Visualizzazione post con etichetta nazismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nazismo. Mostra tutti i post

21/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)




Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./) 


Lo stesso percorso di vita di Etty parla il linguaggio della coerenza e del coraggio. L’adesione incondizionata, a prezzo della sofferenza personale, all’ideale della giustizia e del bello.    Dai tempi del ginnasio, che frequentò a Deventer, dove cominciò a frequentare un gruppo di giovani sionisti, imparando anche l’ebraico.  E poi, da studentessa universitaria, quando pur non facendo parte di alcun gruppo politico, mise in campo la sua passione personale nei rapporti con un’infinità di conoscenti, amici e colleghi universitari, fino al conseguimento della laurea in legge, e al fatale incontro con Julius Spier, lo psicologo e psicoanalista ebreo tedesco, allievo di Jung, che Etty conobbe casualmente il 3 febbraio del 1941 durante un concerto in ambito domestico e che praticava la psicochirologia, basata sulla lettura della mano.

Spier fu l’incontro determinante per Etty: divenne la segretaria e anche l’amante di un uomo carismatico e molto ambito, che la prese in terapia, le insegnò a dominare i suoi stati depressivi e caotici, la spinse ad iniziare la stesura di quel Diario che diventerà un testo capitale della spiritualità moderna, la protesse dall’angoscia opprimente del cerchio che la persecuzione nazista andava stringendo giorno dopo giorno intorno a lei e a quelli come lei.

Come ha scritto F. MichaelDavide: “la duplice esperienza di umanità – la relazione con Spier – e di disumanità – lo sterminio nazista – sono state la trama sulla quale si tesse la tela di questa vita che seppe trovare consistenza nell’ordito della presenza intima e discretissima del Dio dei padri: così vicino e così lontano. Senza la relazione con Spier, fatta di delicatissima e ardita umanità, Etty sarebbe stata senza dubbio sopraffatta dall’orrore e dal logoramento della persecuzione.  Senza queste ultime, non sarebbe stata sollecitata con tanta forza ad andare avanti nel cammino di interiorità fino a scegliere di essere consapevolmente sterile per essere feconda nella trasmissione di un amore più grande sempre pronto alla morte, come paradigma di incompiuta prontezza al dono di sé in ogni momento. (8)”

Le pagine del Diario raccontano di una relazione – quella con Spier – che nella sua profonda umanità, e anche con il corollario di una passione erotica a tratti travolgente (sto proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l’erotismo, scrive Etty)  diventa la chiave per maturare e per crescere, e “attraversare la vita senza finzione ma nel coraggio di una verità su se stessi talora assai dura”. (9)


Julius Spier


Questo stesso metodo    che non concede sconti a sé stessa, sul piano del cammino personale, Etty applica, con la pazienza di un entomologo al suo “Discorso con Dio”, che procede di pari passo lungo le pagine del Diario stilato in quei due anni terribili per la storia dell’Europa e del mondo.

E’ soltanto la fedeltà a questo metodo che permette a Etty di non perdere mai totalmente La fiducia in Dio, nonostante l’orrore che vede ogni giorno, nonostante la sensazione di una ingiustizia così conclamata che vede diffondersi nel mondo, nel suo mondo, tra i suoi amici, tra i suoi più stretti famigliari, perseguitati per essere semplicemente appartenenti ad una razza sbagliata.  Il dramma del silenzio di Dio, in questi anni così orribili, Etty lo risolve a suo modo, con una professione di fedeltà interiore commovente, che giunge a spalancare nuovi orizzonti di comprensione spirituale. E’ una consapevolezza nuova – quella di essere il cuore pensante della baracca, come lei stessa si definisce – a permettere ad Etty Hillesum di poter scrivere una pagina come questa:

       Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano… Ti prometto una cosa Dio, soltanto una piccola cosa… Cercherò di aiutarti  affinché tu non venga distrutto in me, ma a priori non posso promettere nulla.  Una cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo noi aiutiamo noi stessi.    L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. … Dicono: me non mi prenderanno.  Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.  (10)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   


1.    Fr. MichaelDavide, Etty Hillesum: Dio Matura, edizioni La Meridiana (Pagine altre), Molfetta (BA) 2005, pag.16.
2.     F.MichaelDavide, Etty Hillesum… Op.cit, pag. 151
3.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.

19/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./)


  


     

 Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./) 

      E’ piuttosto difficile spiegare il fenomeno Etty Hillesum. Al contrario di altre celebri vittime dell’Olocausto, come Anna Frank, infatti – il cui diario fu pubblicato la prima volta nel 1947, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale – di Etty Hillesum, oggi divenuta una delle fonti spirituali più feconde e più frequentate nell’occidente non solo cristiano, nessuno aveva sentito parlare, fuori dai confini olandesi,  fino al 1981, quando l’editore Jan Guert Gaarlandt fece stampare ad Amsterdam  una selezione dei manoscritti, seguita, l’anno seguente da 40 lettere.   Per avere una edizione completa, in lingua olandese (1),  bisognò attendere il 1986 mentre la prima opera completa tradotta in inglese uscì soltanto nel 2002 presso la casa editrice Eedermans.

