Pubblico il video-intervista che ho realizzato - grazie all'invito e alla cortesia di Stefania Giudice - alla cosiddetta Piccola Londra, uno dei quartieri (anche se qui si tratta soltanto di un paio di strade) più curiosi e pieni di fascino di Roma.
Pagine
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30/04/19
29/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 16. La doppia vita di Veronica (La Double Vie de Véronique) di Krzysztof Kieślowski (1991)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 16. La doppia vita di Veronica (La Double Vie de Véronique) di Krzysztof Kieślowski (1991)
Scorrono sullo schermo i tetti grigi di Parigi e quelli di Cracovia. Due meravigliose città fanno da sfondo al capolavoro di Kieślowski, girato 3 anni dopo aver concluso l'opera - pensata per la televisione - del Decalogo, ispirata dai dieci comandamenti, reinterpretati ad una luce del tutto personale e contestualizzati nella vita moderna.
La Doppia Vita di Veronica precede inoltre il trittico dei Film Blu, Bianco e Rosso (usciti nel 1993 e 1994 e dedicati ai tre colori della bandiera francese), omaggio al paese che era divenuto quello di adozione per il grande regista polacco, dopo le mille difficoltà avute durante il regime comunista nel suo paese all'epoca di Solidarnosc e della repressione violenta dello sciopero di Danzica.
Nel mezzo dei due cicli, Kieślowski trova forse il suo gioiello più puro.
Tratto da un copione scritto dallo stesso Kieślowski insieme all'inseparabile Krzysztof Piesiewicz, il film racconta le vicende di una cantante polacca, Weronika, dotata di una voce sublime. In trasferta a a Cracovia per far visita alla zia malata, Weronika viene notata dal direttore d'orchestra che le dà una parte nel concerto che si deve svolgere da lì a qualche giorno. Proprio però durante quel giorno però, durante il concerto, Weronika cade a terra e muore.
Qualcosa di misterioso è accaduto qualche giorno prima della sua morte: una mattina, infatti, per le strade di Cracovia, infatti, Weronika, aveva visto salire su un pullman una turista che ha il suo identico aspetto, una perfetta sosia.
Dopo la morte di Weronika, la narrazione si trasferisce dunque a Parigi, dove Véronique, la ragazza francese che Weronika ha intravisto quel giorno, si sente tutto d'un tratto strana: ha la sensazione di essere sola al mondo. Così, dopo aver saputo dal proprio medico di avere gravi problemi di cuore, va dal proprio maestro di musica ed annuncia di voler smettere di cantare.
Divenuta insegnante di canto, Véronique un giorno conosce un marionettista che si esibisce in uno spettacolo nella scuola, Alexandre, con il quale la ragazza inizia una relazione.
Una notte, in una stanza d'albergo, Alexandre fa notare a Véronique che in una foto del suo viaggio in Polonia c'è una donna uguale a lei; Véronique scoppia in lacrime.
Alexandre costruisce una marionetta con le sembianze di Véronique, e visto che ne costruisce anche un'altra per sicurezza, comincia ad inventare la storia di due donne identiche nate lo stesso giorno, in città diverse ma unite psicologicamente.
Il poeta con la cinepresa - Kieślowski - costruisce qui un meccanismo perfetto, dai mille simboli e dalle mille interpretazioni. Il riferimento più esplicito è quello alla vita dello stesso Kieślowski, che per continuare la sua carriera artistica, creativa, ha dovuto "uccidere" la propria parte polacca, e rinascere - preservandosi - nella sua parte francese. Ma il film è anche una profonda meditazione sulla individualità umana, sulla profondità dell'anima - in collegamento costante con l'anima mundi - sui mondi psicologici - inconscio, emotività/ razionalità, pensiero - che costituiscono il mistero della persona umana.
Il tema del doppio, che la letteratura ha così lungamente indagato, da von Chamisso a Dostoevskij - trova nel cinema di Kieślowski un altro suggestivo svolgimento, questa volta per immagini, grazie anche al volto di Irène Jacob, attrice icona per il regista polacco (che tornerà a lavorare con lui qualche anno più tardi con Film Rosso, l'ultimo film girato da Kieślowski, stroncato da un infarto a Varsavia a soli 55 anni).
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 1991, La Doppia Vita di Veronica ottenne il riconoscimento per la miglior interpretazione femminile.
Qualcosa di misterioso è accaduto qualche giorno prima della sua morte: una mattina, infatti, per le strade di Cracovia, infatti, Weronika, aveva visto salire su un pullman una turista che ha il suo identico aspetto, una perfetta sosia.
Dopo la morte di Weronika, la narrazione si trasferisce dunque a Parigi, dove Véronique, la ragazza francese che Weronika ha intravisto quel giorno, si sente tutto d'un tratto strana: ha la sensazione di essere sola al mondo. Così, dopo aver saputo dal proprio medico di avere gravi problemi di cuore, va dal proprio maestro di musica ed annuncia di voler smettere di cantare.
Divenuta insegnante di canto, Véronique un giorno conosce un marionettista che si esibisce in uno spettacolo nella scuola, Alexandre, con il quale la ragazza inizia una relazione.
Una notte, in una stanza d'albergo, Alexandre fa notare a Véronique che in una foto del suo viaggio in Polonia c'è una donna uguale a lei; Véronique scoppia in lacrime.
Alexandre costruisce una marionetta con le sembianze di Véronique, e visto che ne costruisce anche un'altra per sicurezza, comincia ad inventare la storia di due donne identiche nate lo stesso giorno, in città diverse ma unite psicologicamente.
Il poeta con la cinepresa - Kieślowski - costruisce qui un meccanismo perfetto, dai mille simboli e dalle mille interpretazioni. Il riferimento più esplicito è quello alla vita dello stesso Kieślowski, che per continuare la sua carriera artistica, creativa, ha dovuto "uccidere" la propria parte polacca, e rinascere - preservandosi - nella sua parte francese. Ma il film è anche una profonda meditazione sulla individualità umana, sulla profondità dell'anima - in collegamento costante con l'anima mundi - sui mondi psicologici - inconscio, emotività/ razionalità, pensiero - che costituiscono il mistero della persona umana.
Il tema del doppio, che la letteratura ha così lungamente indagato, da von Chamisso a Dostoevskij - trova nel cinema di Kieślowski un altro suggestivo svolgimento, questa volta per immagini, grazie anche al volto di Irène Jacob, attrice icona per il regista polacco (che tornerà a lavorare con lui qualche anno più tardi con Film Rosso, l'ultimo film girato da Kieślowski, stroncato da un infarto a Varsavia a soli 55 anni).
Presentato in anteprima al Festival di Cannes 1991, La Doppia Vita di Veronica ottenne il riconoscimento per la miglior interpretazione femminile.
26/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 15. Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day Afternoon) di Sidney Lumet (1975)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 15. Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog Day Afternoon) di Sidney Lumet (1975)
Da vero artigiano del grande cinema, Sidney Lumet (Philadelphia 1924 - New York 2011) ha realizzato, quasi in sordina, una serie incredibile di capolavori, da La parola ai giurati a Pelle di serpente (1960), da La collina del disonore (1965) a Serpico (1973) a Il verdetto (1982).
Su tutti, scelgo Quel pomeriggio di un giorno da cani, sceneggiato da Frank Pierson (premiato con l'Oscar, unica statuetta su 6 nominations) e interpretato da uno straordinario Al Pacino (insieme a John Cazale, Chris Sarandon, James Broderick e Charles Durning)
Come si sa, il film è basato sugli eventi di una vera rapina tentata in una banca di New York (anche se il film si discosta parecchio dagli eventi reali), nel quartiere di Brooklyn, avvenuta il 22 agosto del 1972 ed è incentrato su uno dei due rapinatori, Sonny Wojtowicz, che con il complice Salvatore Naturale tenne in ostaggio i dipendenti dell'istituto.
Nel film, i tre rapinatori iniziali che entrano in una banca poco prima dell'orario di chiusura e, al momento opportuno, bloccano il personale, diventano subito due, perché il più giovane di loro, impaurito abbandona il colpo. Rimangono Sonny e Sal.
La rapina va decisamente male: i due scoprono che la cassaforte è vuota (il furgone portavalori è appena passato) e quando stanno per uscire, la polizia è schierata fuori dall'edificio e li tiene sotto controllo. Sonny allora decide di prendere in ostaggio tutti i dipendenti. E cominciano le lunghe, estenuanti trattative con le forze dell'ordine.
La trattativa è personale: Sonny parla direttamente con una persona sola: Eugene Moretti della polizia municipale. Sonny avverte Moretti che lui e il suo complice hanno degli ostaggi e che li uccideranno se qualcuno proverà a entrare nella banca. Moretti avvia il negoziato per il rilascio degli ostaggi, sotto il controllo dell'agente dell'FBI Sheldon.
