23/10/21

I VENTI Capolavori di Woody Allen - Una collezione da guardare e riguardare

E' davvero incredibile la quantità di film d'alto livello prodotta dal geniale Woody Allen nel corso della sua cinquantennale attività di regista. Qui ho stilato la lista dei 20 capolavori imperdibili, all'interno di una filmografia estremamente feconda.

20 film straordinaria da vedere e rivedere. 

1. BROADWAY DANNY ROSE, 1984


1. Broadway Danny Rose, realizzato nel 1984 in totale bianco e nero, scritto, diretto e interpretato da Woody Allen, con Mia Farrow e Nick Apollo Forte come co-protagonisti.
Una sceneggiatura meravigliosa, senza pause e in crescendo, un centinaio tra battute e gags travolgenti, la storia dell'agente teatrale ed ex comico Danny Rose, talmente fallito che i suoi unici clienti rimasti sono uno xilofonista cieco, un ballerino di tip tap con una gamba sola e un'anziana coppia di strozzapalloni.
La fotografia è del meraviglioso Gordon Willis.
E una fantastica Mia Farrow è Tina Vitale, l'amante dell'italoamericano Lou Canova, ex crooner di un certo successo.
Girato a New York in piena estate.
Rutilante e divertentissimo.

2. OMBRE E NEBBIA, 1991


2. Ombre e Nebbia. Nel 1991 Woody Allen realizza, sempre in un bianco e nero meraviglioso (la fotografia è dell'immenso Carlo di Palma), che sembra venir fuori dalle pellicole di Murnau, un film strano e pieno di genio che racconta di uno strangolatore folle che è in giro di notte in una imprecisata città mitteleuropea, col mite e insignificante impiegato Kleinman (in tedesco: piccolo uomo) che partecipa alla caccia per catturarlo.
Un film che pesca dalla cultura europea a piene mani, da Kafka a Brecht, da Murnau a Kurt Weill, che diverte e inquieta.
Un cast di attori strepitoso che va dalla Farrow a John Malkovich, da Donald Pleasence a Lily Tomlin, da Jodie Foster a Cathy Bates, da Joh Cusak (nella foto) fino addirittura a Madonna Ciccone.

3. AMORE E GUERRA, 1975




3. Amore e Guerra, uno dei film più divertenti in assoluto di Woody Allen: ci si diverte col massimo dell'intelligenza parodiando Guerra e Pace di Tolstoj e il mondo della grande letteratura. Allen e Diane Keaton, all'epoca insieme, sono in stato di grazia e la comicità è quella irresistibile di radici ebraiche, simile nel non-sense e nell'ironia a quella di Mel Brooks. Il film fu tutto girato in Francia e Ungheria ed era la prima volta che Allen usciva dagli USA - lo rifarà solo 21 anni dopo.
Siamo nel 1975.
Ci sono decine e decine di battute e gags fantastiche.
Ma Allen si prepara già a virare verso il suo personalissimo stile d'autore.


4. UN'ALTRA DONNA, 1988



4. Un'altra donna. Nel 1988 Woody Allen realizza un altro grande film su un drammatico script che vede protagonista Marion Post (interpretata dalla grande Gena Rowlands), scrittrice di mezza età che si ritira nel nuovo appartamento per scrivere senza essere disturbata, ma si ritrova però ad ascoltare senza volere attraverso la parete le conversazioni dei clienti dell'adiacente studio psicoterapico; parole che scatenano in Marion ricordi drammatici e un ripensamento generale della propria vita.
Malinconico e a tratti cupo - stavolta le influenze di stile sono tra Bergman e Cassavetes - il film vive delle atmosfere di una magnifica New York invernale fotografata nientemeno che Sven Nykvist.
Il solito supercast contiene oltre a Mia Farrow (realmente incinta del figlio di Allen e di lei, chiamato Satchel, che cambierà il suo nome da grande in Rowan) i giganti Ian Holm e Gene Hackman.

5. INTERIORS, 1975



5. Interiors.  Dopo un inizio di carriera da regista totalmente votata al comico, da Che fai rubi, 1966, a Amore e Guerra, 1975, e dopo il capolavoro di Io e Annie, conclusivo di quel decennio, e già virante verso la commedia sofisticata, Woody Allen stravolge le aspettative del suo pubblico e realizza un film "bergmaniano più di Bergman", prendendo a modello il suo grande mito e trasportandolo in una località della East Coast americana in pieno inverno.
Si toglie dai protagonisti, limitando a girare un film assai rigoroso, quasi teatrale e a tratti gelido, privo di colonna sonora.
La critica lo snobba giudicandolo quasi un plagiatore.
Il pubblico diserta le sale.
Ma i membri dell'Academy lo candidano a ben 5 statuette (non ne vincerà nessuna).
Il dramma è interamente famigliare e quasi claustrofobico con una famiglia che va in pezzi dopo che il padre decide di lasciare la madre e si sposa, davanti alle tre figlie con una donna più giovane e apparentemente assai più volgare.
Rivisto oggi, il film è un Bergman rivisitato con rispetto e personalità da Allen in un bellissimo copione. Splendida la fotografia di Gordon Willis e le scene di Mel Bourne.
Un cast prestigiosissimo con Geraldine Page, Maureen Stapleton, E.G. Marshall, e naturalmente la giovane Diane Keaton.

