19/02/18

Un Hotel - Opera d'Arte. A Tokyo dall'8 all'11 marzo, i più grandi artisti giapponesi.



Tokyo, metropoli ricchissima di storia, arte e suggestioni, mostra l’arte anche in luoghi inaspettati. La cultura e le arti visive, la bellezza e la raffinatezza del fare giapponese creano tensioni positive in tutta la città, la fruizione continua di forme d’arte diviene ancora più emozionante quando, come nel caso del Park Hotel Tokyo, diviene anche un’emozione privata, come avere un museo personale. Qui non si osserva semplicemente il lavoro dell’artista, ma si entra nel pieno della cultura giapponese.

Il Park Hotel Tokyo, nella zona di Shiodome, racchiude l’opera di numerosi artisti giapponesi. Le camere d’artista, artist rooms, sono oltre trenta e tutte realizzate da artisti diversi, anche per genere ed età, ogni camera propone uno stile e un concept propri.

Alcuni artisti si sono ispirati a concetti fondamentali della cultura giapponese, come Hiroko Otake che nella Cherry Blossom room, si focalizza su ciliegi e farfalle, due simboli della caducità della bellezza naturale che esprimono il concetto del mono no aware: un concetto estetico giapponese che esprime al contempo una forte partecipazione emotiva alla bellezza e alla caducità mentre provoca una sensazione di nostalgia. Questo concetto del mono no aware si può ben comprendere osservando le fioriture degli alberi, come ad esempio la fioritura dei ciliegi, forse l’evento naturale più importante in Giappone, la cui bellezza, stupefacente, si somma alla malinconia di qualcosa che già non c’è più.

Le divinità o entità spirituali della tradizione giapponese hanno ispirato altri artisti, come Yuki Ninagawa nella sua Japanese Angel, incentrata sulla figura dell’angelo giapponese che indossa la tradizionale veste hagoromo; oppure Nobuo Magome nella sua Yokai, che raffigura una serie di creature soprannaturali e spiriti sia benigni sia maligni, gli yokai per l’appunto, della mitologia giapponese, in un leggero stile sognante quasi da fumetto.
I simboli della tradizione giapponese e della letteratura classica sono il fulcro di altre camere, dove la tradizione prende vita grazie all’interpretazione eterogena degli artisti. Nella stanza d’artista The Tale of Genji, di Takushi Mizuno, l’ospite potrà ritrovarsi immerso nelle antiche atmosfere dell’epoca Heian della fondamentale opera letteraria giapponese degli inizi del XI secolo “Genji Monogatari” (in italiano, “il racconto di Genji”); mentre nella stanza Otafuku Face della giovane Aki Kondo il visitatore sarà circondato dal paffuto viso della otafuku (simbolo di bellezza classica giapponese) dipinto in chiave moderna.

Anche le arti tradizionali prendono spazio nelle camere d’artista Kabuki di OZ - Yamaguchi Keisuke ispirata all’arte teatrale del kabuki, nella camera Sumo di Hiroyuki Kimura che si ispira allo storico sport nazionale giapponese e Zen del calligrafo Seihaku Akiba, dedicata alla comprensione della profonda spiritualità giapponese zen.

Alcuni degli artisti parleranno inoltre del loro lavoro nelle Artist Room in occasione dell’evento espositivo ART in PART HOTEL TOKYO 2018 in programma dal prossimo 8 marzo fino all’11 marzo all’interno dell’hotel in concomitanza con la Art Fair Tokyo, la più grande fiera d’arte internazionale del Giappone.

Da Shiodome passiamo al lussuoso quartiere di Ginza a Tokyo, nel complesso commerciale cosmopolita GINZA SIX, dove l’arte e la cultura sono presenti in molte forme, a partire dal progetto di public art con la supervisione del Mori Art Museum di Roppongi, in collaborazione con un gruppo di noti artisti giapponesi, fino al Teatro noh, l’antica arte teatrale giapponese. Non manca in questo spettacolare edificio un suggestivo roof-top garden ispirato al periodo Edo. Il GINZA SIX è stato inaugurato nel 2017 con l’installazione Pumpkin di Yayoi Kusama, 14 enormi zucche a pois rosse occupavano l’imponente spazio centrale della struttura.

In esposizione permanente, invece, le opere di artisti quali Misa Funai, che con Paradise/Boundary/Portraitcattura lo spazio reale trasformandolo in tela grazie alla commistione tra mondo pittorico e realtà degli specchi che compongono l’opera, dove lo spettatore in un’immagine riflessa diviene parte dell’opera.

Il designer JTQ Junji Tanigawa a GINZA SIX ha curato su due “pareti viventi”, ognuna dell’altezza di 12 metri posizionate una di fronte all’altra. La prima, Living Canyon, del botanico e artista Patrick Blanc, si compone di un mix di piante, alcune tipiche giapponesi, che formano un precipizio rigoglioso illuminato dalla luce solare; l’altra, Universe of Water Particles on the Living Wall, è un’installazione digitale ultratecnologica che affonda su parte dell’opera di Blanc e crea una suggestiva cascata che varia il suo aspetto con il mutare della luce solare. Si tratta di una simulazione realizzata da teamLab, un gruppo di esperti di tecnologia digitale le cui creazioni che uniscono arte, scienza, tecnologia e considerevole creatività. TeamLab in Italia ha creato alcune delle installazioni nel padiglione giapponese di ExpoMilano2015.

18/02/18

Poesia della Domenica - "Come stenti a Rio de Janeiro" (da "Trio di fine millennio") di Fabrizio Falconi






VIII.

Come stenti a Rio de Janeiro,
come magici rilenti
abbandonati spenti venti sempiterni,
accaldati venti dell’entroterra arroventato

tra le macerie polverose dell’Impero
crollate sfere disfatte, spezzate,
come il cavallo sfinito bloccato
dalla canicola secca della Camargue,

come tutta questa pesantezza,
scrematura acida dell’universo
inutile biancastra
disegno d’arguzia affatto divina.

