28/10/15

Toro - dalla mostra "Zodiac" di Justin Bradshaw e Fabrizio Falconi.




tratto dalla mostra Zodiac (Tuscania, ex Chiesa di Santa Croce, 2007), dipinti di Justin Bradshaw,testi di Fabrizio Falconi da Il canto dei segni.


Toro

Un giorno, forse, potrei essere felice. E fedele, allo spirito di questo mio proponimento. Il ciclo della vita, e il vento, mi sostiene. Spighe di grano ancora verdi, spazi immensi, li attraverso come se fossi un aratro, leggero e incisivo, senza sbavature. Colore di terra, bruno di solchi. 
La luce sale, ed è come il suono di una campana, fecondo. Giungerà il tempo della pienezza: ma io sono ancora elaborazione, concetto, riflessione. Paura. 
Nessuno può vincere la paura di vivere. Ma si vince solo vivendo. Ed ogni passo E’ quello giusto, ogni secondo scandisce il suo fremito, il suo spazio di tempo nel cielo. E’ mattino, è ora, è adesso. 
Mi tocco le braccia, carezzo i piedi, riposo, riprendo. Direttrice nord, sud. Est-ovest. Sono pure astrazioni. Io sento, felicemente, fedeltà alla vita, ed ogni mancanza, ogni paura, è un passo lasciato sulla strada.

in testa: bozzetto preparatorio per Toro, Justin Bradshaw, da Zodiac.

27/10/15

Il paradosso tutto italiano della poesia.




Il paradosso della poesia italiana sta tutto qui: un paese che registra un numero record di premi letterari, promossi da istituzioni, accademie più o meno presunte, associazioni culturali, municipi, enti della provincia, della regione, case editrici, ecc… Eppure tutto questo ‘mercato di premi’, rivolto al numero veramente impressionante di ‘dilettanti’ che scrivono poesie, non corrisponde ad un effettivo mercato culturale. Semmai, è l’opposto

I libri di poesia contemporanea pubblicati in Italia – pur essendo ogni anno in gran numero – non arrivano quasi mai nelle librerie. Hanno per il 90 per cento – e forse più – una vita clandestina: vengono stampati in poche centinaia di copie, molto spesso con una percentuale di spese a carico dello stesso autore, e distribuite a parenti e amici, in presentazioni ‘ a titolo personale ‘. 

Le librerie italiane – i grandi distributori che le gestiscono – sono convinti che la poesia sia un genere letterario che non vende. Cioè che gli italiani, sostanzialmente, non leggano la poesia. Per questo motivo sono assolutamente riluttanti a prendere copie di libri di poeti contemporanei. Se devono proprio farlo, mantengono una o due copie per qualche mese, in scaffale, e poi restituiscono come resa. Nelle librerie si trovano – al settore ‘Poesia’ - praticamente solo i classici

Per quanto riguarda l’Italia, ci si ferma a Montale, Quasimodo, Ungaretti, con poche eccezioni nel Novecento – una, per esempio Alda Merini, che è diventata un ragguardevole fenomeno commerciale. 

Il pregiudizio su un popolo di lettori che non comprano – e quindi non leggono – poesia è sbagliato

In Italia la poesia si legge, ma le vecchie generazioni prediligono i classici, la poesia nobile italiana. Anche i giovani dimostrano di essere interessati alla poesia: ogni qual volta, anche a Roma, si crea un evento di lettura pubblica, o un seminario poetico, si registrano forti affluenze di pubblico.

- Purtroppo, però, in Italia manca da sempre – manca proprio per ragioni direi quasi antropologiche (l’Italia è un paese dove molto si vive, individualmente, e assai poco si con-divide) la tradizione della ‘lettura in pubblico’ della poesia. 

Pur esistendo l’eccezione della poesia dialettale – anche quella ‘ a braccio ‘ – che anticamente si declamava nei paesi, oggi è difficilissimo trovare manifestazioni in Italia analoghe ai ‘readings’ letterari in America, o alle ‘letture di massa’ in Russia 

- Per questo in Italia i ‘readings’ americani hanno sempre avuto molto appeal, soprattutto negli anni ’70, quando c’è stato qualche timido tentativo di ‘importare’ il fenomeno dalle nostre parti (CastelPorziano). Sempre negli anni ’70 – e prima – peraltro ci sono stati tentativi di aggregazione in ‘correnti’ omogenee e gruppi di avanguardie poetiche, il cui ultimo significativo esempio, però è quello del Gruppo ’63 (che poi non era essenzialmente poetico, ma più in generale letterario), che risale a quarant’anni fa. Tanti altri tentativi sono stati fatti e si fanno per dare voce ad una corrente o ad una generazione, con scarsi esiti sulla fruizione generale della poesia presso un pubblico più vasto.

A fronte di questi balbettanti tentativi, il poeta italiano è rimasto, nella maggior parte – come del resto anche il narratore - una specie di monade, un creatore individuale che poco o quasi niente comunica con i suoi simili, chiuso nella torre della propria ricerca personale, che si basa sui propri testi elettivi, sulla propria sensibilità, sugli incontri casuali che hanno determinato uno stile, o una tendenza semantica. 

Eppure, nonostante questo, il panorama della poesia italiana contemporanea è attualmente assai disgregato, ma molto vivo.

Fabrizio Falconi - 2008  (1-segue). 

26/10/15

'Le correzioni' di Jonathan Franzen (Recensione).



E' sempre difficile recensire un libro che ha avuto così grande successo. Come è capitato a Le Correzioni (The Corrections, 2002), con il quale Jonathan Franzen ha vinto il National Book Award e che gli ha assicurato la notorietà internazionale. 

Il romanzo è stato pubblicato in Italia da Einaudi nell'ottima traduzione di Silvia Pareschi (ma con una copertina incredibilmente fuorviante: l'infanzia in questo libro non ha alcuna rilevanza, gli unici personaggi bambini, i figli di Gary, non entrano mai a pieno titolo nella narrazione).

Si tratta di un romanzo compiuto e felice, sebbene di contenuto molto duro e lucido.  Franzen affronta il preferito tema della famiglia (tornerà anche nel romanzo seguente, Libertà) e della sua apparente disgregazione e inaspettata sopravvivenza. 

La famiglia di Franzen è composta da due anziani genitori, la materna e fragile Enid e il roccioso Alfred, alle prese con l'avanzamento letale del Parkinson e con il disfacimento fisico e psichico. 

I tre figli della coppia sono - nell'ordine in cui il romanzo ce li presenta, in parti apparentemente distinte - Chip, insegnante licenziato e sceneggiatore fallito, il più irregolare dei tre, sempre attratto dalle donne e da una improbabile affermazione personale; Gary, il più regolare, sposato con la bella Caroline e padre di tre figli;  e Denise l'unica femmina, provetta cuoca e dilaniata dal una sessualità confusa (divisa tra l'attrazione per gli uomini e per le donne). 

Come sempre in Franzen, l'architettura del romanzo è prodigiosa.  In parti solo formalmente separate, si intrecciano le storie reciproche dei figli e dei genitori, con continui flash back e flash forward che danno al racconto una incontenibile forza fluida. 