6. STARDUST MEMORIES, 1980



6. STARDUST MEMORIES, 1980. Il film più maltrattato di Allen e allo stesso tempo il più divisivo: quello cioè che ha spaccato totalmente il pubblico (e la critica) a metà: quelli che lo ritengono il suo peggiore e quelli che lo ritengono il suo capolavoro.
Appartengo da sempre alla seconda categoria.
Utilizzando il canovaccio di Otto e Mezzo e l'ispirazione di Fellini (come ha fatto anche Bob Fosse in All That Jazz, Nanni Moretti in Sogni d'Oro e tanti altri), Allen realizza un film del tutto geniale, dove tutto è vero e finto, sogno e illusione, pretesto e sostanza.
Raccontando di un regista comico di successo - Sandy Bates - in crisi esistenziale, Woody mette in scena la lavorazione di un falso film ermetico che i suoi produttori cercano in tutti i modi di rendere più commerciale.
In Stardust però c'è più di questo: c'è l'esistenzialismo di Allen, la sua attrazione per il paranormale e l'ossessione/rifiuto/attrazione per il sacro o l'oltremondano, il romanticismo, la nobile creatività che rende una vita degna di essere vissuta, il mistero del femminile, il senso irrimediabile del tempo che, passando, schianta e redime.
La fotografia in un meraviglioso bianco e nero è del solito Gordon Willis.
Gli esterni del film sono tutti girati a Coney Island e a Newport.
Charlotte Rampling è affascinante nel ruolo dell'inquieta Dorrie.
Jessica Harper e Marie-Christine Barrault sono le altre icone femminili di Woody/Bates.
Indimenticabile la scena delle mongolfiere e dell'apparizione degli alieni.

7. MANHATTAN, 1979



7. MANHATTAN, 1979. Uno dei capolavori di Woody Allen e il prototipo della commedia sentimentale sofisticata, che nessuno meglio di lui è riuscito a eternizzare.

Con la storia dell'autore televisivo quarantaduenne Isaac Davis e le sue ossessioni e nevrosi con le donne. Ha appena divorziato dalla sua seconda moglie, Jill, che l'ha lasciato per un'altra donna, Connie, e che sta scrivendo un libro su quel matrimonio fallimentare, pieno di riferimenti feroci nei confronti del suo ex marito. Isaac frequenta una ragazza di 17 anni, Tracy (la splendida Mariel Hemingway), mentre il suo migliore amico, Yale, pur essendo sposato con Emily, si è affezionato a un'altra donna, Mary (Diane Keaton), una giornalista divorziata. Isaac la incontra a una mostra fotografica e ne ricava una prima impressione di donna troppo sofisticata, saccente e pedante. Finirà poi per innamorarsene. Ma Mary lo lascerà per tornare da Yale e Isaac tornerà a consolarsi tra le braccia di Tracy nell'ultima memorabile scena del film con uno dei piani sequenza più famosi della storia del cinema.

La romantica fotografia di Gordon Willis, le meravigliose musiche di Gershwin, le battute e lo script di Allen per un film entrato nel cuore di tutti.

8. ZELIG, 1983




8. ZELIG, 1989. Scritto, diretto e interpretato da Allen, Zelig è forse il suo film più geniale in assoluto. Allen parodizza un documentario su un personaggio degli anni venti-trenta inesistente e inventato di sana pianta, ma che dà allo spettatore l'integrale illusione di essere ispirato a fatti realmente accaduti.
La vicenda è ambientata nel 1928 e l'uomo del momento è Leonard Zelig, vittima di una ignota malattia che si manifesta nella trasformazione psicosomatica dei tratti in conseguenza del contesto in cui l'individuo si trova.
Ricoverato in ospedale, Zelig, che in lingua yiddish significa "benedetto", viene seguito da Eudora Fletcher-Mia Farrow, una psichiatra che cerca di scoprire le radici dello strano fenomeno nell'inconscio del paziente.
Un film di virtuosismo inimmaginabile, con la fotografia di Gordon Willis, il montaggio di Susan Morse e gli strabilianti effetti speciali della Greenberg Associates Inc., Computer Opticals, Inc.
Un film talmente geniale nella sua intuizione psicologica e psichiatrica (e religiosa, nel radicamento delle radici ebraiche) che nella accezione di personalità adattivamente camaleontica, di trasformismo identitario dipendente dal contesto ambientale, è stata coniata in psichiatria la Sindrome di Zelig (Zelig Syndrome o Zelig-like Syndrome).


9. RADIO DAYS, 1987


9. RADIO DAYS, 1987 Il più grande atto d'amore che il cinema abbia mai tributato al mezzo della radio e alla sua epopea.
Voce narrante del film, Allen racconta qui le storie della sua gioventù (e della sua famiglia ricostruita come nella foto qui sotto), sebbene non compaia personalmente nella pellicola, ma sia impersonato dal giovane Seth Green, e con esse quello dei gloriosi anni della radio, in America.
È un film tecnicamente perfetto, l'unico fra l'altro che veda recitare insieme le due compagne storiche di Allen: Mia Farrow e Diane Keaton.
Il solito supercast di attori (che per anni erano disposti a autoridursi lo stipendio pur di apparire in un film di Allen) e caratteristi. Oltre a Farrow e Keaton, Danny Aiello, Jeff Daniels, Tony Roberts, Dianne Wiest.
Miracolosa fotografia che restituisce la luce di quegli anni del nostro Carlo Di Palma.
Colonna sonora da urlo.

