08/07/16

Beatrice Cenci, storia del fantasma più famoso di Roma.


Rappresentazione di Beatrice Cenci in una fotografia di Julia Margaret Cameron



Oggi, 8 luglio ricorre l'anniversario della nascita di Artemisa Gentileschi (8 luglio 1593), la grande pittrice romana. La ricordiamo con questo episodio poco conosciuto della sua vita, quando assistette in piazza alla esecuzione capitale di Lucrezia Borgia. 




La storia di Beatrice Cenci, il più famoso fantasma di Roma.


Il fantasma forse più famoso di Roma è quello di Beatrice Cenci, che con il tempo divenne una vera e propria eroina popolare, per tutti, ma che, prima di diventare un terrorizzante fantasma che si dice compaia ancora oggi portando la sua testa recisa tra le mani, fu la vittima sacrificale in un vero e proprio caso giudiziario, tra i più scandalosi e dibattuti dell’intera storia della Capitale.

Di questo processo infatti, parlò tutta Roma, e per secoli interi la fama della intricata vicenda influenzò grandi scrittori come Stendhal, Percy B. Shelley e Alexandre Dumas.

E c’era tutta Roma quel giorno, l’11 settembre (giorno non proprio fortunato, a giudicare dai corsi e ricorsi storici) del 1599 ad assistere, nella Piazza del Castel Sant’Angelo, alla terribile esecuzione della bella Beatrice, accusata di parricidio, e dei suoi complici.

Una folla incontenibile tanto che, nel caldo afoso in tanti svennero per la calca, altri addirittura finirono nel fiume.

Tra loro c’era anche il giudice Ulisse Moscato che aveva proclamato la sentenza di morte, c’erano i più grandi avvocati dell’epoca, Molella e Farinacci, che si erano divisi i ruoli della difesa e dell’accusa, c’erano turisti e curiosi, frati confessori e tutti i rampolli delle famiglie nobili dell’epoca, c’erano soldati e artisti: tra questi ultimi, perfino Michelangelo Merisi da Caravaggio e Artemisia Gentileschi, i più grandi dell’epoca.

È facile immaginare quale suggestione dovette suscitare l’esecuzione dei condannati. Prima madama Lucrezia, la matrigna di Beatrice e poi la stessa Beatrice furono decapitate a fil di spada.

Dopo di loro, Giacomo, il fratello più grande di Beatrice, fu squartato davanti alla folla, dopo che durante il tragitto fino al patibolo era stato torturato con tenaglie roventi.

Ma cosa avevano fatto costoro di così grave e imperdonabile per essere stati condannati a una fine pubblica così atroce? La vicenda umana di Beatrice, che visse soltanto ventidue anni, è tra le più tristi che si ricordi nella lunga storia di Roma.

Eppure la ragazza, quando era nata, il 12 febbraio del 1577, sembrava possedere tutte le caratteristiche del privilegio.

Beatrice era infatti nata dal matrimonio tra il Conte Francesco Cenci, che aveva ereditato una somma favolosa dal padre, dignitario e tesoriere della Camera Apostolica, ed Ersilia Santacroce. Come si usava spesso all’epoca, era un matrimonio consumato tra due adolescenti: gli sposi infatti avevano soltanto quindici anni.

Nei successivi venti, Ersilia diede al Conte ben dodici figli, tra cui due femmine, Antonina e Beatrice. Tutti i guai, nella vita di Beatrice, derivarono proprio dal padre, uomo terribilmente dispotico, collerico, violento con manie di persecuzione.

Quando Ersilia morì di parto, nel 1584, l’uomo mandò le figlie in un convento. Beatrice aveva allora soltanto sette anni. Restò per otto anni in clausura, finché, ormai adolescente, le fu permesso di rientrare in casa. Qui però trovò una situazione ancora più insostenibile. Il padre era ormai in preda a un vero delirio di dissoluzione: continuamente coinvolto in risse da strada, fatti di sangue, piccoli e grandi scandali (tra cui un’accusa di sodomia) stava minando il suo ingente patrimonio pagando avvocati senza scrupoli che lo liberavano dai guai a prezzo di spaventosi onorari.
La vita in famiglia, specialmente per le due figlie femmine, dovette molto presto tramutarsi in un inferno. E così quando Antonina, dopo aver scritto una supplica al papa, ottenne l’autorizzazione da Clemente VIII di sottrarsi alla autorità paterne e di convolare a nozze con il rampollo di una nobile casata di Gubbio, il padre, il conte Francesco, nel timore di perdere anche Beatrice, decise di segregarla.

La rinchiuse insieme a Lucrezia, la nuova moglie che aveva sposato nel 1593, in un remoto e lugubre castello, chiamato La Rocca, nella provincia del reatino, non distante dalla Valle del Salto.