Franzen ha il pregio di non assumersi mai il ruolo di giudice morale di quanto racconta.  Le sue considerazioni di narratore sono lievi, ironiche e non entrano mai nel merito dei destini individuali. 

L'orizzonte è confuso. Quel che resta della famiglia americana (e occidentale) è un grumo di sentimenti contrastanti: odio feroce, irrequietezza e forza del vincolo, che prevale o sembra prevalere su ogni istanza individuale dei protagonisti. 

Con la pazienza di un entomologo, Franzen dispone il catalogo delle personalità - e delle ferite che stanno alla base di queste - e risale al vizio ante-litteram del matrimonio generante (quello tra Enid e Alfred) fondato su un gigantesco equivoco: Enid ama il corpo di Alfred e vorrebbe essere riamata per quello che è; ma Alfred è un ostinato, che continua a ripetere il suo no alla vita, fino all'ultimo istante.

Questo no di Alfred pesa come un macigno anche sulle cronistorie dei figli, sui loro destini irrisolti. Anche e specie in quello di Gary, che sembra quello meglio sistemato e che invece è il più frustrato di tutti (e il più insopportabile nella sua presunzione di sapere sempre cosa è meglio e di poter dare ordini agli altri). 

Franzen racconta questi personaggi con enorme com-passione. Indugia a volte troppo, si esercita qui e là nell'auto-compiacimento di chi sa di disporre di tutti i mezzi narrativi. Ma in fondo non bara mai. E' cosciente e responsabile, lascia i personaggi agire, li osserva li perdona e li ama, come avveniva nella lezione del più grande dei narratori, Tolstoj. 

Il grande piacere della lettura - pur nel livello quasi straziante delle disperazioni personali - è forse dovuto proprio a questo. E non decade mai, fino al punto finale (che spetta, come sempre, alla morte). 

Fabrizio Falconi 
(C) - 2015 riproduzione riservata.


25/10/15

Oltre la Mente - L'attesa è il tempo della gioia.




L'attesa non è soltanto il tempo del tormento e dell'ansia. 

L'attesa, la vigilia, l'avvento (in termini religiosi/cristiani) è (anche) il tempo della gioia.

In psicologia, solo colui che aspetta (qualcosa o qualcuno) è realmente vivo. Quando non si aspetta più nulla o nessuno, si è semplicemente rassegnati o cinici (e in termini psichici formalmente morti).  

Anche chi pratica le discipline orientali (e occidentali) del distacco dalle cose materiali e dagli attaccamenti terrestri, non rinuncia mai ad attendere. Anche soltanto ad attendere ciò che arriva - e ad accettarlo incondizionatamente - dalla vita.

Attendibile è la verità che ci scuote, che dirime il dubbio. 

L'attesa è il tempo in cui la spada resta nell'elsa.  Il tempo nel quale il chicco di grano matura sotto le coltri di neve, in attesa della prossima primavere.  L'attesa è il tempo nel quale un feto si forma completamente nel ventre della madre. La madre che aspetta un figlio. 

L'attesa è carica di promesse.  E in fondo la nostra mente non fa che - continuamente - predisporsi all'attesa.  La nostra giornata è questo: disponiamo di un ordine mentale che ci fa aspettare la prossima cosa, il prossimo impegno, il prossimo svago, quella cosa che prima o poi arriverà e ci farà sentire un po' meglio. 

Quando non si desidera e non si aspetta più nulla, si dice clinicamente che si è inclini alla depressione. 

E non importa, generalmente, che le promesse dell'attesa si concretizzino o meno.  La fiducia o la speranza è più importante.  Soltanto una fede in quel che accadrà determina lo scenario futuro abitabile per la nostra mente. 

Contro questa determinazione vivente - la volontà naturale che si impone e trova sempre i mezzi per avverarsi - si oppone il realismo pessimistico di Schopenhauer e di diversi altri: la speranza è una vana illusione.  Bisogna vivere - dice S. - come se si fosse dentro una colonia penale. E gli altri non sono altro che i nostri compagni di prigionia. 

Ma perfino Schopenhauer concorderebbe sul fatto che anche un coscritto in un campo di prigionia attende qualcosa:  la fine della pena o una fuga, una evasione dalla colonia penale. 

In fondo ciò che possiamo fare di meglio in questa vita - che è essa stessa una attesa - è abitare lo stato/gli stati di attesa e viverli con la maggiore pienezza possibile. 

Pre-gustando, immaginando, interloquendo con i nostri sogni e aspettative, confrontandoli con il principio di realtà. Non rinunciando mai ad assaporare quel che di meglio la vita ha da offrirci e quello che di meglio noi abbiamo da offrire a lei. Il compimento (felice e consapevole) di una attesa.

Fabrizio Falconi (C) -2014 riproduzione riservata.
foto in testa dell'autore: particolare dell'Ares Ludovisi a Palazzo Altemps


24/10/15

Ecco l'enigmatico e controverso Balthus (alle Scuderie del Quirinale e a Villa Medici).





fonte Nicoletta Castagni per ANSA

Enigmatico e controverso, ma soprattutto uno dei pittori figurativi piu' importanti del '900, formatosi alla lezione dei maestri italiani del XIV e XV secolo: e' questo il Balthus, lontano dallo scandalo e dalla provocazione, celebrato a Roma in una grande mostra allestita da domani al 31 gennaio nelle due sedi delle Scuderie del Quirinale e di Villa Medici, di cui l'artista fu direttore dal 1961 al 1976. 

Esposte oltre 200 opere tra dipinti e disegni, provenienti dalle maggiori collezioni internazionali, presentate in un percorso unitario, che prevede, nella sede dell'Accademia di Francia, anche la visita agli appartamenti in cui visse e ai restauri da lui curati. "E' come se nell'aria fosse rimasta impressa la sua firma invisibile", dice la moglie Setsuko Klossowska de Rola ricordando gli anni romani e l'impegno di Balthus per riportare a splendore la magnifica residenza sul Pincio. 

"Era un'epoca meravigliosa", prosegue, ancora bellissima e rigorosamente in kimono, protagonista con il marito della vita culturale e artistica della capitale negli anni '60, condivisa con amici quali Visconti, Fellini, Moravia. "C'era una grande vivacita', Balthus era molto felice di farne parte". 

E del resto Balthasar Klossowski de Rola, nato e cresciuto nel cuore dell'elite europea (la madre, dopo un burrascoso matrimonio con il celebre storico dell'arte Erich Klossowski, si unisce al poeta austriaco Rainer Maria Rilke), ha sempre avuto con l'Italia un rapporto privilegiato. 

A 17 anni, aggiunge Setsuko, Balthus gira la Toscana in bicicletta, alla scoperta dell'arte quattrocentesca, da Masaccio a Piero della Francesca, per un'esercizio di copia che restera' fondamentale nella sua opera. Assimilata nel profondo, la pittura classica e' la lezione che sottende l'intera produzione di Balthus, come testimoniano i dipinti allestiti alle Scuderie fin dalla prima sala, occupata dalle copie di alcune scene della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca, che ispirano tele come 'La rue', nelle versioni del 1929 e del '33. 