10.   HARRY A PEZZI, 1997



10. HARRY A PEZZI, 1997 Deconstructing Harry è il ventottesimo film di Woody Allen, girato nel 1997 a New York.
Scritto, diretto e interpretato da Allen fu sacrosantemente candidato al premio Oscar 1998 per la migliore sceneggiatura originale
Racconta le vicende dello scrittore di successo Harry Block che si trova per la prima volta nella sua carriera ad affrontare il "blocco dello scrittore" ed è in piena crisi depressiva.
Allen sceglie genialmente di rappresentare questa condizione psicologica, di depressione e incapacità di autoriconoscimento, utilizzando la tecnica del "fuori fuoco" fotografico.
Criticato da tutti i suoi cari per l'uso spregiudicato che ha fatto nelle sue opere delle loro vite private, Block ha come compagni i personaggi dei suoi racconti, con la realtà che si mescola continuamente alla finzione, in un turbinio virtuosistico (anche nell'utilizzo degli attori) di ricordi e intimità inconfessabili che affiorano durante il viaggio in macchina verso l'università presso la quale Block deve ricevere un riconoscimento alla carriera.
Un film memorabile sui temi delle nevrosi della creazione artistica.
La fotografia è di Carlo di Palma, lo stuolo di attori è mostruoso è va da Billy Crystal a Judy Davis, da Elisabeth Shue a Demi Moore, da Robin Williams a Mariel Hemingway, da Amy Irving a Stanley Tucci a Paul Giamatti.

11. MATCH POINT, 2005


11. MATCH POINT, 2005.  L'ultimo capolavoro di Woody Allen, che risale ormai a 16 anni fa.
Girato a causa delle difficoltà economiche di quel periodo di Allen non a New York, come avrebbe voluto, ma a Londra e con cast interamente inglese (a parte Scarlet Johansson).
Un film tirato e crudele, che racconta la vicenda di Chris, giovane irlandese, bello e sicuro di sé, insegnante di tennis, che ha la possibilità di dare lezioni ai membri della famiglia Hewitt, nobili e ricchi, che sin da subito lo accolgono nel loro giro di amici.
Ne nascono intrighi e delitti che sottopongono allo spettatore questioni morali importanti.
Chris infatti riuscirà a restare impunito per i suoi misfatti grazie a un banale colpo di fortuna, come quello di una pallina da tennis lanciata sulla rete che può cadere da una parte all'altra del campo.
Sceneggiatura perfetta che mette in luce ancora una volta il pessimismo fondamentalista di Allen, che non recita ma resta dietro la macchina da presa.
Il botteghino arrise al film, che fu premiato da grandi incassi in tutto il mondo, fungendo da definitivo trampolino di lancio per la Johansson.
La splendida fotografia è di Remi Adefarasin, anche lui inglese di origini nigeriane.

12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO, 1985



12. LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO. Uno dei più geniali film di Allen, la cui sceneggiatura originale fu candidata all'Oscar e vinse il Golden Globe di quell'anno.
Negli anni della grande depressione, Allen immagina che Cecilia, una donna giovane che vive in una cittadina di provincia del New Jersey con un marito dispotico e fannullone, per evadere dalla sua vita monotona e dal deludente matrimonio, dopo aver assistito alla proiezione del film "La rosa purpurea del Cairo", ne rimane talmente affascinata da rivederlo più volte fino al punto che il suo personaggio preferito, Tom Baxter, accortosi dell'assiduità della spettatrice, esce materialmente dallo schermo prendendo vita autonoma nel mondo reale, e propone alla donna di fuggire.
La cosa più geniale del film e che gli attori del film in bianco e nero, si trovano costretti ad aspettare il ritorno del personaggio per poter proseguire con la trama della pellicola, e per passare il tempo con gli attoniti spettatori del cinema, conversano tra loro.
Il film ha pochissimi attori, e la coppia di protagonisti, Mia Farrow e Jeff Daniels è perfetta.
Gordon Willis firma la fotografia (dei due film, quello di Allen e quello "finto" del cinema degli anni '30, che si proietta sullo schermo).

13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986


13. HANNAH E LE SUE SORELLE, 1986. Uno dei miei film preferiti in assoluto, di Allen. Come sempre, scritto, diretto e anche da lui interpretato.
Le vicende delle tre sorelle: Hannah (Mia Farrow), Lee (Barbara Hershey) e Holly (Diane Wiest) nella New York invernale degli anni 80.
Un film che sembra uscito dalla felice immaginazione di Cechov, shakerato in salsa americana. Leggerezza e malinconia, drammi psicologici e sentimento, ipocondrie e paure, gioie insensate, tradimenti istintivi, giri a vuoto, ritorni a casa.
Il film fu (giustamente) candidato a ben 7 statuette (ne vinse tre, una per Michael Caine, una per Dianne Wiest e una per la sceneggiatura originale di Woody).
Il film ha un cast eccezionale che comprende: Michael Caine, Carrie Fisher, Maureen O'Sullivan (vera madre di Mia Farrow), Lloyd Nolan, Max von Sydow, Julie Kavner, John Turturro, Tony Roberts e Sam Waterston, oltre allo stesso Allen.
La fotografia è del nostro grande Carlo di Palma.
Nel film si vedono anche molti bambini, tra di loro i figli adottivi di Mia Farrow e anche Soon-Yi destinata a diventare la futura moglie di Allen.
Colonna sonora indimenticabile, tra Bach e evergreen.