Guado atteso, intermezzo
di storia e d’avventura
russare di sogni così forte
da svegliarsi e morirne,

passa e ripassa il nostro sbaglio
sulle federe, sui cuscini
sul rumore distante dei disastri
disattesi dolorosi di strada,

sormontato dalla nausea grigia
di gabbiani, faticosamente sospinti
da venti affievoliti, distratti
stupidi venti calanti.


Fabrizio Falconi 


Traduzione dall'italiano in inglese di David Lummus

VIII.

Like privations in Rio de Janiero,
like magic stagnations
abandoned, extinguished winds, everlasting,
overheated winds of the hinterlands, red-hot

among the dusty ruins of the Empire
collapsed, undone spheres, in pieces,
like the horse, exhausted and stalled
in the dry dog-days of the Camargue,

like all this heaviness,
acid skim of the universe
useless, off-white
design of a wit entirely divine.

Ford eagerly awaited, interval
of history and adventure
snoring with dreams loudly enough
to awaken and die from it,

Back and forth goes our mistake
on the pillowcases, on the cushions,
on the noises in the distance of the disregarded
distressing disasters in the street,

overcome by the grey nausea
of seagulls, laboriously driven
by feeble winds, distracted
stupid dying winds.

We yearn for landings
and we know nothing
of tenderness and tides,
of the pallor of childhood,

of the silhouette lost
among the hands of the crowd,
passing swiftly by, bloodless,
on the verge of death.

17/02/18

Da oggi si apre al Museo Botanico di Roma un vero e proprio Museo Naturale a cielo aperto !



La novità per l'Orto Botanico di Roma, uno dei più antichi e suggestivi del mondo, è l'apertura del Vigneto Italia: grazie a un progetto dell'Università di Roma ideato da Luca Maroni, sono stati impiantati ben 154 vitigni autoctoni che verranno coltivati, nel cuore di Trastevere, con i principi della biodinamica e cioè a zero impatto ambientale.

Già dal mese di marzo, assicurano gli esperti, le 310 piante coltivate avranno l'aspetto di alberelli e permetteranno ai visitatori di seguire tutta la crescita delle viti, con l'allestimento di laboratori per le scuole durante i quali si insegnerà a pigiare l'uva nei tini come avveniva in passato e verranno svelati tutti i segreti di una perfetta fermentazione. 

La scelta del sito non è casuale: da studi approfonditi si è appurato che proprio le pendici del Gianicolo, in leggera pendenza, erano sfruttate già in epoca romana per la coltivazione della vite, in una zona che era ricca di acqua. 

Il Vigneto Italia sarà un motivo in più per visitare l'Orto Botanico di Roma le cui origini si perdono nella notte dei secoli: originariamente fondato da Papa Nicolò III (1277-1280) dove sorgono gli attuali giardini Vaticani, fu spostato negli immensi giardini del Palazzo Corsini nel 1883. 

Da allora, il Giardino ha continuato ad ampliarsi, con le piante acquatiche (la cui crescita è stata assicurate dall'abbondanza di acque garantita dall'Acquedotto Paolo), le palme, i boschi di bambùm le serre, il giardino giapponese, la valletta delle felci, il bosco romano e il roseto. 

16/02/18

I Giardini di Palazzo Colonna: un angolo segreto di Roma (che oggi si può visitare).



Per molti secoli è rimasto un gioiello visibile soltanto per pochi: i principi che lo abitavano, la loro servitù e i prestigiosi ospiti che venivano da ogni parte d'Europa. 

I Giardini del Palazzo Colonna sono però ancora oggi una delle meraviglie di Roma e meriterebbero di essere conosciuti e visitati da tutti. Si può fare ogni sabato mattina o prenotando una visita qui

Per chi non lo sa, Palazzo Colonna è forse il più grandioso palazzo nobiliare di Roma, ancora oggi abitato dagli eredi della famiglia romana (nome risalente al XII secolo), la cui costruzione iniziò nel XIV secolo ai piedi del colle del Quirinale. 

Entrando dall'ingresso di Via della Pilotta, si scopre un regno verde incontaminato, incastonato dal meraviglioso Palazzo che ospita fra l'altro importantissime opere d'arte - da Bronzino a Guido Reni, da Guercino a Carracci a Tintoretto). 


I Giardini si presentano nella loro magnificenza, dai caratteristici Ponti che salgono in cima al Quirinale, ai terrazzamenti, alle scalinate, alla piazza ellittica, ai boschetti di cipresso, agli allori, le magnolie, gli agrumi e i fastosi resti archeologici, da quello che fu Il Tempio di Serapide dell'Antica Roma; alla scenofrafica cascata di giochi d'acqua ornata da statue, al ninfeo rocaille, alla galleria in pietra peperino che allude alla impresa di Marcantonio Colonna nella Battaglia di Lepanto. 





Completano la visita, la tappa alla Galleria del Piano Nobile del Palazzo (lunga ben 70 metri), e agli altri saloni del palazzo, con le specchiere affrescate da Mario de' Fiori (cui è intitolata una via del Centro, nei pressi), al Salone della Cappella, gli arazzi di Artemisia e molti altri capolavori mai visti, compresi gli appartamenti che furono di proprietà della principessa Isabelle che qui riceveva la regina Elisabetta, e poi la Sala del Vanvitelli, la Sala delle Feste, la Sala della Fontana (foto sotto), la sala del Dughet e la Sala del Mascherone. 

Uno scrigno unico al mondo.

Fabrizio Falconi -
2018 riproduzione riservata 

14/02/18

Martin Scorsese girerà una serie TV su Roma Antica e il giovane Giulio Cesare.


