03/10/18

Torpignattara e le Spoglie di Elena. Una storia millenaria.




Torpignattara e le spoglie di Elena.

I romani di oggi, perfino quelli che abitano in quel popoloso quartiere, ignorano che il nome Tor Pignattara deriva da quella torre cilindrica, oggi in stato di semi-abbandono, e quasi invisibile passando su quel tratto della Via Casilina (al terzo miglio di quella che una volta si chiamava via Labicana e il cui tracciato è ai tempi odierni limitato alla zona di San Giovanni), nell'interno della quale, per lungo tempo, hanno riposato le ossa di Elena, la madre dell’imperatore Costantino, artefice, insieme al figlio e al Papa Silvestro della cristianizzazione dell’impero e dunque anche di Roma.

Sul luogo dove fu edificato il Mausoleo dedicato ad Elena, sorgeva un tempo il sepolcreto dei cosiddetti equites singulares, il corpo dei potenti cavalieri che tra le altre funzioni militari svolgevano anche il ruolo di proteggere la persona dell’imperatore. 

Una teoria, piuttosto ben accreditata, vuole che sia stato proprio Costantino a decidere la distruzione di quel sepolcreto, come vendetta per l’appoggio che gli equites avevano concesso all’imperatore Massenzio, schierandosi al suo fianco nella Battaglia di Ponte Milvio.

Alla morte della madre di Costantino, nel 328 d.C., l’imperatore scelse dunque questo luogo, nella località chiamata Ad duas lauros, per l’edificazione del Mausoleo a lei dedicato.

Elena, infatti aveva avuto un ruolo importantissimo nella vita dell’Impero e in particolare nello sdoganamento della religione cristiana.

In mancanza di fonti precise, si presume che Elena sia nata in una cittadina della Bitinia, chiamata Drepanum (più tardi ribattezzata da Costantino Heliopolis, ovvero città del Sole, in sua memoria)  nel 248 o 249 d.C.

Elena partorì Costantino quando aveva ventiquattro o venticinque anni. I genitori di Elena gestivano un albergo, titolo che le valse, soprattutto da parte dei detrattori di Costantino, il titolo di stabularia (addetta alle stalle), qualcosa che non era molto lontano dal termine di prostituta.

Sant'Elena 

Gli storici non sanno con esattezza, ma suppongono che Elena abbia incontrato Costanzo Cloro (padre di Costantino) in questo albergo, e che lo abbia seguito come concubina, come si usava all'epoca,  fino a Naisso, dove nacque il futuro imperatore.

Di come questa donna si sia potuta trasformare da stabularia alla magna femina di cui parla il vescovo Ambrogio non molti anni dopo (395), si è molto scritto nei secoli, nella ristrettezza di fonti storiche certe: le notizie su Elena, comunque già esigue, diventano infatti nulle dal 289 (anno in cui viene allontanata dal marito, Costanzo, il quale sposerà per ragioni di rango Teodora, figlia di Massimiano), fino al 306, quando Costantino viene proclamato imperatore a York, e colma la madre, sua madre, fino a quel punto dimenticata, di onori, ma sembra certo che la Elena abbia accompagnato il figlio in tutti i suoi spostamenti.

Anche nelle cronache seguenti il 306, comunque, in tutti i racconti su Costantino imperatore, le sue conquiste, le sue difficoltà, i suoi grandiosi progetti, le sue realizzazioni, le notizie su  Elena restano poche e frammentarie, a parte il suo essere proclamata Augusta nel 324.

E ben poche sono le notizie riguardanti il famoso viaggio di Elena in Terra Santa, durante il quale, secondo il racconto della tradizione, guidata dallo Spirito Santo, Elena rinvenne addirittura la Sacra reliquia della Croce, e il luogo esatto della morte di Cristo, ovvero la collinetta del Golgota, presso Gerusalemme, dove fu edificato, per ordine del figlio Costantino, la Basilica del Santo Sepolcro, che ancora oggi è su quel luogo.


Quel che si sa è che questo viaggio ebbe luogo sicuramente dopo il Concilio di Nicea (325 d.C.) e che Elena morì poco dopo il suo ritorno.   

Qualche storico ha messo in relazione, in modo suggestivo, questo viaggio di Elena con il suo desiderio di espiazione di un rimorso collegato ad una vicenda molto oscura: un vero thrilling, un dramma familiare di corte esploso nel 326, quando Costantino fece uccidere il figlio di primo letto Crispo, per poi uccidere con le sue mani la moglie Fausta, con la quale l'imperatore era sposato da 19 anni, annegandola nell’acqua bollente. 

Sembra dunque che Elena, in questo dramma possa aver recitato una figura importante (forse riferendo al figlio ciò che accadeva in sua assenza, ovvero l'esistenza di una relazione tra Fausta e il suo figliastro Crispo ?).  Motivo che avrebbe dunque generato quel desiderio di espiazione, all'origine del viaggio.

Tre anni dopo Elena morì a Treviri, in Germania, verso la fine del 328.   

Il suo corpo per volere del figlio imperatore, fu inumato in un magnifico sarcofago di porfido rosso (oggi nei Musei Vaticani),  e poi sepolto nel Mausoleo fatto costruire sulla Via Labicana, che Costantino aveva originariamente immaginato per sé.


L’edificio a pianta circolare, è costituito da due cilindri sovrapporti, con diametri giganteschi, quello interno di venti metri e quello esterno di ventotto, per un altezza che in origine era di quasi ventisei metri.

All’interno, il cilindro assume poi una forma ottagonale con nicchie e finestre ad arco, che ricordano vagamente la struttura di Castel del Monte, in Puglia.

Il nome dato alla costruzione deriva, oltre che dalla forma dell’edificio, dalle anfore vuote (dette in modo popolare pignatte)  che furono inserite per alleggerire il peso della cupola e che a causa del crollo della cupola sono oggi ben visibili.