14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982



14. UNA COMMEDIA SEXY IN UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, 1982. Il genio di Allen negli anni '80 era talmente esplosivo, che Woody riuscì perfino a girare contemporaneamente due film, di genere opposto, entrambi capolavori: Zelig e A midnight's summer sex comedy.
In questo caso Allen prese a prestito da Shakespeare il titolo di una sua opera per mettere in scena una commedia di chiaro stampo teatrale interamente ambientata in una villa della campagna inglese e che vede sei soli attori impegnati a scambiarsi donne e battute acide dal principio alla fine.
Ne risulta una divertente e squisita sarabanda, con equivoci, imprevisti e colpi di scena, incorniciata dagli splendidi paesaggi immersi nel verde. Con una sceneggiatura e dialoghi brillanti con tre coppie di diversa età che passano un fine settimana estivo in una casa di campagna del New Jersey, presumibilmente negli anni '20 del XX secolo.
Accanto a Allen, nel ruolo più divertente e Mia Farrow, José Ferrer, Julie Hagerty, Tony Roberts, Mary Steenburgen e Adam Redfield.
La splendida fotografia è di Gordon Willis
Mentre la colonna sonora è interamente affidata a musiche di Mendelssohn

15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969


15. PRENDI I SOLDI E SCAPPA, 1969 - Il capolavoro comico di Woody Allen, che scrisse e diresse - ancora semisconosciuto - nel 1969, nel quale Allen imbastisce un falso documentario che racconta la vita di Virgil Starkwell, un inetto rapinatore di banche. Già qui emerge il genio del trentaquattrenne Allen, con le false interviste e testimonianze e immagini di repertorio che ricostruiscono la vicenda verosimile e comicissima del povero Virgil, cui non ne va bene una.
Il film è una esplosione di gags, trovate, battute fulminanti, divertente fino alle lacrime.
Qualche anno più tardi Allen dichiarò che l'idea di fare un documentario, perfezionata quando girò Zelig molti anni dopo, l'aveva sin dal primo giorno in cui aveva cominciato a fare film.
Si può considerare il primo film diretto da Allen, escludendo l'esperimento di "Che fai, rubi?" di 3 anni, del tutto sperimentale.
E' anche il primo film in cui Allen è doppiato in italiano da Oreste Lionello che sarà per oltre 40 anni la sua voce nel nostro paese.

16. IO E ANNIE, 1977


16. IO E ANNIE, 1977 - Un film diventato un mito per una intera generazione, che ancora si rivede con gran piacere. Fu la consacrazione definitiva di Allen tra i grandi registi e lanciò definitivamente Diane Keaton che vinse l'Oscar per la migliore attrice protagonista.
Altri 3 oscar andarono al miglior film, ad Allen come migliore regista e come autore della migliore sceneggiatura originale.
E' una commedia sofisticata di costume in cui si raccontano con leggerezza e ironia le vicende sentimentali del comico Alvy Singer che si è lasciato con Annie Hall dopo un anno circa di relazione e si ritrova ora a raccontare la storia del loro rapporto, cercando di capire quali suoi problemi sviluppati durante l'infanzia (depressione, nevrosi) possano essere stati complici della fine della storia.
Psicanalisi, sessualità, emotività, paura della morte, timori e gioie dei rapporti di genere: Allen riassunse in questo mirabile film molte delle questioni di quegli anni effervescenti.
Nel film compaiono oltre ai dure protagonisti, Tony Roberts, Carol Kane, il grande Paul Simon, una giovanissima Shelley Duvall e due attori destinati a diventare divi assoluti e all'epoca sconosciuti: Sigourney Weaver e Christopher Walken.

17. SETTEMBRE, 1987



17. SETTEMBRE, 1987- Un altro gioiello di Allen nel suo decennio più produttivo, che fu quello degli anni 80. Una vicenda dai toni fra Bergman e Cechov che si svolge in due giorni esatti con un gruppo di persone che hanno vissuto a lungo in una casa in Vermont, lontana dai rumori e dalla fretta newyorkese.
Gli ultimi due giorni dell'estate che svolgono completamente le vite dei protagonisti.
Un film virtuosistico e quasi teatrale, girato su un unico set, senza alcuna ripresa in esterno con la meravigliosa fotografia di Carlo Di Palma.
Un miracolo di scrittura, e attori straordinari, tra cui il grande Jack Warden e Dianne Wiest.


18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972



18. TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL SESSO* (*MA NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE), 1972
Pochi sanno che uno dei più noti capolavori comici di Allen è tratto da un vero libro scientifico/divulgativo del sessuologo David Rueben. Non si tratta cioè di finzione documentaristica come avviene in diversi film di Allen.
Nei sette episodi del film, all'epoca rivoluzionario, si ride a crepapelle, con intelligenza e si parla - si parlava per la prima volta, con disinibizione - del sesso, vero pallino di Woody Allen da sempre.
Gags irresistibili, trovate magnifiche, umorismo di matrice yiddish, autoironia formidabile. Lo si rivede sempre con grande
divertimento
, e non solo.
19. CRIMINI E MISFATTI, 1989


19. CRIMINI E MISFATTI, 1989
E' uno dei film più amati dai cinéphiles (e da me) in assoluto della filmografia e di Allen e sebbene non sia stata un successo al box office, è stata candidata a tre Premi Oscar 1990 (Miglior regia, Miglior sceneggiatura e Miglior attore non protagonista a Martin Landau) e al Golden Globe per il miglior film drammatico: ha vinto sette premi internazionali, tra cui il David di Donatello per la migliore sceneggiatura straniera.
Racconta, con piglio dostoevskijano, la vicenda di Judah, noto chirurgo oculista e filantropo, che tradisce da anni la moglie Miriam per l'ex hostess Dolores. Quest'ultima, innamorata del medico e sull'orlo d'una crisi di nervi, è ossessionata a tal punto da quella situazione senza sbocco, da volersi rivelare alla moglie tradita, arrivando a scriverle una lettera che Judah riesce casualmente a distruggere prima che giunga a destinazione. Dolores è però anche pronta a rivelare alcuni traffici finanziari non leciti di Judah e continua a incalzarlo. Così Judah, per non rovinare la sua ottima reputazione, e ormai stanco di tenere in piedi quella doppia vita, si vede costretto a rivolgersi a suo fratello Jack, criminale incallito e senza scrupoli, che la fa uccidere da un sicario. Judah entra così in una profonda crisi di coscienza da cui esce a fatica.
Una sceneggiatura fenomenale che spinge lo spettatore a porsi domande cruciali sul senso del male e del bene, sulla coscienza e i diritti, sulla ipocrisia del buon vivere e sull'autenticità dei sentimenti.
La fotografia è del grande Sven Nykvist.
Il cast è formidabile: Martin Landau è l'ambiguo Judah; vicino a lui Caroline Aaron, Alan Alda, lo stesso Woody Allen, Claire Bloom, Mia Farrow, Anjelica Huston, Sam Waterston