      Prima dell’edizione inglese c’era stata quella in italiano, nel 1985 per meritoria e felice intuizione dell’editore Roberto Calasso (Adelphi) che pubblicò in quell’anno il Diario, e due anni dopo le Lettere

     E’ incredibile considerare come, in un brevissimo lasso di tempo – dopo un così lungo oblio durato dalla morte di Etty avvenuta il 30 novembre del 1943 nel lager nazista di Auschwitz – l’opera della Hillesum sia divenuta così universalmente nota, appassionando ed emozionando intere generazioni di lettori, nel mondo.

     Eppure già le circostanze strettamente editoriali delle lettere e dei diari di Etty appaiono indicativi di un percorso spirituale del tutto particolare.  

     Fu proprio Klaas A.D. Smelik, l’uomo a cui si deve il salvataggio di questi meravigliosi testi, a raccontare qualche anno fa in un appassionato intervento durante un convegno (2) a Roma le peripezie che portarono nel corso di quattro decenni, all’emersione dei diari e dei quaderni.

      Ma prima di tutto l’antefatto: come è noto Etty Hillesum tenne negli anni 1941 e 1942 ad Amsterdam, un diario. Probabilmente, come racconta lo stesso Smelik, “lo fece su consiglio di Julius Spier, psicochirologo e terapeuta ebreo-tedesco, come momento della sua terapia. I diari non le servivano solo per la sua salute psicologica, ma anche per esercitare il suo talento di narratrice; Etty Hillesum infatti aveva l'ambizione di diventare scrittrice dopo la guerra, voleva scrivere un romanzo sulle sue esperienze, che tentava di fissare meticolosamente.” (3) 

      Una volta rinchiusa definitivamente nel campo di transito di Westerbork – dal quale passarono tutti i deportati dei Paesi Bassi, comprese Edith Stein e Anna Frank -  nel giugno del 1943, Etty diede in custodia i diari che teneva ad Amsterdam alla sua amica e coinquilina Maria Tuinzing, con l’indicazione di consegnarli ad uno scrittore Klaas Smelik, che come amico, doveva prendersi cura della pubblicazione dei diari.  

Il figlio dello scrittore, nella occasione di quel convegno, ha continuato così il suo racconto: “Ella aveva fatto conoscenza con mio padre a metà degli anni Trenta e sperava ovviamente che egli, attraverso le sue relazioni con vari editori, fosse in grado di trovare una via per realizzare la pubblicazione.  

Quando, dopo la Liberazione, risultò che Etty Hillesum era stata assassinata ad Auschwitz, Maria Tuinzing si mise in contatto con mio padre e gli consegnò gli undici quaderni dei diari, nonché le lettere. La figlia maggiore di Smelik, Johanna (nei diari chiamata Jopie) dattiloscrisse una parte dei diari e delle lettere, poiché la scrittura di Etty Hillesum era difficilmente leggibile. Alla fine degli anni Cinquanta e poi, di nuovo, a metà degli anni Sessanta, mio padre si mise in contatto con vari editori, che si rifiutarono di pubblicare i diari. Veniva considerato troppo filosofico.”


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 



1.    Il titolo originale dell’opera è Etty, De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943 (Gli scritti postumi di Etty Hillesum). Si tratta di un’opera di 864 pagine contenente tutti i quaderni e le lettere. Recentemente pubblicata anche in Italia dall'editore Adelphi. 
2.     Il Convegno internazionale su Etty Hillesum si tenne a Roma il 4 e 5 dicembre 1988 e i relativi atti furono pubblicati nel volume:  L’esperienza dell’Altro, Apeiron Editori, Sant’Oreste 1990.

3.     Klaas A.D. Smelik, intervento in L’esperienza dell’Altro, op.cit. pagg.121-125. 

01/05/14

Hitler e il Nazionalsocialismo: una lettera di Thomas Mann a Albert Einstein.




Per diversi critici, l'atteggiamento del grande scrittore - a cui era stato attribuito il Premio Nobel nel 1929 - nei confronti di Hitler e soprattutto dell'antisemitismo furono tutt'altro che limpido. 

Thomas Mann, che non era ebreo, ma aveva sposato un'ebrea, ebbe però la coerenza di scegliere l'esilio quando i Nazisti presero il potere, nel 1933, dopo le contestazioni dei nazisti alla sua celebre conferenza su Wagner tenuta all'Università di Monaco.  Lo scrittore, che in quei giorni si trovava all'estero, decise di non fare più ritorno in Germania, fino alla fine dei suoi giorni. 

Stabilitosi dapprima in Svizzera, a Kusnacht e poi a Zurigo, andò a vivere negli Stati Uniti, a Pacific Palisades, nei pressi di Los Angeles. 

In America divenne intimo di grandi personalità, tra cui Albert Einstein, che aveva già conosciuto negli anni precedenti, e al quale scrisse questa lettera, datata 15 maggio 1933 poco dopo che (il 30 gennaio) Adolf Hitler era stato nominato Cancelliere del Reich. 

La lettera fu scritta nel Grand-Hotel di Bandol, nel dipartimento di Var, nella Francia del Sud. 