In una di queste nicchie, probabilmente quella di fronte all'ingresso, era ospitato il sarcofago in porfido rosso di Elena. 

Il sarcofago di Elena ai Musei Vaticani

Le spoglie della madre dell’imperatore rimasero comunque in questo luogo soltanto per ottocento anni. Attualmente i resti di Elena sono conservate in un'urna di porfido nella Cappella di Elena o Cappella Santa,  in Santa Maria in Aracoeli, dove furono traslati nel 1140.

Sacello di Sant'Elena nella Basilica dell'Ara Coeli


Fabrizio Falconi


L'uomo e la donna in amore - Maupassant.



Qualunque sia l'amore che li unisce, per quel che concerne l'animo e l'intelligenza, l'uomo e la donna restano sempre estranei uno all'altra, due belligeranti, di razza diversa; deve sempre esserci chi domina e chi è dominato, un padrone e uno schiavo; una volta l'uno, una volta l'altro; non sono mai, comunque, sullo stesso livello. 


 Maupassant , La Buche.

02/10/18

Libro del Giorno: "L'anulare" di Yoko Ogawa.




La fama di Yoko Ogawa, nata a Okoyama nel 1962, si è rapidamente diffusa in occidente, dopo che in patria ha vinto tutti i principali premi letterari con brevi e intensi romanzi come Una perfetta stanza d'ospedale (2009) o questo L'anulare, pubblicato nel 1994 e tradotto in Italia da Adelphi nel 2007. 

La scrittura della Ogawa, perfetta e levigata e piena d'ombra, come le stanze delle antiche case giapponesi (si ricordi Elogio dell'Ombra di Tanizaki), in sole 100 pagine allestisce la quinta metafisica di un misterioso laboratorio immerso nel verde al limite della città, ex educandato, dove sono rimaste a vivere solo due ormai vecchie ex alunne.   In questo luogo sospeso nel tempo e nello spazio, la Ogawa fa muovere due personaggi, una giovane protagonista e il signor Dashimaru, che è il direttore del laboratorio e che la assume come assistente, segretaria. 

Solo il signor Dashimaru ha accesso al laboratorio sotterraneo dove vengono confezionati gli esemplari: si tratta di oggetti dal particolare valore affettivo che diverse persone si presentano per far conservare.  Così la ragazza scopre lentamente che le teche delle stanze del laboratorio sono colme degli oggetti più disparati: tre piccoli funghi, gusci di tartarughe, ombrelli, ossa di uccelli, perfino parti perdute del proprio corpo. 

Anche la giovane apprendista, neoassunta, nel suo lavoro precedente ha perso qualcosa: un pezzetto di carne a forma di conchiglia della punta dell'anulare sinistro - staccatosi in un incidente durante il turno di lavoro. 

Lentamente - tra silenzi, frasi e lenti movimenti nello spettrale laboratorio - la ragazza viene irretita dal signor Dashimaru, che prima le regala un paio di scarpe nere, poi inizia ad avere con lei rapporti sessuali - quasi pietrificati - nel grande bagno dell'ex educandato. 

E' un universo straniato e straniante, ossessivo e feticista quello nel quale si muove la giovane donna, che proprio come gli esemplari collezionati minuziosamente nel laboratorio, finisce lentamente per diventare un esemplare. Ritornano gli echi della antica sottomissione femminile, dei riti silenziosi dell'antico Giappone, modulati sul registro della contemporaneità assente e fragile delle nuove generazioni.   

Se l'esemplare creato ogni volta dal signor Dashimaru è una sorta di - perfino macabra - cerimonia di distacco da ciò che si è perduto, la figura della giovane assistente incarna la volontà inconscia e ineludibile, di distaccarsi dalle illusioni del futuro con un ripiegamento all'indietro, ad una storia che non ha catarsi e non ha forse nemmeno soluzione. 


Yoko Ogawa
L’anulare 
Traduzione di Cristiana Ceci
Piccola Biblioteca Adelphi 2007,
4ª ediz., pp. 103
Euro 10,00

01/10/18

A Roma in Mostra per la prima volta il grandioso "Ecce Homo" di Mantegna !



L'"Ecce Homo" (1500 circa) di Mantegna, capolavoro assoluto del maestro del Rinascimento, e' in mostra a Palazzo Barberini dal 27 settembre 2018 al 27 gennaio 2019, frutto di uno scambio con il Museo Jacquemart-Andre' di Parigi: e' l'attrazione principale de "La Stanza di Mantegna", mostra curata da Michele di Monte e incentrata su un ristretto numero di opere di notevole qualita' e grande importanza, come spiega la direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma di Palazzo Barberini e storica dell'Arte Flaminia Gennari Santori

"Abbiamo scelto di presentare un nucleo di opere padovane, realizzate nella seconda meta' del '400-fine 400, collezionate da Edouard e Nelie Jacquemart-Andre', due collezionisti molto importanti attivi alla fine-seconda meta' dell'800 a Parigi, che hanno creato una casa museo dedicata in gran parte a opere del Rinascimento italiano, ma non solo. Abbiamo tentato di mantenere in questa mostra quest'idea di stanza", ha spiegato. "Abbiamo delle opere straordinarie come l'Ecce homo di Mantegna, che e' un'opera assolutamente incantevole, un capolavoro assoluto del maestro. 

Abbiamo accanto una Madonna, che e' attribuita a Mantegna e testimonia un momento molto anteriore della sua carriera, 1455, momento di grande legame con Bellini", ha sottolineato. 

"Abbiamo una Madonna di Cima da Conegliano, abbiamo un ritratto di Squarcione (di cui Mantegna e' stato allievo, ndr), che e' straordinario, perche' e' una pergamena e dunque e' una miniatura in forma di ritratto. Abbiamo un 'Riccio' che era un briosco, uno scultore che lavorava quasi esclusivamente in bronzo, che e' esponente della cultura intellettuale padovana", ha aggiunto. 