Una sorta di manifesto estetico, in cui la composizione prospettica si collega in modo evidente alla tradizione, contro i dettami del movimento surrealista e delle avanguardie all'epoca imperanti. E inoltre la scena inizia a popolarsi di quei temi scandalosi di fanciulle concupite e bambini morbosi, destinati a suscitare infinite polemiche. 

Nella selezione romana, soprattutto per le Scuderie, la curatrice Cecile Debray ha volutamente sorvolato sulla produzione piu' scabrosa (di 'Lezioni di chitarra' c'e' solo un disegno preparatorio, nel contesto del rapporto con Artaud e il Teatro della Crudelta') puntando invece a documentare gli influssi artistici e letterari. Ecco l'infanzia sospesa tra innocenza, sogno ed elementi di sensualita', scaturiti dalla lettura di Carrol. 

E non manca la serie dei disegni ispirati a 'Cime tempestose' della Bronte, dove i protagonisti hanno le sembianze di Balthus e della prima moglie, un legame cosi' drammatico e spietato, che porto' l'artista a tentare il suicidio. E come la donna e' al centro del celeberrimo 'La toeletta di Cathy', cosi' Satsuko e' raffigurata nelle grandi tele dipinte a Villa Medici come 'La camera turca', circondata dai disegni, dagli scatti, e dagli ultimi incompiuti.

23/10/15

Elogio dell'insostituibile Fontanella romana.




Questa è una dichiarazione d'amore. 

Senza questo oggetto, io non sarei quello che sono. Non so se sarebbe stato un bene o no, ma il principio di realtà vale anche per l'evoluzione umana e si è compiuto un cammino, esso deve pur avere un senso. 

Nascendo a roma 56 primavere fa, realizzai il mio primo amore cittadino per le fontanelle romane, che erano un po' ovunque.   Sorveglianti mormoranti dell'infanzia e dell'adolescenza.

Il cilindro di ghisa grigia, lo stemma del Senato Romano, quello strano copricapo lavorato, il naso con il foro, la fossa con la grata. 

L'acqua più buona del mondo. 

Sempre fresca l'estate, quasi gelata, piacevolmente gelata l'inverno.  

Avevo pochi anni quando ho imparato a bere, tappando con il dito il rubinetto e aspettando lo schizzo dal foro perpendicolare. Sciacqua sempre il naso, ci bevono i cani, ammoniva mio padre.  
Non era certo un deterrente. 

Ha placato i miei primi bollori, ha soddisfatto la mia sete sempre, ha rinfrescato il mio volto, il suo rumore ha fatto da sottofondo ad interminabili conversazioni con gli amici, a Via Andrea Doria, a Via della Giuliana, a Via Cunfida, a Via Leone IV, a Piazza Risorgimento, a Piazza Mazzini, a Via Angelo Emo, ha lavato la mia impurità, ha deterso la mia fronte, ha lavato le mie gambe dal fango l'estate, dopo la partita, ha ritemprato le mie cadute, ha scosso i miei sensi quando ero troppo stanco, ha abbeverato i miei figli, quando sono nati, ha reso familiare ogni angolo che io non conoscevo e che loro non conoscevano, ha rimproverato, ammonendomi, ha cantato nel silenzio di ferragosto, ha riempito le bottiglie quando nei '60 o '70 interrompevano la fornitura nelle case, ha osservato impassibilmente i miei anni. 

Da qualche tempo stanno scomparendo.  Le più tristi sono quelle secche, che non buttano più acqua, e se ne stanno lì come orpelli inutili.  Non c'è cosa più romana di loro. Ora che niente sembra romano. Gli zelanti neoamministratori di combutta con l'Acea, aprono ora i punti d'acqua trattata, l'acqua di Roma all'occorrenza, in orride centraline verdi. Occorre avere un recipiente o un bicchiere e spingere la levetta. 

Il Nasone - come lo chiamiamo noi - non aveva bisogno di niente.  Aveva soltanto bisogno di una bocca assetata.

Fabrizio Falconi
(C) - 2014 riproduzione riservata.
foto in testa dell'autore 
qui la mappa completa delle fontanelle romane:

21/10/15

"Io e Ingrid", il bellissimo documentario nelle sale, nel centenario della nascita di Ingrid Bergman.




Cercatelo, se potete.  Al cinema è difficile - è stato un evento simultaneo solo per due giorni - ma il dvd sarà presto reperibile.

Ieri ho visto il documentario Io e Ingrid, realizzato da Stig Björkman, con preziose immagini di repertorio, ricordi privati e l’immensa mole di pensieri contenuti nel diario che l’attrice teneva giornalmente come ha raccontato la figlia Isabella Rossellini, la cui voce è il fil rouge di questo memoir.

Sto cominciando a tenere un diario e lo aggiornerò sempre. Ho 14 anni, 2 mesi, 3 giorni. Sono nata il 25 agosto 1915. Sono vivace, indisponente, cocciuta e selvaggia. Sono Ingrid Bergman. Anno 1929.

Sono le prime parole del diario, cui Ingrid manterrà fede per tutta la vita.

E' l'omaggio alla diva svedese nel centenario della sua nascita. Un collage di ricordi, interviste, lettere e filmati di famiglia inediti, provenienti dall’archivio privato della diva (che amava girare sempre con la sua inseparabile cinepresa super 8), con le testimonianze di amici e artisti che hanno avuto il privilegio di conoscerla e di lavorare con lei.

Ma è molto più di questo.

Il docu-film è un ritratto autentico senza nessun intento oleografico.  Le testimonianze dei figli non trascurano le ombre di una donna autentica, che fece scelte molto coraggiose nella sua vita, accettandone le conseguenze. 

«Mia madre era una delle prime donne veramente indipendenti...diventare attrice è stato come rispondere a una vocazione. Diceva sempre che non era stata lei a scegliere la recitazione, ma tutto il contrario», racconta Isabella.

Sono molte le immagini che non si dimenticano di questo film.  In particolare quelle del primo provino per David O. Selznick, che la chiamò ad Hollywood - senza trucco e senza rossetto, veramente stabiliante (per capire cosa significa possedere un'aura).

I frammenti di un mondo perduto, ma rimasti impressi nella memoria collettiva - forse per intere generazioni future. 

Fabrizio Falconi

19/10/15

Apre a Roma la Galleria dedicata ad un grande maestro del Novecento italiano: Umberto Prencipe.




Umberto Prencipe (Napoli, 14 luglio 1879 – Roma, 22 gennaio 1962) è stato uno dei maggiori artisti del Novecento italiano.

Pittore e incisore, si trasferì da Napoli a Roma molto presto, a diciotto anni, con la famiglia nel 1897. 

Visse anche ad Orvieto agli inizi del Novecento, e successivamente a Lucca e di nuovo a Roma.

Nel 1905 la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma acquistò da Prencipe una sua tela dal titolo Clausura.