Ad Albert Einstein 
Bandol (Var), 15 maggio 1933, Grand Hotel

Stimatissimo professore, 
diversi cambiamenti di residenza hanno fatto sì che il mio grazie per la sua cara lettera si sia protratto fino ad oggi. 

E' stato il più onorevole messaggio che io abbia avuto non solo in questi tristi mesi, ma forse in tutta la mia vita: ma esso mi loda di una condotta che mi riuscì naturale e che pertanto non merita elogi.

Ben poco naturale, certo, è invece la situazione in cui, per quel mio contegno sono venuto a trovarmi; sono troppo un buon tedesco infatti, perché il pensiero di un esilio permanente non abbia per me un accento assai grave, e la rottura col mio paese, che è quasi inevitabile, mi opprime e mi angoscia parecchio:
segno appunto che non si adatta bene alla mia natura, più improntata ad una tradizione goethiana e rappresentativa che non fatta, di sua natura e vocazione, per il martirio.

Perché mi vedessi costretto a entrare in questa parte dovevano accadere, veramente, cose oltremodo false e cattive, e falsa e cattiva, infatti, secondo la mia più profonda convinzione è questa "Rivoluzione tedesca."  

Le mancano tutte quelle qualità che alle vere rivoluzioni, per cruente che fossero, hanno attirato la simpatia del mondo. Essa, per sua natura, non è una "sollevazione", checché vadano dicendo e strillando i suoi esponenti, ma odio e vendetta, gusto di uccidere e meschineria spirituale piccolo-borghese. 

Non ne può venire nulla di buono, non lo crederò mai e poi mai, né per la Germania né per il mondo, e l'aver messo in guardia, fino all'ultimo, contro le forze che hanno portato questo disastro morale e spirituale, costituirà certo un giorno un titolo d'onore, per noi, titolo d'onore che forse sarà la nostra rovina. 

Il suo devotissimo

Thomas Mann
   

03/01/14

La rinascita di Etty Hillesum - di Giorgio Montefoschi.




La rinascita di Etty Hillesum

La maggior parte delle Lettere che Etty Hillesum scrisse dal lager di Westerbork, pubblicate oggi da Adelphi in edizione integrale (traduzione di Chiara Passanti, Tina Montone, Ada Vigliani, pp. 269, e 22), sono del 1943 e praticamente cominciano quando smette di scrivere il suo lungo Diario, pubblicato anch’esso da Adelphi. 

In entrambi i casi — il Diario e le Lettere — quello che colpisce chi si avvicina a questi due testi sconvolgenti, rivelatori di una delle grandi anime del Novecento, è l’estrema velocità dei due mutamenti spirituali che segnano la breve vita di Etty Hillesum. 

Una velocità che, insieme all’incalzare drammatico della storia, mostra l’intervento della mano divina. Nel Diario , scritto dal 1941 al 1943, la Hillesum — nata un secolo fa nel gennaio 1914, figlia di un professore di scuola ebreo e di una ebrea russa malata di nervi e dotata di un pessimo carattere, sorella di due fratelli a loro volta fragili e instabili — è la tipica ragazza borghese irrisolta, preda delle sue inquietudini sentimentali, animata da un desiderio tanto nobile quanto confuso di elevarsi. Avendo cattivi rapporti con i genitori, vive in casa di un uomo molto più vecchio di lei, Hendrik Wegerif (Etty lo chiama Pa Han), un ex contabile di cui è l’amante. 

Va in bicicletta lungo i canali dell’incredibile Amsterdam ancora «quieta», benché sull’orlo della catastrofe del 1940; divora i libri (da Dostoevskij a Jung, da Rilke alla Bibbia); ma è confusa, e dentro se stessa sente come di avere una sorgente impedita, una sorgente che non riesce a zampillare. 

In una pagina del Diario può scrivere: «A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza dei secoli sublimata sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia sui campi di grano». 

E poche righe più in là: «Le mie idee pendono dal mio corpo come vestiti troppo larghi nei quali devo crescere... Idee vaghe di ogni tipo reclamano ogni tanto una espressione concreta». 

Nella buona sostanza, sa e capisce che l’unico e vero compito della sua vita è quello di portare ordine e armonia nel caos che regna nel suo cuore. Intanto, ha conosciuto un uomo che si rivelerà fondamentale per la sua evoluzione spirituale. 

Costui è uno psicochirologo ebreo tedesco allievo di Jung, Julius Spier — anch’egli più anziano di lei di oltre venti anni —, che ha lasciato la famiglia per riparare in Olanda. Spier, che ad Amsterdam ha raggiunto una certa fama, studia la mano e sottopone i suoi pazienti a una bizzarra terapia: vale a dire, la lotta. Il medico e il paziente si avvinghiano, combattono, si rotolano per terra, in modo che le forze oscure della psiche nascoste nel nostro corpo possano sciogliersi, liberarsi e armonizzarsi con quelle del corpo. 