Tutti i tentativi di Beatrice di evadere dalla prigione, anche con il ricorso a servitori o amici di famiglia, si rivelarono infruttuosi: non solo, per sfuggire ai debiti che stavano diventando insostenibili, ormai anche malato, il Conte pensò bene di trasferirsi lui stesso a La Rocca, portando con sé i due figli più piccoli, Bernardo e Paolo.

 La vita in quel luogo desolato divenne ancora più dura. Beatrice doveva subire ogni tipo di angheria e assistere ai maltrattamenti che il vecchio despota imponeva alla matrigna e ai figli.

Quando il vaso fu colmo, i figli decisero di passare all’azione e di sbarazzarsi con ogni mezzo del terribile padre. I primi due tentativi – un’imboscata organizzata da briganti presi a tradimento, e un avvelenamento – andarono a vuoto. Ma il terzo, andato in scena con la complicità di due servitori di stanza a La Rocca (i quali anche loro non ne potevano più del padrone), Marzio da Fioran, detto il Catalano, e Olimpio Calvetti, riuscì, anche se non così perfettamente come si era sperato: il fratello maggiore, Giacomo, in visita al Castello, preparò la pozione con l’oppio che servì a stordire il vecchio. Quando si fu addormentato, Marzio, senza pietà gli spezzò le gambe con un tortore, e Olimpio lo finì con un chiodo nella gola.

Fatale, per la cattiva riuscita del crimine, fu la decisione di simulare, come causa di morte, la caduta da un ballatoio del castello.

Il cadavere fu ritrovato la mattina dopo, ai piedi delle mura, e figli e moglie piansero finte lacrime per indurre a credere che si fosse trattato di una semplice disgrazia. Sulle prime il depistaggio riuscì.

 Il Conte fu seppellito nella chiesa del posto, e i famigliari fecero ritorno a Roma, nel palazzo della famiglia Cenci, apparentemente liberi dall’ossessiva presenza del vecchio padre-padrone. Ben presto però, in città cominciarono a correre voci e maldicenze sulla fine del Conte. Furono ordinate due inchieste.

La prima senza apparenti risultati, la seconda, richiesta direttamente dal Viceré di Napoli e con il parere favorevole del papa stesso, portò invece alla riesumazione del cadavere, all’esame di tutte le ferite presenti sul corpo, e all’interrogatorio serrato di diversi testimoni, tra cui una lavandaia del castello che confessò di aver nascosto un lenzuolo macchiato di sangue «che la figlia, Beatrice, aveva detto essersi macchiato del suo liquido mestruale».

 I presunti colpevoli, i due servitori, i fratelli Giacomo, Beatrice e Bernardo, e la matrigna Lucrezia furono dunque arrestati e cominciò per loro il calvario delle torture, che venivano usate sistematicamente per ottenere la confessione.

Il primo a cedere fu Olimpio, che in cambio della delazione degli altri complici fu lasciato fuggire, salvo poi essere ucciso da prezzolati sicari al soldo della famiglia Cenci, che temeva nuove confessioni a danno di altri membri del casato.

Anche l’altro servitore, Marzio, morì durante i feroci interrogatori.

Alla sfortunata Beatrice, che inizialmente negò tutto attribuendo le colpe unicamente ai domestici del castello, toccò il terribile supplizio della corda: il condannato, sospeso a mezz’aria a una corda pendente dal soffitto, con le braccia legate dietro la schiena, non poteva resistere.

 Non conosciamo con certezza il ruolo che Beatrice ebbe nel complotto per uccidere il padre. Fatto sta che la sua ammissione bastò per farle meritare la massima condanna, insieme agli altri complici del delitto.

Gli imputati vennero rinchiusi nelle carceri di Tordinona e di Corte Savella e a nulla valsero i tentativi dell’avvocato difensore. Beatrice avrebbe dovuto, per discolparsi, denunciare di essere stata violentata dal padre, ma la ragazza si rifiutò di farlo e la condanna fu emessa, senza indugi, per lei, per madama Lucrezia e per Giacomo.

Il fratello più piccolo Bernardo, ancora minorenne, fu risparmiato, e la sua pena commutata in lavori forzati a bordo delle galere pontificie. Dalla sua cella della prigione di Corte Savella, che sorgeva nei pressi del giardino degli Aranci sull’Aventino, Beatrice cercò di sfruttare anche una occasione che il caso le mise a disposizione: la terribile alluvione dell’inverno del 1598 che, con lo straripamento del Tevere causò anche il definitivo crollo del celebre Ponte Rotto, il più antico di Roma, di cui restarono solo pochi ruderi, in mezzo al letto del fiume.

Tratto da Fabrizio Falconi, I fantasmi di Roma, Newton Compton, nuova edizione, 2015

07/07/16

In memoria di Valentino Zeichen - "Piazza del Popolo" (domani i funerali).



Domani si terranno nella chiesa di Santa Maria a Piazza del Popolo i funerali di Valentino Zeichen. 

