se l'Io è l'espressione della "situazione" presente, il Sè è quella "totalità" assente verso cui il simbolo de-situa. Il Sè dell'uomo (das Selbst) è infinitamente più comprensivo del suo Io (das Ich), così come i confini del possibile sono infinitamente più ampi della realtà determinata e consaputa.
Nella dialettica Io-Sé, Jung dà forse una delle migliori descrizioni della coscienza simbolica, che poi non è altro che la conoscenza umana salvata da quell'irrigidimento nella dimensione razionale, in cui la cultura occidentale l'ha costretta, quando ha ideato quel reticolato di segni per la de-signazione delle cose. Tra "segno" e "simbolo" corre infatti quella differenza che i Greci avevano intuito tra "dia-bàllein" e "sym-bàllein", tra disgiunzione e composizione.

25/09/19

Ogni cosa è correlata, nell'Universo. Tutto fa parte del Tutto. Le incredibili proprietà dell'Entanglement Quantistico



Cosa è l’Entanglement Quantistico ?

I risultati ottenuti dagli studi teorici e sperimentali, scientifici, corroborano in ogni caso, la conclusione che l’universo ammette l’esistenza di “interconnesioni non locali”:  qualcosa che ACCADE QUI può essere correlato con qualcosa che ACCADE LAGGIU’, ANCHE SE NON C’E’ NULLA CHE SI SPOSTI DA QUI A LI’ E ANCHE SE NON C’E’ ABBASTANZA TEMPO PERCHE’ SI VERIFICHI ALCUNCHE’, AD ESEMPIO PERCHE’ LA LUCE VIAGGI TRA DUE PUNTI.

La connessione tra due particelle può permanere ANCHE SE SI TROVANO AGLI ESTREMI OPPOSTI DELL’UNIVERSO.

Dal punto di vista della loro correlazione, malgrado l’immensità dello spazio che le separa, E’ COME SE FOSSERO POSTE UNA ACCANTO ALL’ALTRA.

Con una certa semplificazione, anche se le due particelle sono nettamente separate, possiamo dire che la meccanica quantistica dimostra che   QUALSIASI COSA FACCIA UNA PARTICELLA, L’ALTRA FA LO STESSO. 

Possono esistere, contrariamente a quanto credeva Einstein, connessioni quantistiche, strane, bizzarre, “sovrannaturali” tra un corpo che si trova qui e uno che si trova là.

Il ragionamento che fa giungere a questa conclusione è tanto complesso che ai fisici sono occorsi più di 30 anni per comprenderlo in tutte le sue sfumature.

Coppie di particelle adeguatamente preparate (dette entangled) non acquisiscono le proprietà misurate in modo indipendente: sono come due dadi magici, uno lanciato ad Atlantic City, l’altro a Las Vegas, ognuno dei quali segna casualmente un punteggio, che è sempre in accordo con quello dell’altro dado. Le particelle entangled si comportano nello stesso modo, ma non per magia: anche se spazialmente distanti, non si comportano in maniera autonoma una dall’altra.

Le conseguenze di questa scoperta, sono colossali: L’universo NON E’ LOCALE.

L’effetto di ciò che facciamo in un luogo piò essere correlato CON QUANTO ACCADE IN UN ALTRO LUOGO, ANCHE SE ESSI SONO TROPPO DISTANTI PER PERMETTERE AD ALCUNCHE’ DI TRASMETTERE UN QUALUNQUE TIPO DI INFLUENZA NEL TEMPO DATO.

Le particelle hanno UNA ORIGINE COMUNE CHE LI CORRELA. In sostanza, per quanto si allontanino una dall’altra e siano spazialmente distinti, LA LORO STORIA LI ACCOMUNA.

Anche quando sono lontani, FANNO PARTE DI UNO STESSO SISTEMA FISICO, DI UNA UNICA ENTITA’ FISICA.