Dopo un altro lungo soggiorno ad Orvieto tornò a Roma nel 1926, allontanandosene nuovamente negli anni trenta per insegnare incisione presso l'Accademia di Belle Arti di Napoli (1932-1936). Tornato a Roma nel 1936, si mosse da allora nell'ambiente artistico capitolino, imponendosi fra gli incisori del cosiddetto Verismo crepuscolare e alternando la propria attività artistica con l'insegnamento presso l'Accademia di Belle Arti di Roma fino al 1949.

Sono celebri  i suoi paesaggi dei piccoli centri rurali e delle borgate storiche italiane (Borgo toscano, Tristezza maremmana, Primavera orvietana ecc.)

E a questo interessantissimo artista, spesso trascurato, viene dedicato un nuovo spazio, inaugurato  giovedì 29 ottobre alle ore 18, la Galleria Prencipe, in cui avranno sede l'Archivio Umberto Prencipe e l'Archivio dell'Ottocento Romano.

La Galleria si trova nel quartiere di Monteverde Vecchio e comprende una sala espositiva, dedicata a ospitare mostre d'arte, corsi e conferenze, e due ambienti che accolgono la biblioteca, la collezione di dipinti, disegni e incisioni e il cospicuo materiale d'archivio - scritti autografi, rassegna stampa e fotografie - presenti nello studio dell'artista Umberto Prencipe al momento della sua scomparsa, nonché tutto il materiale documentario di proprietà dell'Archivio dell'Ottocento Romano.

 La biblioteca, specializzata sull'arte tra Ottocento e Novecento e sull'incisione, raccoglie circa 1.500 titoli e numerose riviste.

Il catalogo sarà presto disponibile online. Lo spazio verrà inaugurato con una selezione di opere di proprietà dell'Archivio Umberto Prencipe.
Per info:


Archivio dell'Ottocento Romano 

Archivio Umberto Prencipe
www.ottocentoromano.it 
www.umbertoprencipe.it 

Galleria Prencipe via Ludovico di Monreale 42-44 Roma


16/10/15

Il 40% dei professionisti italiani non legge nemmeno un libro all'anno. Tutti i dati dell'editoria alla Fiera di Francoforte.





Resta ancora il segno meno per il mercato del libro in Italia ma si attenua nel 2014 e ancora di più nei primi otto mesi del 2015 in cui, secondo i dati Nielsen per l'Associazione Italiana Editori, si e' registrato un - 1,9% di fatturato nei canali trade (librerie, librerie online e grande distribuzione) e un - 4,6% per le copie vendute

Si aprono dunque spiragli positivi e i più ottimisti ipotizzano che con l'impulso delle vendite a Natale, ci si potrebbe avvicinare per la fine del 2015 una decrescita zero. 

E' il quadro che viene fuori dal Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia 2015, a cura dell'Ufficio Studi AIE, presentato nel giorno d'apertura della Fiera Internazionale delLibro di Francoforte a cui sono intervenuti la sottosegretaria del Ministero dei Beni e delle Attivita' Culturali e del Turismo, Ilaria Borletti Buitoni e il presidente dell'Aie, Federico Motta. 

Il cambiamento produttivo più evidente è la crescita dei titoli in formato ebook, stimolata anche dalla nuova Iva al 4%

Una crescita del 50% tra il periodo gennaio-giugno 2013 e il corrispondente periodo di quest'anno: dai 13.403 del 2013 ai 26.908 del semestre 2015. 

L'incidenza che l'ebook ha sulla produzione di carta ha raggiunto la soglia dell'86,9%: era del 28,8% quattro anni fa.

L'insieme del digitale oggi rappresenta il 9,4% del mercato (nel 2011 era del 5,2%)

"L'editoria italiana intravede un miglioramento nel 2015 ma il segno e' ancora meno. Stiamo lavorando duro per arrivare al segno piu', attraverso investimenti, innovazione, cambiamenti nell'essere editore oggi. C'e' pero' un problema di fondo: e' arrivato il momento di smetterla con i proclami d'amore per il libro e la lettura che non si traducono in azioni serie ed efficaci. Vi sono sistemi semplici per definire cos'e' una priorita': e' dove si investe prima che altrove. E allora: 33 milioni di euro e' il budget del Centre national du livre francese, meno di 1 milione quello del nostro Centro per il Libro" " ha sottolineato Motta. 

"La verita' - ha continuato - e' che la classe dirigente, politica ma non solo, non sa cosa e' un libro perché' non legge nemmeno un libro all'anno: e' cosi' per il 39,1% dei dirigenti e professionisti italiani (contro il 17% di francesi e spagnoli)". 

"La mia presenza all'apertura della Buchmesse - ha sottolineato il Sottosegretario Borletti Buitoni - vuole essere una testimonianza di quanto siano sbagliate quelle credenze che, malgrado le attuali difficolta' del settore, ritengono il libro non un oggetto del futuro ma da consegnare al passato. Non si puo' avere sviluppo civico, prima ancora che culturale e sociale, senza il libro". 

 I dati del Rapporto mostrano che quello a cavallo tra il 2014 e il 2015 e' ancora un momento di grande trasformazione per il mercato del libro. 

Tra i segni positivi del 2014, la crescita dell'editoria per ragazzi sia per i titoli prodotti (+5,9%) che per la quota di mercato (+5,7%) e del mercato dell'ebook, sia per fatturato (ha raggiunto i 40,5 milioni di euro) che per numero di titoli prodotti (+26,7%). 

Ed e' positivo anche il peso e il ruolo dell'editoria italiana in chiave internazionale: la vendita di diritti di autori italiani all'estero registra un +6,8% nel numero di titoli trattati e l'export di libri italiani all'estero segna un fatturato di 40 milioni di euro (+2,6% sul 2013)

Tutti spiragli buoni che si aprono in uno scenario ancora di segni meno: il bacino dei lettori nel 2014 si restringe di 848 mila (-3,4%), si ridimensiona il mercato (-3,6%), si conferma l'andamento negativo nel numero di titoli pubblicati (-3,5%) e diminuiscono le copie vendute di "carta" (-6,4%) ma non sappiamo quanti download di ebook sono stati fatti (Amazon non fornisce dati su questo)

Nel 2014 il fatturato del mercato del libro e' sceso a quota 2,6 miliardi di euro, una flessione del -3,6% sull'anno precedente e sono 97,5 milioni di euro di minori ricavi

Dal punto di vista dei titoli pubblicati si passa dai 25.521 dei primi sei mesi del 2013 (novita' e nuove edizioni) ai 30.961 pubblicati tra gennaio e giugno di quest'anno e sono state 1.190 le case editrici che hanno pubblicato piu' di 10 libri nel 2014 (+0,3%).

15/10/15

Robert P. Harrison vince la prima edizione del premio The Bridge . La premiazione il 19 ottobre a Roma.