Saranno tanti i romani che verranno a rendere tributo a un poeta che nacque a Fiume, e che fu adottato da Roma a partire dagli anni '50, diventando - come spesso accade ai forestieri che trovano ospitalità nella città eterna - una delle voci più autentiche di Roma e del vivere (poeticamente) a Roma. 

A Roma Zeichen dedicò qualche anno fa un bellissimo libro, Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, pubblicato da Fazi nel 2000. 

Da questa silloge traggo proprio la poesia Piazza del Popolo , la piazza che lui amava e che domani ospiterà l'estremo addio a un poeta. 

Piazza del Popolo

Molte generazioni
hanno creduto che
Piazza del Popolo
fosse sinonimo di folla,
mentre il nome deriva
da populus: pioppo.
Lì dove era piantato
l'incerto toponimo si erge
l'obelisco granitico
del Faraone Ramses II,
l'architetto Valadier
come un cuoco estroso
l'ha guarnito ai lati
con quattro vaschette
sormontate da leoni
che invece di ruggire
spruzzano rinfrescanti
ventagli d'acque
che freddano doppiamente
secondo lo stile Neoclassico



06/07/16

Il film del giorno: "Kolya" di Jan Sverak.





Louka Frantisek, violoncellista praghese dissidente squattrinato, durante la perestrojka accetta di sposare per soldi una donna russa, soltanto per farle avere la cittadinanza. 

La donna però fugge all'Ovest e Louka rimane da solo con Kolya, il figlio della donna, un bambino russo di 5 anni. 

Louka, scapolo impenitente, si industria a far da padre dopo molte riluttanze, e quando finisce per stringere con il bambino un legame profondo, deve riportarlo alla madre. 

E' delicato, poetico il tocco di Jan Sverak e ricorda quello di Jaco Van Dormael con Totò le Heros, o di Kusturica in Papà è in viaggio d'affari. 

Un film pulito e commovente (molto premiato) che scalda il cuore, senza essere ricattatorio. 

Kolya
di Jan Sverak
Rep.Ceca-Francia 1996
con Zdenek Sverak, Andrej Chalimou, Libuse Safrankova, Oudrej Vetchi. 



05/07/16

Il libro del giorno: "Che tu sia per me il coltello" di David Grossman.





Un uomo, Yari, che vive a Gerusalemme, intravede un giorno in una scuola una donna che si stringe nelle braccia: basta questo gesto per convincere l'uomo ad intraprendere con lei una fitta, disperata corrispondenza che ha come patto quello della distanza fisica.

Un tentativo destinato a sfociare in un incontro per tentare di aprire le proprie vite. 

Strano libro, avvolgente e respingente. Grossman mette in scena, senza curarsi dell'eccessivo realismo, personaggi esagerati, ossessivi, adotta escamotages furbeschi e perfino ricattatori nei confronti del lettore.   La lettura diventa così a volte faticosa, a volte magnetica; si è sempre in bilico tra l'ammirazione per il talento letterario e la diffidenza per l'operazione a tratti molto cerebrale. 

Un libro freddo, che pure attira in una specie di gorgo dove niente sembra quel che è, dove l'erotismo si fonde all'esibizionismo dei sentimenti e alla disperazione dell'anima.

In fondo molto di quello che sperimentiamo nel quotidiano. E pur nella sua imperfezione, è un libro che resta.  



04/07/16

Bauman: "Trump, Le Pen, Boris Johnson: ecco perché la gente vuole i Demagoghi."



La lettura del momento storico che stiamo vivendo, con eventi epocali - migrazioni, guerre sante, ascesa dei nazionalismi e dei populismi - è sempre più complesso. 

Credo sia molto riflettere su queste considerazioni che traggo dalla intervista di Wlodek Goldkorn a Zygmunt Bauman uno dei maggiori pensatori contemporanei. 

La prima domanda  riguarda proprio la sconfitta delle élite, che - dopo la Brexit, la crisi della UE e del sistema americano occidentale, con l'avvento di personaggi come Trump - sembra un fenomeno sempre più diffuso. 

L'élite politica - dice Bauman - nel suo modo di pensare (e di agire) è sempre più globalizzata, perché costretta a confrontarsi con potenze e poteri indipendenti dalla politica e sempre più extraterritoriali. Si tratta di una élite che ha altre preoccupazioni e diverso linguaggio rispetto alle angosce che attanagliano la gente che essa in teoria dovrebbe rappresentare.   

I vari Trump,Orbàn, Boris Johnson, Kaczynski o Le Pen (è un elenco che cresce ogni giorno) hanno il vantaggio di dire pane al pane.  E sanno quanto sia facile alle emozioni della moltitudine, della massa amorfa.  Basta descrivere la realtà adattando il modo di raccontare agli orizzonti mentali dei propri ascoltatori; usare lo stesso idioma che utilizzano i commensali al pub quando dopo un paio di boccali di birra condividono sentimenti di rabbia e di odio nei confronti dei presunti colpevoli delle proprie angosce. 

Solo difficoltà di comunicazione o invece furbizia dei nuovi leader senza scrupoli ? 