Assieme alla "Stanza di Mantegna", apre al pubblico "Gotico Americano. I maestri della Madonna Straus", resa possibile grazie a uno scambio con il Museum of fine Arts di Houston, che ha prestato due delle tre tavole del Trecento italiano (in cambio le Gallerie Nazionali invieranno in Texas il Ritratto di Enrico VIII per una mostra sui Tudor): la Madonna con il bambino del Maestro Senese della Madonna di Straus - per la prima volta esposta in Europa - e la Madonna con il Bambino del Maestro della Madonna Straus che per la prima volta vengono accostate alla Madonna di Palazzo Venezia, appartenente alle collezioni Gallerie Nazionali. 

Dietro il prestito di Houston un aneddoto: "I genitori del collezionista che ha acquistato queste due opere negli anni '30, che era un collezionista raffinatissimo, che poi ha donato la sua collezione a Houston, erano due signori, imprenditori ebrei-newyorkesi, proprietari di grandi magazzini, che si rifiutarono di scendere dal Titanic, per lasciare il posto ad altri passeggeri e morirono nel naufragio del Titanic", ha rivelato. 

Fonte: askanews

30/09/18

La Poesia della Domenica - "La mia ospite di novembre" di Robert Frost.





La mia ospite di novembre
Quando lei, mio Dolore, è qui con me,
pensa che questi giorni melanconici
e piovosi d’autunno sono splendidi
come possono essere i giorni; ama
la nuda pianta che appassisce, e va
sull’umido sentiero in mezzo all’erba.
Il suo piacere m’inquieta: parla
e stupito l’ascolto; ed essa lieta
è della fuga degli uccelli e gode
se l’abito di lana, grigia e pura,
le inargenta la nebbia che l’avvolge.
Questi alberi deserti, desolati,
la terra illanguidita, il cielo cupo,
sono la vera bellezza che ammira:
per loro pensa ch’io non abbia sguardi
e mi chiede, insistente, la ragione.
Non è da ieri che imparai a conoscere
l’amore per i giorni desolati
di novembre, al presagio della neve;
vano sarebbe stato dirlo a lei
perché con la sua lode li migliora.
My November Guest
My Sorrow, when she’s here with me,
Thinks these dark days of autumn rain
Are beautiful as days can be;
She loves the bare, the withered tree;
She walked the sodden pasture lane.
Her pleasure will not let me stay.
She talks and I am fain to list:
She’s glad the birds are gone away,
She’s glad her simple worsted gray
Is silver now with clinging mist.
The desolate, deserted trees,
The faded earth, the heavy sky,
The beauties she so truly sees,
She thinks I have no eye for these,
And vexes me for reason why.
Not yesterday I learned to know
The love of bare November days
Before the coming of the snow,
But it were vain to tell her so,
And they are better for her praise.
(da A Boy’s Will, 1915)

29/09/18

Libro del Giorno: "Forte come la morte" di Guy de Maupassant.



Che grande romanzo, Forte come la morte, a tutti gli effetti un classico, la cui fama risulta offuscata dagli altri romanzi più popolari di Maupassant: Bel-Ami e Une vie, e dai racconti che sono giustamente considerati tra i più alti della letteratura di sempre.


Forte come la morte è l'ultimo romanzo scritto da Maupassant, edito per la prima volta nel 1889, quattro anni prima della prematura morte (avvenuta a soli 43 anni di età) e prima del crollo mentale e nervoso che accompagnò lo scrittore negli ultimi anni ormai demente, in una clinica psichiatrica.

Protagonista del romanzo è il pittore di successo Olivier Bertin, affermato e adorato sulla scena parigina, single incallito e viveur - si pensa subito a Baldini - legato sentimentalmente da anni alla moglie di un conte, la signora Any Guilleroy.

La relazione extraconiugale viene rivissuta interamente nella prima delle due parti in cui è suddiviso il romanzo che si apre su una delle consuete visite che Any fa in casa del pittore, annunciandogli che il giorno dopo ci sarà un pranzo perché torna la figlia, Annette, che da diversi anni e per diverse ragioni, risiede in campagna, fuori da Parigi, nella dimora della donna.

Da qui si dipana il virtuosistico racconto a ritroso in cui Maupassant passa indifferentemente dal racconto della storia vista da Olivier, a quella vista da Any: dal momento in cui i due si sono conosciuti a causa del ritratto che il pittore doveva realizzare dell'allora giovane contessa Guilleroy fino al momento in cui i due diventano amanti e solidali: Olivier ha trovato nella donna probabilmente la relazione ideale, l'unica che può sopportare: una donna che lo ami, anzi che lo adori, senza tenerlo nei rigidi confini di una relazione fatta di obblighi. Any, bella ma insicura, narcisista quanto basta, ha trovato in Olivier il suo specchio, l'uomo che la guarda e che la ammira, eternamente. L'uomo che sa e può guardarla diversamente da tutti gli altri, in primis dal marito, un eminente uomo politico il cui amore per la moglie è semplicemente un dato di fatto, fondato sulla convenienza e sul ruolo sociale.

Anche se i due forse non se ne sono accorti, però, il loro rapporto, nel corso di quasi vent'anni, è cambiato. Olivier si sente sempre devoto ad Any e felice della sua totale libertà. Any invece, complice il passare del tempo comincia a sentirsi sempre più insicura.

E il destino, sempre implacabile nel mondo di Maupassant, arriva a presentare il conto: prorompe sulla scena infatti Annette, la figlia della contessa, esattamente identica a lei, a parte l'età. Più bella perché più giovane, la giovane donna ha talmente tanto della madre che le signore dell’alta società la adulano paragonandola alla madre, immortalata all’acme della sua giovinezza proprio da Bertin. La madre ne diventa presto gelosissima e assiste con strazio al nascere della passione del pittore, che ritrova nella figlia, immutato, l'incanto esercitato da lui anni prima, dalla madre.