La particolarità del rapimento è, ovviamente - e questo interessa a Lumet - la spettacolarizzazione dello stesso. Con le televisioni che riprendono e la gente che assiste fuori che dopo poco comincia a fare il tifo per Sonny, percependo che si tratta, in fondo, di un povero diavolo.
Dopo aver concluso che una semplice fuga è impossibile, Sonny chiede a Moretti un aereo che porti lui e Sal fuori dal paese.
Intanto i poliziotti scoprono che Sonny ha non soltanto una moglie, Angela, e due figli, ma anche un compagno, Leon, con cui si è "sposato" l'anno prima.
La polizia lo interroga e scopre che Leon desidera sottoporsi a un intervento di riassegnazione sessuale.
Lo ha già detto a Sonny, che vorrebbe aiutarlo ma non ha i soldi necessari. Moretti intuisce che questo è il movente della tentata rapina. Cerca di convincere Leon a parlare con Sonny, ma Leon rifiuta.
Alla fine della estenuante trattativa, complice il caldo atroce, Sheldon sembra cedere e segnala che un autobus arriverà entro dieci minuti per portarli al loro aereo.
Prima di uscire dalla banca, Sonny detta il suo testamento a un'impiegata. Donerà i soldi della sua assicurazione sulla vita in parte a Leon per l'operazione chirurgica e in parte alla moglie Angela e ai figli.
Quando l'autobus arriva, Sonny controlla che sull'automezzo non siano state nascoste armi. Sonny siede accanto all'autista, mentre Sal siede dietro. Arrivati all'aeroporto, il tragico epilogo: Sal muore colpito dalla pistola dell'autista, mentre Sonny è arrestato e gli ostaggi liberati. Sonny piange guardando il corpo di Sal che viene portato via in barella.
La prospettiva tutta dalla parte del carnefice/vittima, Sonny, un magnifico looser, un disperato cui nella vita non è riuscito nessun salto in alto, ma solo un faticosissimo arrembare, rende il film empaticamente irresistibile.
La sceneggiatura - in tempo reale - è perfetta e non perde un colpo. Pacino aderisce a Sonny in modo totale, sulla base di quel metodo Actor's Studio leggendario.
A distanza di molti anni, il film non ha perso freschezza ed è il racconto di una parabola umana condivisibile ad ogni latitudine.
E' anzi, uno di quei classici, che il passare del tempo nobilita. Nel 2006 il magazine Premier fece la sua classifica delle 100 migliori performance di tutti i tempi e l'interpretazione di Sonny da parte di Al Pacino è stata posizionata al 4º posto. Nel 2009 la pellicola è stata scelta per essere conservata nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Fabrizio Falconi
Da vero artigiano del grande cinema, Sidney Lumet (Philadelphia 1924 - New York 2011) ha realizzato, quasi in sordina, una serie incredibile di capolavori, da La parola ai giurati a Pelle di serpente (1960), da La collina del disonore (1965) a Serpico (1973) a Il verdetto (1982).
Su tutti, scelgo Quel pomeriggio di un giorno da cani, sceneggiato da Frank Pierson (premiato con l'Oscar, unica statuetta su 6 nominations) e interpretato da uno straordinario Al Pacino (insieme a John Cazale, Chris Sarandon, James Broderick e Charles Durning)
Come si sa, il film è basato sugli eventi di una vera rapina tentata in una banca di New York (anche se il film si discosta parecchio dagli eventi reali), nel quartiere di Brooklyn, avvenuta il 22 agosto del 1972 ed è incentrato su uno dei due rapinatori, Sonny Wojtowicz, che con il complice Salvatore Naturale tenne in ostaggio i dipendenti dell'istituto.
Nel film, i tre rapinatori iniziali che entrano in una banca poco prima dell'orario di chiusura e, al momento opportuno, bloccano il personale, diventano subito due, perché il più giovane di loro, impaurito abbandona il colpo. Rimangono Sonny e Sal.
La rapina va decisamente male: i due scoprono che la cassaforte è vuota (il furgone portavalori è appena passato) e quando stanno per uscire, la polizia è schierata fuori dall'edificio e li tiene sotto controllo. Sonny allora decide di prendere in ostaggio tutti i dipendenti. E cominciano le lunghe, estenuanti trattative con le forze dell'ordine.
La trattativa è personale: Sonny parla direttamente con una persona sola: Eugene Moretti della polizia municipale. Sonny avverte Moretti che lui e il suo complice hanno degli ostaggi e che li uccideranno se qualcuno proverà a entrare nella banca. Moretti avvia il negoziato per il rilascio degli ostaggi, sotto il controllo dell'agente dell'FBI Sheldon.
La particolarità del rapimento è, ovviamente - e questo interessa a Lumet - la spettacolarizzazione dello stesso. Con le televisioni che riprendono e la gente che assiste fuori che dopo poco comincia a fare il tifo per Sonny, percependo che si tratta, in fondo, di un povero diavolo.
Dopo aver concluso che una semplice fuga è impossibile, Sonny chiede a Moretti un aereo che porti lui e Sal fuori dal paese.
Intanto i poliziotti scoprono che Sonny ha non soltanto una moglie, Angela, e due figli, ma anche un compagno, Leon, con cui si è "sposato" l'anno prima.
La polizia lo interroga e scopre che Leon desidera sottoporsi a un intervento di riassegnazione sessuale.
Lo ha già detto a Sonny, che vorrebbe aiutarlo ma non ha i soldi necessari. Moretti intuisce che questo è il movente della tentata rapina. Cerca di convincere Leon a parlare con Sonny, ma Leon rifiuta.
Alla fine della estenuante trattativa, complice il caldo atroce, Sheldon sembra cedere e segnala che un autobus arriverà entro dieci minuti per portarli al loro aereo.
Prima di uscire dalla banca, Sonny detta il suo testamento a un'impiegata. Donerà i soldi della sua assicurazione sulla vita in parte a Leon per l'operazione chirurgica e in parte alla moglie Angela e ai figli.
Quando l'autobus arriva, Sonny controlla che sull'automezzo non siano state nascoste armi. Sonny siede accanto all'autista, mentre Sal siede dietro. Arrivati all'aeroporto, il tragico epilogo: Sal muore colpito dalla pistola dell'autista, mentre Sonny è arrestato e gli ostaggi liberati. Sonny piange guardando il corpo di Sal che viene portato via in barella.
La prospettiva tutta dalla parte del carnefice/vittima, Sonny, un magnifico looser, un disperato cui nella vita non è riuscito nessun salto in alto, ma solo un faticosissimo arrembare, rende il film empaticamente irresistibile.
La sceneggiatura - in tempo reale - è perfetta e non perde un colpo. Pacino aderisce a Sonny in modo totale, sulla base di quel metodo Actor's Studio leggendario.
A distanza di molti anni, il film non ha perso freschezza ed è il racconto di una parabola umana condivisibile ad ogni latitudine.
E' anzi, uno di quei classici, che il passare del tempo nobilita. Nel 2006 il magazine Premier fece la sua classifica delle 100 migliori performance di tutti i tempi e l'interpretazione di Sonny da parte di Al Pacino è stata posizionata al 4º posto. Nel 2009 la pellicola è stata scelta per essere conservata nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Fabrizio Falconi
Quando il fumetto è arte: Corto Maltese sbarca a Napoli per una grande mostra.
Il più affascinante e misterioso
dei marinai è approdato al Museo Archeologico di Napoli:
intitolata 'Corto Maltese. Un viaggio straordinario', si è aperta al pubblico (fino al 9 settembre 2019) la mostra dedicata
al maestro del fumetto mondiale Hugo Pratt (1927 - 1995)
organizzata da Comicon con Patrizia Zanotti di CONG: circa 100 i
pezzi tra tavole, schizzi, fotografie ed ingrandimenti in un
suggestivo e ricco percorso nel mondo di un personaggio
solitario, ramingo, condottiero, imprevedibile e arguto nelle
sue battute.
Allestita nelle sale che custodiscono reperti archeologici
legati al mare, la mostra (patrocinata dal Comune di Napoli e
realizzata in collaborazione con Rizzoli Lizard) fa parte del
progetto Obvia dell'Universita' di Napoli Federico II per il MANN
e rientra nella sinergia tra museo e Comicon per intercettare le
passioni ed i gusti dei piu' giovani.
"L'esposizione, la prima
cosi' completa che la citta' dedica a uno dei piu' grandi
fumettisti mondiali e alla sua graphic novel dallo spessore
letterario, fa parte di un percorso di eventi, tra il Mann e i
Campi' Flegrei, verso 'Thalassa. Mare, mito, storia ed
archeologia - spiega il direttore del Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, Paolo Giulierini - una grande mostra che
stiamo preparando dedicata all'archeologia subacquea del
Mediterraneo".