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971


20. IL DITTATORE DELLO STATO LIBERO DI BANANAS, 1971 - Un altro dei capolavori comici di Woody Allen, che nella versione originale si intitola semplicemente "Bananas".
Fu il suo terzo film, sempre scritto con la complicità di Mickey Rose battutista sceneggiatore e amico d'infanzia di Woody.
E' una specie di geniale rivisitazione moderna del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, con la storia di uno studente universitario che per far colpo su una ragazza finisce in un piccolo paese dell'America Latina deciso a sposare la causa dei ribelli capeggiati da Emilio Molina Vargas e rovesciare il dittatore Arroyo, dopo essere diventato l'involontario "eroe della rivoluzione".
E' il film più vicino alla comicità folle e demenziale dei fratelli Marx, da sempre ispiratori del genio alleniano. Racconta anche un'epoca, quella dei primissimi anni '70, piena di aspirazioni ideali e sociali.


Fabrizio Falconi - ottobre 2021

20/10/21

Chi è la coppia ritratta in "American Gothic", una delle opere iconiche del Novecento?

 


E' uno dei quadri più famosi in assoluto del Novecento. 

Parliamo di American Gothic, dipinto nel 1930 dall'americano Grant Wood, e conservato all'Art Institute di Chicago. 

Una immagine che abbiamo visto tutti mille volte. 

Ma chi sono i due soggetti ritratti nel quadro e qual è la sua storia?

La vicenda racconta che Grant Wood che era nato nel 1891 nello Iowa, mentre nel 1930, percorreva la città di Eldon nello stato dov'era nato, l’Iowa, osservò una piccola casa in legno, dipinta di bianco, costruita con la consueta architettura “gotica del carpentiere”. 

Wood decise così di dipingere la casa assieme a «quel tipo di persone che mi sarei potuto immaginare come abitanti di quella casa»

Chiese a sua sorella Nan di fargli da modella, facendole indossare un pesante abito coloniale rassomigliante quelli della tradizione americana del XIX secolo, e come modello per il contadino scelse il proprio dentista.  

Quest’opera divenne ben presto un simbolo della vita e degli ideali dei pionieri americani e lo consacrò fra i protagonisti del regionalismo americano. 

Il dipinto venne esposto all’Istituto d’Arte di Chicago dove vinse un premio di 300 dollari, diventando immediatamente famoso.  

Al giorno d’oggi il quadro è spesso parodiato, anche se rimane uno dei maggiori esempi di regionalismo ed arte americana: ad esempio in una delle scene iniziali di The Rocky Horror Picture Show si nota un’inquadratura che si rifà al quadro, nel cartone disneyano Mulan appare brevemente una coppia di spiriti identici ai personaggi ritratti nel quadro. Ma sono solo due dei tantissimi esempi. 


Nella rara foto qui sopra, i due veri soggetti ritratti da Grant Wood, davanti al celebre quadro. 


19/10/21

Il mistero delle incredibili sfere di pietra della Costarica


Centinaia di sfere di pietra perfettamente rotonde (o vicine alla perfezione) sono state portate alla luce nel Delta del fiume Diquis in Costa Rica sin dagli anni '30  e continuano a venirne fuori delle nuove. 

Hanno dimensioni variabili da pochi centimetri a un paio di metri (6 piedi) di diametro e pesano fino a 25 tonnellate. ⠀

Le sfere di pietra del Costa Rica adornano molti luoghi privati ​​e pubblici e il loro esatto significato rimane incerto. Ciò che lascia veramente interdetti è la convinzione che queste sfere siano state scolpite da mani umane tra il 300 e il 1500 d.C. dai predecessori della cultura Boruca. 

Durante il processo di fabbricazione, questi indigeni nativi hanno utilizzato strumenti di pietra per tagliare lo strato esterno ingombrante, e strumenti di calore e legno per realizzare la rotondità della sfera, anche se ancora questi procedimenti risultano misteriosi.  

Quasi tutti sono fatti di gabbro, una pietra particolarmente dura, equivalente del basalto.  

Tali sfere di pietra si trovano in altri luoghi in tutto il mondo, per esempio in Siberia, in Kazakistan e in Bosnia.

Non è ancora chiaro se fossero semplici oggetti decorativi o servissero qualche altra caratteristica poco chiara, forse avanzata. La tecnologia coinvolta nel plasmarli è stata messa alla prova fino ad oggi.

Rimane un mistero come questi antenati precolombiani fossero capaci di una tale precisione nel tagliare queste pietre, che presuppone l'utilizzo di tecnologie avanzate. 




18/10/21

Quando Pollock fece la prima mostra in Europa e non vendette nemmeno 1 quadro. Oggi quegli stessi valgono 40 milioni di dollari l'uno.


Incredibile parabola, quella di Jackson Pollock, e dell'arte moderna. La fortuna di questo meraviglioso, grandissimo artista, seguì infatti strade del tutto particolari e imprevedibili.