E' una notizia bomba per gli appassionati di serie TV.

Martin Scorsese ha annunciato che collaborerà con Michael Hirst, il creatore di Vikings e I Tudors per un nuovo progetto che avrà come argomento la storia di Roma Antica e in particolare della vita del giovane Giulio Cesare. 

Come è noto Scorsese ha già fatto incursioni nel mondo delle serie TV americane, innanzitutto con Boardwalk Empire – L'impero del crimine, acclamatissima e Vinyl, prodotta insieme a Mick Jagger, che invece si è tramutata in un flop.

Le riprese di  The Caesars - così si chiamerà la serie - dovrebbero partire nel 2019 in Italia.

Gli episodi andranno poi in onda nel 2020.

La serie partirà dall'ascesa al potere di Giulio Cesare. A proposito dell'ambizioso progetto, Hirst ha dichiarato: “Scorsese è molto appassionato della cultura dell’Antica Roma. Ha sempre amato questo periodo storico ed è molto preparato sull’argomento. Al telefono con Justin Pollard, il mio consulente, ha fatto molte citazioni in latino, mentre discutevano delle fonti per le storie e della poesia romana”.

Riguardo alla figura di Giulio Cesare, Michael Hirst ha aggiunto: “Nei film di solito è un uomo di mezza età alle prese con le complessità delle questioni politiche, ma quando era giovane era un uomo molto ambizioso e interessante. Molti governatori romani sono giunti al potere quando erano molto giovani e noi non abbiamo mai visto questo lato sugli schermi. È l’eccesso, la vitalità, l’energia di una cultura giovane che è stata guidata da giovani capi”.

fonte: Paramount Channel Italia

13/02/18

Cosa succede agli adolescenti risucchiati dagli Smartphone ? Il primo studio scientifico lo spiega.





Cosa sta succedendo alle generazioni di adolescenti, dei nostri adolescenti, i cosiddetti nativi digitali, che vivono ormai perennemente connessi ai loro smartphone ? Se ne parla tanto, ma nessuno lo sa esattamente. Adesso se ne sa un po' di più, perché è arrivato il primo studio molto approfondito - scientifico - sull'argomento e con ampio spettro, con ricerche durate diversi anni. Uscito in America, il libro ha suscitato un amplissimo dibattito, e un'eco profonda. Lo firma Jean M. Twenge e il titolo completo dell'opera è IGen: Why Today's Super-Connected Kids Are Growing Up Less Rebellious, More Tolerant, Less Happy - and Completely Unprepared for Aduthood - and What That Means for the Rest of Us, Simon and Schuster, New York, pagg. 392, Dollari 27. Ne ha scritto Gilberto Corbellini nell'ultimo numero de Il Sole 24 Ore - Domenicale, dell'11 febbraio.
Ecco qualche passaggio saliente. 


Da quando gli smartphone sono diventati onnipresenti, all'inizio di questo decennio, l'interazione faccia a faccia tra i giovani è drasticamente diminuita. 

Non solo, ma gli adolescenti e gli studenti universitari statunitensi oggi fanno tutto "meno": lavorano meno, escono meno di casa, si mettono meno nei guai, bevono meno e consumano meno droghe, sono meno interessati a prendere la patente per l'auto, meno interessati all'indipendenza, hanno meno pregiudizi razziali o di genere, sono meno bullizzati e bullizzano di meno, si accoppiano di meno e fanno meno sesso, sono meno disposti ad ascoltare chi dice cose controverse o che giudicano psicologicamente fastidiose, etc.

E, questo secondo Twenge, perché sono incollati a seguire un flusso interminabile di testi e immagini su degli schermi.  

Il risultato è meno tempo dedicato alla "costruzione di competenze sociali, alla negoziazione di relazioni e alla navigazione delle emozioni".  

In termini di conoscenza pratica e di essere disposti ad affrontare il mondo reale, ci sarebbe un ritardo di tre o quattro anni nella maturità: 18 anni equivalgono a quelli che prima erano 15.

La scarsa socializzazione e l'autoreferenzialità prodotta dall'eccessiva mediazione dei rapporti attraverso gli schermi, sarebbe causa del documentato incremento dei disturbi mentali, in particolare depressione, tra questi giovani. 




12/02/18

Quella volta (L'unica) che la Pietà di Michelangelo lasciò Roma e il Vaticano e attraversò l'Oceano. 1964.



Questa foto documenta un fatto storico di cui si è persa memoria. E' una delle fotografie scattate in occasione dell'unica trasferta effettuata dalla Pietà di Michelangelo in tutta la sua storia. Lontano da Roma, lontano dal Vaticano. 

Avvenne nell'ormai lontano 1964.  Nella occasione della grande Esposizione Universale di New York di quell'anno. 

L'idea di omaggiare New York e l'America di un prestito così straordinario era venuta a Papa Giovanni XXIII.  Ma Papa Roncalli morì un anno prima dell’inaugurazione dell’Esposizione e non poté vedere la sublime statua nella sua collocazione americana

L'opera fu portata a compimento dal suo successore Papa Paolo VI. E così fu che nell’aprile del 1964, dalla sua Cappella in San Pietro l’opera parte alla volta degli Stati Uniti. Esperti di varie tecniche sono stati chiamati a raccolta in Basilica: si trattava di far scendere la statua a livello pavimentale, imballarla per affrontare un lungo viaggio in nave, far scendere la cassa a livello della piazza S. Pietro, caricarla prima su un camion poi sulla nave Cristoforo Colombo che dal porto di Napoli l’avrebbe portata a New York. 

E la foto qui sopra ritrae proprio il Container contenente il capolavoro di Michelangelo in attesa di essere imbarcata, al Porto di Napoli. Come si vede, sull'esterno, la targa porta la iscrizione: PIETA' - from his Holiness Pope Paul VI to His Eminence Francis Cardinal Spellman, il vescovo di New York. 