Claudio Curcio patron del salone Comicon sottolinea: "Siamo
particolarmente fieri di poter finalmente lavorare con uno dei
piu' grandi e celebrati autori italiani del fumetto che ancora
non avevamo avuto la possibilita' di presentare al pubblico di
Comicon e di Napoli e il cui lavoro mancava nella nostra citta'
dagli anni novanta". Alla mostra e' abbinato il catalogo con
approfondimenti di esperti del fumetto e dell'opera di Pratt,
sul rapporto di Corto Maltese con il mare, le donne ed i viaggi.
Analizzati i legami che Pratt ha avuto non soltanto con i suoi
maestri ispiratori (tra questi, Milton Caniff e Will Gould), ma
anche con il mondo del cinema; focus, ancora, sulla biografia
dell'artista, narrando le sue avventure in giro per il mondo.
Patrizia Zanotti, Managing Director della Cong SA,
disegnatrice, che ha iniziato a lavorare con Hugo Pratt a 17
anni scrive nel catalogo: "Da Venezia a Malta, da Hong Kong a
Escondida, da Buenos Aires a Napoli, Hugo Pratt amava le citta'
di mare perche' sono naturalmente aperte all'arrivo di altre
genti, altre navi, altre culture".
C'e' molto fumetto nella
comunicazione del Mann che ha prodotto anche il volume 'Nico e
Canova' (Electa). Un Topolino speciale per celebrare la mostra
su Canova sara' in edicola dal 1 maggio, entrambi i prodotti
sono firmati dal disegnatore Disney Blasco Pisapia. L'artista
americano Frank Santoro ha donato al Mann alcune tavole
originali su Pompei che erano state in mostra lo scorso anno.
Fonte - ANSA
25/04/19
25 Aprile: "La Resistenza e la sua luce" di Pier Paolo Pasolini.
Così giunsi ai giorni della Resistenza
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l'Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce...
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un'alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge...
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l'alba nascente fu una luce
fuori dall'eternità dello stile...
Nella storia la giustizia fu coscienza
d'una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
senza saperne nulla se non lo stile:
fu stile tutta luce, memorabile coscienza
di sole. Non poté mai sfiorire,
neanche per un istante, neanche quando
l'Europa tremò nella più morta vigilia.
Fuggimmo con le masserizie su un carro
da Casarsa a un villaggio perduto
tra rogge e viti: ed era pura luce.
Mio fratello partì, in un mattino muto
di marzo, su un treno, clandestino,
la pistola in un libro: ed era pura luce.
Visse a lungo sui monti, che albeggiavano
quasi paradisiaci nel tetro azzurrino
del piano friulano: ed era pura luce.
Nella soffitta del casolare mia madre
guardava sempre perdutamente quei monti,
già conscia del destino: ed era pura luce.
Coi pochi contadini intorno
vivevo una gloriosa vita di perseguitato
dagli atroci editti: ed era pura luce.
Venne il giorno della morte
e della libertà, il mondo martoriato
si riconobbe nuovo nella luce...
Quella luce era speranza di giustizia:
non sapevo quale: la Giustizia.
La luce è sempre uguale ad altra luce.
Poi variò: da luce diventò incerta alba,
un'alba che cresceva, si allargava
sopra i campi friulani, sulle rogge...
Illuminava i braccianti che lottavano.
Così l'alba nascente fu una luce
fuori dall'eternità dello stile...
Nella storia la giustizia fu coscienza
d'una umana divisione di ricchezza,
e la speranza ebbe nuova luce.
La Resistenza e la sua luce
da La religione del mio tempo
Pier Paolo Pasolini (1922- 1975)
22/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 14. "Papà è in viaggio d'affari" (Otac na službenom putu) di Emir Kusturica (1985)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 14. "Papà è in viaggio d'affari" (Otac na službenom putu) di Emir Kusturica (1985)
Sulla scia della grandiosa tradizione del Bildungsroman mitteleuropeo e slavo, Papà è in viaggio d'affari, diretto da Emir Kusturica - e suo secondo lungometraggio dopo il travolgente esordio di Ti ricordi di Dolly Bell? (1981) - è uno struggente romanzo di formazione ambientato nella Jugoslavia di Tito, nel cosiddetto periodo dell'Informbiro (1948-1955), ovvero gli anni che vanno dalla rottura tra Tito e Stalin fino al riappacificamento tra Jugoslavia e Russia sotto Chruščëv.
Quel periodo fu caratterizzato dalla repressione di chi continuava a dimostrare lealtà o simpatia per l'Unione Sovietica; i sospetti venivano deportati principalmente nel campo di lavoro di Goli Otok.
Racconta le vicenda di Mesa, un brav'uomo come tanti, sposato e padre di due bambini, che un giorno si lascia sfuggire una battuta a sfondo politico, cosa che spinge la sua amante, gelosa, a riferire la cosa al fratello di lui, funzionario governativo, che lo fa condannare ai lavori forzati.
A casa rimane la moglie, Sena, che manda avanti la famiglia e racconta al più piccolo dei suoi figli che papà è partito per un lungo viaggio d'affari.
Da qui, la storia è completamente vista dalla prospettiva e dagli occhi del figlio minore, Malik - uno straordinario attore bambino, Moreno De Bartoli, che oggi ha 44 anni. Il tempo passa: dopo la ribellione di Tito, Mesa viene riabilitato e si trasferisce in una nuova città, dove il suo secondogenito si innamora della figlia di un dottore russo.
Ancora più avanti nel tempo, Mesa gusterà la sua vendetta, violentando l'ex amante che, nel frattempo, ha sposato suo fratello.
Papà... è in viaggio d'affari è dunque un film politico e un film intimista e familiare allo stesso tempo. In un prodigio di scelta stilistica che rivela in ogni scena il talento visionario di Kusturica.
Come dichiarò il regista all'epoca, "Otok non mi interessa dal punto di vista fattuale, per me è importante analizzare, con questo film, le conseguenze sulla psiche del ragazzino Malik. Si tratta di un melodramma che illustra la vita di quelli che vivono sullo sfondo".
Insomma, la storia vista dagli occhi di un bambino, con tutta la poesia - ma anche l'allegria e la nostalgia - di cui è capace lo spirito di Kusturica.
Uscito nel 1985 Papà è in viaggio d'affari vinse la Palma d'oro come miglior film al 38º Festival di Cannes e fu nominato all'Oscar al miglior film straniero.
Nel libro autobiografico Dove sono in questa storia, Kusturica ha raccontato le difficoltà che hanno preceduto la realizzazione del film a causa del delicato tema storico. Venivano richieste continue modifiche alla sceneggiatura e il regista, esasperato, pensò di andare a realizzarlo a Belgrado, a quei tempi più aperta di Sarajevo. Il film poté essere realizzato soltanto grazie all'interessamento personale di Cvijetin Mijatović, ex presidente della Jugoslavia.
Fabrizio Falconi
Papà... è in viaggio d'affari
(Otac na službenom putu)
di Emir Kusturica, 1985
Jugoslavia
con Moreno De Bartoli, MalikMiki Manojlović, Mirjana Karanović
Sulla scia della grandiosa tradizione del Bildungsroman mitteleuropeo e slavo, Papà è in viaggio d'affari, diretto da Emir Kusturica - e suo secondo lungometraggio dopo il travolgente esordio di Ti ricordi di Dolly Bell? (1981) - è uno struggente romanzo di formazione ambientato nella Jugoslavia di Tito, nel cosiddetto periodo dell'Informbiro (1948-1955), ovvero gli anni che vanno dalla rottura tra Tito e Stalin fino al riappacificamento tra Jugoslavia e Russia sotto Chruščëv.
Quel periodo fu caratterizzato dalla repressione di chi continuava a dimostrare lealtà o simpatia per l'Unione Sovietica; i sospetti venivano deportati principalmente nel campo di lavoro di Goli Otok.
Racconta le vicenda di Mesa, un brav'uomo come tanti, sposato e padre di due bambini, che un giorno si lascia sfuggire una battuta a sfondo politico, cosa che spinge la sua amante, gelosa, a riferire la cosa al fratello di lui, funzionario governativo, che lo fa condannare ai lavori forzati.
A casa rimane la moglie, Sena, che manda avanti la famiglia e racconta al più piccolo dei suoi figli che papà è partito per un lungo viaggio d'affari.
Da qui, la storia è completamente vista dalla prospettiva e dagli occhi del figlio minore, Malik - uno straordinario attore bambino, Moreno De Bartoli, che oggi ha 44 anni. Il tempo passa: dopo la ribellione di Tito, Mesa viene riabilitato e si trasferisce in una nuova città, dove il suo secondogenito si innamora della figlia di un dottore russo.
Ancora più avanti nel tempo, Mesa gusterà la sua vendetta, violentando l'ex amante che, nel frattempo, ha sposato suo fratello.
Papà... è in viaggio d'affari è dunque un film politico e un film intimista e familiare allo stesso tempo. In un prodigio di scelta stilistica che rivela in ogni scena il talento visionario di Kusturica.