Nato nel 1912 a Cody, nel Wyoming, Jackson era il più giovane di cinque fratelli. Suo padre faceva l'agricoltore ed in seguito diventò un agrimensore alle dipendenze dello stato, con il giovane Jackson che trascorse la sua gioventù tra l'Arizona e la California, mostrando subito un carattere difficile, schivo e introverso, refrattario alla regole scolastiche della High School di Reverside e della Manual Arts High School di Los Angeles, dalle quali venne espulso per indisciplina.

La svolta per Jackson si creò quando ebbe l'occasione di entrare a contatto con i nativi americani mentre accompagnava il padre ad effettuare i rilevamenti agricoli. Anni dopo, Pollock realizzò i suoi quadri più famosi, inaugurando il metodo del "dripping" (cioè lo sgocciolamento della vernice direttamente sulla superficie delle tele poste orizzontalmente sul pavimento) tra il 1947 e il 1950.

Pollock diventò molto noto negli Stati Uniti in seguito alla pubblicazione di un servizio di quattro pagine della rivista Life dell'8 agosto 1949 che si chiedeva: «È il più grande pittore vivente degli Stati Uniti?».

Eppure, nella vecchia Europa, nessuno lo conosceva, ed è incredibile pensare oggi che dei quindici grandi quadri che Pollock espose per la prima volta nel vecchio continente, nella famosa mostra alla galleria Facchetti di Parigi, nel marzo 1952 (quattro anni prima della sua morte), nessuno, neanche uno fu venduto.

Tutti e 15 i quadri, pur in presenza di qualche manifestazione di interesse, tornarono alla fine in America, invenduti, nonostante i più piccoli costassero 2.000 franchi e i più grandi 8.000 o 9.000 franchi.

Anche Malraux, all'epoca ministro della cultura francese, che si era innamorato dei quadri e voleva comprarli per lo Stato Francese, non riuscì a trovare il credito necessario.

Per il pubblico la mostra fu uno scandalo, i vecchi dicevano che era la fine dell'arte, che quei quadri erano dipinti con la coda dell'asino.

Ebbene, nel marzo scorso Numero 32, opera di Pollock del 1949, è stato venduto a 40 milioni di dollari.

E oggi il solo catalogo di quella storica e sfortunata mostra si vende per 350 euro come si vede qui.




17/10/21

La Sindrome di Napoleone - Il ritratto di ogni megalomane di oggi e di ieri. Tolstoj descrive il "vero" Napoleone



Un uomo senza principi, senza abitudini, senza tradizioni, senza nome, che non è neppure un francese, per i più strani casi si fa avanti tra tutti i partiti che agitano la Francia, e senza aderire a nessuno di essi, è portato a un posto eminente.

L’ignoranza dei colleghi, la debolezza e la nullità degli avversari, la sincerità nel mentire, la mediocrità brillante e sicura di sé di quest’uomo lo portano alla testa di un’armata.

Una innumerevole quantità di cosiddetti casi lo accompagna dovunque. Al suo ritorno dall’Italia egli trova il governo in tale stato di disfacimento che gli uomini che vengono a far parte di questo governo vengono inevitabilmente stritolati o distrutti.
Quell’ideale di gloria e grandezza che consiste non solo nel credere che nulla sia male per la propria persona, ma anche nell’inorgoglirsi di qualsiasi misfatto, attribuendogli un incomprensibile significato sovrannaturale si foggia liberamente in lui.
Egli non ha nessun progetto: ha paura di tutto; ma i partiti si aggrappano a lui ed esigono la sua collaborazione.
Lui solo, col suo ideale di grandezza e di gloria, con la sua folle adorazione di se stesso, con la sua audacia nel misfatto, con la sua sincerità nel mentire, lui solo può adempiere a ciò che si deve compiere.
E’ necessario per il posto che lo aspetta, e perciò quasi indipendentemente dalla sua volontà e malgrado la sua indecisione, la mancanza di un piano e tutti gli errori che commette, è trascinato nella congiura che ha per fine la conquista del potere, e la congiura è coronata da successo.
Il caso, milioni di casi gli danno il potere e tutti gli uomini, come fossero d’intesa, cooperano al consolidamento di questo potere.
Non c’è un’azione, non un misfatto, non il minimo inganno che egli commetta, che subito non si trasformi sulle bocche di coloro che lo circondano in una grande gesta.
E non soltanto lui è grande, ma sono grandi i suoi avi, i suoi fratelli, i suoi figliastri, i suoi cognati. Tutto concorre a privarlo delle ultime forze della ragione e a preparare per lui una tremenda parte da rappresentare. E quando egli è pronto, sono pronte anche le forze.



Lev Tolstoj – “Guerra e Pace”, da pag. 1326 (edizione italiana) in poi

16/10/21

Libro del giorno: "La Tranquillità dell'animo" di Seneca

 




Verso la fine degli anni 50 d.C., la posizione di Seneca presso Nerone vacilla, traballa fortemente, mentre lo splendore dell'aula, seppure ancora abbaglia, sempre meno copre il disgusto delle sue sordidezze e i compromessi a cui il filosofo è costretto per mantenere un rango politico in declino. 

Nitida già si profila la scelta che già fu, prima di Seneca, di Atenodoro, il filosofo e direttore di coscienza d'Augusto, che volle a un certo punto ritirarsi dai compiti di corte

Ma troppo, afferma Seneca, si sottomise Atenodoro ai tempi, troppo velocemente prese la via di fuga; a lui non è possibile e non è consona questa condotta: «Né io negherei che talvolta occorra cedere, ma pian piano, a passo indietro, portando in salvo le insegne e l’onore militare: sono più assicurati e protetti dai loro nemici coloro che si arrendono in armi» 

Invero ben altra era stata la funzione pubblica di Seneca presso Nerone da quella tutta privata di Atenodoro presso Augusto. 