Concludendo: DUE OGGETTI POSSONO ESSERE SEPARATI DA UN’ENORME QUANTITA’ DI SPAZIO E, CIO’ NONOSTANTE, NON AVERE UNA ESISTENZA DEL TUTTO INDIPENDENTE.  Possono cioè essere uniti da una connessione quantistica, l’Entanglement, che rende LE PROPRIETA’ DELL’UNO DIPENDENTI DA QUELLE DELL’ALTRO.  Lo spazio non distingue gli oggetti correlati in questo modo, NON E’ IN GRADO DI ANNULLARE LA LORO INTERCONNESSIONE: anche una enorme quantità di spazio NON NE INDEBOLISCE MINIMAMENTE L’INTERDIPENDENZA QUANTISTICA.

Ciò significa che OGNI COSA E’ CORRELATA CON TUTTE LE ALTRE, E CHE LA MECCANICA QUANTISTICA STABILISCE UN’ENTANGLEMENT UNIVERSALE. 

In fondo, del resto, al momento del BIG-BANG, TUTTO ERA IN UN UNICO LUOGO.



24/09/19

Fabrizio Falconi a "STARS" la mostra a Palazzo Velli - Il Programma Completo



La mostra STARS dalla Street Art alla Space Art, a cura di Simona Capodimonti organizzata da Stefano Aufieri e Palazzo Velli Expo, si svolge dal 28 Settembre al 5 Ottobre 2019 a Palazzo Velli, in Piazza San Egidio 10, nel cuore di Trastevere a Roma, dove noti street artists accanto ad altri più da interni espongono opere ispirate ai temi spaziali

Il pretesto è il 50° anniversario dello sbarco sulla luna, un’impresa eccezionale avvenuta il 20 luglio 1969, cui tutta l’umanità ha partecipato attraverso le telecronache e le immagini televisive, e che si celebra nel corso del 2019. 

Con STARS si vogliono esplorare complessi temi scientifici attraverso il linguaggio diretto della street art, molto amata da un numero crescente di appassionati.

L’esposizione racconta del rapporto dell’UOMO con l’UNIVERSO e il suo porsi da sempre domande sul Cosmo. E’ noto che scienziati ed artisti siano in grado di vedere cose e creare “mondi” prima di altri e con tale capacità apportano il loro contributo positivo all’evoluzione dell’umanità.

STARS sono le Stelle del firmamento street art presenti in mostra, una significativa parte della scena romana ma anche tanti altri provenienti dal resto d’Italia, a rappresentare uno degli ambienti più innovativi e interessanti nell’arte contemporanea degli ultimi decenni. Una mostra “indoor” con artisti che per scelta prediligono dipingere sui muri è comunque una buona occasione per ammirare il loro stile e poi andare a scoprire le loro opere “outdoor”. Tra alcuni nomi Beetroot, Cancelletto, Diavù, Lucamaleonte, Omino71, Maupal, Moby Dick, Napal Naps, Neve, Mr. Klevra, Mauro Sgarbi, Solo, Stefano Bolcato.

Ognuno ha interpretato il concetto di SPAZIO secondo la sua creatività, in maniera poetica o in senso lato come spazio mentale, più spesso in chiave ironica o pungente con il linguaggio tipico dell’ambiente “underground” dell’arte urbana che vuole far riflettere su temi ambientali, sociali e umanitari. 

In fondo la street art è già arrivata nello Spazio, se pensiamo che l’artista Invader ha inviato nel 2015 un suo piccolo mosaico sulla Stazione Spaziale Internazionale, per cui giusto il tempo di un lancio e si passa rapidamente dalla Street Art alla Space Art e chissà quali altre possibili presenze aliene, oltre alle umane, possano averlo intercettato e quindi già ammirato l’arte nello Spazio.

