Pagine
30/04/22
Libro del Giorno: "La Roma di Pasolini" (Dizionario urbano) di Dario Pontuale
29/04/22
Libro del Giorno: "Troviamo le Parole" - Lettere (1948-1973) di Paul Celan e Ingeborg Bachmann
26/04/22
Apre al pubblico "La solitudine dell'ala destra. Pier Paolo Pasolini e il calcio"
25/04/22
"L'uomo dimentica l'unica cosa che lo distingue dall'animale". Una pagina meravigliosa e terribile di Cechov
La casa col mezzanino, che ha il sottotitolo Racconto di un artista, scritto nel 1896, è uno dei racconti più famosi di Anton Cechov.
L'importante non è che Anna sia morta di parto, ma che tutte queste Anne, Mavre, Pelageje, debbano curvare la schiena dalla mattina alla sera, ammazzarsi di fatica, tremare per i loro bambini affamati e ammalati, vivere nel terrore delle malattie e della morte, che imbruttiscano e invecchino presto, che muoiano nella sporcizia e nel fetore; e i loro figli, crescendo, ricominciano la stessa musica, e così per centinaia di anni: miliardi di uomini vivono nel terrore, peggio delle bestie, solo per conquistarsi un pezzo di pane.
La cosa più spaventosa della loro situazione è che non hanno un minuto per ricordarsi che hanno un'anima, che sono esseri umani fatti a immagine e somiglianza di Dio; la fame, il freddo, il terrore animale, la fatica, come valanghe di neve, hanno chiuso loro tutte le strade verso qualsiasi forma di vita spirituale, ossia verso l'unica cosa che distingue l'uomo dall'animale e per cui vale la pena vivere.
Voi credete di aiutarli con scuole e ambulatori, ma non li liberate dalle catene, anzi, peggiorate la loro condizione di schiavitù, introducendo nuovi pregiudizi e di conseguenza nuovi bisogni, senza parlare poi del fatto che per medicine e libri devono pagare e quindi curvare la schiena ancora di più.
Tratto da Anton Cechov, Racconti, 2004 Gruppo Editoriale L'Espresso, p.243
21/04/22
"L'uomo è un distruttore": La profezia della "Terra Desolata" di Eliot
19/04/22
La Basilica di San Lorenzo fuori le Mura - 2000 anni di storia, compreso il bombardamento del 1943
San
Lorenzo fuori le mura e le spoglie di Santo Stefano il primo martire cristiano.
Quando il 19 luglio del 1943 il primo bombardamento degli alleati piovve dal cielo, per Roma fu uno choc inaudito: dall’inizio della guerra infatti, in città i romani non facevano altro che rassicurarsi a vicenda, garantendosi che mai e poi mai gli alleati americani o inglesi avrebbero osato bombardare la città del Vaticano e del Papa.
La pioggia di bombe del 19 luglio
smentì clamorosamente queste previsioni e mandò un chiaro avviso all’esercito e
ai vertici fascisti, alleati con i tedeschi. Le foto del Papa, Pio XII con le
braccia allargate in una specie di grido disperato lanciato verso il cielo,
scattate proprio nelle vicinanze della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura,
gravemente danneggiata, fecero il giro del mondo in poche ore.
Oltre ad
aver inferto un duro colpo ai romani infatti, quel primo bombardamento aveva
anche colpito uno dei più preziosi simboli della cristianità a Roma. San
Lorenzo fuori le Mura infatti custodisce i suoi tesori dall’epoca di Costantino
Imperatore quando fu edificato il primo nucleo della Basilica sotto la
supervisione di Papa Silvestro, per ospitarvi le tombe dei primi martiri
cristiani.
E anche
se la Basilica fu intitolata a San Lorenzo, uno dei sette diaconi di Roma,
martirizzato sotto l’imperatore Valeriano nel 258 d.C., pochi sanno che essa
custodiva da secoli anche le spoglie di Santo Stefano, colui che la Chiesa
cattolica venera come primo martire cristiano, la cui festività si celebra il
26 dicembre, il giorno dopo la Natività del Signore. Il martirio di Stefano,
tra i primi diaconi scelti dai Dodici Apostoli subito dopo la crocefissione di
Gesù, è descritto infatti negli Atti degli Apostoli e viene fatto risalire al
36 d.C. quindi appena pochi anni – o mesi ? (considerando l’errore di datazione
sulla nascita di Gesù ) – dalla morte di Cristo.