La seconda parte del romanzo è la descrizione minuziosa e terribile del cammino di consapevolezza di Bertin che fa di tutto per rifiutare l'idea di essere innamorato di Annette, salvo capitolare drammaticamente; e di quello di Any verso la completa rovina.

L'inconsapevole Annette finirà sposata ad un marchese. Il teatro del mondo proseguirà la sua corsa in modo imperturbabile.  Ma la tragedia dei cuori umani, persi dietro al canto di sirene di passioni effimere che nulla hanno di consistente se non il compimento di un destino, getta una luce macabra - come sempre in Maupassant - sul sogno della felicità umana. 

Non c'è salvezza, c'è soltanto un dirsi addio, doloroso e senza conforto. 

Forte come la morte, come recita il titolo che riprende uno dei versi del Cantico dei Cantici, l'amore non conosce pensiero, non conosce ragione e non conosce senso.  Si nutre dell'inconsistenza interiore degli uomini, che bruciano su quell'altare velleità e illusioni.

Fabrizio Falconi

Guy de Maupassant
Forte come la morte
Garzanti, Milano, 2003 Pagine:XVI-264
Traduzione:Adalberto Cremonese
10 Euro. 

27/09/18

Basta con le sciocchezze. Nutriamo la vita interiore !



Quanto tempo disperdiamo in inutili sciocchezze. Quanto scialo nelle nostre vite. Di quanta stupidità ricopriamo le nostre giornate, le nostre frequentazioni, il nostro tempo. Siamo una razza accecata, scrive Carl Gustav Jung nel Libro Rosso, viviamo solo in superficie, solo nell'oggi e pensiamo solo al domani. Trattiamo brutalmente il passato, perché non ci prendiamo cura dei morti. Vogliamo fare soltanto lavori che assicurino un successo visibile. Soprattutto vogliamo essere pagati. Non v'è dubbio che le necessità della vita ci hanno costretto a preferire frutti tangibili. Ma chi soffre di più di coloro che si sono smarriti alla superficie del mondo ?

Jung non intende solo pagati nel senso di uno stipendio, ovviamente.  Non sta parlando di monete. Sta parlando di frutti tangibili. Siamo diventati tutti così materialisti - vogliamo solo "frutti tangibili" - così aridi anche nei rapporti, nelle relazioni, nel tempo che passiamo durante la giornata, perfino nelle nostre solitudini. 

Cerchiamo di stordirci, di esercitare il nostro spasmodico bisogno di sedurre, cerchiamo l'ora libera, l'ora d'aria, riempiamo la nostra vita di intervalli inutili, che non riempiono niente. 

Ci perdiamo dietro relazioni narcisistiche, dove si spera di colmare il proprio vuoto con l'amore che l'altro ha o sembra avere per noi, senza accorgerci che anche lì c'è solo vuoto. Perché tutti sono interessati solo a prendere, non a dare.  E purtroppo, o per fortuna, è solo dando, offrendo che si riempie veramente la nostra vita interiore. 

Offrendo attenzione, disponibilità, curiosità, generosità, attenzione, attenzione. 

Cose che costano fatica.

Per questo preferiamo vivere vite stupide, fatte di niente, fatte di ore passate sulla superficie del mondo. 

Solo la vita interiore offre una buona causa per vivere. 

Essa ci chiede continuamente nutrimento, che noi ignoriamo. Per questo soffriamo, per questo ci ammaliamo, per questo ci innamoriamo delle persone sbagliate, per questo continuiamo a perdere tempo sulla superficie del mondo.

E' solo ascoltando se stessi veramente, è solo nutrendo costantemente quell'essere interiore che ci abita e che vuole soltanto crescere, vivere, prosperare per renderci pienamente felici, che possiamo trovare le forze che vogliamo, i desideri che vogliamo, la felicità vera che inseguiamo. 

La vita interiore è silenzio, è sincerità, è generosità, è passione, è curiosità, è attenzione. 

Attenzione vera che è cura costante. Cura di ogni lacrima, cura di ogni gioia. 


Fabrizio Falconi 

26/09/18

Apre a Roma l'11 Ottobre "Rhinoceros" un meraviglioso nuovo spazio per l'arte contemporanea e il bel vivere, in pieno centro a San Giorgio al Velabro.

Caviar Kaspia a Roma al Palazzo Rhinoceros. Terrazze mozzafiato, caviale e respiro internazionale
Aprirà a Roma il prossimo 11 Ottobre un nuovo bellissimo spazio nel pieno centro della città grazie al mecenatismo di Alda Fendi. 3500 metri di ex case popolari nel cuore della Roma classica sono stati interamente ripensati con 8 anni di lavoro e un progetto di architettura d'autore. e un nuovo nome: Palazzo Rhinoceros. 
Sarà museo, residenza culturale, e ospiterà anche caffè e ristorante (separata la gestione): l'esordio in Italia di Caviar Kaspia, storica maison del caviale parigina.
Si tratta di un palazzo storico che affaccia sulla splendida piazza di San Giorgio al Velabro, dove l’arco quadrifronte di Giano (che di recente è stato con sicurezza attribuito definitivamente all'Imperatore Costantino) segna il confine dell’antico Foro Boario. Poco più in là l’area dei Fori, il Palatino e il Circo Massimo, nel cuore della Roma classica, tra gli scavi archeologici più celebri del mondo
3500 metri quadri da vivere e abitare, destinati a diventare polo d’attrazione culturale della Capitale (la quale, amministrativamente, risponde voltando le spalle: tutta l’area circostante rimane immersa nel degrado più inaccettabile), ospitando una collezione permanente ed esposizioni temporanee (il primo anno la programmazione declinerà proprio il tema del rinoceronte, simbolo di forma e anticonformismo, nelle arti visive e performative); ma pure - con gestione completamente separata -  un’esclusiva struttura di ospitalità da 25 unità abitative destinate ad artisti, mecenati, collezionisti (appartamenti curati nel minimo dettaglio) e un’offerta di ristorazione altrettanto peculiare, ai piani più alti del palazzo, con vista incredibile sulla città e tripudio di terrazze.