Come dichiarò il regista all'epoca, "Otok non mi interessa dal punto di vista fattuale, per me è importante analizzare, con questo film, le conseguenze sulla psiche del ragazzino Malik. Si tratta di un melodramma che illustra la vita di quelli che vivono sullo sfondo".
Insomma, la storia vista dagli occhi di un bambino, con tutta la poesia - ma anche l'allegria e la nostalgia - di cui è capace lo spirito di Kusturica.
Uscito nel 1985 Papà è in viaggio d'affari vinse la Palma d'oro come miglior film al 38º Festival di Cannes e fu nominato all'Oscar al miglior film straniero.
Nel libro autobiografico Dove sono in questa storia, Kusturica ha raccontato le difficoltà che hanno preceduto la realizzazione del film a causa del delicato tema storico. Venivano richieste continue modifiche alla sceneggiatura e il regista, esasperato, pensò di andare a realizzarlo a Belgrado, a quei tempi più aperta di Sarajevo. Il film poté essere realizzato soltanto grazie all'interessamento personale di Cvijetin Mijatović, ex presidente della Jugoslavia.
Fabrizio Falconi
Papà... è in viaggio d'affari
(Otac na službenom putu)
di Emir Kusturica, 1985
Jugoslavia
con Moreno De Bartoli, MalikMiki Manojlović, Mirjana Karanović
21/04/19
Poesia della Domenica. "Buonanotte a te" di Charles Bukowski
Buonanotte a te che in questo momento
dovresti essere qui e non chissà dove.
Buonanotte a chi anche stanotte
si perderà tra le lacrime e i pensieri.
Buonanotte a chi ha sperato, lottato
a chi ha tirato fuori le unghie ma comunque ha perso.
Buonanotte a me, che ti aspetto
e prego ogni sera per vederti tornare.
Buonanotte ai codardi, ai “lo faccio per te”,
a chi ha deposto i sogni nel cassetto,
a chi è caduto ma ha avuto la forza e il coraggio di rialzarsi.
A chi non vuole occhi diversi.
A chi non ci riesce, a chi ci prova ma è dura,
a chi soffre in silenzio, a chi ride ma sta male,
a chi non riesce a camminare,
a chi è stato lasciato, a chi ha il cuore spezzato.
Buonanotte, che poi questa notte di buono non ha nulla.
E resterò sveglia a pensarti,
a immaginarti a chiedermi come stai,
cosa fai, se sorridi, se sei felice,
se ti manco, se stai bene anche senza di me.
Chi ti scalda la notte, chi ti guarda dormire,
chi ti sorride così dal nulla.
E non so, ma ho paura.
Perché la notte diventiamo più deboli,
perché la notte cadiamo, i pensieri vanno veloci e le lacrime scendono.
Dove sei, con chi sei, mi manchi.
20/04/19
Straordinario ritrovamento a Roma: così si lavorava la ceramica a Trastevere
Il più antico laboratorio produttivo
nel cuore della città: e' questo il risultato dello scavo condotto
dalla Soprintendenza Speciale di Roma all`interno del giardino di
Palazzo Corsini in Via della Lungara a Trastevere.
La fornace
portata alla luce è un ritrovamento finora unico a Roma,
testimonianza della sua vita lavorativa, della sua economia
basata sull`alto artigianato e la trasformazione di materie prime
provenienti dai quattro angoli dell`impero.
L`indagine, iniziata con un sondaggio di archeologia preventiva
nell`aprile del 2018 e proseguita da febbraio scorso con uno
scavo stratigrafico, ha messo in luce diversi contesti.
Da una
parte l`eccezionale ritrovamento della fornace, dall`altra un
deposito di anfore per il trasporto dell`olio, probabilmente
riutilizzate per il drenaggio dell`acqua, nonche' di varie
murature.
Il ritrovamento appare ancora piu' straordinario considerando la
suggestione del luogo: Palazzo Corsini, sede dell`Accademia dei
Lincei, con cui la Soprintendenza ha collaborato e con cui sta
progettando la valorizzazione dei reperti.
I ritrovamentiri verranno coperti con materiale protettivo e
presto nuovamente interrati, metodo che li protegge dagli agenti
atmosferici.
Tuttavia e' gia' in programmazione una nuova serie di
indagini, intorno all`area gia' scavata, per ampliare il quadro
dei ritrovamenti e contestualizzarli nel modo migliore.
I reperti trovati saranno presto esposti nella sede stessa dei
Lincei, in uno spazio aperto al pubblico, e saranno spunto e
oggetto di una serie di incontri e di conferenze dedicati a tutti
coloro che vorranno conoscere meglio la storia della citta' e di
un quartiere storico come Trastevere.
Lo scavo archeologico nell'angolo Sud-Est del giardino di
Palazzo Corsini ha rivelato un contesto di importanza
eccezionale. È venuta alla luce una struttura di eta' romana
riferibile a una fornace per la produzione di ceramica, di
ceramica invetriata e forse di vetro. Si tratta del primo
impianto di questo tipo chiaramente riconoscibile trovato
all'interno della citta' antica.
Curata dalla Soprintendenza Speciale di Roma, l`indagine iniziata
nel mese di aprile del 2018, e' proseguita con lo scavo
stratigrafico dallo scorso mese di febbraio, ha interessato
un`area di circa 15 metri di larghezza per 18 di lunghezza.
Nell`angolo Sud dello scavo e' emersa una ampia porzione di piano
in concotto, con tracce evidenti di esposizione a forte calore,
contrassegnate da una colorazione che dal giallo intenso arriva
al rossastro, caratterizzata da resti di superfici utilizzate per
lavorazioni artigianali.
Il piano, o probabilmente una serie di
piani rialzati, si appoggiano a un muro in opera laterizia,
rasato alla loro stessa quota.
La presenza di un grande numero di materiali di scarto e di
scorie di lavorazione di ceramica e di blocchi di concotto con
strato di rivestimento vetroso testimonia l'esistenza di una
fornace usata per la produzione di materiale ceramico e
probabilmente anche per l'invetriatura della ceramica stessa.
19/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 13. "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica (1948)
André Bazin definì questo film l'espressione più pura del Neorealismo, e anche se oggi sembra difficile poter ri-guardare questo film estraniandolo dal suo contesto storico, bastano semplicemente venti minuti per dimenticare critiche, studi universitari, e dispute, per ritrovare subito la freschezza universale di questa opera miracolosa, che è riuscita e riesca a parlare direttamente al cuore e alla testa di ogni spettatore, di ogni latitudine censo o etnia.
Ladri di Biciclette nacque come è noto dalla collaborazione tra Cesare Zavattini e lo stesso De Sica, riadattando un romanzo di Luigi Bartolini ed estremizzandone in contenuti in un poderoso affresco sulla povertà, sul lavoro e sulla dignità umana, grazie a quella forma "poetica del pedinamento" nella quale credeva Zavattini, consistente nel rimanere attaccato alla prospettiva dei protagonisti, nel seguire ogni loro istante, espressione del viso, mutamento caratteriale con un utilizzo di campi medi e lunghi e le figure di attori non professionisti sempre al centro della scena, quasi in tempo reale anche quando le quinte sono quelle ricostruite in studio.
La vicenda raccontata è di una semplicità assoluta: ad Antonio Ricci, il protagonista, rubano la bicicletta nel primo giorno di lavoro, che per lui, attacchino di manifesti in strada, è essenziale. Inizia così la disperata rincorsa di Antonio, accompagnato dal figlio Bruno, alla ricerca del ladro, in una delirante peregrinazione nei diversi quartieri della città.
Quando ormai tutto è perduto, Antonio cede alla tentazione di rubarne una, ma viene subito fermato e aggredito sotto gli occhi del figlio. E saranno proprio le lacrime disperate del figlio Bruno a evitargli il carcere e a restituirlo alla libertà, in una ultima memorabile scena in cui i due fanno ritorno a casa tenendosi per mano mentre su Roma scende la sera.
Un film monumento su cosa significa (e comporta l') essere umani.
Ladri di Biciclette
di Vittorio De Sica
con Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola
Italia, 1948
durata: 93 minuti
André Bazin definì questo film l'espressione più pura del Neorealismo, e anche se oggi sembra difficile poter ri-guardare questo film estraniandolo dal suo contesto storico, bastano semplicemente venti minuti per dimenticare critiche, studi universitari, e dispute, per ritrovare subito la freschezza universale di questa opera miracolosa, che è riuscita e riesca a parlare direttamente al cuore e alla testa di ogni spettatore, di ogni latitudine censo o etnia.