A Stefano gli Atti degli Apostoli dedicano quasi tre interi capitoli (6,7,8) con informazioni
anche piuttosto precise sulla sua morte visto che in quel Testo viene affermato
che alla morte per lapidazione di Stefano, a Gerusalemme, assiste anche Paolo, che ancora non si è
convertito (dunque prima del 40 d.C.).
.
In quanto a chi fosse realmente Stefano, a quale fosse la sua professione, e la sua vita, sappiamo soltanto che dovette essere un erudito, perché con la sua eloquenza tenne testa ai suoi interlocutori pagani, al punto che per farlo essi dovettero ricorrere alla violenza.
Essendo
poi il primo martire Cristiano, Stefano ha anche una lunghissima vicenda che
riguarda le sue reliquie, vere e presunte, che furono disperse e rinvenute in
disparati angoli d'Europa.
L'episodio
più famoso è però sicuramente il rinvenimento miracoloso avvenuto nel 415 d.C. a Cafargamala (raccontato anche nella Leggenda
Aurea di Jacopo da Varagine), nei pressi di Gerusalemme, dove poi furono
solennemente portate dal vescovo Giovanni II.
Qualche
anno più tardi, nel 439 d.C. l'imperatrice Eudossia Atenaide,
dopo aver fatto costruire una basilica in onore di Stefano, portò con se a Costantinopoli parte del corpo. E durante il
pontificato di Pelagio II (579-590), per interessamento dell'imperatore Giustiniano I, quelle insigni reliquie furono traslate da
Costantinopoli a Roma, dove insieme a quelle dei
Santi Lorenzo e Giustino, furono sistemate nella Basilica di San Lorenzo fuori le
Mura.
La
reliquia della testa di Santo Stefano, invece, si esponeva nella Basilica Ostiense di San Paolo fuori le
mura. Il braccio destro, sotto il pontificato di Alessandro III
(1159-1181), era esposto in una nicchia dell'Oratorio dedicato a Maria SS.ma a
S. Pietro in Vaticano, dove è ancora oggi esposto in un reliquiario d'argento, dono del
cardinale Scipione Cobelluzi.
18/04/22
"The Gilded Age", la nuova serie di quel genio di Julian Fellowes
17/04/22
Poesia della Domenica di Pasqua: "Fede nella primavera" di Ludwig Uhland
Le dolci brezze si sono risvegliate
spirano e sussurrano giorno e notte;
si muovono ovunque.
Oh, aria fresca, oh nuovo suono !
Ora, povero cuore, non temere,
Ora tutto, tutto deve cambiare.
Il mondo diventa più bello ogni giorno,
non si sa cosa diventerà.
La fioritura non accenna a finire
fiorisce anche la valle più lontana e profonda.
Ora, povero cuore, dimentica il tuo tormento.
Ora tutto, tutto deve cambiare.
Ludwig Uhland, (Tubinga, 1787 – 1862) Fede nella Primavera
16/04/22
Ingeborg Bachmann e Roma, un destino tragico
15/04/22
Quando "Ultimo Tango a Parigi" di Bertolucci finì al rogo, e come il regista riuscì a salvare dalle fiamme i negativi
07/04/22
Le ultime foto di Kurt Cobain, a Roma, un mese prima di morire
06/04/22
Libro del Giorno: "Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò" di Raoul Precht
E' di grande interesse, e anche di grande attualità, l'uscita in queste settimane del nuovo libro di Raoul Precht, edito da Bottega Errante, che si concentra sulla vicenda personale, umana e letteraria di Stefan Zweig, inquadrata in un anno cruciale della sua vita, il 1935.
Precht, studioso attento della letteratura europea e tedesca in particolare (lingua quest'ultima che egli conosce come la madre lingua italiana), dopo Kafka (Kafka e il digiunatore, Nutrimenti, 2014) e Sternheim (Carl Sternheim, Schulin, La Camera verde, 2015), si rivolge alla figura di Stefan Zweig, prolificissimo scrittore ebreo, nato a Vienna nel 1881, vissuto a cavallo tra i due secoli, profondo pacifista e umanista, travolto dagli eventi drammatici del Novecento, il quale abbandonò definitivamente il suo paese dopo l'Anschluss nazista, finì i suoi giorni nel lontano Sud America, suicidandosi, nel 1942, insieme alla sua seconda moglie Lotte.
Dal suo primo racconto pubblicato a 19 anni, Primavera al Prater, Zweig fu instancabile, pubblicando una mole incredibile di romanzi e racconti, poesie e testi teatrali, memorie e lettere, saggi e articoli, raccolte e antologie, e numerosissime biografie che vanno da Tolstoj a Fouché, da Maria Stuarda a Toscanini, da Magellano a Montaigne e tantissimi altri.