Per questo non gli era possibile lasciare bruscamente l'imperatore senza l'assenso di lui, e rischiare che l'abbandono improvviso desse troppo spazio alla rivincita degli avversari politici; ben altra prudenza occorreva al suo congedo, ben altra preparazione affinché il suo ritiro non fosse immediatamente la sua rovina

Il filosofo per intanto non aveva altra scelta che restare in bilico tra due. 

Proprio da questo stato precario sorse il suo capolavoro, del De tranquillitate animi, manuale pratico per conseguire e mantenere l'animo equilibrato, dedicato all'allievo Sereno, ed espressione chiara del suo desiderio di ritiro che campeggia – e lo segna fortemente – in questo scritto. 

«Questo stabile fondamento dell’animo i Greci lo chiamano euthymía, su cui v’è un egregio libro di Democrito; io la chiamo tranquillitas: non è infatti necessario imitare e tradurre le parole greche secondo la loro forma; la cosa propriamente, di cui è questione, va indicata con qualche nome che della voce greca deve avere la forza [espressiva] non l’aspetto» 

Democrito di Abdera, il filosofo che tradizionalmente ride della stoltezza umana, scrisse un'opera su come conseguire e mantenere l'equilibrio interiore, invece di affannarsi in cose vane che non sono altro che le manifestazioni di quelle passioni disordinate che tirano l'animo da ogni parte: perí euthymías, che divenne il riferimento d'ogni successiva trattazione di questo tema filosofico. 

Seneca stesso si sente in dovere di citare direttamente il famoso incipit democriteo: «Chi vorrà vivere tranquillamente non tratti molti affari privati né molti affari pubblici» 

In ambito romano questo tema fu ripreso dall'importante stoico di mezzo Panezio di Rodi. 

L'equilibrio interiore consisteva appunto nell'armoniosa rispondenza tra doti individuali dell'animo e vita pratica adatta al loro svilupparsi, caposaldo della sua speculazione che riformava a fondo il primo stoicismo. Fu Cicerone, che nel pensiero morale seguiva molto dappresso Panezio, a tradurre il termine greco con tranquillitas (De finibus, 5, 8, 23), che vale “bonaccia” del mare, “serenità” del cielo.  

Seneca riprende e adopera come traducente pienamente adeguato del termine greco il tranquillitas ciceroniano, ed anzi l'uso consolidato che ne fa negli scritti morali gli permette di omettere spesso il determinante animi, bastando ormai il determinato tranquillitas a convogliare da solo l'idea di “animo equilibrato”, “equilibrio interiore” e simili. Ma nello stesso tempo si avvicina a posizioni epicuree e ciniche nel limitare l'azione, in un momento in cui più viva si fa in lui la volontà di ritiro. 

Un manuale di ricerca psicologica e spirituale di una modernità straordinaria. Immortale.

Seneca Lucio Anneo(Cordova 4 a.C. – Roma 65 d.C.), filosofo, uomo di Stato e drammaturgo, fu tra i massimi esponenti dello stoicismo romano. Fu condannato a morte da Nerone, di cui era stato precettore e consigliere.



15/10/21

Davvero a Stephen King non piacque lo Shining (tratto dal suo romanzo) di Stanlely Kubrick? Leggenda di una rivalità

 


Una delle leggende più persistenti della storia del cinema è il dissidio - vero o presunto - tra Stephen King, l'autore del romanzo Shining, e Stanley Kubrick, che ne trasse il meraviglioso film del 1980, divenuto una delle pietre miliari del cinema degli ultimi 50 anni. 
Ma cosa c'è di vero? 

Parlando del tema del film, Kubrick affermò che "c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella personalità umana. C'è un lato malvagio in essa. Una delle cose che le storie dell'orrore possono fare è mostrarci gli archetipi dell'inconscio; possiamo vedere il lato oscuro senza doverlo affrontare direttamente". 

Stephen King nei mesi seguenti l'uscita del film fu citato per aver affermato che, sebbene Kubrick avesse realizzato un film con immagini memorabili, il suo fosse un adattamento scadente e addirittura come fosse l'unico adattamento dei suoi romanzi che poteva "ricordare di odiare". 

Tuttavia, nel suo libro di saggistica del 1981 Danse Macabre, King ha osservato che Kubrick era tra quei "registi le cui visioni particolari sono così chiare e feroci che... la paura del fallimento non diventa mai un fattore nell'equazione", commentando che "anche quando un regista come Stanley Kubrick fa un tale esasperante, film perverso e deludente come Shining , conserva in qualche modo una brillantezza che è indiscutibile; è semplicemente lì" e ha elencato il film di Kubrick tra quelli che secondo lui hanno "contribuito qualcosa di valore al genere horror". 

Prima del film del 1980, King diceva spesso di aver prestato poca attenzione agli adattamenti cinematografici del suo lavoro. 

Il romanzo, scritto mentre King soffriva di alcolismo, contiene un elemento autobiografico. King ha espresso disappunto per il fatto che alcuni temi, come la disintegrazione della famiglia e i pericoli dell'alcolismo, siano meno presenti nel film

King ha anche considerato il casting di Nicholson come un errore, sostenendo che avrebbe portato a una rapida realizzazione tra il pubblico che Jack sarebbe impazzito, a causa del famoso ruolo di Nicholson come Randle McMurphy in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975).

King aveva suggerito che un attore più "comune" come Jon Voight , Christopher Reeve o Michael Moriarty interpretasse il ruolo, in modo che la discesa di Jack nella follia fosse stata più snervante. 