Ladri di Biciclette nacque come è noto dalla collaborazione tra Cesare Zavattini e lo stesso De Sica, riadattando un romanzo di Luigi Bartolini ed estremizzandone in contenuti in un poderoso affresco sulla povertà, sul lavoro e sulla dignità umana, grazie a quella forma "poetica del pedinamento" nella quale credeva Zavattini, consistente nel rimanere attaccato alla prospettiva dei protagonisti, nel seguire ogni loro istante, espressione del viso, mutamento caratteriale con un utilizzo di campi medi e lunghi e le figure di attori non professionisti sempre al centro della scena, quasi in tempo reale anche quando le quinte sono quelle ricostruite in studio.
La vicenda raccontata è di una semplicità assoluta: ad Antonio Ricci, il protagonista, rubano la bicicletta nel primo giorno di lavoro, che per lui, attacchino di manifesti in strada, è essenziale. Inizia così la disperata rincorsa di Antonio, accompagnato dal figlio Bruno, alla ricerca del ladro, in una delirante peregrinazione nei diversi quartieri della città.
Quando ormai tutto è perduto, Antonio cede alla tentazione di rubarne una, ma viene subito fermato e aggredito sotto gli occhi del figlio. E saranno proprio le lacrime disperate del figlio Bruno a evitargli il carcere e a restituirlo alla libertà, in una ultima memorabile scena in cui i due fanno ritorno a casa tenendosi per mano mentre su Roma scende la sera.
Un film monumento su cosa significa (e comporta l') essere umani.
Ladri di Biciclette
di Vittorio De Sica
con Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola
Italia, 1948
durata: 93 minuti
Libro del Giorno: "L'amante fedele" di Massimo Bontempelli
Che piacere riconciliarsi con la prosa di Bontempelli, una delle voci più originali del Novecento letterario italiano. Merito della casa editrice di Sassuolo, Incontri, aver riportato in libreria, a oltre sessant'anni dalla prima edizione 'L'amante fedele', il libro di racconti con cui Massimo Bontempelli vinse il 'Premio Strega' nel 1953, decimo titolo della collana Kufferle dedicata alla riproposta di testi e autori del passato, con introduzione della drammaturga e storica del teatro Patricia Gaborik, attenta studiosa dello scrittore.
Si tratta di quindici racconti nei quali Bontempelli, ormai al termine della vita (morì a Roma il 21 luglio del 1960), esprime la sua idea personalissima idea di letteratura, quel "realismo magico" che si rifa alla tradizione nordica e ai grandi racconti di Djuna Barnes, in seguito applicato da molti grandi autori da Borges fino a Rushdie.
In un certo senso questa raccolta è il coronamento della narrativa di Bontempelli per la presenza costante di alcuni elementi cardine della sua poetica, dalla centralita' del mito allo spirito di avventura che guida i suoi personaggi, dai toni incantati e meravigliosi con cui viene descritta la natura, alla predilezione per i protagonisti femminili.
Diversi nelle ambientazioni e nelle atmosfere i 15 racconti sono uniti innanzitutto dallo stile di Bontempelli convinto che l'arte del Novecento dovesse essere in grado di esprimere l'"avventuroso miracolo" della vita quotidiana, in una visione in cui erano centrali i concetti di immaginazione, ironia e candore.
Se, come scrisse Bontempelli, il mistero è "la sola realtà", attraverso uno sguardo candido, libero cioè da intellettualismi o convenzioni sociali, è possibile pervenire a una comprensione istintiva del mondo, in piena sintonia con la natura. E candidi sono, per gran parte, i protagonisti de 'L'amante fedele'. Un bel tuffo in un mondo dal respiro diverso, completamente estraneo, rispetto all'oggi dominato dal cinismo e dal disincanto.
Fabrizio Falconi
18/04/19
Libro del Giorno: "Così Parlò Zarathustra" di Friedrich Nietzsche
Fa impressione rileggere lo Zarathustra, dopo che lo si è fatto quando si avevano 20 anni. Le prospettive cambiano, ovviamente. Ma è anche una operazione salutare, perché si scoprono continuamente cose nuove, rispetto alle rimasticature che - soprattutto nel mare magnum del web - hanno trasformato (anche) l'opera di Nietzsche in un prontuario di aforismi completamente estraniati dal testo e quindi completamente fraintesi.
Come è noto, Nietzsche cominciò a scrivere Zarathustra nel 1881, quando si trovava in Italia e aveva affrontato un breve viaggio in traghetto a Messina e Taormina, al termine del quale aveva cominciato a frequentare "l'Arcadia" locale.
La lavorazione andò avanti per 4 lunghi anni, durante i quali il filosofo conobbe Lou von Salomé, una giovane studentessa russa in viaggio d'istruzione attraverso l'Europa e iniziò con lei e con il comune amico Paul Rée, che gli aveva presentato lei, una singolare (e casta) liason a trois.
Dopo ripetute proposte di matrimonio rifiutate e sconvenienti baci in pubblico ricevuti(ma nulla di concreto accadde tra di loro, restando il rapporto su un piano puramente platonico), Lou si allontanò da Nietzsche e anche da Rée.
Questa delusione accelerò il lavoro di Nietzsche sullo Zarathustra, che portò a termine nel 1885, tre anni prima del trasferimento a Torino e del celebre crollo mentale di Nietzsche (3 gennaio 1889 la prima crisi di follia in pubblico) dal quale non si riprese più fino alla morte (25 agosto 1900).
Zarathustra è dunque l'ultima delle grandi opere di Nietzsche e quella che viene ritenuta unanimemente il suo Testamento.
Al contrario di ciò che si crede si tratta di un'opera assai difficile, anzi "la più difficile", come sottolinea Roberto Escobar nella preziosa introduzione, come è evidente fin dal sottotitolo che il filosofo scelse: un libro per tutti e per nessuno.
Realizzato nella forma di un diario intimo predicatorio, ed esplicitamente ispirato allo stile dell'Antico e del Nuovo Testamento, Zarathustra è un libro esplosivo, in cui il profeta e mistico iranico fondatore dello Zoroastrismo e vissuto presumibilmente nel IX secolo a.C., diventa colui che sovverte ogni morale, che bandisce verità nuove, che preannuncia e prefigura l'avvento di un Superuomo (purtroppo questo termine ha prevalso, nella traduzione italiana, su quello più corretto di Oltreuomo), che si pone al di là del Bene e del Male, che il Bene e Male comprende e supera, che raccoglie la notizia della morte di Dio, per far-si protagonista del proprio destino e del proprio passato (Eterno Ritorno).
Ri-leggere oggi Nietzsche, ri-leggere oggi lo Zarathustra significa andare definitivamente oltre le aberrazioni del nazismo che usò e deformò queste teorie (come anche quelle di Darwin) per i propri terribili fini, e restituire al filosofo l'autentico valore della sua grande visione che così profondamente ha influenzato il pensiero del Novecento e che - al contrario di altri - continua a influenzare anche quello di oggi, essendo strutturalmente attuale.
Zarathustra poi, essendo un libro-mondo, può essere letto da diversi punti di vista: anche da quello strettamente poetico, che ancora maggiormente scava nell'abisso del cuore umano con figure e scene metaforiche che non si dimenticano più.
Insomma, c'è sempre un motivo - ce ne sono tanti - per rileggere questo libro pericoloso, sovversivo, radicale, visionario.
Fabrizio Falconi
15/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 12. "La Calda Notte dell'Ispettore Tibbs" ("In The Heat of the Night") di Norman Jewison (1967)
Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 12. "La Calda Notte dell'Ispettore Tibbs" ("In The Heat of the Night") di Norman Jewison (1967)
Nessuno può dimenticare questo film dopo averlo visto.
E quanto può essere attuale? Quanto fa male ancora rivederlo proprio oggi? E' il pregio che possono avere soltanto i classici.
Sono passati più di 50 anni da quando uscì La calda notte dell'ispettore Tibbs (In the Heat of the Night) in quel lontano 1967, ma il film diretto da Norman Jewison mantiene una freschezza invidiabile. Il mondo evidentemente è cambiato, ma non così tanto.
Gran merito è dovuto all'accoppiata straordinaria dei due attori che furono scelti da Jewison: Rod Steiger e Sidney Poitier.
Basato sull'omonimo romanzo di John Ball, il film è ambientato a Sparta, una piccola cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti, nel Mississippi, e racconta l'impegnativa notte vissuta dall'ispettore Virgil Tibbs (Sidney Poitier), uno dei migliori elementi della squadra omicidi di Philadelphia che mentre si trova di passaggio nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria locale, viene tratto in arresto da un agente di polizia, Sam Wood, incaricato di fare luce sull'assassinio di Mr. Colbert, un industriale del luogo.
Naturalmente l'equivoco viene smascherato presto e quando Tibbs rivela la sua vera identità, l'ispettore nero viene - suo malgrado - coinvolto nelle indagini.
Ma subito lo spettatore è avvertito: non a caso, Tibbs è stato arrestato: è nero, è diverso; è anche un nero sui generis, e ha nel portafogli una quantità di denaro che di solito un nero non ha.