Robert Pogue Harrison

Lunedi' 19 ottobre 2015, l'Ambasciata d'Italia a Washington ospitera' la cerimonia di premiazione degli autori italiani vincitori della prima edizione del premio letterario The Bridge Book Award

Il Premio The Bridge rappresenta un "ponte" ideale che unisce le culture italiana e americana per rafforzarne la comprensione reciproca attraverso la promozione di alcune tra le migliori e piu' recenti pubblicazioni sia di narrativa che di saggistica dei due paesi. 

 "E' un vero onore poter ospitare questo importante premio, che quest'anno inaugura la XV Settimana della lingua italiana nel mondo e che come indica il titolo - dice l'Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti Claudio Bisogniero- "The Bridge", si propone l'ambizioso obiettivo di avvicinare come un ponte le culture di Italia e Stati Uniti. Mi rallegro in particolare con i vincitori di questa prima edizione, Domenico Starnone per la narrativa e Quinto Antonelli per la saggistica". 

Il Premio si articola in una sezione italiana ed una americana con una struttura speculare. I libri in concorso, dieci per ognuno dei due paesi e cinque per ogni categoria di narrativa e saggistica, sono pubblicati nei rispettivi paesi nel corso dell'anno che precede il Premio

Gli autori italiani e americani sono giudicati in due turni di votazione nel mese di settembre da una giuria appartenente all'opposta dell'altra nazionalita', composta da 50 giurati, 25 per ciascuna categoria. 

I vincitori ricevono un premio in denaro, seguirà inoltre la traduzione e la pubblicazione del loro libro nell'altra lingua.

La cerimonia di premiazione dei vincitori americani della prima edizione del The Bridge Book Award, Laird Hunt per la narrativa e Robert Harrison per la saggistica, si terra' il 19 ottobre 2015 presso l'Ambasciata degli Stati Uniti a Roma

Il Premio The Bridge/Il Ponte e' ideato e promosso dalla Casa delle Letterature del Comune di Roma, con l'American Initiative for Italian Culture Foundation (AIFIC), con l'Ambasciata degli Stati Uniti d'America a Roma, la National Italian American Foundation (NIAF) e la Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS). 

Si avvale del patrocinio dell'Ambasciata d'Italia a Washington e del Ministero degli Affari Esteri Italiano, della collaborazione dell'American Academy in Rome, dell'Istituto Italiano di Cultura di Washington, dell'Istituto Calandra di New York e di altre Istituzioni culturali e Universita' italiane e americane. 

14/10/15

Oltre la Mente - L'elaborazione del lutto e il lutto ineluttabile.




Da qualche giorno mi girava intorno la bellezza ultrasensibile della parola 'ineluttabilità', e ragionavo sulla parola 'lutto' che sembra contenere: perché in fondo 'ineluttabilità' è anche qualcosa che non può essere elaborato come lutto, come distacco o mancanza. 

La radice etimologica però ci spiega che le due parole hanno origini dissimili e diverse. 

'Lutto' viene dalla stessa radice di 'lugubre' che è il latino lugere, ovvero piangere (che ha una radice ancora più suggestiva in leug, 'rompere', e nel tedesco loch 'strappo'), mentre ineluttabilità deriva da luctari, lottare. 

Quindi il lutto è qualcosa che si rompe e provoca dolore, l'ineluttabile è qualcosa contro cui non si può lottare.

Eppure chiunque l'ha sperimentato, sa che un lutto (chi ha perso un genitore, un compagno, un amico, un figlio) è per sua natura ineluttabile. Cioè è qualcosa contro cui non si può lottare. 

O meglio, esiste una fase, nel lutto, nel quale si lotta con le unghie e con i denti contro quel dolore divorante, e lo si rifiuta. 

Questa è per esattezza la seconda fase del lutto, nella definizione classica di Elisabeth Kübler Ross, quella della rabbia (come è noto le fasi sono 5: negazione o rifiuto; rabbia; contrattazione o patteggiamento; depressione; accettazione).

Un lutto dunque, dovrebbe terminare sempre con una accettazione. Che è il mezzo attraverso il quale una persona continua a vivere, ad avere riconoscibilità sociale (oltre il lutto) e a sopravvivere. 

L'esperienza insegna però che la Mente sfugge a ogni catalogazione: le sue risorse sono illimitate anche nella risposta agli stimoli esterni (che in questo caso sono la perdita di una persona cara).

Le risposte dunque sono le più varie, e non accade di rado che un lutto sia realmente inaccettabile e inaccettato. 

In questi casi l'elaborazione non si completa: la persona rimane monca, come mutilata, incapace di accettare il distacco, di viverlo profondamente e com-prenderlo. 

Un lutto ineluttabile è perciò per noi quel lutto che resta come tale e senza che contro di esso si riesca a lottare, ma nemmeno si riesca ad accettare

Nessuna efficace lotta per ristabilire il sopravvento della coscienza e per inquadrare questo sentimento nella ragione, riesce.  Ci si ferma ai bordi, senza essere capaci di fluire dall'altra parte.  Ci si affida a pratiche e terapie nella speranza che i farmaci o i suoi surrogati riescano a far fuoriuscire dal tunnel nel quale ci si sente prigionieri: la mancanza di quella persona che è parte di noi, che c'è ancora ma non c'è, che è finita da un'altra parte dove noi non possiamo arrivare, dove noi non possiamo (più) toccarla.

Il fenomeno mi sembra in crescita - e si allarga anche ad altri tipi di lutto (non solo la morte di una persona, ma anche il suo allontanamento, la perdita amorosa, ecc..)  e ciò è dovuto anche allo spaventoso ridimensionamento di quegli 'ammortizzatori' sociali che fino a qualche generazione fa aiutavano nella elaborazione del lutto: i segni esteriori, la riconoscibilità dell'ambiente intorno, il tempo assegnato alla persona rimasta 'orfana'. 

Oggi chi vive un lutto è spesso lasciato nella più completa solitudine

La morte è un argomento fastidioso, che si evita nei consessi sociali, che si preferisce non nominare. Il distacco dalla persona è brutalizzato da pratiche terrificanti: il morto viene chiuso, seppellito e congedato nel modo più frettoloso possibile. I cimiteri sono luoghi che vengono evitati, al morto si preferisce pensare come ad una entità astratta. Il corpo morto non ha più nessun valore, nessun significato. 

Questa mancata elaborazione esteriore rende sempre più difficile la vera elaborazione interiore. 

Il lutto ineluttabile diventa così sempre più diffuso, sempre più pericolosamente reale nel conto delle nostre vite. 


Fabrizio Falconi-© riproduzione riservata 2015.
foto in testa dell'autore


13/10/15

40 anni dalla morte di Pasolini - Tutte le iniziative a Casarsa, il paese natale.


Dare voce al mondo di Pasolini, composto da due facce, il pubblico e il privato. La poesia ma anche la critica serrata della società. 

E' con questo obiettivo che la Regione Friuli Venezia Giulia propone una serie di eventi che partono dalla sua terra natale e si dipanano in un percorso che tocca Udine, Pordenone e Trieste

Il programma da ottobre 2015 a marzo 2016 e' organizzato da Css Teatro stabile di Innovazione del Friuli Venezia Giulia, Cinemazero, Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro Verdi di Pordenone e Comune di Casarsa della Delizia, per citare i principali artefici, che sono stati inseriti nelle commemorazioni del 40/o anniversario dell'assassinio. 