L'imballaggio in Vaticano era stato minuziosamente completato con ogni accortezza, come si vede da questa foto.  E la cassa contenente l'opera era stata riempita di poliuretano espanso, per evitare al gruppo marmoreo ogni possibile scossone, durante il trasporto, come si vede dalla foto successiva, in cui si vede il capo della Madonna affiorare dal poliuretano. 


Un solo sbaglio poteva avere conseguenze disastrose. Non si potevano correre rischi. Per questo il Vaticano si era affidato ai migliori: a persone di esperienza e fiducia, professionisti di massimo livello. Tra questi, i Minguzzi, specialisti nel trasporto delle opere d’arte che da generazioni effettuavano spostamenti di capolavori colossali, da obelischi a gruppi equestri, a basamenti di colonne monumentali ad intere collezioni di musei.

La Pietà venne dunque caricata a bordo della motonave Cristoforo Colombo con un sofisticato meccanismo che - nel caso in cui la nave fosse colata a picco - avrebbe consentito alla cassa verniciata di arancione contenente la Pietà Vaticana di sganciarsi in maniera autonoma mediante un complesso sistema di cavi d’acciaio, emergendo a pelo dell’acqua con boe luminose, per essere facilmente individuata dagli aerei.  Il viaggio durò 8 giorni fra la traversata oceanica e la risalita del fiume Hudson e subito esposta al Padiglione Vaticano dell'Expo.




In sei mesi fu vista da più di 27 milioni di persone. Il 4 ottobre 1965 Paolo VI, primo papa a metter piede sul suolo americano e ad aver parlato lo stesso giorno alle Nazioni Unite, fece visita al padiglione nel quale erano esposta la Pietà e riprodotti gli scavi della tomba di san Pietro.

Nel suo discorso alla fiera di New York il Pontefice ricordò le convinzioni religiose che spinsero Michelangelo a quelle vette artistiche, aggiungendo: «We feel that these same religious convictions can move men in a similar way to seek peace and harmony among the peoples of this world».


Le stesse apprensioni accompagnarono il viaggio di ritorno che però, per fortuna, andò bene come quello dell'andata.  Alla fine però le autorità vaticane decisero che quello sarebbe stato il primo e ultimo viaggio della Pietà: troppi rischi, troppi patemi. 

Sbarcato a Napoli, il capolavoro di Michelangelo fece ritorno in Vaticano a bordo di un camion della Gondrand in un giorno di dicembre. E sicuramente anche i romani, allora, tirarono un sospiro di sollievo. 




Fonte Raffaella Cortese per Raiexpo

11/02/18

Michio Kaku: "Il caso non esiste. C'è una forza intelligente che governa tutto".



Fisico e teorico americano molto rispettato, Michio Kaku, famoso per la formulazione della teoria rivoluzionaria delle stringhe (modello di fisica fondamentale che presuppone che le particelle materiali apparentemente specifici sono in realtà “stati vibrazionali”), ha recentemente causato una piccola scossa nella comunità scientifica sostenendo di aver trovato le prove dell’esistenza di una forza sconosciuta e intelligente che governa la natura. Più semplicemente, qualcuno di simile al concetto che molti hanno di Dio come creatore e organizzatore dell’universo. Per arrivare a questa conclusione Michio Kaku ha utilizzato una nuova tecnologia creata nel 2005 e che gli ha permesso di analizzare il comportamento della materia su scala subatomica, basandosi su un “primitivo tachioni semi-radio”. Tachioni, incidentalmente, sono tutte quelle ipotetiche particelle in grado di muoversi a velocità superluminali, cioè sono particelle teoriche, prive di qualsiasi contatto con l’universo. Quindi questa materia è pura, totalmente libera dalle influenze dell’universo che la circonda.

Secondo il fisico, osservando il comportamento di questi tachioni in diversi esperimenti, si arriva alla conclusione che gli esseri umani vivono in una sorta di “Matrice”, cioè un mondo governato da leggi e principi concepiti da una specie di grande architetto intelligente

“Sono giunto alla conclusione che siamo in un mondo fatto da regole create da un’intelligenza, non molto diversa da un gioco per computer, ma naturalmente, più complessa”, ha detto lo scienziato.

Analizzando il comportamento della materia a scala subatomica, colpiti dalle primitive tachioni semi-radio , un piccolo punto nello spazio per la prima volta nella storia, totalmente libero da ogni influenza dell’universo, la materia, la forza o la legge, è percepito il caos assoluto in forma inedita . 

“Credetemi, tutto quello che fino a oggi abbiamo chiamato caso, non ha alcun significato, per me è chiaro che siamo in un piano governato da regole create e non determinate dalle possibilità universali, Dio è un gran matematico” ha detto lo scienziato .

Michio Kaku ha ricordato che “qualcuno fece ad Einstein la grande domanda: c’è un Dio? Al che Einstein rispose dicendo che credeva in un Dio rappresentato dall’ordine, dall’armonia, dalla bellezza, dalla semplicità e dall’eleganza, il Dio di Spinoza. L’universo potrebbe essere caotico e brutto, invece è bello, semplice e governato da semplici regole matematiche. ”

Per quanto riguarda la formulazione del famoso “String Campo Theory”, o teoria delle stringhe, modello fondamentale della fisica che presuppone che particelle di materiale apparentemente specifici sono effettivamente “stati vibrazionali” un oggetto esteso più base chiamato ” corda “o” filamento “che renderebbe un elettrone, per esempio, non un” punto “struttura interna e dimensione zero, ma una massa di minuscole corde vibranti in uno spazio-tempo di più di quattro dimensioni , Kaku ha affermato che “per lungo tempo ho lavorato su questa teoria, che si basa su musica o piccole corde vibranti che ci danno le particelle che vediamo in natura. Le leggi della chimica con cui abbiamo avuto problemi alle superiori, sarebbero le melodie che possono essere suonate su queste corde vibranti. L’universo, sarebbe una sinfonia di queste corde vibranti e la mente di Dio, su cui Einstein scrisse molto, sarebbe la musica cosmica che risuona attraverso questo nirvana, attraverso uno spazio iper-dimensionale “.