La riluttanza di Tibbs ad essere coinvolto nelle indagini è pienamente giustificata: è stato perfino arrestato per sbaglio, ha capito subito che quello è un ambiente profondamente razzista. E anche profondamente ignorante (di solito le due cose vanno di pari passo).
Di lì a poco, infatti, mentre Tibbs è intento ad analizzare il corpo della vittima, viene catturato un nuovo presunto colpevole - bisogna darne in pasto subito uno alla comunità locale - tale Harvey Oberst, trovato in possesso del portafoglio di Colbert.
Al mattino in centrale irrompe il capo locale della polizia, Gillespie (Rod Steiger) dichiarando il caso chiuso, e chiedendo a Tibbs di lasciare la città, visto che il suo aiuto non è più richiesto. Tibbs è invece convinto del contrario, dato che le sue analisi dimostrano che l'omicida è destrimane, mentre Oberst è mancino.
Gillespie, infuriato anche dal fatto che il detective non voglia consegnargli i risultati dell'autopsia, lo fa di nuovo rinchiudere in cella con Oberst, dove constata che l'uomo ha un alibi per l'ora della morte. Tibbs dopo poco viene rilasciato e invitato nuovamente ad andarsene. E soltanto quando Gillespie si reca poi dal sindaco, che lo convince ad avvalersi dell'abilità del poliziotto di colore perché potrebbe solo aiutare le indagini, ma non averne il merito finale, Gillespie si reca alla stazione e riesce a convincere il riluttante Tibbs a rimanere.
Inizia da qui la vera indagine destinata a portare alla luce una vicenda assai scabrosa, che coinvolge direttamente proprio la polizia bianca locale.
Sarà Virgil Tibbs a risolvere il caso, con le sue capacità e la sua fredda eleganza.
The Heat of The Night (questo il titolo originale) è un capolavoro per molti motivi: segna una pietra miliare nel rovesciamento di rapporti e luoghi comuni della mentalità americana conservatrice e protestante (non a caso il film uscì a ridosso del 1968); è un poliziesco straordinario, modello di molti altri che seguiranno, la cui trama (e sceneggiatura) si dipana senza la minima sbavatura; è una prova d'attore meravigliosa in cui duettano in abilità e complicità due campioni come Sidney Poitier e Rod Steiger che anziché rubarsi la scena a vicenda, realizzano un perfetto duetto di cui sono alternativamente protagonisti e comprimari; è un film di idee e di forza morale contro le distorsioni del razzismo e della ignoranza che ne è - sempre - il fondamento, ovunque.
Il film vinse una incredibile quantità di Premi, tra cui 5 premi Oscar (miglior film, migliore attore protagonista a Rod Steiger (purtroppo non a Poitier cui sarebbe dovuto andare per gli stessi meriti), miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio (al grande Hal Ashby) e miglior sonoro).
E quanto può essere attuale? Quanto fa male ancora rivederlo proprio oggi? E' il pregio che possono avere soltanto i classici.
Sono passati più di 50 anni da quando uscì La calda notte dell'ispettore Tibbs (In the Heat of the Night) in quel lontano 1967, ma il film diretto da Norman Jewison mantiene una freschezza invidiabile. Il mondo evidentemente è cambiato, ma non così tanto.
Gran merito è dovuto all'accoppiata straordinaria dei due attori che furono scelti da Jewison: Rod Steiger e Sidney Poitier.
Basato sull'omonimo romanzo di John Ball, il film è ambientato a Sparta, una piccola cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti, nel Mississippi, e racconta l'impegnativa notte vissuta dall'ispettore Virgil Tibbs (Sidney Poitier), uno dei migliori elementi della squadra omicidi di Philadelphia che mentre si trova di passaggio nella sala d'aspetto della stazione ferroviaria locale, viene tratto in arresto da un agente di polizia, Sam Wood, incaricato di fare luce sull'assassinio di Mr. Colbert, un industriale del luogo.
Naturalmente l'equivoco viene smascherato presto e quando Tibbs rivela la sua vera identità, l'ispettore nero viene - suo malgrado - coinvolto nelle indagini.
Ma subito lo spettatore è avvertito: non a caso, Tibbs è stato arrestato: è nero, è diverso; è anche un nero sui generis, e ha nel portafogli una quantità di denaro che di solito un nero non ha.
La riluttanza di Tibbs ad essere coinvolto nelle indagini è pienamente giustificata: è stato perfino arrestato per sbaglio, ha capito subito che quello è un ambiente profondamente razzista. E anche profondamente ignorante (di solito le due cose vanno di pari passo).
Di lì a poco, infatti, mentre Tibbs è intento ad analizzare il corpo della vittima, viene catturato un nuovo presunto colpevole - bisogna darne in pasto subito uno alla comunità locale - tale Harvey Oberst, trovato in possesso del portafoglio di Colbert.
Al mattino in centrale irrompe il capo locale della polizia, Gillespie (Rod Steiger) dichiarando il caso chiuso, e chiedendo a Tibbs di lasciare la città, visto che il suo aiuto non è più richiesto. Tibbs è invece convinto del contrario, dato che le sue analisi dimostrano che l'omicida è destrimane, mentre Oberst è mancino.
Gillespie, infuriato anche dal fatto che il detective non voglia consegnargli i risultati dell'autopsia, lo fa di nuovo rinchiudere in cella con Oberst, dove constata che l'uomo ha un alibi per l'ora della morte. Tibbs dopo poco viene rilasciato e invitato nuovamente ad andarsene. E soltanto quando Gillespie si reca poi dal sindaco, che lo convince ad avvalersi dell'abilità del poliziotto di colore perché potrebbe solo aiutare le indagini, ma non averne il merito finale, Gillespie si reca alla stazione e riesce a convincere il riluttante Tibbs a rimanere.
Inizia da qui la vera indagine destinata a portare alla luce una vicenda assai scabrosa, che coinvolge direttamente proprio la polizia bianca locale.
Sarà Virgil Tibbs a risolvere il caso, con le sue capacità e la sua fredda eleganza.
The Heat of The Night (questo il titolo originale) è un capolavoro per molti motivi: segna una pietra miliare nel rovesciamento di rapporti e luoghi comuni della mentalità americana conservatrice e protestante (non a caso il film uscì a ridosso del 1968); è un poliziesco straordinario, modello di molti altri che seguiranno, la cui trama (e sceneggiatura) si dipana senza la minima sbavatura; è una prova d'attore meravigliosa in cui duettano in abilità e complicità due campioni come Sidney Poitier e Rod Steiger che anziché rubarsi la scena a vicenda, realizzano un perfetto duetto di cui sono alternativamente protagonisti e comprimari; è un film di idee e di forza morale contro le distorsioni del razzismo e della ignoranza che ne è - sempre - il fondamento, ovunque.
Il film vinse una incredibile quantità di Premi, tra cui 5 premi Oscar (miglior film, migliore attore protagonista a Rod Steiger (purtroppo non a Poitier cui sarebbe dovuto andare per gli stessi meriti), miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio (al grande Hal Ashby) e miglior sonoro).
Nel 2002 inoltre è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e nel 2007 l'American Film Institute l'ha inserito al settantacinquesimo posto della classifica dei cento migliori film americani di tutti i tempi (nella classifica originaria del 1998 non era presente).
Fabrizio Falconi
La Calda Notte dell'Ispettore Tibbs
The Heat Of The Night
di Norman Jewison
Usa, 1967
con Rod Steiger e Sidney Poitier
Fabrizio Falconi
La Calda Notte dell'Ispettore Tibbs
The Heat Of The Night
di Norman Jewison
Usa, 1967
con Rod Steiger e Sidney Poitier
E' la Cina il vero mercato editoriale del futuro: Nel 2018 430 milioni di utenti digitali.
Nel 2018 il mercato
editoriale digitale ha raggiunto in Cina un valore di 25,5
miliardi di yuan (circa 3,8 miliardi di dollari Usa), in aumento
del 19,6% su base annua.
Secondo un rapporto pubblicato dall'Associazione cinese di Editoria digitale e di prodotti audio-visivi, lo scorso anno circa 432 milioni di cinesi hanno avuto accesso a pubblicazioni digitali tramite dispositivi elettronici come personal computer, telefoni cellulari, tablet e dispositivi per e-book.
Il sondaggio contenuto nel rapporto rivela che lo scorso anno gli intervistati hanno letto ciascuno una media di 12,4 pubblicazioni digitali.
Oltre il 66% di loro ha dichiarato di essere disposto a pagare per questo genere di opere. Secondo il rapporto, l'avvento del 5G migliorera' l'esperienza dei lettori cinesi.
Sun Shoushan, direttore dell'Associazione cinese di Editoria digitale e di prodotti audio-visivi, ha detto che tecnologie all'avanguardia come l'intelligenza artificiale e i registri digitali Blockchain dovrebbero stimolare lo sviluppo dell'industria editoriale digitale cinese.
fonte ANSA
Secondo un rapporto pubblicato dall'Associazione cinese di Editoria digitale e di prodotti audio-visivi, lo scorso anno circa 432 milioni di cinesi hanno avuto accesso a pubblicazioni digitali tramite dispositivi elettronici come personal computer, telefoni cellulari, tablet e dispositivi per e-book.