Etty è presto attratta da quest’uomo che, oltre alla lotta fisica, le propone letture e argomenti di meditazione profondi, così come Spier è attratto da lei. E non ha molta importanza il fatto che fra i due si stabilisca una relazione sentimentale. Spier è una vera e pietra imprescindibile nel percorso di Etty. Dio pone molte pietre lungo il nostro cammino. A volte, queste pietre sono inciampi, ostacoli che possiamo superare (e il Salmo ci dice che, se glielo chiediamo, Dio ordina ai suoi angeli di sostenerci in modo che possiamo evitarli). 

A volte sono messe lì, proprio dentro noi stessi, per far sì che le riconosciamo come parte di noi stessi, come una nostra pietra che blocca una nostra sorgente, e in uno sforzo sovrumano le solleviamo, lasciando zampillare la sorgente. È quanto accade, miracolosamente, a Etty Hillesum: che un giorno cade in ginocchio e si colma dell’amore di Dio. 

Ora, però, la situazione per gli ebrei olandesi e di tutta Europa sta precipitando. Etty, benché malatissima, si fa internare nel campo di smistamento di Westerbork, dal quale uscirà per andare a morire ad Auschwitz. 

Questo è il secondo definitivo gradino della sua elevazione: corrispondente al suo sacrificio. Etty sa che l’amore per Dio e per il prossimo rimane lettera vuota, se non si fa carne. 

Le Lettere dal campo di Westerbork non sono soltanto la testimonianza dell’orrore e dell’abisso che l’uomo non avrebbe mai potuto immaginare di raggiungere. Sono la più pura testimonianza dell’agape cristiana. La condivisione del dolore.   

18/06/13

La leggenda di Jung antisemita.



Siccome si torna a discutere ancora oggi di un presunto antisemitismo di Carl Gustav Jung (mi è capitato anche di recente di leggere nel libro di memorie Prima di andarsene Saul Bellow una definizione di Jung come "antisemita pazzo" ), pubblico questo articolo definitivo di Paolo Ferliga sul sito di Claudio Risé che ricostruisce punto per punto la vicenda e chiarisce una volta per tutte la questione.  

Capita ancora oggi di leggere che Carl Gustav Jung (psichiatra e psicologo svizzero vissuto tra il 1875 e il 1961, fondatore della Psicologia Analitica), sarebbe stato antisemita e nei primi anni Trenta avrebbe addirittura simpatizzato per il nazismo. 

 Queste accuse, particolarmente pesanti nei confronti di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita allo studio ed alla cura della psiche, sono del tutto infondate, smentite dagli scritti, dai comportamenti e dai numerosi pazienti e collaboratori ebrei di Jung. 

Per quanto riguarda gli scritti l’accusa si riferisce ad alcuni articoli degli anni 1933/34 in cui Jung parla di psicologia semitica o ebraica e di psicologia ariana o germanica. (1) L’uso di questa terminologia sarebbe una prova del razzismo intrinseco al pensiero di Jung. Per chi conosca il dibattito interno al movimento psicoanalitico l’uso di tali termini però non sorprende. Lo stesso Freud infatti riconosce più volte una differenza tra “anima ebraica” e “anima ariana”. Nel 1908, ad esempio, parla della sua “parentela razziale” con l’ebreo Abraham e di come “i nostri compagni ariani” siano indispensabili per sottrarre la psicoanalisi alla morsa dell’antisemitismo. (2) 

Nel ‘26 inoltre scrive che, pur non essendo credente, si sente attratto in modo irresistibile dall’ebraismo e dagli ebrei, mosso da “molte oscure potenze del sentimento” e dalla “familiarità che nasce dalla medesima costruzione psichica”. (3) Anche Freud riconosce quindi una specificità psichica connessa all’appartenenza “razziale”. Il termine razza, in quegli anni, non ha ancora assunto quell’alone semantico negativo e terribile che gli verrà conferito dal nazismo. Mentre Freud però non affronta questo problema a livello teorico, Jung si propone di indagare le “oscure potenze del sentimento” che spingono il singolo a sentirsi attratto dall’appartenenza al proprio popolo ed alla sua tradizione e di verificare se esista una “medesima costruzione psichica” correlata alle differenze etniche tra gli uomini.

In questa indagine Jung scopre che la psiche di una persona non è condizionata soltanto dalla sua storia individuale e familiare, ma anche dalla storia collettiva, dall’appartenenza ad una comunità e dalla relazione con la terra in cui la comunità vive.

Nell’inconscio collettivo infatti si depositano i miti, i simboli, le tradizioni di un popolo. Per questa ragione Jung parla anche di un carattere etnico della psiche e quindi di una differenza tra psiche ebraica e psiche germanica. Proprio la scoperta dell’inconscio collettivo e degli archetipi, che ne costituiscono la struttura, permette a Jung di intuire già nel 1918 il potenziale distruttivo dell’anima germanica. Nello scritto Sull’inconscio sostiene infatti che con il venir meno dell’autorità del cristianesimo “la bestia bionda …minaccerà di erompere con effetti devastanti”. (4)