In questi anni si è lavorato sull’intera struttura (in realtà tre grandi palazzi accorpati), ripristinando l’aspetto originale del palazzo laddove le preesistenze potessero raccontarne la storia, e muovendo dal principio di un restauro filologico degli spazi verso la concezione di un’architettura nuova, che stupisse il visitatore senza cedere al decorativismo che mal avrebbe sposato lo spirito dell'operazione, con soluzioni inaspettate e raffinate, specie nella progettazione degli appartamenti, letteralmente incastonati tra i piani superiori del palazzo. 

Dall'11 ottobre Rhinoceros aprirà le porte alla città, invitandola a entrare e farsi scoprire: sviluppata in altezza attorno a due corti interne (il bianco e il nero; la notte e il giorno), il percorso espositivo lascerà spazio man mano che si sale alle residenze, anch’esse pronte a inaugurare alla metà del mese sotto la gestione del gruppo internazionale di ospitalità Room Mate di Kike Sarasola; già presente in molte città del mondo, a Roma il brand fa il suo debutto sotto il marchio The Rooms of Rome, con 24 appartamenti uno diverso dall’altro. Ma nel progetto c’è stato spazio sin dall’inizio per un’area dedicata alla ristorazione, aperta a romani e turisti al quinto e sesto piano del complesso. Spazio ricettivo e spazio ristorativo sono parte integrante del progetto del palazzo, e funzionali al suo racconto complessivo.

Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un format già presente all’estero, e anzi particolarmente antico per fondazione, Caviar Kaspia, nato a Parigi nel 1927. Sull’addomesticamento della formula al mercato romano ha lavorato Dario Laurenzi, consapevole di poter scommettere su un asso nella manica di non poco conto: due saranno le terrazze a disposizione degli ospiti per tutta la bella stagione – da marzo a ottobre, e con un po’ di fortuna anche nelle giornate più miti d’inverno – più come se non bastasse un’altana qualche metro più su, allestita con divani e uno spazio più rilassato per l’aperitivo. Tutte affacciate a 360 gradi sulla Roma classica vista qui da un punto di osservazione inedito e ammaliante, costituiranno il cuore del ristorante, che vivrà 7 giorni su 7, dalle 8 alle 24, e disporrà anche di uno spazio all’interno da circa 50 coperti (fuori i numeri triplicano, arrivando fino a 150). L'idea è quella di proporre una formula variabile che rappresenti una novità, ma senza spaventare. 

La sera del 19 tutto questo contribuirà a realizzare un menu che per la prima volta nella storia di Caviar Kaspia introduce pietanze più cucinate, come primi piatti di pasta – lo spaghetto al caviale omaggio a Gualtiero Marchesi, da subito in carta, o i ravioli ripieni di granchio – e pietanze legate alla cucina mediterranea, in aggiunta al consueto trionfo di tartare, salmone fresco e affumicato, patate con caviale. A prezzi di posizionamento adeguati alla piazza romana. Un modo, a detta di chi ha ripensato la formula, per esaltare il concept all'insegna dell'italianità. In abbinamento carta di vini e champagne, da circa 70 etichette. Durante tutta la giornata, invece, sarà disponibile l'offerta della caffetteria internazionale, con proposte per la colazione dolce (c'è la firma di Marco Rinella) e salata e poi un menu agile che spazia dal club sandwich con salmone selvaggio alla Caesar Salad con astice. Per l'aperitivo si cambia ancora: drink list e tapas in abbinamento, fino a tarda sera per chi volesse cenare al cocktail bar. Esperienza vivamente consigliata vista la spettacolarità dell'allestimento, con due banconi in marmo e acciaio (uno per ogni terrazza), da 10 e 5 metri. Anche in questo caso saranno i prodotti della casa a dettare la linea, ma l'alternativa cocktail e selezione di tapas sarà decisamente più informale rispetto alla proposta del ristorante (dove si stima una spesa che parte dai 50-60 euro per salire fino a picchi più che vertiginosi, in base a quanto amate il caviale). Italiano lo staff, tutto inviato nei mesi scorsi a formarsi sul campo, a Parigi. A dirigere la squadra sarà Alessia Meli, in cucina, invece, si muoverà Giovanni Gianmarino.
Roma acquista uno spazio culturale – unico! - di respiro internazionale, frutto di un'operazione mirata di mecenatismo artistico. 
 Palazzo Rhinoceros - Roma - Cancellata Arco di Giano, via di San Giovanni Decollato - dall'11 ottobre 2018

Fonte Livia Montagnoli per Gambero Rosso

25/09/18

Insonnia. Da "Nessun pensiero conosce l'amore".




sto ad un certo punto del sonno
tra sonno e veglia
ad aspettarti e puntualmente arrivi
a sbarrare la porta,
non vuoi tenermi e non vuoi
lasciarmi andare, senza dire
e senza tacere, come un sibilo
di vento trattenuto dalle onde
tutto è lucente e spazioso
ma non appare nulla di atteso,
copro la testa col cuscino
spingendo via il resto di te
che rimane e resto indeciso
se entrare, resto in bilico
come un geranio sul balcone
come una vela prima dell’orizzonte,
nessuno mi ha avvertito
che avrei solamente sognato
avrei solamente dormito
avrei vegliato
come solo gli insonni e i morti
possono fare.



Fabrizio Falconi


Tratto da: www.internopoesia.com


Il nuovo libro è in prevendita qui.

24/09/18

Cosa lascia una madre - Una pagina da "Forte come la Morte" di Maupassant.




Si ama la propria madre quasi senza saperlo, senza comprenderlo, perché è naturale come vivere; e avvertiamo la profondità delle radici di tale amore solo al momento della separazione finale. 