Il 2 novembre, data della morte di Pasolini, e' in programma alle ore 11.00 una commemorazione pubblica promossa dal Comune di Casarsa presso la tomba

In quella stessa data, alle ore 20.45, il Teatro Verdi di Pordenone propone un omaggio musicale con un brano di Azio Corghi in prima mondiale e testi di Pasolini per voce recitante, con l'orchestra Filarmonica di Torino diretta da Tito Ceccherini. 

Gli eventi si susseguiranno prima e dopo tale data. 

Tra essi si segnala il Convegno internazionale di studi in programma il 30 e 31 ottobre a Casarsa, in cui si indagano le ragioni del successo di Pasolini nel mondo

Il Css di Udine presenta un progetto fittissimo che parte il primo novembre in contemporanea con due spettacoli: "Non c'e' acqua piu' fresca" con Giuseppe Battiston e Piero Sidoti e "Fuga Pasolini" di Virgilio Sieni. 

 Il Teatro Rossetti di Trieste dedica una settimana intera, dal 23 al 29 novembre, a diversi eventi, rimettendo in scena "Porcile" con la regia di Binasco e inaugurando una mostra fotografica di Claudio Erne' a cura dell'associazione Cizerouno su "I funerali a Casarsa". 

Cinemazero di Pordenone ha infine messo a punto pubblicazioni, mostre fotografiche, videoinstallazioni e rassegne cinematografiche tra cui, il 30 ottobre, "Il Vangelo secondo Matteo. Dal Corpo di Pasolini a Casa Colussi" con archivio sonoro della voce di Pasolini

12/10/15

L'omicidio Pasolini - Una foto misteriosa e un bellissimo articolo su Il Manifesto di Aldo Colonna.


riporto il bellissimo pezzo di Aldo Colonna su Alias, il supplemento de Il Manifesto



La bandaccia


La visione di un morto suscita quasi sem­pre, e comun­que sem­pre se ci è ignota la sua nefan­dezza, un moto a tratti incon­te­ni­bile di pie­tas. 

Quel corpo esa­nime è stato un tempo un coa­cervo di sen­ti­menti, di pro­po­si­zioni, di festa e di grida ed ora giace per ricor­darci il nostro limite di umani, o grida ven­detta per l’oltraggio subito e grida per­ché qual­cuno ripari quel torto o, al limite, ci indi­chi una strada meno imper­via della deso­lata ster­rata dell’Idroscalo. 

Il cada­vere di Paso­lini, rimesso in posi­zione supina, rimanda a «La morte di Chat­ter­ton» di Henry Wal­lis, lad­dove il sui­ci­dio del gio­vane poeta si ammanta di sim­boli e a que­sti rimanda per la sua inter­pre­ta­zione; e, ancora, «La morte di Marat» di Jacques-Louis David anch’esso, forse in misura mag­giore, con­tiene rife­ri­menti sim­bo­lici e segni. Marat, nel qua­dro, sem­bra con­tra­stare la morte con il sor­riso che la bef­feg­gia. 

Il rivo­lu­zio­na­rio sem­bra in posa, non nella con­di­zione tota­liz­zante della morte, ma per­ché tende a costi­tuirsi come icona della rivo­lu­zione, di una rivo­lu­zione vin­cente. Sono i chia­ro­scuri cara­vag­ge­schi che con­fe­ri­scono a «La morte della Ver­gine» una valenza di epi­fa­nia e di attesa, pur nello sgo­mento degli astanti. Gli apo­stoli affranti e la per­duta dispe­ra­zione della Mad­da­lena fanno da cor­nice ad un corpo riverso su un letto, con la mano destra sul ven­tre ad indi­care cotanta mater­nità e i piedi nudi offerti al ludi­brio e allo scon­certo dei ben­pen­santi. 

Un sim­bo­li­smo accen­tuato da un drappo color ver­mi­glio che indica san­gue, la vita e la morte dun­que ma, anche, nella sua com­po­si­zione aerea rivolta verso il cielo, la nostra caducità. Ma è «La zat­tera della Medusa» di Géri­cault a ripor­tare alla nostra memo­ria l’orrore della notte della ragione che con­tem­plò il sup­pli­zio del poeta. Le grida dei nau­fra­ghi che sovra­stano la morte dei com­pa­gni e, ad uno ad uno, i volti dei morti e dei mori­turi ci ven­gono in aiuto nella deci­fra­zione –in parte– della mat­tanza di Paso­lini; i due nau­fra­ghi in cima alla pira­mide umana che con un drappo cer­cano di atti­rare l’attenzione di una vela all’orizzonte, ahimè troppo lon­tana, la vela della zat­tera che rigon­fia allon­tana l’imbarcazione di for­tuna dalla sal­vezza pos­sono essere assunti a teo­ria para­dig­ma­tica di una verità che viene via via allon­ta­nata da inqui­renti ignavi. 

Il volto sfi­gu­rato di Paso­lini sem­bra coperto dal bel­letto, ma non stiamo par­lando di terra di cromo, di cina­bro, di rosso car­mi­nio ma di san­gue, di fango, di olio motore che con­di­rono la sua pas­sione ripor­tan­doci agli incubi e alla visio­na­rietà di Joel Peter Witkin. 

 E anche la foto che ripro­du­ciamo, per i mes­saggi che invia, diventa ico­nica. Riaf­fiora Nico­lino Selis, riaf­fiora Mas­simo Bar­bieri, uno della mala con­ti­guo alla Banda dive­nuto inaf­fi­da­bile a causa della sua tos­si­co­di­pen­denza ed eli­mi­nato da Danilo Abbru­ciati in seguito ad uno sgarbo che quello gli aveva fatto e al ten­ta­tivo di omi­ci­dio che lo stesso Bar­bieri aveva com­piuto spa­rando ad Abbru­ciati da una moto in corsa. E c’è poi Mau­ri­zio Abba­tino. Il suo volto attento guarda in dire­zione del cada­vere. 

Il volto di Bar­bieri si sta­glia tra un poli­ziotto in divisa e uno in bor­ghese come se sbir­ciasse, anche lui, alla volta del corpo di Paso­lini rico­perto dal suda­rio men­tre Selis, in terza posi­zione, è ripreso di pro­filo e sta sor­ri­dendo, igno­riamo a chi e con chi. Selis vive ad Ostia, la sua pre­senza potrebbe essere resa plau­si­bile dal clan­gore che la morte dello scrit­tore sta via via pro­du­cendo: da dove abita all’Idroscalo si va a piedi. Il 2 novem­bre è un giorno festivo e quella morte diventa l’occasione della festa, una spe­cie di attra­zione da circo Bar­num. 