Numerosi artisti sono rimasti affascinati dal tema e hanno aderito alla collettiva, dandoci un’idea della varietà di stili, tecniche e personalità nell’arte urbana: Alessandra Carloni, Breezy g, Chew-z, Collettivo 900 con Leonardo Crudi 900 e Elia 900, Barkieri, Emme xyz, Giusy, Gojo, Hoek, Hos, Ivan Fornari, Krayon, Lac68, Luca Bellomo, Manuela Merlo Uman, Olives, Pino Volpino, Piskv, Rachele del Nevo, Studio Sotterraneo con Carlos Atoche, Luis Alzarez, Luis Cutrone, Antonio Russo, Zoan, Teddy Killer, Tina Lo Iodice, Violetta Carpino, Zeitwille, dal centro Italia, dall’Emilia About Ponny, Alessio Bolognesi, Bibbito, Psiko, dalla Toscana Ache77, Blub, Exit Enter, Gabriele Romei aka RMOGRL8120, Collettivo C&C con Giada, Incursioni decorative, Otti, dal Sud Ironmould e pHOBOs, dalla Sicilia Acnaz, Antonio Curcio, Demetrio di Grado. Dal writing e graffiti: Bol Pietro Maiozzi, Er Pinto, Orghone, Mr Vela, Starz, Warios, Yest. Dai tatuaggi: Roberto Dramis aka Enigmaregis. Tra le nuove leve: Aurum, Afra17, Atyom, Glasswall, Giulia Zoo, Lola Poleggi, Mike Bravo, Mister Fred, Sony, Voice.

Una sezione interessante è riservata a chi è solito esprimersi anche con poster art e sticker art in azioni installative spontanee come Alessia Brabrow, Pino Boresta, Aloha, Ex Voto, Kocore, Koi, k2m, Lus57, Stencilnoire, Mr. Molecola Blu, Qwerty, Stelleconfuse, Tracy M., Winstons Smith, Jah, Zeta, Za To, dove si può ammirare sia in mostra che in strada una creatività libera e innovativa.

A omaggiare la luna e lo spazio anche le raffinate donne di Marco Rea, le miniature di Justin Bradshaw, le macchine 500 da design di Monica Casali, le foto di Gaia Villani, le  sculture di Jacopo Mandich, Andrea Gandini e Sandra Fiorentini, le stampe in 3D di Luciano Fabale, gli alieni di Eros Renzetti e il pugile di Paolo Bielli, le composizioni materiche di Matteo Peretti, le cartapeste di Marta Cavicchioni, le invenzioni di Lorenzo Dispensa, l’installazione e performance White lunar di Monica Pirone MK, lo spettacolo artistico-teatrale Tracce lunari dell’artista Luca Valerio d’Amico con l’attore Daniele Parisi, le estrose creazioni dell’artista e sktilista Ilian Rachov.

Un ricco calendario di iniziative collaterali accompagna la mostra STARS con space talks, space tours, space movies, performances, live painting, fashion show.

Info mostra: mattina 10.00-13.00 (formula uptoyou), pomeriggio 15.00-19.00 € 5,00
Per iniziative collaterali info e costi: info@palazzovelli.it 06 5882143.

Si ringraziano per il sostegno: Main Sponsor Fineco Bank, Alessandro D’Alessandro
e Valeria Cirone, Palazzo Velli Expo, Drago Edizioni Media partner, Never Cover,
Rome Stret art walking tours, La Pizzuta del Principe, Cantina Claudio Quarta
Vignaiolo.

Calendario iniziative collaterali a STARS

Venerdì 27/09
Live painting di Neve con ritocco di Anna Perenna sulla serranda ingresso al palazzo. Ore 15.00-18.00

Sabato 28/09
Anteprima mostra su invito ore 16.00-20.00
Vernissage ad accesso libero dalle ore 20.00

Domenica 29/09
Space tour, visita guidata alla mostra con la curatrice. Ore 11.00
Space movie, proiezione di un film cult sullo spazio e a seguire conversazioni con esperti di cinema ed artisti, ore 19.00. Con biglietto d’ingresso.