Nessun altro affetto è paragonabile a questo, perché tutti gli altri sono incidentali, mentre questo è innato; tutti gli altri ci vengono portati più tardi dagli eventi della vita, questo invece vive sin dal primo giorno nel nostro stesso sangue. 

E poi, e poi, non è soltanto una madre che si perde, è tutta la nostra infanzia che scompare per metà, perché la nostra breve vita di bambini apparteneva tanto a lei quanto a noi. 

Essa soltanto la conosceva come noi, sapeva una infinità di cose lontane, insignificanti e care, che sono, che erano le dolci prime emozioni del cuore.

A lei solo potevo ancora dire: "Ti ricordi, mamma del giorno in cui ? ... Ti ricordi, mamma, la bambola di porcellana regalatami dalla nonna ?"

Potevamo sussurrare insieme un lungo e dolce rosario di piccoli e maliziosi ricordi, che nessun altro sulla terra più conosce, tranne me. 

E' dunque morta una parte di me stessa, la parte più vecchia, la migliore.

Ho perduto il povero cuore nel quale, la bambina che sono stata, viveva ancora tutta intera.

Ora nessuno la conosce più, nessuno si ricorda la piccola Anne, le sue sottane corte, le sue risa, le sue moine.

E verrà un giorno, forse non molto lontano, nel quale a mia volta me ne andrò, lasciando sola al mondo la cara Annette, come oggi mia madre mi ha lasciata. Come tutto ciò è triste, duro, crudele !

tratto da: 



21/09/18

Dio Esiste ? "Le non ragioni degli atei - La grande domanda metafisica" - un bellissimo (e definitivo) intervento di Dario Antiseri.


«La scelta fra l’esistenza e l’inesistenza di Dio» – ha scritto Luigi Pareyson – «è un atto esistenziale di accettazione o ripudio, in cui il singolo uomo decide a suo rischio se per lui la vita ha un senso oppure è assurda, giacché a questa opzione si riduce in fondo e senza residuo quel dilemma. Tale opzione è eminentemente religiosa, anche quando si risolva in senso negativo, perché il ripudio di Dio è così strettamente legato all’accoglimento che in alternativa si può farne, che ne conserva sempre un’inconsapevole nostalgia. La filosofia, poi, in quanto sopravviene a scelta già fatta, non ha più voce in capitolo, non certo per affermare l’esistenza di Dio, ma nemmeno per negarla, perché anche il ripudio di Dio non è frutto d’un ragionamento, ma atto profondo e originario della persona. D’altra parte la filosofia non ha il compito di dimostrare l’esistenza di Dio, perché essa non estende la conoscenza a nuovi ambiti di realtà, ma riflette su esperienze esistenziali: il suo compito non è dimostrativo, ma ermeneutico»

E va da sé che il credente che non ha dubbi non ha fede. Hanno dubitato gli Apostoli. La «notte dell’anima» è esperienza di grandi anime mistiche

«L’uomo religioso» – è ancora Pareyson a parlare – «può capire il dubbio, che non è se non il risvolto della sua fede, un aspetto essenziale di essa o un suo momento interno, giacché la fede è ben lungi dall’essere un possesso tranquillo, sicuro e incontrastato, favorito dalla tradizione e ribadito dall’abitudine, ché anzi spesso è lotta durissima e tensione lancinante, appena lenita dalla consapevolezza ch’essa è cosa vivente e vivificatrice, bastevole a ispirare e riempire una vita intera». 

Dunque, se non hai dubbi non hai fede. 

Ma l’ateo troppo sicuro di sé usa o abusa della ragione? 

Quale prova è disponibile per poter sostenere che il tutto-della-realtà è rigorosamente e convincentemente riducibile a quella realtà di cui parla e può parlare la scienza? 

L’ateismo non è una teoria scientifica.

E non è certamente la scienza, finché la ricerca rimane nel suo legittimo ambito di azione, a negare la possibilità di una realtà trascendente.

E c’è di più. Difatti, se la fede conduce al mistero di un Dio creatore, l’ateo non si trova pure lui di fronte al fatto misterioso di un grumo di materia originario da cui si è sviluppata e si sviluppa la storia dell’universo? Questo grumo di materia si è autocreato? 

Come sostiene Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-philosophicus, l’esistenza dell’universo è un fatto misterioso, suscita uno stupore abissale. La fisica sposta la «grande domanda» – la domanda metafisica –, non la elimina. 

Così come non la elimina, anzi la genera, la teoria dell’evoluzione della vita

Nessuno può negare che la scienza – con le sue domande e le sue risposte e la sua storia – non abbia alcun valore perché costruita da un essere che avrebbe per antenato una «scimmia». Ma questa «scimmia» rimessa a nuovo, oltre che porsi problemi scientifici, si è posta e seguita a porsi il problema del «senso», del «senso del tutto», un problema eminentemente religioso

E, allora, con quali argomenti lo scientista evoluzionista potrà affermare insensatezza, illusorietà della «richiesta di senso», cioè della domanda religiosa? 

La realtà è che la teoria evolutiva della vita non solo non cancella il problema religioso, ma lo fa emergere. 

Scrive Darwin: «Il sentimento di devozione religiosa è sommamente complesso perché consta di amore, di compiuta sommissione a un essere superiore elevato e misterioso, di un forte sentimento di dipendenza, di timore, di riverenza, di gratitudine, di speranza nell’avvenire, e forse di altri elementi. Nessuna creatura potrebbe provare un’emozione tanto complessa, senza che le sue facoltà morali e intellettuali abbiano raggiunto un certo grado di elevatezza».

18/09/18

"Preferisco di no" - I ribelli nei libri, protagonisti a "Torino Spiritualità" dal 26 settembre.