Jung pensa però che l’inconscio dei tedeschi contenga non solo un elemento anticristiano e barbarico potenzialmente distruttivo, ma anche il suo opposto, un’energia in grado di promuovere un rinnovamento culturale e spirituale. Questa convinzione continuerà ad operare in Jung fino al 1933/34, quando ancora si illude che la terra di Goethe, di Beethoven e di Hegel, “uno dei paesi civilizzati più evoluti del mondo” (5), non si consegnerà mani e piedi alla barbarie nazista

I dubbi che Jung condivideva con molti intellettuali della sua epoca lo porteranno così a sottovalutare, in quegli anni, gli “effetti devastanti” del nazismo da lui stesso lucidamente previsti nel 1918. Forse per questa sottovalutazione Jung non si rende conto che i concetti di psicologia ebraica e germanica, negli anni in cui il nazismo utilizza il concetto di “razza ebraica” per giustificare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei, si prestano a pesanti fraintendimenti e strumentalizzazioni. Di qui le accuse di antisemitismo e addirittura di simpatia per il nazismo di cui abbiamo parlato all’inizio. 

Jung risponderà a queste accuse in modo organico in tre scritti: Dopo la catastrofe, Commenti sulla storia contemporanea (1945) e Contributi ai “Saggi di storia contemporanea” (1946), (6) in cui presenta gli sviluppi del suo pensiero e un’analisi del nazismo come psicosi di massa. Ma già nel 1936 il saggio Wotan (7) suona come critica spietata del nazismo, analisi precisa e forse non ancora sufficientemente compresa delle sue cause profonde. 

Paolo Ferliga 
Docente di Filosofia Psicologo analista 

31/01/13

Le parole che in Italia sono così difficili da pronunciare (Angela Merkel, ieri).




Le parole che in Italia sono così difficili da pronunciare.


"La responsabilità tedesca per i crimini del nazismo NON è destinata a pesare meno con il passare degli anni e il modo con cui si sviluppa una dittatura ha potuto rapidamente sviluppare la sua trama criminale, in quella prima metà del 1933, deve rappresentare una avvertimento PERENNE." 

 Angela Merkel, 30 gennaio 2013.

19/06/12

E' morta Gitta Sereny.




La scrittrice e giornalista britannica Gitta Sereny, che ha dedicato gran parte della sua vita di autrice all'analisi di cio' che accadde al popolo tedesco durante il nazismo, e' morta all'Addenbrooke's Hospital di Cambridge all'eta' di 91 anni dopo una lunga malattia. 

L'annuncio della scomparsa, che risale a giovedi' scorso, e' stato dato oggi dalla famiglia alla stampa londinese.

 Autrice di libri a cavallo tra storia e cronaca, in cui racconta fatti di cui e' stata spesso testimone, Sereny ha pubblicato "In quelle tenebre" (Adelphi, 1994), biografia di Franz Stangl, il boia nazista di Treblinka, frutto di lunga serie di colloqui nel 1971 nel carcere di Dusseldorf; "In lotta con la verita"' (Rizzoli, 1995), biografia dell'ex ministro nazista Albert Speer che aveva conosciuto nel 1945 assistendo al processo di Norimberga diventando poi amica dell'architetto di Hitler che intervisto' a lungo; "Germania il trauma di una nazione.Riflessioni 1938-2001" (Rizzoli, 2002), dove parte da alcuni episodi autobiografici per collegarsi a momenti chiave dell'ascesa e della disfatta del Terzo Reich e alla fase successiva di chiarificazione e sanzione legale, con l'intervista alla regista Reni Riefenstahl, il resoconto del processo israeliano a John Demjanjuk e il caso della pesante eredita' dei "figli della svastica" (a partire da Martin Bormann junior). 



11/04/12

25 anni fa la morte di Primo Levi.


L'11 aprile 1987 moriva Primo Levi. Il suo corpo lo trovarono al fondo della tromba delle scale nella casa dove abitava, in corso re Umberto a Torino.

Oggi, dopo 25 anni, sono stati annunciati i lavori di ristrutturazione che riapriranno tra qualche mese la palazzina dell'ex Siva di Settimo Torinese dove lui lavoro'. Era una fabbrica di vernici, diventera' un grande contenitore dove troveranno ospitalita' rifugiati politici provenienti da ogni parte del mondo, un museo, uno spazio teatrale e un punto vendita dei prodotti di Libera, prodotti provenienti dai terreni sequestrati alla mafia.

La gestione sara' affidata a Terra del Fuoco che gia' l'ha eretta a luogo simbolo di partenza del Treno della memoria che ogni anno porta centinaia di studenti in visita nei lager. In quella palazzina, a pochi metri dall'autostrada Torino-Milano, dal 1947 al 1975 si recava Primo Levi che ne divento' direttore generale.

All'epoca la Siva era la prima fornitrice di vernici isolanti dell'Unione Sovietica. Quell' esperienza lo segno' tanto che in molti suoi libri ci sono importanti riferimenti alla sua attivita' di chimico, un esempio su tutti "La chiave a stella".