Il fisico americano di origine giapponese ha concluso che “i fisici sono gli unici scienziati che possono pronunciare la parola “Dio” e non arrossire. 

Il fatto essenziale è che queste sono domande cosmiche di esistenza e significato. Thomas Huxley, il grande biologo del secolo scorso, ha affermato che la questione di tutte le questioni della scienza e della religione è determinare il nostro posto e il nostro vero ruolo nell’universo. Pertanto, scienza e religione trattano la stessa domanda. Tuttavia, c’è stato essenzialmente un divorzio nel secolo scorso, più o meno, tra scienza e umanesimo, e penso che sia molto triste che non parliamo più la stessa lingua “.


09/02/18

Novità mondiale. Il Patrimonio dei Musei Vaticani è ora in 3D, scansionato millimetro per millimetro.


Il patrimonio dei Musei Vaticani in 3D, scansionato millimetro per millimetro

Come avere una fotografia, ma molto piu' raffinata e dettagliata, di tutte le aree del monumentale complesso museale. L'innovativo progetto e' stato presentato a Roma nella sala convegni dei Musei Vaticani. 

Durante l'iniziativa sono stati presentati i rilievi georeferenziati del patrimonio dei Musei Vaticani utili per la catalogazione e gestione dei beni artistici, in grado di unire piu' fonti di dati al fine di una maggiore conoscenza e valorizzazione del patrimonio culturale

Un progetto realizzato dall'azienda umbra Archimede Arte, che ha prima effettuato la digitalizzazione, modellazione 3D di tutte le principali aree espositive dei Musei Vaticani e ha poi avanzato, in sinergia con una articolata equipe interdisciplinare (Dipartimento di Ingegneria civile ed ambientale dell'Universita' degli Studi di Perugia, Accademia di Belle Arti "Pietro Vannucci" di Perugia, D.B. Cad srl, Relevo srl, Tecla srl), anche una proposta fortemente sperimentale: il "concept" per realizzare una replica multimediale itinerante della Cappella Sistina ("Sistina Experience"), ovvero smontabile e rimontabile liberamente in ogni parte del mondo. 

 A prendere per prima la parola e' stata Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, che ha sottolineato l'"importante lavoro di rilievo su 170 mila metri quadrati grazie alla competenza di Archimede Arte". 

"Tradizione e innovazione - ha detto - si sposano da sempre qui nei musei del Papa, con l'innovazione che e' stata sempre prerogativa ed e' valida ancora oggi. Ci sono voluti quattro anni per documentare tutto il museo, rilevato fino ad ogni scantinato per avere una mappatura universale di tutto". 

Il minuzioso lavoro di rilievo laser e fotogrammatico eseguito da Archimede Arte - e' stato spiegato - e svolto al Museo Gregoriano Etrusco, al Museo Chiaramonti, al Braccio Nuovo, al Museo Pio Clementino, alle Stanze di Raffaello, alla Cappella Nicolina, alla Torre dei Borgia, alla Pinacoteca, al Cortile della Pigna, alla Scala del Bramante e alla Cappella Sistina, ha portato a rilevamenti ad altissimo livello di dettaglio. 

Portando, cosi', alla creazione della nuvola di punti e alle rappresentazioni 3D che ora vengono utilizzate negli affascinanti tour virtuali a 360 gradi dei Musei Vaticani e in altri progetti che permettono ai fruitori di ammirare i dettagli di affreschi, marmi, decori e molte altre preziose opere, fruendo cosi' del patrimonio artistico in tutto il suo unico splendore. 

07/02/18

Quando a Trastevere spuntò il Petrolio: un "miracolo" in un luogo indimenticabile.


E' una delle piazze più belle e nobili di Roma, ma pochi sanno che proprio in questo luogo, in un giorno del 38 avanti Cristo fu registrato il prodigio di una fons olei - come riportarono le fonti antiche - molto probabilmente un getto di petrolio. E proprio nel bel mezzo della Roma Antica, nel punto dove oggi sorge la basilica di Santa Maria in Trastevere. 

Le fonti a cui si fa riferimento sono Eusebio di Cesarea (275-339), noto per essere fra l'altro il biografo-agiografo dell'Imperatore Costantino e Dione Cassio, che visse tra il II e il III secolo d.C., fonti che dunque scrissero parecchio tempo dopo l'accaduto, ma che evidentemente ne registravano la perdurante memoria. 

Sul posto sorgeva, all'epoca una Taberna Meritoria, cioè quello che oggi definiremmo un ospizio, una casa dove si ritiravano per la vecchiaia i reduci che avevano combattuto mille battaglie in giro per l'impero e che qui finivano i loro giorni. 

Proprio dal pavimento di questa Taberna scaturì dunque all'improvviso un getto di olio nero che defluì per diversi giorni senza che si riuscisse a fermarlo, formando pozze e una sorta di lago più grande, prima di sversarsi nelle acque del Tevere


Il prodigio inaspettato fu interpretato in diversi modi dalla popolazione di allora: gli appartenenti alla comunità ebraica, già numerosa a Roma, interpretò questo segno come un annuncio della venuta del Messia, ovvero dell'unto del signore. 

La memoria di quell'evento restò a lungo, influenzando anche direttamente la comunità cristiana, che nel II secolo d.C. vi fondarono un oratorio, che fu ufficialmente riconosciuto dall'imperatore Alessandro Severo. 