Certe figure inventate dagli scrittori possiedono la facoltà di insinuarsi nelle nostre esistenze e non abbandonarci più. Le vite dei lettori, infatti, sono circondate da un battaglione di uomini e donne tutti un po’ curvi sotto il peso di un giogo e ognuno, in un modo o nell’altro, accomunato dall’irriducibile rifiuto dell’oppressione esercitata nei loro riguardi.

Questi personaggi letterari, i ribelli che abitano i libri, e le loro prodigiose affermazioni di dignità umana, sono al centro di numerosi incontri che arricchiscono il calendario di Torino Spiritualità “Preferisco di no” – dal 26 al 30 settembre – festival sulle grandi domande dell’essere umano dedicato quest’anno ai “no” che pungono le coscienze, a quei rifiuti pronunciati senza ostilità ma scaturiti da uno scrupolo interiore che impone di proteggere l’umanità, in se stessi e negli altri.

Il primo ribelle a prendere parola è Henry Chinaski, alter ego ironico e malconcio di Charles Bukowski. Si tratta di un personaggio senza paura, sdegnoso delle regole che imprigionano la società e la classe media, cinico e indurito ma insieme vulnerabile e tremendamente sensibile. A Torino Spiritualità Chinaski vive attraverso la voce di Massimo Popolizio, interprete tra i più stimati e versatili della scena teatrale e cinematografica, accompagnato dalle atmosfere jazz del sassofonista argentino Javier GirottoGiovedì 27 settembre, ore 21 al Teatro Carignano, va in scena Post Office; la riduzione letteraria è di Giuseppe Culicchia, la produzione del Circolo dei lettori (ingresso € 15, ridotto Amici di Torino Spiritualità € 10).

Di figure letterarie controcorrente parla la filosofa Edith de la Héronnière, passandole in rassegna insieme alla giornalista Annalena Benini nell’incontro di sabato 29 settembre, ore 15 Antigone, Bartleby e gli altri: i ribelli della letteratura al Teatro Gobetti, a partire dal libro della scrittrice, Ma il mare dice no (Ippocampo edizioni). Perché «la storia non conosce – o preferisce trascurare e dimenticare – i paladini del diritto universalmente non riconosciuto di dire di no, secondo l’autrice. Chi lo esercita, e recede, si tira indietro, si nega, corre il rischio di essere frainteso. Rischia che il suo rifiuto appaia dettato dalla viltà, dall’inettitudine, dalla mancanza di coerenza o di responsabilità. Proprio il contrario di un gesto di coraggio». Ma non è così, e a Torino Spiritualità capiamo perché, approfondendo la conoscenza di disobbedienti del calibro Antigone, Bartleby e Oblomov. 

Un libro contemporaneo, che racconta di “no” detti a se stessi, di rifiuti intimi e negazioni, è Cattiva(Einaudi) di Rossella Milone, al centro dei dialogo tra l’autrice e la giornalista Annalena Benini,venerdì 28 settembre, ore 21 al Circolo dei lettori. Infatti, quello della maternità, è forse uno dei temi più dibattuti, indagati e analizzati. Lo avvolge un fitto reticolo di “vedrai”, “dovresti” e “potresti”, di cliché inarrestabili, brezze progressiste e giudizi espressi a mezza voce. Una riflessione al di là degli stereotipi su quel che spesso le donne non trovano il coraggio di confidare.

Le storie dei libri, spesso più reali e tangibili di quelle vere, si mescolano a quelle dei disobbedienti della storia – da Oscar Wilde ad Anna Politovskaja, da Franco Basaglia a Rosa Parks e Martin Luther King – nel reading dello scrittore Daniele Aristarco, classe 1977, già autore di testi teatrali, programmi radiofonici, trasmissioni televisive e ora di romanzi, racconti e saggi divulgativi di storia e cinema sia per gli adulti che per i giovani e i giovanissimi lettori. Io dico “no”! Storie di disobbedienza, va in scena venerdì 28 settembreore 22 a Off Topic (via Giorgio Pallavicino, 35), accompagnato dalle musiche e parole di Chiara Perciballi, voce e chitarra e Giulia Marinelli, synth e voce. Alternando brevi ritratti in forma di monologo di donne e uomini che hanno saputo disobbedire di fronte alle ingiustizie. Perché, se lo vogliamo davvero e ci diamo da fare, non c’è muro che non si possa abbattere, non c’è iniquità che non si possa rimuovere. (Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili, gli Amici di Torino Spiritualità possono prenotare un posto in sala. Non è richiesta tessera d’ingresso. Chi lo desidera può prenotare la “Cena resistente”, servita dalle ore 19.30, telefonando allo 011 0601768 o scrivendo a bistro@offtopictorino.it).

Ma non solo gli esseri umani! Anche gli animali sanno come dire di “no” e opporre resistenza: è il caso del Toro Ferdinando, colosso buono che faceva paura ai regimi. E infatti il libro che ne racconta la pacifica storia venne messo al bando da Franco, Mussolini e Hitler. Su questa vicenda si confrontano Anna Peiretti, scrittrice per l’infanzia e David Tolin, libraio, domenica 30 settembre, ore 15 al Circolo dei lettori, in un dialogo seguito da un esperimento di immersione sonora curato dal sound designer Niccolò Bosio e da Ombretta Bosio. E al torello che preferiva annusare le margherite invece di correre nell’arena, è dedicato anche il laboratorio per bambini con Anna Peiretti, scrittrice per l’infanzia, domenica 30 settembreore 17 al Circolo dei lettori.

Mentre alla “più strana faccia d’uom che mai si sia vista”, il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco dedica la lezione-spettacolo “Grazie, no!”. Il cuore di Cyranodomenica 30 ore 17 al Circolo dei lettori (ingresso € 6, gratuito Amici di Torino Spiritualità), perché se si parla di coraggio e temerarietà di fronte alle ingiustizie, il pensiero va subito al personaggio nato dalla penna di Edmond Rostand, l'estroso e umorale spadaccino guascone dotato di un enorme naso.