Quando Levi vinse il Premio Campiello con il libro "La Tregua", i dipendenti della Siva gli fecero una grande festa nella sala mensa. Chiusa vent'anni fa, e' rimasta per lungo tempo uno dei tanti giganti di cemento che la deindustrializzazione ha distrutto, ma e' stata sottratta all'asta e quindi alla probabile demolizione, dal Comune di Settimo e dal suo sindaco Aldo Corgiat. Recentemente ha ottenuto un finanziamento dal Senato di 350 mila euro che permettono l'avvio dei lavori che si concluderanno - e' stato assicurato oggi - prima della partenza del prossimo treno della memoria, a gennaio 21013.

"Riconsegniamo alla citta' un simbolo importante dove troveranno spazio importanti attivita' storico-culturali, ha detto il sindaco Corgiat. "Oggi - ha aggiunto il presidente di terra del Fuoco, Oliviero Alotto - abbiamo la straordinaria opportunita' di dare una casa al Treno e ad altri progetti, una casa che vogliamo diventi un laboratorio di conoscenza e di riflessione, per noi, per i ragazzi e le ragazze del Treno e per tutti quelli che lo vorranno, a partire dal passato e dalla memoria che di quel passato costruiamo".

27/01/12

Giornata della Memoria - Bauman: "C'è predisposizione al male anche nella gente comune."


Esiste una ''predisposizione al male della gente comune''. 

Il sociologo e filosofo polacco di origine ebraiche Zygmunt Bauman, professore emerito dell'University of Leeds, e' intervenuto sul processo con il quale la Shoah e' diventata ''l'emblema stesso del male politico'' durante il convegno internazionale ''Shoah, modernita' e male politico'', promosso a Firenze dalla Regione Toscana e dal Forum per i problemi della pace e della guerra nell'ambito delle iniziative per la Giornata della Memoria 2012. 

Il filosofo che ha teorizzato la societa' liquida e che un quarto di secolo fa ha pubblicato il saggio Modernita' e Olocausto 'ha citato gli esperimenti di recente condotti su un gruppo di studenti, scelti per partecipare a ipotetiche azioni crudeli, con la stragrande maggioranza di essi che hanno deciso di andare avanti, cioe' non si sono opposti. 

Da qui Bauman ha fatto una trasposizione sociologica e filosofica, applicata alla Shoah, del principio matematico noto come ''campana di Gauss'': quella sorta di curva regolare che identifica i diversi atteggiamenti delle persone comuni davanti al male; da un lato pochissimi che ''si rifiutano'', dall'altro pochissimi che ''si divertono'' e nel mezzo la grande maggioranza dei ''servi volontari''. 

Tuttavia, ha chiuso Bauman citando un testo intitolato Dopo l'oscurita' c'e' sempre la luce, non vanno dimenticate le persone che seppero e sanno resistere al male. Da un punto di vista personale, cio' ha costi molto alti ed e' certo piu' facile restare nella condizione di ''servi volontari''.

Fonte adnkronos

11/01/11

L'umorismo è il maggior nemico del diavolo - J.Hillman.


In questi giorni natalizi, rivedendo alcuni dei vecchi film dell'epoca del muto, del grande Chaplin, o di Laurel & Hardy, ho molto riflettuto su cosa è l'umorismo, su quanto sia difficile da praticare, e su come si tratti di una attitudine umana precipua e alta. 

La paura è la grande sovrana del mondo. E la paura è l'antitesi del sorriso.
Nel suo libro, 'Il Codice dell'Anima', James Hillman, nel capitolo dedicato ad Adolf Hitler, distingue tra l'umorismo (e quindi l'umorista) e "la figura del Briccone," di colui cioè che è specialista nel "dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle", tutte tipiche contro-figurazioni che possono avere molto a che vedere con il male.

La linea di demarcazione è sottile, ma molto importante.

Hillman sottolinea l'origine della parola 'umorismo', cioè la sua etimologia, che deriva, ancora una volta dalla radice 'humus', da cui a loro volta derivano:
-homo, humanus,
e - humilis

E' forse per questo motivo che l'umorismo - non il comico, non il grottesco, non il ridere insensato - è quanto di più umano esista. Ecco il brano nella sua interezza.

Il diavolo può impersonare la figura del Briccone, dire arguzie, fare il buffone, danzare la giga, giocare burle, ma l'umiltà terragna dell'umorismo gli è totalmente estranea.


L'umorismo, come indica la parola stessa, inumidisce e ammorbidisce, conferendo alla vita un tocco ordinario; poiché incoraggia l'autoriflessione e prende le distanze dal senso di importanza personale, l'umorismo è fumo negli occhi per il delirio di grandezza. In quanto ci pone su un gradino più basso, è essenziale per crescere cioè discernere.

La risata che dà riconoscimento alla nostra assurdità di comparse nella commedia umana è altrettanto efficace per scacciare il diavolo, dell'aglio e della croce per scacciare i vampiri.

Lo aveva capito Chaplin, che nel suo film Il grande Dittatore non si limita a ridicolizzare Hitler, ma rivela l'assurdità, la trivialità e la tragicità dell'inflazione demonica.


James Hillman, Il codice dell'Anima, pag.276.