C'è una seconda parte della mia analisi, forse più significativa. Per quale motivo Trump e i suoi simili si trovano così numerosi a grati ascoltatori ?  Qui dobbiamo tornare alla prima domanda. Il voltare le spalle alle autorità politiche che definirei "ortodosse" o tradizionali, con tutti i loro difetti, è dovuto principalmente all'uso ormai abituale delle autorità statali a non mantenere le promesse.  I demagoghi hanno quindi un'ottima base per attribuire l'incapacità delle autorità di mantenere la parola data alla corruzione, all'ignoranza, alla viltà, o addirittura alle cattive e perfide intenzioni.  E' sempre più diffusa quindi la convinzione che la democrazia abbia fallito e tradito i suoi compiti. Che sia inefficiente e indolente. Che è debole e incapace di agire.  In parole povere: è da buttar via. Meglio rivolgersi ai demagoghi.

E cosa chiediamo a loro ?

Il ritorno a un certo passato, per quanto i nostri ricordi siano avvolti dalla nebbia, o artificialmente colorati. In concreto: vogliamo un capo potente in grado di imporre il governo della mano forte. Vogliamo un potere che si assuma la responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni, togliendola dalle nostre spalle.
Bentornato quindi, grande capo, e tutto il passato sarà dimenticato o comunque perdonato (direbbe Nietzsche: abbasso tu, Apollo, con la tua disgraziata predilezione per l'armonia delle diversità; torna dal tuo esilio Dioniso a capo di una massa che avanza ballando a righe serrate). 


tratto da l'Espresso n.27 del 7 luglio 2016. 


03/07/16

Torna a Rossano il "Codex Purpureus Rossanensis", uno straordinario manoscritto Patrimonio mondiale dell'Umanità.



E' ufficiale il ritorno a Rossano nel nuovo Museo del Codex, un’area interamente riservata alla migliore visione e conoscenza del prezioso codice bizantino e strutturata in modo da offrire ai visitatori ogni strumento di consultazione dell’antico manoscritto e delle sue straordinarie miniature. 

Gli spazi dedicati al Rossanensis sono inseriti all’interno del Museo Diocesano e del Codex, anch’esso interamente rinnovato al fine di proporre una visione privilegiata degli ulteriori antichi tesori di arte sacra che lo spazio museale conserva.

Il Codex Purpureus Rossanensis, riconosciuto nel 2015 dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, è stato affidato nel 2012 all’Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e librario del Ministero dei Beni Culturali, affinché venissero eseguite approfondite analisi biologiche, chimiche, fisiche, tecnologiche e tutte le necessarie cure per il suo restauro e la sua conservazione. 

Il restauro del codice e le operazioni di conservazione del Rossanensis sono state precedute da una serie di indagini ed analisi volte ad indicare l’effettivo stato di conservazione del manoscritto. 

Il lavoro degli studiosi ha fornito, altresì, significative risposte sulla storia e sull’esecuzione del volume, oltre a dettare importanti indicazioni generali sulla fattura e lettura dei codici di analoga provenienza e periodo storico. Nei tre anni di studio e indagini sul Codex si è giunti ad una “rilettura” importante del codice stesso. 

Il Codice è uno straordinario manoscritto la cui colorazione porpora delle carte membranacee (pergamene) conferisce al volume valore di estrema sacralità.

Si tratta di un oggetto prezioso, manifestazione di potere, opulenza e prestigio del possessore e della committenza e non poteva che appartenere ad una classe socio-economica assai elevata. 

Il Codex Rossanensis, opera bizantina del VI secolo dopo Cristo in pergamena color porpora manoscritta e miniata, è estremamente importante sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista della manifattura tali da rendere il substrato scrittorio simile a pochissimi altri esemplari finora esistenti, fra i quali la Genesi di Vienna (Öst. Nat. Bibl., Vind. Theol. Gr 31) e i Vangeli di Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286). 

Il Codex Rossanensis consiste di 188 fogli di pergamena di dimensioni 31 cm x 26 cm numerati recto verso e scritte in caratteri in oro e argento. 

Molte delle pagine sono impreziosite da miniature che illustrano alcune fasi della vita di Gesù. 

Il prezioso manoscritto fu portato alla conoscenza scientifica alla fine dell’800 dagli studiosi di Leipzig, O. von Gebhardt e A. Harnak. 

Esiste una documentazione fotografica dei primi del Novecento, conservata presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, ICCD, dello storico Arthur Haseloff che documenta su lastra fotografica di vetro le pagine e in particolare le miniature, evidenziandone lo stato di conservazione; nel 1907 lo storico dell’arte Antonio Muñoz ne cura una serie di cromolitografie e negli anni Venti del secolo scorso è stato restaurato da Nestore Leoni, che ha consolidato e stirato le pergamene utilizzando gelatina a caldo. L’opera è conservata, dal 1952, presso il Museo Diocesano di Arte Sacra di Rossano Calabro (CS). 