Nacque così il Titulus Callixti, il primo titolo cristiano della futura Basilica, che fu dedicata al culto della Vergine. 

Memoria del prodigio della fons olei sono ancora ben visibili: tra gli splendidi mosaici, opera di Pietro Cavallini, una delle opere più importanti della Roma Medievale, nella scena della Natività, appare in basso, proprio sotto il corpo disteso della Vergine l'immagine della Taberna Meritoria, con tanto di didascalia.   


E dal piccolo edificio si vede sgorgare il fiumiciattolo nero che si dirige verso il fiume. 

Il luogo esatto dove scaturì la Fons Olei è ricordato anche al di sotto di uno scalino nel Presbiterio da una antica iscrizione ancora visibile sul luogo. 


La memoria del piccolo grande prodigio del resto è rimasta impressa anche nella toponomastica del quartiere, visto che Via della Fonte dell'Olio è ancora oggi una delle vie più caratteristiche di Trastevere. 

Fabrizio Falconi 
2018 - riproduzione riservata





06/02/18

Quando il Colosseo era un Chiesa. Una straordinaria foto dell'Ottocento.




In rarissime foto d'epoca, il Colosseo, il monumento di Roma più  celebrato, appare davvero in una veste insolita. 

Si tratta di scatti compiuti prima del 1874, quando il comune di Roma dispose la rimozione della Croce al centro dell'arena (ricoperta di terra chiara) e delle dodici edicole marmoree della Via Crucis disposte in tondo.

L'arena dei Gladiatori era dunque divenuta anch'essa un tempio cristiano, una chiesa ? Sì, e lo era da più di un secolo. 

Era stato infatti Papa Benedetto XIV, nel 1749, a disporre la Croce e le edicole, in memoria dei martiri cristiani trucidati nell'Arena eretta dall'imperatore Flavio Vespasiano. 

Bisogna ricordare che all'epoca l'enorme monumento non era protetto da alcuna cancellata e i viaggiatori del Grand Tour, ma anche i romani potevano accedervi sia di giorno che di notte. 

Perlopiù, intorno al Colosseo c'erano campi aperti, colmi di rovine, che ospitavano greggi e bestiame di passaggio. 

Questa foto fu realizzata nell'arena deserta, in pieno giorno, presumibilmente nel 1871, quando i giardinieri del comune avevano ripulito il Colosseo dalle erbacce, dai cespugli e dagli arbusti cresciuti selvaggiamente tra le antiche mura. 

Tre anni dopo, la croce e le edicole sarebbero state per sempre rimosse. E sarebbe finito il periodo della trasformazione dell'Arena in tempio cristiano: una delle tante fasi vissute da questo nobile monumento che ha attraversato i secoli come un'Arca del Tempo. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata

04/02/18

Poesia della Domenica: "Se tu venissi in autunno", di Emily Dickinson.


(511)


Se tu venissi in autunno,
Io scaccerei l’estate,
Un po’ con un sorriso ed un po’ con dispetto,
Come scaccia una mosca la massaia .

Se fra un anno potessi rivederti,
Farei dei mesi altrettanti gomitoli,
Da riporre in cassetti separati,
Per timore che i numeri si fondano.

Fosse l’attesa soltanto di secoli,
Li conterei sulla mano,
Sottraendo fin quando le dita mi cadessero
Nella Terra di Van Diemen.

Fossi certa che dopo questa vita
La tua e la mia venissero,
Io questa getterei come una buccia
E prenderei l’eternità.

Ora ignoro l’ampiezza
Del tempo che intercorre a separarci,
E mi tortura come un’ape fantasma
Che non vuole mostrare il pungiglione.

Emily Dickinson

IF you were coming in the fall,
I ’d brush the summer by
With half a smile and half a spurn,
 As housewives do a fly.

If I could see you in a year, 
I ’d wind the months in balls,
And put them each in separate drawers,
Until their time befalls.

If only centuries delayed,
I ’d count them on my hand, 
Subtracting till my fingers dropped
Into Van Diemen’s land.

If certain, when this life was out,
That yours and mine should be,
I ’d toss it yonder like a rind, 
And taste eternity.

But now, all ignorant of the length
Of time’s uncertain wing,
It goads me, like the goblin bee,
That will not state its sting.

03/02/18

Ma come (e cosa) mangiavano gli antichi romani ? Un libro lo svela.



Cosa e come mangiavano i nostri progenitori romani ?  Si è molto fantasticato in passato sui gusti e sulle abitudini alimentari nell'Antica Roma.  Un libro edito da Mursia, Nutrire l'Impero romano. La filiera alimentare nell'Antica Roma, gli approvvigionamenti, le ricette (a cura del Gruppo archeologico ambrosiano) lo chiarisce ora con la proposta di 50 piatti tipici di Roma Antica, scientificamente accertate con un minuzioso lavoro di ricerca nelle fonti di autori latini . 

Perlopiù le ricette antiche sono state anche comparate con ingredienti attuali, alla portata di tutti, per renderne possibile la realizzazione anche nelle cucine moderne.

Gli alimenti principali erano il farro, l'aglio, la cipolla, il miele.  E molto diverse erano le diete a seconda delle classi di appartenenza: legionari, senatori, schiavi o contadini. 

I legionari, la parte più impegnata della popolazione, continuamente in guerra, privilegiava cereali, accompagnati da una bevanda a base di acqua e aceto chiamata posca.

Si mangiava anche tanto pesce: uno dei piatti preferiti era la cosiddetta Iscia de Loggigene, un piatto a base di polpette di calamari. C'era poi la salsa di pesce, il Garum e la Ius in murena elixa (Murena bollita in salsa).  Prelibata e ricercata era anche la Locusta, ovvero l'Aragosta, che veniva cotta con tutto il guscio, cosparsa di pepe e coriandolo. 