Abba­tino no, lui non vive ad Ostia ma alla Magliana. La foto è stata scat­tata nella for­chetta tem­po­rale che va dalle 9 alle 10, minuto più minuto meno. Non esi­stono ancora tele­foni cel­lu­lari; la Poli­zia comin­cerà ad arri­vare poco prima delle 7. Chi avverte Abba­tino –e per­ché?- di por­tarsi all’Idroscalo?

È quanto meno curioso che due dei pro­ta­go­ni­sti della Banda della Magliana, due anni prima della costi­tu­zione ‘uffi­ciale’ della Ban­dac­cia, si ritro­vino insieme in quel con­te­sto e in quel fran­gente. Per non par­lare di Bar­bieri che, anche lui, avrà a che fare negli anni a venire con la banda. Inol­tre, c’è una sug­ge­stione da sot­to­li­neare. 

Al netto delle men­zo­gne che Pelosi ha pro­pa­lato da quando è rima­sto invi­schiato in que­sta sto­ria, al netto della ritrat­ta­zione sulla pre­senza di sici­liani che si espri­me­vano in ver­na­colo («jarrusu»,ricordate?), non ha mai negato la pre­senza sul luogo del delitto di un uomo cor­pu­lento e con la barba, lo stesso che lo avrebbe allon­ta­nato a forza dal campo visivo. Que­sto farebbe pen­sare a Danilo Abbru­ciati. Abbru­ciati col­la­bora con la Banda dei Mar­si­gliesi, è vero­si­mil­mente già in con­tatto con Bar­bieri, è uomo di corag­gio, solito ad azioni fuori degli schemi come l’attentato a Rosone finito male. Abbiamo par­lato di sug­ge­stioni, il con­di­zio­nale è d’obbligo. Ma le tes­sere del mosaico combacerebbero.


11/10/15

La poesia della domenica - "La curva dei tuoi occhi intorno al cuore" di Paul Eluard.







La curva dei tuoi occhi intorno al cuore

La curva dei tuoi occhi intorno al cuore
ruota un moto di danza e di dolcezza,
aureola di tempo, arca notturna e sicura
e se non so più quello che ho vissuto
è perchè non sempre i tuoi occhi mi hanno visto.

Foglie di luce e spuma di rugiada
canne del vento, risa profumate,
ali che coprono il mondo di luce,
navi cariche di cielo e di mare,
caccia di suoni e fonti di colori,

profumi schiusi da una cova di aurore
sempre posata sulla paglia degli astri,
come il giorno vive di innocenza,
così il mondo vive dei tuoi occhi puri
e tutto il mio sangue va in quegli sguardi.




Paul Eluard

10/10/15

Il ricordo di Ingrid Bergman all'Auditorium di Roma: "Era una donna coraggiosa e libera".





Una donna coraggiosa e libera, che amava profondamente la vita, "con un grande senso dell'umorismo. Robert Capa le scriveva di essere innamorato della sua natura gioiosa". 

Per Isabella Rossellini, sono fra gli aspetti della madre, che emergono in 'The Ingrid Bergmantribute', del quale sara' voce narrante, insieme a Christian De Sica, domani alle 21 nella Sala Sinopoli dell'Auditorium Parcodella Musica di Roma. 

Un omaggio teatrale, in occasione dei 100 anni dalla nascita dell'attrice, che unisce letture, ricordi, lettere, decine di foto e filmati, molti dei quali girati da Ingrid stessa, provenienti dall'archivio di famiglia

Un viaggio, coprodotto da Ponderosa Music & Art con Fondazione Musica per Roma, e in collaborazione con Fondazione Cinema per Roma, ideato e scritto da Ludovica Damiani e Guido Torlonia (anche regista), insieme ad Isabella Rossellini, che arriva nella capitale dopo le due tappe con Jeremy Irons, a Londra il 6 settembre e a New York, il 12, e quella a Parigi il 5 ottobre con Fanny Ardant e Gerard Depardieu. 

"Avevo visto gli spettacoli di Ludovica e Guido su Fellini e Visconti e gli ho chiesto se fosse possibile pensarne uno su mamma - spiega Isabella, sorridente e in splendida forma, caschetto nero e piumino crema -. Quest'anno per lei ci sono state tante iniziative. Come a Cannes, che le ha dedicato il poster; quando l'ho vista gigantesca, sulla Croisette, ho detto a Thierry Fremaux 'Ora mamma non mi manca piu".

Poi ci sono stati il libro per Schirmer/Mosel (Ingrid Bergman - A life in pictures), per cui abbiamo selezionato 600 foto tra oltre 6000, varie retrospettive e il bel documentario di Stig Bjorkman, Io sono Ingrid (in uscita il 19 e 20 ottobre, con Bim, ndr). 

Sono contentissima di poterla ricordare, ma il senso e' anche rendere omaggio al cinema, che insieme al rock e' stata l'arte piu' amata nell'ultimo secolo". 

Che strada segue lo spettacolo? "Siamo stati tanto perseguitati sulla nostra vita privata, che mi sentivo male a parlare della Ingrid più intima. Più che rispondere a domande come 'Perche' si separo' da mio padre', che magari sono curiosità vostre ma non mie, si parla della sua vocazione e integrita' d'artista, degli incontri che ha fatto, da Hitchcock a Hemingway" sottolinea Isabella Rossellini. 

Liv Ullmann "definisce mamma una della prime donne indipendenti in quest'ambiente. Infatti ha lavorato in cinque lingue, ha saputo affermarsi sia in Europa che in America, ed e' riuscita a riprendere la carriera piu' volte anche dopo forzati stop, come quello piu' grave, negli anni '50 negli Stati Uniti dopo la denuncia pubblica di un senatore, per la relazione di mamma con papà (Roberto Rossellini, all'epoca erano entrambi sposati, ndr) e l'essere rimasta incinta prima di avere ottenuto il divorzio". 

Filo rosso del racconto e' l'autobiografia della Bergman, uscita nel 1980, due anni prima della morte. 

"Quando si scopri' la sua malattia, nel 1978, mio fratello le ha consigliato di scrivere la sua storia, perche' dopo in tanti avrebbero scritto cose false". 

 Rispetto alle versioni dello spettacolo di Londra e New York "con lo splendido contrasto tra le voci di Jeremy e Isabella" e Parigi "dove il coro tra Isabella, la Ardant e Depardieu e' stato sentimentale e introspettivo", dicono Ludovica Damiani e Guido Torlonia, "questa di Roma e' la versione piu' di famiglia - sottolinea Isabella Rossellini - anche perche' Christian e' l'unico fra gli interpreti ad aver conosciuto mamma". 

"Perche' sono piu' vecchio - scherza De Sica -. Con Isabella ci siamo incontrati da ragazzi, a Santa Marinella, e poi a 18 anni ci siamo fidanzati. Quando sono andato a conoscere la madre in Francia per me e' stato come vedere la Madonna, era una donna straordinaria e simpaticissima". Isabella Rossellini, che vedremo presto sul grande schermo con Jennifer Lawrence in Joy di David O. Russell ("sto anche per iniziare a scrivere un nuovo monologo, dedicato agli animali" dice), ritrova con la madre "soprattutto una somiglianza fisica. A volte anch'io confondo le nostre foto".