Il Codex Purpureus Rossanensis, contiene 13 miniature sulla vita di Cristo, una miniatura dei quattro Evangelisti, parte della Lettera di Eusebio a Carpiano racchiusa in una decorazione aurea, la miniatura di Marco evangelista con la Sofia ed è scritto a caratteri onciali in oro e argento e, occasionalmente, con inchiostri neri. 

Per la sua consistenza, pur se mancante di molte pagine, il Rossanensis è il più prezioso fra i codici onciali (scritti in caratteri greci maiuscoli) dell’antichità. Ma soprattutto è l’unico codice rilegato, i codici analoghi sono ormai solo fogli sciolti. 

Esso contiene l’intero Vangelo di Matteo, parte del Vangelo di Marco, mentre sono interamente perduti i Vangeli di Luca e Giovanni.


01/07/16

Firenze ricorda Tarkovskij nel trentennale della morte.





Letture, incontri, musica, cinema e teatro in omaggio a Andrej Tarkovskij, grande regista russo che ha vissuto a Firenze, a 30 anni dalla sua scomparsa, si terranno il 1, 6 e 7 luglio nell'ambito dell'Estate Fiorentinaorganizzato da Versiliadanza.

Il programma di eventi si inserisce nelle celebrazioni per i trent'anni dalla morte "di uno dei piu' importanti maestri del cinema internazionali - ha spiegato Tommaso Sacchi del Comune di Firenze - che ha vissuto a Firenze dagli anni '80 fino alla sua morte".

Tra gli eventi in programma gli incontri e le letture di Andrea Ulivi tratti dalla nuova edizione di Scolpire il tempo di Tarkovskij al Museo del Novecento (1/07) e uno spettacolo di teatro, cinema e danza nello spazio "Le Murate" dal titolo "Zona Tarkovskij" (6 e 7/07).

Versiliadanza promuove per l’Estate Fiorentina una serie di eventi dedicati alla figura di Andrej Tarkovskij.

Il progetto si inserisce nelle celebrazioni per i trent’anni dalla morte di uno dei più importanti maestri del cinema internazionale: personaggio fortemente legato a Firenze, ne è stato accolto negli anni Ottanta trovandovi ispirazione per i suoi lavori e ottenendo asilo, essendo esule dalla propria patria. 

Gli eventi distribuiti in luoghi d’eccellenza della città, saranno un’occasione unica per ri-scoprire la poetica del regista anche attraverso l’architettura delle location scelte: una poetica infinita, profonda, unitaria, scandita dal suo senso religioso della vita, dal suo sguardo trascendente verso l’assoluto e il significato di “immagine”.

L’appuntamento di venerdì 1 luglio è con “Spotlight on Tarkovskij”: presso l’altana del Museo Novecento si svolgerà un incontro di avvicinamento alla poetica del regista russo con lettura di testi letti da Andrea Ulivi e tratti dalla nuova edizione di “Scolpire il tempo”. Seguirà la proiezione del lungometraggio “Lo specchio” con testi di Arsenij e Andrej Tarkovskij.

fonte ANSA

30/06/16

Ecco finalmente l'Archivio Vittorio De Sica.




L'archivio di uno dei piu' grandi maestri del cinema mondiale, Vittorio De Sica, arriva alla Cineteca di Bologna. A presentarlo sabato 2 luglio sara' la figlia del regista Emi De Sica, che con il marito Sergio Nicolai ha lavorato per decenni alla conservazione del fondo: documenti, lettere e fotografie raccolti dalla prima moglie di Vittorio De Sica, Giuditta Rissone

Emi De Sica sara' alla Cineteca in occasione del festival Il Cinema Ritrovato, appuntamento alle 14.30 in Sala Auditorium.

L'archivio contiene testimonianze rare e inediti di famiglia, dei suoi esordi teatrali e cinematografici, del suo successo come interprete di canzoni popolari napoletane o la corrispondenza con grandi personalita' del cinema e dell'arte come Roberto Rossellini, Ennio Flaiano, Billy Wilder, Jean Cocteau, Giorgio Morandi. 

Poi, rassegne stampa d'epoca, dischi e sceneggiature nate dal sodalizio con Cesare Zavattini, storie come I bambini ci guardano, Sciuscia', Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e Umberto D

29/06/16

29 giugno a Roma: La 'maledizione' delle reliquie di Pietro e Paolo.




La maledizione delle reliquie di Pietro e Paolo.

A Roma, i luoghi dove la forte e persistente tradizione del passato voleva che fossero stati martirizzati i due fondatori della cristianità in occidente, ovvero Pietro e Paolo, e dove la stessa tradizione voleva fossero conservati i loro resti mortali, sono stati a lungo e per molti secoli protetti da un’atmosfera di timore reverenziale.