Lunedì 20/09
In a ribbon of moonlight, sfilata della collezione Autunno/Inverno 2019/2020 di Domitilla Funghini per Sottrazioni. Presenta la giornalista Livia Azzariti. Con Simona Tito organizzazione, Barbaraguidi hats & headwear, Estens make up eye & brow, Mangano art jewels, Maria Grazia Moretti accessori e dipinti su tessuto, Stelio Malori shoes, Manuela Rapaccioni hairstylist. Su invito ore 20.00

Martedì 01/10
Space talk con scrittori e artisti con Fabrizio Falconi giornalista autore di vari libri sui misteri di Roma e Porpora e Nero, Edizioni Ponte Sisto 2019, Gabriele Ziantoni speaker radiofonico autore del racconto L’astronauta con un disegno di Solo nel libro in uscita Nonostante Tutto, L’Erudita editore - Ore 17.00-19.00

Mercoledì 02/10
SpaziAmo, fashion show tra art e stile con la direzione artistica di Michele Spanò, Presenta la giornalista Barbara Castellani. Con gli stilisti Monica Bartolucci, Fabiana Gabellini, Giuliana Guidotti, Ilian Rachov, Fina Scigliano, Marta San Giovanni Gelmini, Carla Campea Gioielli Arte in regola. Comunicazione IPMagazine e INBrand adv. Su invito ore 21.00

Giovedì 03/10
Una sera nello Spazio, spettacolo artistico e teatrale. Su invito ore 19.00

Venerdì 04/10
Space talk con scienziati e artisti con Nicoletta Lanciano professoressa di didattica delle scienze e della matematica Università La Sapienza di Roma e autrice dei libri In luna, stellis et sole e Villa Adriana tra cielo e terra - Percorsi guidati dai testi di Marguerite Yourcenar, Apeiron edizioni 2010 e 2003, Ettore Perozzi dell’Agenzia Spaziale Italiana, autore del libro Luna nuova, Il Mulino 2019, Piero Meogrossi, architetto, ispettore, già direttore tecnico MIBACT e studioso di archeo-astronomia. Ore 17.00-19.00 Tracce Lunari Spettacolo artistico e teatrale con l’artista Luca Valerio D’amico e l’attore Daniele Parisi.
Ore 21.00. Con biglietto d’ingresso.

Sabato 05/10
Urban talk: I diritti degli street artists e le sponsorizzazioni private nell’arte con l’Avvocato Roberto
Colantonio, autore dei libri La Steet art è illegale? e Art sponsor. La sponsorizzazione dell'arte

23/09/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 40. "Il maratoneta" (Marathon Man) di John Schelsinger (1976)

Cosa è e cosa dovrebbe essere un thriller. 

New York: dopo l'assassinio del fratello (Roy Scheider), Babe Levy (Dustin Hoffman), giovane e timido ebreo americano - se la deve vedere con l'ex criminale nazista Szell (Laurence Olivier), trafficante di diamanti, sottratti agli ebrei bruciati nei forni della Seconda guerra mondiale. 

La mitologica storia di Davide contro Golia, riadattata nel contesto moderno in un thriller ambizioso e perfetto, tratto dal romanzo omonimo di William Goldman, autore anche della sceneggiatura e realizzato dalla mano esperta e felice di John Schlesinger.

Le psicologie sono approfondite, rese fino all'essenziale con il contributo di attori in stato di grazia. Ma è soprattutto nella suspence e nel tono spettacolare (senza volgari effetti roboanti), che il film dà il suo meglio, con scene da antologia, come quella in cui Szell rispolvera la sua prima e vecchia professione di dentista per torturare il malcapitato Babe e farsi dire qualcosa che nemmeno sa.

Il maratoneta del titolo è proprio Babe, che passa le sue giornate a correre per il Central Park, sognando di notte Abebe Bikila, e sarà proprio questa passione a salvarlo.

Grande fotografia di Conrad Hall.

Strepitoso il vecchio Sir Laurence Olivier nei panni del terribile criminale nazista.

Il Maratoneta
(Marathon Man)
di John Schlesinger
USA 1976
con Dustin Hoffman, Laurence Olivier, Marthe Keller, Roy Scheider, Lou Jacobi
durata: 125 minuti




22/09/19

Poesia della Domenica: "Dimmi che non sarà la morte" di Donata Doni




Dimmi che non sarà la morte


Sarà come incontrarti
per le strade di Galilea
e sentire il battito di luce
delle Tue pupille divine
riscaldare il mio volto.