Nel romanzo la storia assume il punto di vista del bambino, mentre nel film il protagonista è il padre; infatti, una delle differenze più notevoli risiede nel profilo psicologico di Jack Torrance. 

Secondo il romanzo, il personaggio rappresentava un uomo ordinario ed equilibrato che a poco a poco perde il controllo; Inoltre, la narrazione scritta rifletteva i tratti personali dell'autore stesso in quel momento (segnato da insonnia e alcolismo), oltre che dall'abuso. 

C'è qualche allusione a questi episodi nella versione americana del film. 

In un'intervista con la BBC, King ha criticato la performance di Duvall, affermando che il personaggio è "fondamentalmente lì solo per urlare ed essere stupido, e non è la donna di cui ho scritto"

La Wendy di King è una donna forte e indipendente a livello professionale ed emotivo; a Kubrick, d'altra parte, non sembrava coerente che una donna del genere avesse sopportato a lungo la personalità di Jack Torrance. 

King una volta ha suggerito che non gli piaceva la minimizzazione del soprannaturale da parte del film; King aveva immaginato Jack come una vittima delle forze genuinamente esterne che infestavano l'hotel, mentre King sentiva che Kubrick aveva visto l'infestazione e la sua conseguente malignità come provenienti dall'interno di Jack stesso. 

Nell'ottobre 2013, tuttavia, la giornalista Laura Miller ha scritto che la discrepanza tra i due era quasi l'esatto opposto: il Jack Torrance del romanzo è stato corrotto dalle sue stesse scelte – in particolare dall'alcolismo – mentre nell'adattamento di Kubrick le cause sono in realtà più surreale e ambiguo: King è, essenzialmente, un romanziere di moralità. Le decisioni che prendono i suoi personaggi – che si tratti di affrontare un branco di vampiri o di rompere 10 anni di sobrietà – sono ciò che conta per lui. 

Ma in Shining di Kubrick , i personaggi sono in gran parte nella morsa di forze al di fuori del loro controllo. È un film in cui si verifica anche la violenza domestica, mentre il romanzo di King parla della violenza domestica come scelta che alcuni uomini fanno quando si rifiutano di abbandonare un diritto delirante e difensivo. 

Per come la vede King, Kubrick tratta i suoi personaggi come "insetti" perché il regista non li considera davvero capaci di plasmare il proprio destino. Tutto ciò che fanno è subordinato a una forza prepotente e irresistibile, che è l'estetica altamente sviluppata di Kubrick; sono i suoi schiavi. Nel romanzo il mostro è Jack. Nel film di Kubrick, il mostro è Kubrick. 

King in seguito ha criticato il film e Kubrick come regista: Parti del film sono agghiaccianti, cariche di un inesorabile terrore claustrofobico, ma altre cadono nel vuoto. Non che la religione debba essere coinvolta nell'orrore, ma uno scettico viscerale come Kubrick non è riuscito a comprendere la pura malvagità disumana dell'Overlook Hotel. Così ha cercato, invece, il male nei personaggi e ha trasformato il film in una tragedia domestica con solo sfumature vagamente soprannaturali. Questo era il difetto di base: poiché non poteva credere, non poteva rendere il film credibile agli altri. 

Quello che sostanzialmente non va nella versione di Shining di Kubrick, secondo King, è che è un film di un uomo che pensa troppo e si sente troppo poco; ed è per questo che, nonostante tutti i suoi effetti virtuosistici, non ti prende mai alla gola e si blocca come dovrebbe fare il vero horror. 

Mark Browning, un critico del lavoro di King, ha osservato che i romanzi di King contengono spesso una chiusura narrativa che completa la storia, cosa che manca al film di Kubrick

Browning ha infatti sostenuto che King ha esattamente il problema opposto di cui ha accusato Kubrick. King, crede, "sente troppo e pensa troppo poco"

King non ha mai nascosto il suo rifiuto del risultato finale del progetto cinematografico e ha accusato Kubrick di non comprendere le regole del genere horror. 

King è stato anche deluso dalla decisione di Kubrick di non girare allo Stanley Hotel a Estes Park, in Colorado , che ha ispirato la storia (una decisione presa da Kubrick poiché l'hotel non disponeva di neve ed elettricità sufficienti). 

Tuttavia, King alla fine ha supervisionato l'adattamento televisivo del 1997 intitolato anche The Shining , girato allo Stanley Hotel. 

L'animosità di King verso l'adattamento di Kubrick si è però attenuata nel tempo. Durante un'intervista sul canale Bravo , King ha dichiarato che la prima volta che ha visto l'adattamento di Kubrick, l'ha trovato "terribilmente inquietante"

Tuttavia, scrivendo nella postfazione di Doctor Sleep , King ha professato una continua insoddisfazione per il film di Kubrick. Ha detto di ciò "... ovviamente c'era il film di Stanley Kubrick che molti sembrano ricordare - per ragioni che non ho mai capito - come uno dei film più spaventosi che abbiano mai visto."

Dopo la produzione dell'adattamento cinematografico di Doctor Sleep , in cui il regista Mike Flanagan ha riconciliato le differenze tra la versione del romanzo e quella del film di Shining , King era così soddisfatto del risultato che ha detto: "Tutto ciò che non mi è mai piaciuto della versione di Kubrick di Shining è stata riscattata qui." 

Kubrick, ovviamente, nel suo proverbiale, mitologico silenzio, non ha mai risposto direttamente alle accuse di Stephen King. Chi conosce la sua filmografia, sa che Kubrick sceglie un testo iniziale, romanzo o racconto che sia, per manipolarlo, plasmarlo completamente e fare qualcosa di completamente nuovo, e di completamente suo.