Così un erudito romano, Stefano Borgia, nel 1776 poteva tranquillamente scrivere che nella zona del Vaticano, ad esempio, mai nessuno aveva tentato di indagare, di scavare o muovere qualcosa né tanto meno di cercare le spoglie del corpo dell’Apostolo, dai tempi dell’Imperatore Costantino, da quando cioè una basilica era stata edificata sulla tomba di Pietro.

Questo timore reverenziale, che si trasformò in vero e proprio panico all’idea di curiosare nelle tombe dei due apostoli, era stato espresso molti secoli prima da Gregorio Magno, il quale, in una lettera indirizzata alla imperatrice di Bisanzio, Costantina, rispondeva alla richiesta di sovrana di ottenere la reliquia della testa dell’Apostolo Paolo per adornare la sua cappella Imperiale e proseguirne il culto in Oriente, scriveva – negando ovviamente la proposta: A Roma e in tutto l’Occidente sarebbe cosa del tutto intollerabile e sacrilega toccare il corpo dei due santi.

E proprio per evitare qualunque contatto con i resti mortali di Pietro e Paolo, lo stesso Papa Gregorio I e molti altri pontefici dopo di lui, raccomandavano l’uso dei cosiddetti brandea,  cioè di pezzi di tessuto che erano venuti a contatto anche indirettamente con i sacri sepolcri. 

Tradizione che si è trasmessa fino ai giorni nostri quando ad esempio, dopo la morte di Giovanni Paolo II, sono stati diffusi in forma di reliquia, porzioni minime della stoffa degli abiti indossati dal Papa divenuto già santo.

La paura di profanare le tombe degli Apostoli si legò nel corso dei secoli alla leggenda nera che riguardava coloro che avevano osato disturbare il sonno mortale dei discepoli di Cristo.

Un esempio eclatante di questo terrore, si ebbe nel 1626, allorquando per ancorare le quattro le pesantissime colonne tortili che sorreggono il baldacchino berniniano al centro della Basilica di San Pietro, fu necessario scavare al di sotto del pavimento della Basilica.

Una incredibile serie di sciagure e di incidenti si abbatterono sulle maestranze al lavoro, rallentandone l’opera, subito raccolte dalla voce popolare.

Il canonico di San Pietro dell’epoca, particolarmente colpito da quelle sventure che sembravano non volersi esaurire (incidenti, morti improvvise, malattie, rovine personali), si ricordò della lettera di Papa Gregorio, e la fece circolare presso dotti e indotti  per farla interpretare.

Lo spavento fu tale che per costringere gli operai e i tecnici a completare il lavoro, ci fu bisogno di un intervento autoritario del Papa – Urbano VII – il quale non poteva consentire che l’immane lavoro fosse lasciato a metà.

Ma la persistenza della leggenda legata alla profanazione dei resti di Pietro rimase così a lungo, che soltanto nel secolo scorso, nel 1939, e per l’esattezza il 28 giugno, un Papa – Pio XII – ebbe l’ardire di abbassare il pavimento delle Grotte Vaticane, in tal modo iniziando quei lavori che, durati dieci anni, portarono al rinvenimento delle più che presunte ossa dell’Apostolo (identificate poi da Margherita Guarducci e da altri archeologi).


E ovviamente, all’epoca, furono non pochi quelli che misero in connessione, in rapporto, la sventura che si abbatté sul mondo intero (con il Secondo Conflitto, le deportazioni, la morte di milioni di persone innocenti), con la profanazione della tomba dell’Apostolo che aveva portato a Roma e nell’intero Occidente il verbo di Cristo. 

28/06/16

Il libro del giorno: "Heidegger e il suo tempo" di Rudiger Safranski.





Safranski scrive una monumentale biografia (518 pagine + 60 pag. di note) molto curiosa dal punto di vista dell'organizzazione del materiale: soffermandosi per quasi 200 pagine sul periodo compreso tra gli anni '20 e '30 (con minuziose ricostruzioni sugli 'sgarri' accademici tra Heidegger e i suoi colleghi dell'epoca) e sorvolando con leggerezza sul periodo del dopoguerra, radunando in un centinaio di pagine gli anni dal '45 al '75 che hanno rappresentato così tanto nella storia filosofica di Heidegger. 

Per il resto Safranski sembra attratto e contemporaneamente distante dal suo Heidegger, con incomprensibili lacune come quella riguardante l'Olocausto. 

Come ne viene fuori Heidegger?

Il suo pensiero oscuro, seduttivo, visionario e criptico allo stesso modo allontana, attira, innervosisce e scuote, come sempre.  La filosofia prevale sempre sulla biografia mettendo in ombra il personaggio Heidegger, ambiguo, ambizioso opportunista, maschilista, tutto sommato 'pover'uomo' dal punto di vista umano, a quel che da questi atti risulta.  

Ma il monumento della sua filosofia merita di essere diluito dal passaggio dei giorni e degli anni. Cominciando magari dalla diretta lettura di Essere e Tempo. 

Poesia e filosofia, Duns Scoto, Meister Eckhart, la gettatezza e l'esserci - il Da Sein - Husserl e i marxisti. Impressionanti visioni sul Novecento. 