Il libro di Raoul Precht incrocia la vita di Zweig nel suo anno cruciale, da gennaio del 1935 al gennaio successivo, lo scrittore si trova ad attraversare le sliding doors che ne decideranno il destino: è l'anno in cui la moglie Friderike (che Zweig aveva sposato prendendo con sé anche le due figlie avute dalla donna dal suo precedente matrimonio) scopre la sua relazione con Lotte Altmann, la sua segretaria, alla quale lo scrittore si legherà definitivamente in seguito, sposandola, e condividendo con lei il gesto estremo del suicidio.
Ma è anche l'anno in cui, a seguito di un primo scontro con la polizia locale, Zweig decide di lasciare Salisburgo e l'Austria e di stabilirsi in Gran Bretagna. Il suo paese infatti, come la Germania, è irretito dalle sirene naziste e il clima per gli ebrei comincia a farsi irrespirabile.
Zweig inizia un inquieto pellegrinaggio che lo porta in dodici mesi a spostarsi tra Nizza e New York e poi Vienna, Zurigo e le alpi svizzere, Marienbad, Parigi, Londra e infine nuovamente Nizza.
In questo errare lo scrittore incontra, in giro per l'Europa, scrittori e artisti con i quali è in rapporti di amicizia, da Thomas Mann a Joseph Roth, da Sigmund Freud a Arturo Toscanini.
Precht sceglie la cifra stilistica di un romanzo biografico: né una vera biografia, né un vero romanzo. La ricostruzione accuratissima degli spostamenti, degli incontri, dei particolari anche apparentemente trascurabili, contribuiscono a ricostruire il clima di un tempo difficile, che lo spirito inquieto di Zweig attraversa come sotto effetto di una febbre cerebrale.
Si stringe la morsa intorno a lui e intorno ai suoi amici: si impone di abbandonare le scelte di una vita comoda, facile, colma - nel caso di Zweig - anche di riconoscimenti e onori. Si impone di predisporsi ad abbandonare ciò che è più caro e salpare verso l'ignoto.
Non solo: la vita di quei mesi obbliga anche a scegliere quale atteggiamento opporre di fronte all'avanzare dell'orrore, della discriminazione, dell'odio, incarnata dal tiranno Hitler, pronto a spaccare il mondo in due e a metterlo a ferro e fuoco.
Zweig, anche rischiando l'incomprensione o la censura dei suoi amici più cari - magari ebrei come lui, come è il caso di Roth - sceglie un atteggiamento riservato, di non aperta denuncia: non si schiera, non fa appelli, non dà la caccia al mostro.
Altri gli dicono che è ora, invece, di rompere gli indugi e chiamare il demonio con il suo nome. Ma Zweig temporeggia: la sua indole, il suo credo profondamente pacifista, gli impongono prudenza e desiderio di distacco. E' la natura umana a deluderlo, la triste evoluzione di un destino collettivo - e quindi anche personale - che distrugge il sogno della vita bella, della vita dedicata alla conoscenza, al sapere, alla consapevolezza.
Zweig si avvicina alla fine della sua vita, sentendo che le forze gli vengono meno, dopo anni di vagabondaggio e sa che il porto del ritorno per lui è precluso per sempre. Cerca rifugio dunque, nell'unica cosa che può dargli piacere e in fondo salvezza: il lavoro, il lavoro intellettuale.
Verrà un tempo - e verrà presto, di lì a sette anni - in cui anche questo non basterà più e Stefan abbraccerà il suo desiderio di dissoluzione in compagnia della donna che ha deciso di condividere con lui il suo destino.
Il libro di Raoul Precht, letto in questi tempi in cui i tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare così forte - e proprio nel cuore della vecchia Europa - si impone come una lettura non solo qualitativa, ma necessaria.
Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò
Fabrizio Falconi - aprile 2022
05/04/22
Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?
04/04/22
Perché la Shoah (l'Olocausto) è un "unicum" nella storia umana?
Specialmente in questi anni così confusi, di negazionismi sfrenati, benaltrismi, narcisismi piccoli e grandi che si esaltano nella confutazione spavalda dell'ovvio e del naturale, col pretestuoso e l'inaccettabile, vale la pena riportare qui la risposta forse più chiara ed esaustiva possibile alla domanda che spesso si sente ripetere, ovvero: per quali motivi la Shoah, l'Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra mondiale è un "unicum" nella storia umana, e perché è sbagliato concettualmente e materialmente equipararlo ad altri tipi di genocidi terrificanti che sono stati compiuti nella storia.
01/04/22
L'incredibile destino di Dag Drollet, ucciso dal figlio di Marlon Brando