09/10/15

Domani Giornata del Contemporaneo - Ingresso gratuito al MAXXI e una barca fatta con le scarpe dei Migranti.





AL MAXXI per celebrare la XIa GIORNATA DEL CONTEMPORANEO Domani sabato 10 ottobre 2015 INGRESSO GRATUITO PER TUTTO IL GIORNO.



Libera e permanente. A partire da sabato 10 ottobre, le opere d’arte e architettura della collezione del MAXXI saranno sempre esposte nella Galleria 4 del Museo, con ingresso gratuito per tutti dal martedì al venerdì. 


E ancora: una installazione di Pedro Cabrita Reis sulla piazza, un lavoro di Sislej Xhafa dedicato alla tragedia dei migranti, quattro visite guidate gratuite (ore 11.30, 12.00, 17.00 e 18.00, prenotazione obbligatoria su edumaxxi@fondazionemaxxi.it), l’apertura straordinaria dalle 11 alle 18 della Biblioteca e le mostre in corso:

OLIVO BARBIERI. IMMAGINI 1978 – 2014 
| FOOD dal cucchiaio al mondo 
| MAURIZIO NANNUCCI Where to start from 
 YAP MAXXI 2015 
| MAURIZIO SACRIPANTI Expo Osaka ’70 
| THE INDEPENDENT FOOD. 

 E’ questo il programma del MAXXI in occasione della XI Giornata del Contemporaneo organizzata da AMACI sabato 10 ottobre 2015. 

La COLLEZIONE PERMANENTE DEL MAXXI offrirà ai visitatori un percorso tra le opere di grandi maestri come Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, William Kentridge, Anselm Kiefer, Mario Merz; quelle di giovani artisti come Giorgio Andreotta Calò e Margherita Moscardini (esposte per la prima volta come anche i lavori di Flavio Favelli, Pietro Ruffo, Tony Cragg, Modus architects). 

E ancora i progetti di architetti internazionali come Toyo Ito, Rem Koolhaas, Renzo Piano e di grandi maestri del Novecento come Pierluigi Nervi, Aldo Rossi e Carlo Scarpa e molto altro. 

L’allestimento, dinamico e immersivo, permetterà al pubblico di fare un’esperienza nuova degli spazi fluidi di Zaha Hadid. Piani e superfici sospesi articolano lo spazio e coinvolgono il visitatore in modo attivo e partecipato. 

L’ALBERO DELLA CUCCAGNA. NUTRIMENTI DELL’ARTE , progetto a cura di Achille Bonito Oliva realizzato con il patrocinio di Expo 2015, è una mostra diffusa in tutta Italia tra musei, gallerie, istituzioni pubbliche e private che coinvolge oltre 40 artisti e porta al MAXXI l’opera di Pedro Cabrita Reis La casa di Roma che resterà esposta sulla piazza del MAXXI fino al 10 gennaio 2016. 

Un grande volume rettangolare realizzato in mattoni forati, un’architettura primordiale che richiama le caratteristiche di molte periferie contemporanee. La struttura arriva a toccare il primo livello del museo come un pilastro: l’opera rivela così un ordine in cui è il piccolo e il debole a sostenere il grande, e la sua temporaneità fa da base all’istituzione museale mettendone metaforicamente in discussione la solidità. Progetto promosso dalla Fondazione Giuliani per l'arte contemporanea, Roma 

SISLEJ XHAFA. Barka una barca fatta di centinaia di scarpe nella hall del MAXXI riflette sull’esodo migratorio e le situazioni di conflitto che caratterizzano la contemporaneità. Barka opera concessa in comodato al MAXXI dalla Nomas Foundation, Roma è stata realizzata dall’artista nel 2011 in un periodo di emergenza sbarchi a Lampedusa, e sottolinea l’interesse del museo per i temi più urgenti del nostro tempo, come quelli dell’immigrazione e dell’accoglienza. Barka resterà esposta fino al 10 gennaio 2016.


08/10/15

La scoperta del male - Il bandito Cimino.





La mia scoperta definitiva del male (e della sua banalità, per quanto questa formula sia ormai del tutto inflazionata e svuotata, con buona pace di Hannah Arendt) avvenne in un giorno d'inverno del 1967. 

Avevo 8 anni.  Come molti bambini, immaginavo il male, ne avevo paura, lo vagheggiavo nelle notti prima di addormentarmi, o quando mi svegliavo nel buio. 

Ma era una immagine sfocata.  Sapevo esistesse. Non sapevo dove. 
Da qualche parte, lontano. 

Invece avvenne che un celebre bandito fu arrestato. Si chiamava Leonardo Cimino. Detto 'lo smilzo' o 'il miope'. 

Nella Roma di quegli anni, in pieno boom, con i quartieri che si espandono a macchia d'olio, Cimino inizia la sua carriera di gangster, dapprima scippi e rapine, poi il 'salto di qualità' nell'agosto del 1966 quando con un complice, ferisce gravemente due commessi di banca allo stabilimento San Pellegrino in Via Salaria. 

Diventa uno dei ricercati più ambiti, la squadra mobile lo cerca ovunque, ma lui torna a colpire. entra nella banda di Franco Mangiavillano (con Mario Loria e Francesco Torreggiani).  I quattro attendono sotto casa, in Via Gatteschi,  due gioiellieri, i fratelli Gabriele e Silvano Menegazzo, e li uccidono senza pietà scappando con la refurtiva. 

La caccia all'uomo continua, finché la banda viene sorpresa dopo qualche mese, all'alba in un casolare a Monte Mario: Loria e Torreggiani vengono arrestati, Cimino ferito, muore qualche mese dopo in ospedale (il capo della banda Mangiavillano, verrà arrestato in seguito in Grecia e poi instradato in Italia). 

Il casale in cui avvenne la sparatoria, e in cui Cimino e i suoi trascorsero le ultime ore di libertà, era poco distante dalla casa di una zia, sorella di mio padre. 

Mio padre, che era un curioso di natura, decise così di portarci (me e mio fratello), il giorno dopo la sparatoria, sul luogo. 

Ho un ricordo estremamente vivido di quel giorno. Il cielo era grigio, pesante. Il casolare era accessibile (evidentemente non era ancora invalsa la pratica di sigillare il luogo del crimine).  Mio padre ci fece entrare all'interno.  

Tutto mi stupiva: la macchina del caffè era ancora sui fornelli.  Ad un tavolino di legno, con le sedie ancora in posizione, c'era una scacchiera, con i pezzi degli scacchi ancora al loro posto

Io ero lì, nella casa dei criminali. E quella casa - a parte la frugalità, a parte il fatto che fosse una casa molto spoglia, povera - era una casa simile, identica, a tante altre case. Nulla di speciale, nulla di strano.   

Gli uomini cattivi la abitavano. Ma gli uomini cattivi non se ne stavano in una parte speciale del mondo. Erano insieme a noi, vivevano insieme a noi. Proprio alla porta a fianco, ed erano (forse) anche come noi. 

Fabrizio Falconi