Altre ricette enormemente popolari erano il Cuminatum (la salsa di cumino), il Libum (l'antesignana della nostra focaccia), l'Epityrum (pasta di olive), la Puls (la polenta con farina di farro),  il Porcellus ex malis (maiale con le mele), il Sayillum, (torta al formaggio) e i Dulcia domestica (datteri ripieni). 

Naturalmente su questi piatti scorrevano fiumi di vino, la bevanda preferita dei Romani: secondo fonti antiche, risalenti a Plinio il Vecchio,  a quell'epoca esistevano già 185 varietà di vitigni diversi, tra i quali il Volturno, l'Albano, il Sabino, il Vino di Verona, quello di Aquileia (rinomato già all'epoca e quello preferito dallo stesso Plinio), il Falerno, il Cecubo nel Lazio.

Fabrizio Falconi 
2018 - riproduzione riservata. 


02/02/18

Fabrizio Falconi ospite a Radio Vaticana per "Cercare Dio", Castelvecchi Editore.






Ecco l'integrale della presentazione di "Cercare Dio", il libro  appena uscito da Castelvecchi Editore, a Radio Vaticana, il 1 febbraio 2018. 

Libro del Giorno: "La Mediocrazia" di Alain Deneault.


Abbiamo già parlato del libro in questo blog,  proponendo una intervista ad Alain Denault, qualche settimana fa. 

Si tratta di un saggio che ha avuto un certo successo in molti paesi, preannunciato da un battage  accattivante: "Come e perché i mediocri hanno preso il potere" e pubblicato in Italia da Neri Pozza. 

In realtà il lancio del libro è abbastanza fuorviante perché  Denault, docente di Scienze Politiche presso l'Università di Montreal, non è interessato qui a proporre un saggio analitico per esaminare le cause che hanno portato ad un ritrarsi delle élites - élites culturali, politiche, etiche -  dalla vita pubblica, lasciando il potere, ogni potere, in mano dei "mediocri", gente che non ha né cultura né scrupoli e che è interessata soltanto alla proliferazione dei profitti e del guadagno personale. 

Lungi dall'affrontare un testo organico su questo argomento, Denault compone una specie di moderno pamphlet, politicamente molto arrabbiato, sulle oscenità e sulle malefatte del potere, perlopiù concentrato dalla visuale di un paese marginale - il Canada - e di una regione - il Quebec - della quale almeno qui in Italia si parla molto poco. 

Canada e Quebec sono però per Denault, lo specchio dell'andazzo mondiale: tutto il mondo, ci dice il filosofo canadese va così. 

Così come ? Il libro parte proprio dal mondo dell'università - la parte più convincente del volume - dove si dovrebbero formare gli esperti e soprattutto le coscienze del futuro. Le grandi università sono invece oggi, secondo Denault fabbriche del consenso, strutture completamente asservite allo statu quo, e alla logica dei grandi apparati economici.  Anziché insegnare a pensare, le grandi università dunque, indicano quello che va fatto, quello che serve per restare nel seminato stantio delle ingiustizie e di un sapere sempre più massificato. 

Ma Denault va oltre: e la politica e l'economia non vanno meglio, anzi. Così come la cultura:  Dal principio di democrazia ormai corrotto emerge un nuovo regime che risponde al nome di "governance". L'università corrotta si trasforma in un istituto di analisi e perizie commerciali. L'economia corrotta dà origine all'oligarchia finanziaria, fonte di diseguaglianze spaventose. Le istituzioni di giustizia corrotte si concentro su istanze private e dispendiose per la composizione di vertenze varie. 

Questa catena di corruzione porta sempre più in alto la concentrazione del potere: qualsiasi attività umana viene organizzata in modo che aumenti il capitale di chi la sovrintende. Questo, dice Denault, ci rende poveri sotto tutti gli aspetti. 

Il difetto del libro è la frammentazione, la mancanza di un quadro di insieme e si spiega col fatto che Denault ha qui riunito le idee e le parole contenute in molti suoi articoli pubblicati in questi anni in riviste e testi universitari. 

L'analisi di Denault, post marxista se così la possiamo chiamare, chiama ad un grande processo di co-rottura, cui sono - siamo chiamati tutti - per far sì che le cose cambino, e cambino davvero. Soltanto con l'impegno personale di tutti, si potrà combattere la corruzione, la degenerazione di questa forma di mondo così cinica, affidata e in mano a personalità prive di etica e di intelligenza. 

Fabrizio Falconi





31/01/18

La "Piccola Londra" - un angolo di Roma straniante.




I Romani la chiamano da sempre, affettuosamente, La Piccola Londra,  anche se si tratta di una semplice via (dedicata a Bernardo Celentano, pittore verista napoletano dell'800) - chiusa al traffico - che nel quartiere Flaminio fa però in effetti pensare di essere in una città completamente diversa da quella che vanta 3.000 anni di storia. 

La Piccola Londra è opera di un architetto marchigiano, Quadrio Pirani (nato a Jesi nel 1878), al quale si debbono altri importanti quartieri residenziali dello storico Istituto delle Case Popolari, come quelli all'Ostiense, a San Saba e Testaccio, oltre alle case per gli impiegati statali realizzate in quel periodo tra via Chiana e via Tagliamento. 

Era il periodo in cui l'urbanistica romana si sviluppava attraverso piccoli o grandi quartieri omogenei: la Piccola Londra è del 1910, il Coppedè del 1919, la città-giardino Aniene nel 1920. 

Sulla architettura della Piccola Londra sicuramente influì il fatto che all'epoca il sindaco di Roma fosse Ernesto Nathan, ebreo di origini inglesi, un vero cosmopolita, di convinta fede repubblicana, la cui madre (Sara Levi Nathan) fu amica e finanziatrice di Giuseppe Mazzini. Alla morte della madre, di Mazzini Ernesto Nathan divenne a tutti gli effetti l'erede.  E ottenuta la cittadinanza italiana, fu prima consigliere, poi assessore e infine sindaco della neo-Capitale d'Italia.