13/12/10

Leonessa, 7 aprile 1944






Leonessa, 7 aprile 1944

Lo scuro tempo del presagio giunse,
senza rinvio e senza scelta
si fermò un istante la fila dei coscritti
la morte li attendeva
nel trascolore delle camice brune
come i fianchi dei monti amati
ancora occupati dall’inverno.
Piansero i derelitti,
pianse mio padre
per i suoi spersi diciannove anni
pianse un passaggio di nuvole
scure oltre il crinale del lungo valle
piansero le madri e le sorelle,
in un soffio si dipinse
nel silenzio smorzato dell’altopiano
la bellezza crocefissa
di vite scialate.
Oggi, che queste nuvole
sembrano
di carta, che ogni parola
appare suono falso
di conchiglia
ripenso e credo
allo sguardo intransigente
di chi è morto. Nel temporale
ascolto la voce
dei trapassati:
è forte e non si schioda
dal punto che è questo
e sempre rimane
come un sasso nel lago
per noi mortali
che non sappiamo
fare i conti con gli sbagli
di una tradita umanità.

Fabrizio Falconi

20/04/09

Oggi, 39 anni dalla morte di Paul Celan.

Il 20 aprile del 1970 moriva tragicamente, con un tuffo nella Senna, uno dei più grandi uomini del Novecento, Paul Celan. Nato a Cernauti, in Romania, nel 1920, è stato un poeta grandissimo, la cui opera ancora oggi rifulge come una delle voci più autentiche e moderne della letteratura contemporanea.


Una esistenza tragica, contrassegnata dalla costante fuga - lui ebreo - prima dalle atrocità del nazismo (ma perde sia il padre che la madre, fucilata in un campo di concentramento), poi da quelle del comunismo.


Un pensiero profondissimo che ha ispirato tutta la sua opera, con la frequentazione ravvicinata delle personalità più importanti della riflessione filosofica del secolo, prima fra tutte quella di Martin Heidegger.


Paul Celan è una voce cara ai cristiani. Le sue poesie tragiche, vere, dolenti, confortanti, aprono ogni volta il nostro cuore. Lo ricordiamo qui, con questa poesia, tratta da AtemKristall:


Nei solchi di quella moneta
celeste tra stipite e porta
tu pressi il Verbo, da cui
mi srotolai
allorché con pugni tremanti
smantellai tegola dopo tegola,
sillaba dopo sillaba,
il tetto sopra di noi, per amor
del rame luccicante
nella ciotola della questua
lassù.



notizie su Paul Celan:


.

19/04/09

Benedetto XVI, l'82mo compleanno, e il nazismo - Il Papa si sente chiamato a sradicare i germi ancora vivi della ideologia distruttiva.

Anche se i media non amano molto questo pontificato, e continuano ad interessarsi unicamente di questioni pur importanti come la contraccezione in Africa, o la revoca ai lefebrviani, Benedetto XVI continua, silenziosamente a condurre certe sue battaglie, anche nei giorni in cui si festeggia il suo 82mo compleanno e il 4.o anniversario del suo pontificato.

Come Papa Wojtyla ha interpretato la sua ascesa al Pontificato anche come una chiamata per l'intera Polonia a riscoprire la propria dignita' offuscata dalla dittatura comunista, il Pontefice tedesco si sente chiamato a sradicare i germi ancora vivi del nazismo, come spiega l'agenzia di stampa AGI.

Negli ultimi mesi di questo quarto anno di Pontificato, Benedetto XVI e' tornato molte volte a parlare del nazismo, un'ideologia che ha causato la Shoah e la seconda guerra mondiale ma anche tante sofferenze al popolo tedesco".

La Shoah induca l'umanita' a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo, ha auspicato al termine dell'udienza di mercoledi' 28 gennaio, riprendendo la profonda meditazione del suo discorso del giugno 2005 nel campo di concentramento di Auschwitz.

Non ha solo condannato ogni forma di oblio e di negazione della tragedia dello sterminio di sei milioni di ebrei, ma ha richiamato i drammatici interrogativi che questi eventi pongono alla coscienza di ogni uomo e di ogni credente. "Perche' - come ha sottolineato il portavoce vaticano Federico Lombardi - la fede nella stessa esistenza di Dio che viene sfidata da questa spaventosa manifestazione della potenza del male. La piu' evidente per la coscienza contemporanea, anche se non la sola. Benedetto XVI lo ha riconosciuto lucidamente nel discorso di Auschwitz, facendo sue le domande radicali dei salmisti a un Dio che appare silente ed assente".

Del nazismo il Papa ha parlato anche a partire dalla propria esperienza personale. "La nostra vita e' stata segnata dalle sofferenze del nazismo e della guerra", ha ricordato il 17 gennaio parlando in occasione del Concerto offerto dalla diocesi di Ratisbona per l'85esimo compleanno di suo fratello,
mons. Georg. La famiglia Ratzinger fu infatti vittima, come tante altre in Germania, della macchina di morte del regime nazista contro "i malati o i difettosi": un cugino, poco piu' giovane di Joseph e Georg, nato con la sindrome di Down, fu portato via dalla sua casa nella Baviera sud-orientale in base alle nuove disposizioni del Terzo Reich, che proibivano ai figli handicappati di rimanere coi propri genitori.