Il sondaggio contenuto nel rapporto rivela che lo scorso anno gli intervistati hanno letto ciascuno una media di 12,4 pubblicazioni digitali.
Oltre il 66% di loro ha dichiarato di essere disposto a pagare per questo genere di opere. Secondo il rapporto, l'avvento del 5G migliorera' l'esperienza dei lettori cinesi.
Sun Shoushan, direttore dell'Associazione cinese di Editoria digitale e di prodotti audio-visivi, ha detto che tecnologie all'avanguardia come l'intelligenza artificiale e i registri digitali Blockchain dovrebbero stimolare lo sviluppo dell'industria editoriale digitale cinese.
fonte ANSA
14/04/19
Poesia della Domenica - "Ombra della verità" di Simona Scarpati
Ombra della verità
mi inondi, subissi, anneghi
mi terrorizzi, ecciti, risvegli
come un ruggito nel sangue,
come lo straripo di un fiume di tigri.
Con insondabili occhi mi guardi
protestando innocenza e spargendo polline
mentre solo per me ti spogli dei petali
uno ad uno.
Sei un coltello piantato
sei una corda corta, le manette, il coperchio
sei la grazia del tuo capo
appoggiato al mio seno,
sei l'ombra della verità e la luce della fatica
sei un'altra lingua e un'insperata riva
sei la complessità delle cose che non dici
ed è solo mia
questa furia che ancora non si placa.
Simona Scarpati - inedita
13/04/19
Idee per un Week End ? Ecco la perla di Fano, la città di Vitruvio e il suo grande patrimonio naturale/artistico.
Idee per un Week End o per le prossime festività che arrivano ?
L'idea è quella del percorso nell’ex Chiesa di San Francesco, uno dei complessi monumentali più belli e suggestivi della città di Fano, in provincia di Pesaro-Urbino, da visitare in uno dei prossimi weekend di primavera, magari ospiti di una fra le belle strutture della città e degustando il famoso brodetto di pesce.
L'idea è quella del percorso nell’ex Chiesa di San Francesco, uno dei complessi monumentali più belli e suggestivi della città di Fano, in provincia di Pesaro-Urbino, da visitare in uno dei prossimi weekend di primavera, magari ospiti di una fra le belle strutture della città e degustando il famoso brodetto di pesce.
Per scoprire un autentico angolo delle Marche bisogna recarsi a Fano (Pu), dove la nascita del nuovo City Brand della città porta alla riscoperta della sua ricca storia, dei suoi monumenti, delle sue piazze e di tutti i suoi numerosi luoghi ricchi di tradizione.
Nel centro storico di Fano vi è uno tra i più affascinanti e inusuali tesori della città: la suggestiva ex Chiesa di San Francesco. Un monumento a cielo aperto, unico nel suo genere, e di grande suggestione, che ben rappresenta la ricchezza della città e che, unitamente all’Abbazia di San Galgano, costituisce l’unico esempio italiano di chiesa senza tetto.
Il complesso architettonico di San Francesco, composto da chiesa e convento, si manifesta oggi con una pluralità di caratteristiche che sono il risultato di una lunga storia che ha visto susseguirsi diversi committenti in varie epoche.
La Chiesa venne edificata a partire dalla metà del XIII secolo, ma è durante il periodo di dominio della famiglia Malatesti (1357 - 1463) che l’edificio vive un periodo di grande splendore e fu scelta per accogliere le tombe della famiglia.
Dell’antica struttura medievale sopravvive solo parte del fianco sud, poiché l’edificio venne ristrutturato
a metà Ottocento in stile neoclassico ad opera degli architetti Giuseppe Ferroni e Angelo Innocenzi.
Nel sottoportico, però, sono ancora conservate e visibili le splendide tombe rinascimentali Malatestiane di Pandolfo III e Paola Bianca Malatesti, commissionate dal figlio Sigismondo e attribuite a Leon Battista Alberti.
Un ricchissimo apparato scultoreo fa da corona alla bella immagine della defunta, stesa sul coperchio del sarcofago.
Oggi questo imperdibile gioiello architettonico fa parte dei Luoghi del Cuore scelti dal FAI, che ogni anno recensisce i luoghi italiani da non dimenticare.
La visita del Complesso monumentale di San Francesco è l’invito per un bel weekend di primavera alla scoperta di Fano con un piacevole soggiorno, ad esempio, in uno degli antichi palazzi trasformati in Hotel de charme o nei suggestivi e tradizionali hotel del lungomare, dalle cui camere e suites si può godere della bellissima vista del mare Adriatico.
Fra centro storico e marina il passo è breve e l’invito è a trascorrere ore piacevoli a passeggiare e a gustare un buon caffè o meglio ancora la famosa Moretta nei tanti locali sul mare.
A Fano ci si va anche per gustare gli straordinari piatti di pesce della tradizione.
Qui il pescato è sempre freschissimo e Fano rappresenta una certezza nel panorama gastronomico italiano e marchigiano.
E’ d’obbligo assaggiare il brodetto di Fano, che si è aggiudicato negli anni il titolo di “Miglior Brodetto d’Italia”.
Fra i tanti menù proposti dagli eccellenti ristoranti del centro storico, del lungomare e della suggestiva Darsena, che sempre seguono le stagioni e la disponibilità giornaliera di pesce fresco, dove si possono gustare pesci dalle carni pregiate, crostacei e molluschi dell’Adriatico.
Fano, la Città di Vitruvio è oggi la terza città delle Marche e si distingue in tutti i settori dell’accoglienza e dell’offerta turistica: cultura, storia, arte, mare, cibo e buon vino!
Per conoscere a fondo la vasta offerta turistica di Fano una guida imprescindibile, in italiano e inglese, completa di tutto è il sito ufficiale del Turismo della città https://www.turismofano.com/.
Fano è presente sui social media e il suo hashtag è #visitfano
è presente su Facebook: https://www.facebook.com/visitfano/
e Instagram: https://www.instagram.com/visit_fano/?hl=it
Come arrivare a Fano:
In auto: Autostrada A14, uscita Fano, uscita Marotta
In treno: da Milano – Bologna – Taranto –> stazioni Fano e Marotta
In aereo: aeroporti Ancona – Falconara ( km 46) ; Rimini – Miramare (km 48)
Via mare: Stazione Marittima di Ancona, Porto Turistico di Fano.
12/04/19
100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" ("Citizen Kane") di Orson Welles (1941)
100 film da salvare alla fine del mondo: 11. "Quarto Potere" (Citizen Kane) di Orson Welles (1941)
Quarto potere (Citizen Kane) non è soltanto un capolavoro assoluto della storia del cinema, ma anche una formulazione esaustiva del puro talento artistico: basti pensare che fu scritto, diretto, prodotto e interpretato, nel 1941 da Orson Welles, che all'epoca aveva solo 25 anni ed era alla sua opera prima, al suo primo lungometraggio, una cosa che lascia allibiti e che specie oggi è difficilmente immaginabile.
La cosa che lascia sbigottiti ancora oggi non sono soltanto il talento visionario e la straordinaria padronanza tecnica del giovane Welles, ma anche le formidabili implicazioni di un'opera che ancora oggi affascina, inquieta, suscita domande senza risposta, e che rappresenta una delle più profonde meditazioni sulla natura umana, sul rapporto tra potere e informazione, sulla politica e sulla incapacità d'amare.
Per realizzarlo, Welles si ispirò alla biografia del magnate dell'industria del legno e dell'editoria William Randolph Hearst, che il regista ribattezzò Charles Foster Kane (interpretato dallo stesso Welles).
Attraverso una incredibile - per l'epoca, e primo esempio assoluto - struttura narrativa che analizza la figura di Kane attraverso cinque racconti e cinque prospettive diverse, con continui flashback e inserti, Welles ricostruisce la vita del magnate, la sua solitudine nella gigantesca residenza dove abita (Xanadu, nella versione italiana Candalù), incapace di amare veramente qualcuno o qualcosa che non sia il potere, e dove muore abbandonato da tutti.
Jorge Luis Borges definì il maestoso affresco come un "giallo metafisico", e tale in realtà è, perché Citizen Kane, alla stregua di un moderno biopic, mostra e approfondisce la figura e la vita di Kane, senza mai arrivare a conclusioni definitive, anche perché il nucleo fondativo della sua personalità - si scopre lungo la narrazione - è rappresentato da un enigmatico trauma infantile: l'allontanamento dai suoi genitori, fortemente voluto dalla madre allo scopo di affidarlo alla tutela di un uomo d'affari, incaricato di amministrare la sua smisurata eredità.