Con gli scrittori Premi Strega Edoardo Albinati e Paolo Giordano, invece, domenica 30 settembre, ore 17 al Museo Nazionale del Risorgimento, ci si arrampica sull’albero insieme a Cosimo Piovasco di Rondò, meglio conosciuto come il Barone Rampante. È proprio dal suo rifiuto che prende le mosse il dialogo No! E respinse un piatto di lumache, modera Armando Buonaiuto. Dopo aver mandato a monte il pranzo di famiglia, il dodicenne Cosimo non scenderà mai più dalle fronde che ha scelto come dimora: la sua vita si svolgerà lassù, condotta nell’ostinato compimento di un rifiuto. Muove da qui, da un’eversione forse futile o forse perfetta, una riflessione sulla determinazione di cui a volte ci scopriamo capaci e sulle insidie di un’inflessibilità perseguita a ogni costo.

E invece con Oblomov, il personaggio spensierato e indolente del capolavoro di Ivan Gončarov, è lecito abbandonarsi a una mite pigrizia, per osservare la vita che passa ascoltando la lettura di Paolo Nori al Circolo dei lettori: Oblomov. Una vita orizzontale è domenica 30 ore 21 (intero € 10, ridotto Amici di Torino Spiritualità € 7). E così, chi non ha mai provato, al mattino, un po’ di riluttanza a iniziare la giornata, a rifare il letto, a cambiare la lampadina fulminata in bagno, a iscriversi a un corso di inglese, potrà trovare una giustificazione, perché in fondo, tutti, siamo stati almeno una volta Oblomov. Disponibili in sala alcuni tappetini di gomma, per chi desiderasse seguire il reading in tipica posizione “oblomoviana”!

Il Programma completo della manifestazione al link: www.torinospiritualita.org

Info: l’ingresso agli incontri è gratuito, salvo dove diversamente indicato. Gli Amici di Torino Spiritualità possono prenotare un posto in sala. Biglietteria al Circolo dei lettori dal lunedì al sabato dalle ore 9.30 alle ore 21.30 e domenica 30 settembre dalle ore 9.30 alle ore 21. Biglietti online su Vivaticket.

17/09/18

Dal 29 settembre apre al Chiostro del Bramante, "DREAM", una grande mostra tutta dedicata ai sogni.



A occhi aperti oppure chiusi, di notte o di giorno, nel cassetto o realizzati, al Chiostro del Bramante i sogni incontrano la grande arte contemporanea.

Magia, utopia, essenza, incanto e desideri prendono forma nella mostra Dream.

L'arte incontra i sogni in un percorso espositivo coinvolgente e suggestivo che permetterà al pubblico di evadere dalla realtà ed entrare in contatto con l’inconscio e l’onirico. Dream, significato di esplorazione, conoscenza ed emozione, ma anche espressione della parte più profonda dell’essere umano, è la chiave di lettura per accedere ai «vasti e profondi territori dell’anima», come afferma il curatore dell’esposizione Danilo Eccher.

Tra incanto e utopia, magia e percezione, il sogno diviene elemento di riflessione e rivelazione attraverso i poetici linguaggi dei massimi esponenti dell’arte contemporanea, protagonisti della mostra Dream.

Dream A straordinarie opere d’arte si alternano lavori site-specific ripensati per gli spazi del complesso museale e polivalente con sede nel cuore della capitale, in una successione che diviene un unico grande racconto, anche grazie al coinvolgimento di artisti noti, come Bill Viola, Anish Kapoor, Luigi Ontani, Mario Merz, James Turrell, Anselm Kiefer.

I sogni, guidano gli spettatori attraverso una serie di tappe e passaggi, soste e ripartenze: dal confronto con la natura all’identificazione nelle forme, dall’evocazione di memorie personali e collettive all’attraversamento del tempo, dalla sublimazione delle ombre all’immersione totale nella luce.

“DREAM. L’arte incontra i sogni” completa la trilogia, ideata e curata da Danilo Eccher per il Chiostro del Bramante, iniziata con “LOVE. L’arte incontra l’amore” (2016) e proseguita con “ENJOY. L’arte incontra il divertimento” (2017).

Tre grandi mostre dedicate all’arte contemporanea e ai suoi linguaggi, capaci di esprimere diversi stati dell’anima, come la complessità delle sensazioni legate ai sentimenti, le esaltazioni delle emozioni più gioiose e le percezioni più profonde appartenenti all’onirico.

Dal 29 settembre 2018 al 5 maggio 2019 il Chiostro del Bramante invita il pubblico a vivere un’esperienza particolare, in un luogo in continua evoluzione, dove apprendimento e approfondimento sono gli strumenti per dialogare con l’arte, partendo dal confronto con essa stessa.

Protagonisti Jaume Plensa, Anselm Kiefer, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Christian Boltanski, Doris Salcedo, Henrik Håkansson, Wolfgang Laib, Claudio Costa, Kate MccGwire, Anish Kapoor, Tsuyoshi Tane, Ryoji Ikeda, Bill Viola, Alexandra Kehayoglou, Peter Kogler, Luigi Ontani, Ettore Spalletti, Tatsuo Miyajima, James Turrell.

 DATE DI APERTURA AL PUBBLICO 29 settembre 2018 > 5 maggio 2019

Info sulla mostra QUI

16/09/18

Mercoledì 19 ad Arezzo conferenza sulla Leggenda di Sant'Eustachio, Costantino imperatore e la Mentorella di Kircher (di Fabrizio Falconi).


Appuntamento Mercoledì prossimo, 19 settembre, alle ore 17.30 all'Auditorium Comunale di Arezzo, con molte foto, per la conferenza sulla Leggenda di Sant'Eustachio, il primo Cristianesimo a Roma, la fondazione del Santuario della Mentorella, gli studi del geniale Athanasius Kircher, Costantino il Grande imperatore e la Leggenda della Vera Croce con il Sogno di Costantino di Piero della Francesca nel duomo di Arezzo.