Di fronte alle vibrate proteste dei familiari, gli inviati del Reich si mostrarono inflessibili: nessuno vide mai piu' il ragazzino. Molto tempo dopo la famiglia ricevette la notizia che il piccolo era morto. Questo dramma ha segnato profondamente entrambi i fratelli Ratzinger.

Appena un mese dopo quel Concerto, il 21 febbraio, incontrando la Pontificia Accademia della Vita in occasione di un simposio sulle nuove frontiere della genetica, il Papa ha denunciato con forza il rischio di un ritorno a forme di eutanasia eugenetica che il mondo ha gia' conosciuto ad esempio nell'antica Roma, dove i bambini handicappati venivano gettati dalla Rupe Tarpea, e nella Germania nazista.

fonte AGI : http://www.agi.it/

nella foto: Joseph Ratzinger studente di teologia a Frisinga.





29/01/09

Il negazionismo dei sacerdoti - Una vergogna.


Ma davvero nell'Anno Domini 2009 - dopo tutto quello che le nostre orecchie hanno visto e sentito - un cristiano deve ancora ascoltare dichiarazioni come queste qua sotto, espresse da un uomo che se ne va in giro con abito talare e crocefisso sul petto ?

Com'è possibile non dico nutrire pietà - la pietà va concessa a tutti, se uno ne è capace - ma comprensione e soprattutto legittimazione a svolgere un ministero cultuale che si ispira e discende dagli insegnamenti di Gesù Cristo a uno che può affermare impunemente le cose riportate qui di seguito ?

Davvero sono esterrefatto e sono anche scandalizzato che dentro la Chiesa lefebvriana - oggi riabilitata - possano vivere ed esprimersi persone come queste.

Riporto la notizia da http://www.corriere.it

Le polemiche su lefebvriani e Olocausto non accennano a placarsi. Il rabbinato capo di Israele ha cancellato l'incontro con funzionari cattolici previsto a Roma per il prossimo marzo. La decisione è stata presa in segno di protesta per la riammissione nella Chiesa del vescovo lefebvriano negazionista Williamson e nonostante la Fraternita di San Pio X abbia chiesto perdono per le affermazioni di monsignor Richard Williamson. Intanto, in un'intervista alla Tribuna di Treviso il prete lefebvriano don Floriano Abrahamowicz sostiene che «l'unica cosa certa» circa le camere a gas «è che sono state usate per disinfettare».

Dopo l'intervista di Williamson, uno dei quattro vescovi "perdonati" da Benedetto XVI che minimizza l'Olocausto, altre affermazioni negazioniste, dunque. Don Abrahamowicz ( capo della comunità lefebvriana del Nordest che nel settembre 2007 celebrò messa in latino a Lanzago di Silea per il leader della Lega Nord Umberto Bossi) rilancia la teoria per cui i numeri della Shoah sono un «problema secondario», accreditati dagli stessi capi delle comunità israeliane subito dopo la liberazione «sull'onda dell'emotività».

ANTISEMITISMO - «È veramente impossibile per un cristiano cattolico essere antisemita. Io stesso ho, da parte paterna, origini ebraiche», afferma il sacerdote. «Sicuramente è stata un'imprudenza di Williamson addentrarsi nelle questioni tecniche. Nella famosa intervista si vede che il giornalista è andato a parare su quell’aspetto specifico. Ma bisogna capire che tutto il tema dell’Olocausto si colloca a un livello di molto superiore rispetto alla questione di sapere se le vittime sono morte a causa del gas o per altri motivi».

«DUE VERSIONI» - Sulle camere a gas e le dichiarazioni di Williamson, Abrahamowicz dichiara: «Io so che le camere a gas sono esistite almeno per disinfettare, ma non so dirle se abbiano fatto morti oppure no, perché non ho approfondito la questione. So che, accanto a una versione ufficiale, esiste - prosegue Don Floriano - un'altra versione basata sulle osservazioni dei primi tecnici alleati che sono entrati nei campi».

«IL GENOCIDIO È SEMPRE UN'ESAGERAZIONE» - «Lei mette in dubbio il numero delle vittime dell'Olocausto?» chiede il giornalista della Tribuna al prete lefebvriano. «No, non metto in dubbio i numeri - risponde Abrahamowicz -. Le vittime potevano essere anche più di 6 milioni. Anche nel mondo ebraico le cifre hanno un valore simbolico. Papa Ratzinger dice che anche una sola persona uccisa ingiustamente è troppo, è come dire che uno è uguale a 6 milioni. Andare a parlare di cifre non cambia niente rispetto all'essenza del genocidio, che è sempre un'esagerazione». «Un'esagerazione? In che senso?». «I numeri -sostiene ancora Abrahamowicz - derivano da quello che il capo della comunità ebraica tedesca disse agli angloamericani subito dopo la liberazione. Nella foga ha sparato un cifra. Ma come poteva sapere? Per lui la questione importante era che queste vittime sono state uccise ingiustamente per motivi religiosi. La critica che si può fare al modo in cui in cui viene gestita la tragedia dell'Olocausto sta nel dare ad essa una supremazia in confronto ad altri genocidi».