Nel quadro del progetto urbanistico di Roma, una città che si andava espandendo con l'arrivo di impiegati e burocrati statali, sicuramente si tenne conto anche della nuova veste cosmopolita della città, che dopo decenni e secoli di emarginazione, tornava ad aprirsi al mondo e al turismo internazionale. 

Nacque così anche la Piccola Londra. poco più di duecento metri di strada, che a Roma non hanno eguali: palazzine liberty, ingressi indipendenti preceduti dai classici sei scalini inglesi, cancelli in ferro battuto, portoncini in legno e lampioni vittoriani. L'ingresso, per chi vuole affacciarsi a visitare questo angolo londinese di Roma, immerso in una invidiabile quiete molto rara nella città, è doppio: o da viale del Vignola, oppure da Via Flaminia al civico 287. 


Fabrizio Falconi 


30/01/18

Fino all'8 Aprile a Roma si può ammirare a Palazzo Barberini la celebre "Madonna Esterházy" di Raffaello !




Gli sguardi incrociati e la gestualita' familiare che testimoniano l'intesa sentimentale, le rovine romane e il cielo azzurro a far da  sfondo

La MadonnaEsterházy di Raffaello Sanzio risplende con la sua bellezza delicata a Palazzo Barberini dove le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma l'hanno voluta in mostra dal 31 gennaio all'8 aprile per presentarla al pubblico durante l'assenza della celebre Fornarina (in prestito a Bergamo fino ad aprile). 

Proveniente dal Sze'pmuve'szeti Múzeum di Budapest (ora chiuso per lavori) con il quale le Gallerie hanno scambiato alcune tele di Rubens, l'opera venne dipinta nel corso del 1508 e documenta chiaramente un passaggio cruciale nella storia di Raffaello, quando cioe' l'artista lascio' Firenze per Roma, dove era stato chiamato da Giulio II della Rovere per partecipare al rinnovamento del Vaticano. 

Un momento straordinario per la sua carriera, che la mostra di Palazzo Barberini, a cura di Cinzia Ammannato, vuole sottolineare presentando accanto alla Madonna Esterházy anche altri quattro lavori a essa legati. 

29/01/18

Il Libro del Giorno: "L'arcipelago della nuova vita" di Andrei Makine.



Andrei Makine, lo straordinario scrittore russo trapiantato da molti anni a Parigi (scrive in francese), cambia editore italiano e il suo nuovo romanzo - dopo la lunga permanenza con Einaudi - esce da La Nave di Teseo, tradotto da Vincenzo Vega. 

Per chi conosce l'opera di Makine - Prix Goncourt e Prix Médicis nel 1995 per Il testamento francese - questo L'arcipelago della nuova vita rappresenta una svolta, non tanto nei temi - anche questo, come gli altri romanzi di Makine - racconta  la vita negli anni della Russia sovietica, dallo stalinismo alla perestrojka, quanto nella scelta stilistica. 

Al contrario dei romanzi precedenti, infatti, lo stile è meno sognante e meno frammentato in pagine colme di riferimenti simbolici e di atmosfere poetiche dilatate o concentrate nel breve svolgere di poche struggenti frasi;  qui la trama si dipana in modo molto più classico, in una dimensione uni-direzionale, in una sorta di western siberiano, attraverso il lungo racconto di cinque soldati impegnati nell'inseguimento - nelle terre immense agli estremi confini orientali della Russia, ai confini del Pacifico - di un misterioso fuggitivo, evaso da un campo di prigionia. 

In realtà questo lungo racconto è offerto attraverso l'espediente conradiano di un doppio registro: Pavel, il protagonista dell'inseguimento racconta tutta la storia ad un ragazzo appena arrivato a Tugur, la città dell'estremo oriente siberiano per occuparsi di geodesia. Incontrato quel misterioso cacciatore - Pavel - che sembra vivere come un eremita nella immensa taiga, si fa raccontare la sua storia. 

Il ragazzo viene così a conoscenza di quei terribili anni della Guerra Fredda, degli esperimenti nucleari sovietici, dei campi di prigionia, della estrema crudeltà con la quale i cinque soldati, accompagnati da un cane, danno la caccia all'evaso, fino ad esserne  - uno ad uno eliminati - : tutti tranne Pavel. 

Molti anni più tardi, il ragazzo divenuto adulto tornerà in quella landa desolata, sperduta, immersa nel ghiaccio eterno, per ritrovare le tracce di Pavel e conoscere così la seconda parte della storia. 

E' suprema la bravura con cui Makine riesce a scolpire i caratteri dei quattro compagni di Pavel, delle loro meschinità, crudeltà, messe alla prova dalle condizioni ambientali estreme in cui devono giocarsi una partita così difficile, con un fuggitivo che appare e scompare come un fantasma. 

Ancora una volta Makine va alla radice dei nodi del cuore umano, di tutti i suoi infingimenti, delle sue penose autoassoluzioni, delle sue piccole e grandi tragedie.  L'essere uomo è di tutte le qualità degli umani, la più difficile: sembra suggerirci. 

In una soluzione ancora più radicale del solito, sembra qui, l'unica possibilità, quella di spingersi oltre, fuori; la soluzione di isolarsi dagli uomini. Di continuare a fare il proprio lontano dalla confusione, dalla massa e dalla pazzia. 

Pavel è una specie di santo peccatore ed eremita. Che forse soltanto la grande cattedrale della Taiga, l'immane silenzio, la purezza del ghiaccio e del freddo, riescono a far tornare pienamente e del tutto umano. 

Fabrizio Falconi