Lo spettatore scopre così che Kane, giovanissimo erede di una colossale fortuna, è stato letteralmente strappato al suo mondo d'infanzia, elaborando nel suo mondo interiore una concezione dell'amore come possesso, come proprietà, come merce.
Ribelle, direttore straordinario, megalomane, marito arido di sentimenti, padrone ferocemente eccentrico, pazzo: Kane è tutto questo, ma il suo mistero, collegato al vaneggiamento che ruota intorno ad una parola ("Rosebud" in inglese, "Rosabella" in italiano), verrà svelato solo molto parzialmente in una memorabile scena finale.
Quella parola che Kane aveva pronunciato al termine di una terribile scena in cui il magnate distrugge la camera da letto della moglie Susan sotto gli occhi di lei, fermandosi solo quando il suo sguardo si fissa su una boule à neige, una palla di vetro con la neve.
Geniale decostruzione del Sogno Americano, Quarto Potere, il film fu un clamoroso fiasco al botteghino, e fortemente boicottato dai media e dai giornali che erano in mano al vero Hearst, e vinse incredibilmente una sola statuetta nella corsa agli Oscar (nonostante 9 candidature): quella minore per la sceneggiatura.
Il film, però, a partire dal dopoguerra, si prese una grande rivincita, lanciata soprattutto dalla critica europea, divenendo in breve tempo un punto di riferimento assoluto, essendo considerato uno dei migliori film in assoluto della storia del cinema.
Fabrizio Falconi
Quella parola che Kane aveva pronunciato al termine di una terribile scena in cui il magnate distrugge la camera da letto della moglie Susan sotto gli occhi di lei, fermandosi solo quando il suo sguardo si fissa su una boule à neige, una palla di vetro con la neve.
Geniale decostruzione del Sogno Americano, Quarto Potere, il film fu un clamoroso fiasco al botteghino, e fortemente boicottato dai media e dai giornali che erano in mano al vero Hearst, e vinse incredibilmente una sola statuetta nella corsa agli Oscar (nonostante 9 candidature): quella minore per la sceneggiatura.
Il film, però, a partire dal dopoguerra, si prese una grande rivincita, lanciata soprattutto dalla critica europea, divenendo in breve tempo un punto di riferimento assoluto, essendo considerato uno dei migliori film in assoluto della storia del cinema.
Fabrizio Falconi
11/04/19
Riapre il Parco del Tuscolo, la Pompei di Roma. Due giorni di eventi sabato 13 e domenica 14 aprile.
"Dalle rivelazioni aree si intuiva un lungo allineamento sotto al terreno. Abbiamo aperto e ci siamo trovati davanti un muro lungo 29 metri: una Chiesa medioevale, con tanto di ossari e gallerie sepolcrali in facciata, impostata sulle colonne delle antiche terme romane. Dai bolli, sicuramente adrianee".
A parlare è Valeria Beolchini, l'archeologa che oggi
meglio conosce l'antica Tusculum, citta' latina che leggenda
vuole fondata da Telegono, figlio di Ulisse e della Maga Circe,
conquistata da Roma nel 496 a.C per diventare residenza estiva
d'elite, tra senatori e imperatori, da Cicerone a Tiberio,
Plinio e Lucullo, poi distrutta e abbandonata definitivamente
nel 1191.
Per tutto l'800 depredata e saccheggiata (molti dei reperti
si trovano in Piemonte, ad Aglie', "collezione" dei Savoia), oggi
l'antica citta' riprende forma con la riapertura, dopo un anno,
del Parco Archeologico e culturale di Tuscolo, al centro del
progetto Tuscolo.
Il luogo primitivo dell'anima, che la Comunita'
Montana Castelli Romani e Prenestini (che ha acquistato il sito
nel 1984 dai principi Aldobrandini) ha finanziato per un milione
e 200 mila euro.
Gia' realizzati, messe in sicurezza, scavi,
restauri, riqualificazione dell'area e, oggi, il rinnovo
dell'accordo di collaborazione con la Escuela Espanola de
Historia y Arquelogia en Roma-CSIC che dal 1994 ha realizzato
qui oltre 20 campagne di scavo.
"La chiamavano la Pompei alle porte di Roma", racconta la
Beolchini, che qui da anni studia e scava, responsabile del
progetto Tusculum. Per festeggiare la riapertura, il Parco ha
organizzato due giorni di eventi, il 13 e 14 aprile, con
laboratori didattici, visite guidate e trekking. Ma basta
guardarsi intorno venendo su per il nuovo percorso di visita che
dall'antica Via dei Sepolcri arriva fin sul basolato del
Decumano (proseguendo con il "falso storico" allestito
accogliere Papa Gregorio XVI) per vivere un vero viaggio
all'indietro nel tempo, tra il Foro, le botteghe, i resti del
Tempio di Mercurio, l'area dei tempietti, la Fontana arcaica e
il Teatro del 75 a.C. che un tempo, dice la Beolchini, poteva
arrivare a contenere forse anche duemila persone.
"I prossimi scavi - raccontano il presidente della Comunita'
montana Damiano Pucci e il direttore della Escuela Espanola,
Jose' Ramon Urquijo Goitia, alla presenza anche dell'Ambasciatore
di Spagna Alfonso Dastis Quecedo - si concentreranno all'esterno
dell'area". Ovvero proprio intorno a quella basilica di epoca
medioevale, con annessa necropoli, che gia' si scorge, ma che la
nuova campagna di scavi del 2020, la piu' grande mai realizzata a
Tuscolo dai tempi di Luciano Bonaparte e Luigi Canina, dovrebbe
svelare completamente. "Sotto - racconta la Beolchini - abbiamo
trovato pavimenti in mosaico bianchi e neri, affreschi
coloratissimi, latrine e le vasche per il tiepidarium e
frigidarium.
È la citta' che sta riprendendo forma. Grazie alle
rilevazioni aeree e geofische possiamo ricostruire tutto in 3d.
Abbiamo le planimetrie degli edifici e delle strade. Incrociando
competenze e collaborazioni, poi - prosegue - stiamo scoprendo
molto sulla vita che si conduceva qui. Le ceramiche, piu' piccole
di quelle di Roma, e gli studi sulle ossa, ad esempio, ci
raccontano che in tavola si privilegiavano gli stufati alle
carni alla brace.
Da un cranio colpito da un proiettile stiamo ricostruendo le tecniche belliche (i reperti vengono
esposti al Museo di Frascati ndr). Quanto all'eta' romana, per
ora abbiamo sondato l'area monumentale, dove sono numerose le
epigrafi, marmi e decori. Ma appena fuori le mura, abbiamo le
domus piu' ricche. Personalmente non penso si debba sempre
scavare tutto. Ma qualche primo saggio ci ha svelato pareti
preziosissime, dipinte di rosso". Proprio come a Pompei.
10/04/19
Scattata la foto del secolo: Prova diretta dei buchi neri.
Per la prima volta e' stato fotografato
un buco nero. Dopo che nel 2016 le onde gravitazionali hanno
dimostrato l'esistenza di questi misteriosi oggetti cosmici,
arriva la prima prova diretta e l'immagine che lo testimonia e'
quella del buco nero Messier 87, al centro della galassia Virgo
A (o M87), distante circa 55 milioni di anni luce.
Al risultato,
del progetto internazionale Event Horizon Telescope (Eht),
l'Italia ha partecipato con Istituto Nazionale di Astrofisica(Inaf) e Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Come si vede nella foto che pubblichiamo, l'enorme Buco Nero è stato rivelato dalla sua ombra, che
appare come una sorta di anello rossastro, il buco nero al
centro della galassia M87 con la massa di sei miliardi e mezzo
quella del nostro Sole.
"Quella che abbiamo visto e' l'ombra di
un buco nero", ha detto all'ANSA Luciano Rezzolla, direttore
dell'Istituto di Fisica Teorica di Francoforte e membro del
comitato scientifico della collaborazione Eht (Event Horizon
Telescope).
La grande novita' della prima fotografia di un buco nero è che oggetti cosmici invisibili per definizione per la prima volta possono essere visti e studiati direttamente. "Adesso possiamo finalmente osservarli", ha detto all'ANSA Luciano Rezzolla, direttore dell'INFN di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht. Oggi si apre la "prima pagina di un libro nel quale e' possibile fare osservazioni sempre piu' accurate di questi oggetti, previsti un secolo fa da Albert Einstein".
La grande novita' della prima fotografia di un buco nero è che oggetti cosmici invisibili per definizione per la prima volta possono essere visti e studiati direttamente. "Adesso possiamo finalmente osservarli", ha detto all'ANSA Luciano Rezzolla, direttore dell'INFN di Francoforte e membro del comitato scientifico della collaborazione Eht. Oggi si apre la "prima pagina di un libro nel quale e' possibile fare osservazioni sempre piu' accurate di questi oggetti, previsti un secolo fa da Albert Einstein".