Rudiger Safranski
Heidegger e il suo tempo, 
Traduzione di Nicola Curcio
Edizione italiana a cura di Massimo Bonola
Longanesi editore, 1996. 




27/06/16

"Guidami nella certezza del perdono" - Salterio, di Fabrizio Falconi




Salterio, XII



Guidami, Padre, nella certezza del perdono
quando i briganti danno fuoco alle case
depredando, e sicuri, spargono sale
correndo pazzi nel temporale.

In quel giorno consenti il soffio della fioritura
del ricordo, di quel che non sono e vorrei essere
delle occasioni perse, delle ingiunzioni e delle stoltezze
di tutto quello che non riesco a perdonare, finché vivo.


Fabrizio Falconi
Tratto da Salterio (2006) - ne Il respiro di oggi, 2009

foto in testa: Polaroid di Andrej Tarkovskij




23/06/16

Torna a splendere dopo 40 anni il magnifico mosaico romano delle Terme di Caracalla .





Dopo 40 anni, grazie al finanziamento di Bulgari, torna a splendere uno dei più bei mosaici della palestra delle Terme di Caracalla a Roma. Il Soprintendente speciale per il Colosseo e l`area archeologica centrale di Roma Francesco Prosperetti e l`amministratore delegato di Bulgari Jean-Christophe Babin hanno annunciato il completamento del restauro della prima parte del mosaico policromo della palestra occidentale e, alla luce dei risultati, Babin ha espresso la volontà di Bulgari di finanziare la prosecuzione dei lavori nella seconda parte del mosaico ancora non restaurata. 

Avviati alla fine del 2015, i lavori sono stati realizzati dalla Soprintendenza grazie a una donazione di Bulgari facilitata dall`Art Bonus, e hanno riportato alla luce dei mosaici pavimentali in pregiati marmi policromi, caratterizzati da un raffinato motivo geometrico a ventaglio, e che da oltre 40 anni non erano visibili ai visitatori perché coperti con un tessuto e uno stato di terra per proteggerli dal possibile degrado

Sensibilizzata dalla Soprintendenza, Bulgari ha sostenuto questo complesso progetto, legato a un tesoro archeologico che in passato aveva affascinato i designer della Maison: infatti per Bulgari il restauro rappresenta il tributo a un luogo che è stato fonte di ispirazione primaria per la collezione di gioielli Divas` Dream, il cui disegno riprende proprio le linee pure e perfette dei mosaici delle Terme di Caracalla. 

"Questo intervento - ha spiegato il Soprintendente Francesco Prosperetti - conferma il rapporto privilegiato che Bulgari ha voluto instaurare negli anni con le Terme di Caracalla. La preziosità dei decori architettonici e gli sfarzi delle Terme costituiscono da sempre una fonte di ispirazione per la creazione, come è anche accaduto a Bulgari, che con generosità oggi ci ha annunciato un nuovo finanziamento per proseguire il restauro. 

L`Art Bonus si è rivelato anche in questo caso uno strumento efficace per la valorizzazione del nostro patrimonio". Jean Christophe Babin, amministratore delegato di Bulgari, ha commentato: 

"Oggi festeggiamo la conclusione di un restauro perfettamente eseguito ma anche l`inizio di un nuovo restauro su un`area adiacente e altrettanto significativa. Le Terme di Caracalla sono un gioiello archeologico nel cuore della Città Eterna, un luogo nel quale si respira tutta la grandezza della storia di Roma. Per un gioielliere come Bulgari, che pone la ricerca del Bello al centro della propria passione creativa, contribuire a valorizzare lo splendore racchiuso in un luogo così suggestivo è un motivo di grande orgoglio. E` stato quindi naturale rinnovare il nostro sostegno a un progetto che restituirà alla città e a questo monumento un tesoro rimasto celato per tanti anni".

Il restauro, curato da Marina Piranomonte e Anna Borzomati, si è articolato in diverse fasi: dopo una pulitura preliminare si è proceduto al consolidamento del piano del mosaico e ad altri interventi finalizzati a evitare cedimenti; questa fase ha permesso il recupero di numerose tessere interrate, cosicché la reintegrazione del mosaico è avvenuta con pezzi originali; infine la pulitura definitiva, delicata per la presenza di incrostazioni minerali e diversificata tra le tipologie dei marmi, è stata completata dalla stesura di un velo protettivo.

22/06/16

Il film del giorno: "L'uomo che non c'era" di Joel e Ethan Coen, 2001.





Un film da recuperare, e rivedere. Un piccolo grande capolavoro. 

Nell'estate del 1949, la storia del barbiere Ed Crane, insoddisfatto della sua vita e alla ricerca di una "svolta decisiva" che si mette in una serie di pasticci a catena che lo porteranno diritto sulla sedia elettrica. 