Sarà la Tua mano
a prendere la mia
con un gesto d'amore
ignoto alla mia carne.

Sarà come quando parlavi
a chi era respinto
per i suoi peccati,
sarà come quando perdonavi.

Dimmi che non sarà la morte,
ma soltanto un ritrovo
di amici separati
da catene d'esilio.

Dimmi che non saranno
paludi d'ombra
a sommergermi,
né acque profonde
a travolgermi.

Solo il Tuo volto,
solo il Tuo incontro, Signore.


Donata Doni, Il pianto dei ciliegi fioriti
tratto da: Poesie di Dio a cura di Enzo Bianchi, Einaudi, 1999, pag. 168



21/09/19

Arriva a Roma "CARTHAGO. IL MITO IMMORTALE", la grande Mostra al Parco del Colosseo dedicata a Cartagine, la Rivale di Roma



La storia e la civiltà di una delle città più potenti e affascinanti del Mediterraneo antico saranno protagoniste, a partire da venerdì prossimo, 27 settembre e fino al 29 marzo 2020, della mostra Carthago. Il mito immortale. 

Il Colosseo, il Tempio di Romolo e la Rampa imperiale al Foro Romano accoglieranno materiali straordinari, provenienti dalle collezioni dei Musei archeologici nazionali italiani e stranieri, tra i quali spiccano quelli di Cartagine e del Bardo di Tunisi, di Beirut in Libano, di Madrid e di Cartagena in Spagna.

A curare la grande mostra, e a coordinare l’assiduo lavoro di cooperazione internazionale, è Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo, insieme a Francesca Guarneri, Paolo Xella e José Ángel Zamora López, con Martina Almonte e Federica Rinaldi.

L’esposizione, promossa dal Parco archeologico del Colosseo, con l’organizzazione di Electa, vedrà preziose ricostruzioni e installazioni multimediali accanto a più di 400 reperti mai esposti prima, risultato delle campagne di ricerca condotte dalla Soprintendenza del Mare siciliana alle Isole Egadi, per guidare il pubblico alla scoperta delle vicende che legano le due grandi potenze del mondo antico: Cartagine e Roma.

Il percorso narrativo accompagnerà il visitatore dalla fondazione dell’Oriente fenicio, per poi toccare la rifondazione della nuova Colonia Iulia Concordia Carthago, snodarsi tra le testimonianze del nascente cristianesimo, di cui Cartagine divennne il centro propulsore, e infine concludersi con una appendice sulla riscoperta della città alla luce dell’immaginario moderno e contemporaneo.

Ad accogliere il visitatore all’ingresso del Colosseo sarà una ricostruzione del Moloch del film Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato da Gabriele D’Annunzio: la terribile divinità legata ai culti fenici e ai Cartaginesi.

Carthago. Il Mito immortale
Parco del Colosseo
27 settembre - 29 marzo



20/09/19

Nulla succede per caso. Sincronicità e coincidenze nei periodi di transizione della nostra vita




Ci sono nella vita periodi che possiamo chiamare di transizione: sono quei periodi in cui la stabilità non è tale da darci soddisfazione interiore, e allora sentiamo di dover operare dei cambiamenti in un'esistenza diventata noiosa e paralizzante;  oppure momenti in cui eventi incontrollabili gettano lo scompiglio in una situazione che avevamo ormai accettato.   Talvolta questi periodi di transizione possono essere provocati da entrambi gli elementi: una necessità interna di cambiamento e una serie di eventi esterni che ci fanno uscire da un solco nel quale non sapevamo neppure di trovarci. 

Molti individui, durante questo processo di transizione, ricevono un aiuto non soltanto esterno o sociale, ma di carattere interno e psicologico: senza che lo desideri o lo si cerchi esso giunge nella forma di una sequenza accidentale di eventi che si verifica nel momento più adatto per aiutarci a proseguire, spesso proprio quando abbiamo la sensazione che ci sia ormai poco da fare. 

Uno dei tratti distintivi della concezione junghiana della psiche è la convinzione che essa sia un fenomeno naturale e che tutti i suoi aspetti, compresi quelli in apparenza patologici o distruttivi, abbiano in realtà la funzione di far sì che lo sviluppo psicologico non si arresti. 

La visione di Jung, secondo la quale i fenomeni psicologici hanno sempre una loro funzione, rafforza la sua concezione di sincronicità. Quando accadono eventi acausali, significativi sotto il profilo emotivo e sotto quello simbolico, il fatto di sperimentare psicologicamente una sincronicità consente in qualche modo di procedere.  

Ecco perché le sincronicità si verificano sempre in momenti di transizione cruciali.

Come l'aiuto che spesso riceviamo dall'esterno, la psiche ci fornisce a volte un aiuto interno e psicologico in forma di coincidenze significative. 





19/09/19

Bacon e Freud per la prima volta insieme a Roma in una grande mostra al Chiostro del Bramante

Lucien Freud, Girl with a kitten, 1947, in mostra al Chiostro del Bramante

BACON, FREUD, LA SCUOLA DI LONDRA 
Opere della TATE 26 settembre 2019 – 23 febbraio 2020 al Chiostro del Bramante di Roma

Due giganti della pittura, Francis Bacon e Lucian Freud per la prima volta insieme in una mostra in Italia. Uno dei più affascinanti, ampi e significativi capitoli dell’arte contemporanea mondiale con la Scuola di Londra. Una città straordinaria in un periodo rivoluzionario. Bacon, Freud, l’arte britannica in oltre sette decenni, lo spirito di una città in mostra al Chiostro del Bramante di Roma dall’autunno 2019 fino a febbraio 2020, a cura di Elena Crippa, Curator of Modern and Contemporary British Art, Tate e organizzata in collaborazione con Tate, Londra.

Insieme a Francis Bacon e Lucian Freud, Michael Andrews, Frank Auerbach, Leon Kossoff e Paula Rego, artisti che hanno segnato un’epoca, ispirato generazioni, utilizzato la pittura per raccontare la vita. 

Grazie a un prestito di Tate, la pittura di sei artisti con opere dal 1945 al 2004 rivela, in maniera diretta e sconvolgente, la natura umana fatta di fragilità, energia, opposti, eccessi, evasioni, nessun filtro, verità. Tanti i temi affrontati: gli anni della guerra e del dopoguerra, storie di immigrazione, tensioni, miserie e insieme, desiderio di cambiamento, ricerca e introspezione, ruolo della donna, dibattito culturale e riscatto sociale. Al centro di tutto questo la realtà: ispirazione, soggetto, strumento, fino a essere ossessione. 

Un tema più che mai attuale, in un’epoca, la nostra, di filtri e #nofilter. La scuola di Londra In mostra oltre quarantacinque dipinti, disegni e incisioni di artisti raggruppati nella “School of London”. 

Artisti eterogenei, nati tra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta, immigrati in Inghilterra per motivi differenti che hanno trovato in Londra la loro città, il luogo dove studiare, lavorare, vivere. 

Francis Bacon (1909-1992) nasce e cresce in Irlanda e arriva in Inghilterra quindicenne, Lucian Freud (1922-2011) scappa dalla Germania per sfuggire il nazismo, lo stesso succede, pochi anni dopo a Frank Auerbach; Michael Andrews è norvegese e incontra Freud suo professore alla scuola d’arte; Leon Kossoff è nato a Londra da genitori ebrei russi; Paula Rego lascia il Portogallo per studiare pittura nelle scuole inglesi. 

Nell’architettura cinquecentesca progettata da Donato Bramante trovano spazio, con un approccio cronologico e tematico, opere che raccontano individui, luoghi, vita vissuta, per mostrare la totalità dell’esperienza di essere umano. Opere in cui la fragilità e la vitalità della condizione umana viene presentata tramite lo sguardo dell’artista: disegni e dipinti che ritraggono esistenze e luoghi scandagliati nella sua crudezza senza filtri. 

Per l'approfondimento sugli artisti vedi: www.chiostrodelbramante.it/mostra-bacon-freud-approfondimento