Un'altra perla dei fratelli Coen, che stavolta abbandonano il farsesque di Lebowski o di Fratello, dove sei ? per scrivere una pagina dolente, struggente sul dramma della normalità e sull'ossessione dell'epoca moderna ovvero l'ansia da anonimia.

Crane è un personaggio monumentale con la sua maschera indelebile (strepitoso Billy Bob Thornton).  Bianco e nero e l'uso di Beethoven (nemmeno straniante) regalano al film sequenze memorabili, a partire dal tormentone di Crane che cammina al ralenti "controcorrente" nella folla. 

Patetico e bellissimo. 

Con Billy Bob Thornton, Michael Badalucco, Frances Mc Dormand, James Gandolfini
USA 2001. 






21/06/16

Solstizio d'estate: lo spettacolo dello Gnomone nella Basilica di San Lorenzo .





Nella Sagrestia Vecchia dellaBasilica di San Lorenzo, a Firenze,  in occasione del solstizio d'estate e dei giorni seguenti, e' possibile vedere la luce solare entrare dalla lanterna, posta in cima alla cupola di Brunelleschi, e riflettersi sulla parete con particolari effetti di luce. 

La lanterna, attraversata dai raggi del sole, funge da "gnomone" e tra le 12.30 e le 13.40 circa si puo' osservare il percorso della luce, che si posiziona poi centralmente sulla parete, sotto la finestra cieca con lo stemma della famiglia medicea. 

I visitatori possono assistere al fenomeno tutti i giorni dal lunedi' al venerdi' (orario di apertura 10-17). 

La costruzione della Sagrestia Vecchia fu completata nel 1428, come si evince dalla data posta sulla cupolina originale della lanterna, ora visibile nel loggiato della Biblioteca Mediceo Laurenziana.

Era allora in vigore il calendario Giuliano, indietro di una decina di giorni rispetto a quello Gregoriano, introdotto nel 1582, possiamo ritenere che le foto di questi giorni documentino in modo verosimile, fatto salvo i riflessi dei faretti d'illuminazione della Sagrestia, l'effetto di luce ai tempi di Brunelleschi.

20/06/16

La Profezia di Pasolini (1975): "Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia".




Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. 
Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei genitori nelle scuole, la politica dal basso... Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. 
La strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come. 


Da Luisella Re, Pasolini: Il nudo e la rabbia, Stampa sera, 9 gennaio 1975.

19/06/16

La poesia della domenica - "Poeta diviso" di Valentino Zeichen.






Poeta diviso


Alle sublimi altitudini
orbitano le belle monadi,
svettano i titoli di Borsa.
Lassù agognavo di ascendere
purificando l’io spiritoso
per farne rarefatto spirito.
Ma una forza contrapposta
mi ha sempre risospinto
verso l’abisso, fra immonde
catastrofi scatologiche.
Fra duplici tendenze
vengo spartito equamente
in due mezzi poeti
in attesa di riunione.
Oscillo fra Petrarca e Rabelais,
tra l’angelo e Pantagruele.


Valentino Zeichen, tratto da Poesie. 1963-2014, Mondadori (2014)

18/06/16

Il Libro del giorno: "Jung Parla (interviste e incontri)".




Volume preziosissimo che raccoglie quasi tutte le interviste pubbliche e i resoconti degli incontri di Carl Gustav Jung dal 1912 al 1960. 

Ripetizioni a parte - che potevano forse essere evitate nella cura del libro - il volume offre pagine assolutamente straordinarie che testimoniano il genio immenso di Jung e anche i suoi limiti, le sue umane debolezze. 

Grandi le pagine sullo studio dei dittatori, quelle sulla "eternità" della psiche, sulla sua atemporalità, commovente il suo tentativo di offrirsi, "uomo che pensa" alla comprensione e al sapere del "non umano". 

Un libro da leggere e da rileggere, da tenere tra i preferiti di sempre. 








17/06/16

21 giugno giornata mondiale dello Yoga - proiettato in tutta Italia il film-biografia su Paramahansa Yogananda.



Viene proiettato anche a Torino al Cinema Massimo-Museo del Cinema, come in altre 50 sale italiane, il 21 giugno, Solstizio d'estate e Giornata mondiale dello yoga, il film 'Il Sentierodella Felicita' (Awake: The Life of Yogananda) di Paola diFlorio e Lisa Leeman, biografia del maestro Yogananda che negli anni '20 ha introdotto lo yoga e la meditazione al mondo occidentale. 

Paramahansa Yogananda arrivo' negli anni 20 negli Stati Uniti e affascino' il mondo con lo yoga e la sua filosofia. Il suo famoso libro 'Autobiografia di uno Yogi', un classico della letteratura spirituale che ha venduto milioni di copie nel mondo, ancora oggi costituisce un riferimento essenziale per ricercatori, filosofi e cultori dello yoga. 

 Il film, presentato in una nuova versione integralmente doppiata, viene introdotto al pubblico da Stefano Paino, noto Indologo e Orientalista dell'Universita' di Torino.